Tutti ne parlano, tutti dicono la loro, ma ancora nulla si muove. Il tema è quello delle pensioni, con tante risposte ancora da trovare e dare, con incertezze da cancellare e, di non poca importanza, con tante soluzioni da trovare anche per permettere quel ricambio generazionale che possa dare una speranza di futuro anche alle nuove generazioni. Ma se soluzioni non si sono trovate per quel che riguarda Quota 96, esodati, vitalizi e così via, anche per quel che riguarda quelle d’oro il governo non riesce a trovare un accordo. La scorsa settimana sono state presentate sette mozioni dai partiti e tutte sono state bocciate. Come spiega l’Espresso, ha ricevuto parere favorevole solo quella, vaga, della maggioranza che afferma: il governo ha già preso provvedimenti, adesso monitori se i risultati arrivano e in caso corregga “eventuali distorsioni e privilegi”. Sempre l’Espresso scrive:”Il frutto avvelenato delle ristrette intese si ripercuote anche su uno degli obiettivi che il Partito democratico dovrebbe avere più a cuore: l’equità sociale. E ha ben poco da scalpitare Matteo Renzi che chiede un intervento deciso, visto che il Pd a Montecitorio è riuscito a farsi scavalcare perfino da Giorgia Meloni. Che difatti ha commentato ironica: «Se questi sono di sinistra, io sono Mao Tse Tung». La mozione iniziale dei democratici chiedeva infatti una trattenuta sulle pensioni oltre i 5mila euro da destinare alle fasce più deboli, ma è stata sacrificata per non perdere l’appoggio del Nuovo centrodestra.”
Nonostante le pensioni a cinque zeri siano tra gli argomenti più discussi tra i cittadini, il governo Letta non ha fatto molto, anzi. Ricorda Paolo Fantauzzi: “Nella legge di stabilità l’esecutivo ha inserito un prelievo che di qui al 2016 toglierà rispettivamente il 6, 12 e 18 per cento alla parte che eccede 14, 20 e 30 volte il minimo Inps. A leggere i numeri sembra tanto, in realtà è un’inezia. Tanto per avere un’idea: appena 5 euro al mese per un pensionato da 91 mila euro l’anno e 50 euro al mese a chi ne riscuote 100 mila.” Il che significa che il provvedimento frutterà non più di 12 milioni di euro e si tratta più o meno dello stesso prelievo effettuato dal governo Berlusconi (confermato poi da Mario Monti). E non va dimenticato che la Consulta l’ha bocciato, definendo incostituzionale il prelievo sui soli pensionati senza estenderlo anche ai lavoratori attivi. In tutto questo, le varie forze all’opposizione non hanno fatto che farsi sgambetti reciproci favorendo la bocciatura delle proposte altrui. Sembra però che, ora, qualcosa inizi a muoversi. Si legge ancora su L’Espresso: “A novembre la commissione Lavoro della Camera ha calendarizzato una proposta di legge presentata proprio dalla Meloni (la prima in ordine di tempo in questa legislatura) e nei giorni scorsi il testo è stato preso come bozza di partenza per elaborare un provvedimento condiviso dai partiti. L’assunto di base è minimal: i primi 5 mila euro sono “salvi”, per il resto nessun prelievo straordinario ma un semplice ricalcolo col sistema contributivo in vigore dal 1995. Insomma, come se ci si ritirasse dal lavoro oggi. Poi chi ha diritto a quanto percepisce, bene. Chi invece sta ricevendo dall’Inps più di quanto gli spetterebbe, vedrà decurtarsi l’assegno mensile. «La pensione dev’essere commisurata a quello che si è versato, a prescindere dall’importo. Il prelievo lineare è sbagliato» dice all’Espresso la Meloni. «Fra l’altro la Consulta non ha posto problemi di retroattività quindi problemi non dovrebbero essercene».” Questa settimana inizia l’esame del provvedimento, che giungerà in Aula a febbraio. Ammesso che trovino un’intesa. Perchè le diverse forze propongono soluzioni molto diverse tra loro. Si legge ancora sul sito internet del settimanale:
Il Movimento cinque stelle in Aula ha proposto un prelievo suddiviso in nove scaglioni: dallo 0,1 per cento per tutte le pensioni sotto i 3 mila euro fino al 32 per cento per quelle sopra i 322 mila euro. Un sistema che colpisce tutti in modo da evitare possibili contestazioni della Consulta e recuperare 1 miliardo e 142 milioni da destinare alle pensioni minime. Ben diversa però è la proposta di legge depositata, assai più vicina al “verbo” di Beppe Grillo e che ricorda il codice per i parlamentari: per tre anni, non più di 5 mila euro per tutti. Un provvedimento che, anche se divenisse legge, alla luce delle sentenze precedenti rischierebbe di essere cassato dalla Consulta.
Stesso discorso per la Lega nord, che vorrebbe fissare un tetto da 5 mila euro per le pensioni calcolate col sistema retributivo. In caso di più trattamenti previdenziali, la soglia sale a 8 mila euro. Scelta civica propone invece di intervenire oltre i 5 mila euro e di prelevare il denaro dalla parte “regalata” dal vecchio metodo di calcolo per la quale non sono stati effettuati versamenti.
E a sinistra? Guai a parlare di ricalcolo delle pensioni. Sel ad esempio nicchia. La deputata Titti Di Slavo ha denunciato il “populismo mischiato a falso egualitarismo” insito nella questione. Secondo i vendoliani, infatti, salvo qualche eccezione chi ha percepisce pensioni d’oro ha versato tanto e quindi ne ha diritto. Semmai, quindi, bisogna aumentare le aliquote sui redditi più alti, senza discriminare fra ricchi pensionati e non.
Il Partito democratico vorrebbe invece introdurre per un quinquennio un contributo di solidarietà basato su 17 aliquote progressive: si parte da 4 mila euro e si arriva fino alle pensioni da mezzo milione e oltre, su cui prelevare il 15 per cento. Tradotto in soldoni, un taglio da 40 mila a 34 mila euro al mese per i trattamenti più alti.
Ma come spiegare questa avversione al metodo contributivo, che da quasi 20 anni vige per tutti gli italiani? La motivazione ufficiale è che sarebbe un provvedimento regressivo, perché le pensioni più basse sono in media più generose rispetto a quanto versato. Considerato che i trattamenti delle fasce più povere sarebbero però fatti salvi, si tratta di una giustificazione che non regge. E allora è il caso di ricordare quanto in passato, proprio in tema di previdenza sociale, a sinistra abbia pesato la difesa di alcune sacche di privilegiati. L’intoccabilità dei baby-pensionati ai tempi del primo governo Prodi docet.