Ha una priorità il governo Renzi: il lavoro. Con il pacchetto che verrà presentato già in questo mese. Sui binari paralleli al piano per il rilancio del mercato dell’occupazione viaggia la riforma delle pensioni, che è in fase di realizzazione. Ilministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, ha spiegato che si prevedono numerose misure tra le quali l’allargamento della platea dei beneficiari del sussidio di disoccupazione e l’offerta di un’opportunità di impiego entro 4 mesi a ciascuna persona, giovane, adulta o anziana, che abbia perso il lavoro. Il ministro ritiene infatti che “nessuno deve essere lasciato a non fare nulla, perché si traduce in una gravissima condanna. Su questo si giudica pure il grado di civiltà di un Paese”. Va notato che il ministro, tuttavia, nonostante abbia rilasciato numerose interviste, ha toccato i temi delle pensioni e degli esodati solo di sfuggita, mentre non ha ancora fissato un incontro con le parti sociali, seppur richiesto dai sindacati. Ma non è il caso di allarmarsi perchè lo stesso Poletti ha spiegato: “Ho bisogno di fare una ricognizione dello stato dell’arte, ho da scegliere delle figure importanti all’interno del ministero”. I sottosegretari arrivano in tre dal Pd: Teresa Bellanova, Franca Biondelli e Luigi Bobba mentre Massimo Cassano è del Ncd. Ma il ministro ha sottolineato anche che la sua metodologia di lavoro “non può prescindere dall’incontro delle parti sociali e anche dell’associazionismo impegnato nel terzo settore: non dimentichiamo che il ministero ha anche la delega al welfare. E per me il terzo settore è una leva essenziale allo sviluppo del Paese”. Su Webmasterpont.it, Marcello Tansini si chiede: “Si possono ridurre gli oneri sociali?” E risponde:
Anche se l’incidenza dei contributi è rilevante, i margini di intervento su questa sono limitati perché si tratta in larghissima parte di contributi previdenziali. La quota residua di oneri impropri, che potrebbero essere fiscalizzati ossia posti a carico dello Stato, è molto limitata. Tagliare la contribuzione previdenziale avrebbe l’effetto indesiderato di ridurre le pensioni future dei lavoratori visto che ormai dal 2012 tutti sono passati al sistema contributivo. Nonostante un’aliquota contributiva effettiva del 33% (circa il 9% a carico del dipendente e il resto del datore di lavoro) le pensioni contributive proiettate nei prossimi decenni risultano…
Sono stati alcuni insegnanti della provincia di Milano a fare una scoperta a dir poco shock: dei loro contributi previdenziali non si trova traccia nei terminali dell’Inps. I docenti, per i quali si avvicina il tempo della pensione, si sono infatti recati all’Istituto per richiedere i conteggio dei versamenti. A quel punto la scoperta: nessun contributo per alcune supplenze effettuate all’inizio della carriera presso scuole pubbliche dell’area metropolitana. Come spiega il Sole 24 ore, si tratta di supplenze temporanee (per periodi brevi ma anche incarichi annuali) effettuate in periodi lontani nel tempo: in particolare tra l’inizio degli anni Settanta e il 1987. Il caso, a Milano, “interessa centinaia di docenti”, conferma il direttore scolastico provinciale, Giuseppe Petralia, ma il numero “potrebbe lievitare nei prossimi mesi, quando altri docenti si troveranno a fare i calcoli in vista del pensionamento”. In ogni caso, tiene a precisare l’ex provveditore, “il problema va ben oltre la dimensione locale: si tratta di una questione nazionale che dunque può riguardare un numero ben più ampio di docenti”. Spiega Silvia Sperandio sulle pagine del quotidiano:
A lanciare l’allarme è stata la a Cgil di Milano che – basandosi su segnalazioni pervenute direttamente al sindacato e sui dati del patronato Inca Cgil – ha rilevato un preoccupante crescendo di casi in provincia di Milano. «Abbiamo riscontrato buchi contributivi, anche consistenti, relativi al periodo compreso tra il 1970 e il 1987», spiega Caterina Spina, segretaria generale Flc Cgil di Milano. Il problema «è stato subito segnalato all’Ufficio scolastico regionale, e l’ex provveditorato ha riconosciuto effettive difficoltà a trovare la copertura contributiva. Ora il fenomeno è in crescita, urge una soluzione», incalza Spina.La casistica è varia, ma il leitmotiv è lo stesso. Tra i prof che si sono trovati in difficoltà c’è ad esempio chi è già in pensione, e ha riscattato – pagando di tasca sua – più di un anno di contributi che non risultano all’Inps, e insegnanti che hanno presentato la domanda di pensionamento tre o quatto anni fa ma sono ancora in attesa della pensione: nessuna erogazione dall’Inps a causa di “buchi” riscontrati nel ’78 e ’79, non giustificati dall’amministrazione. «Il problema esiste, sappiamo che è urgente e stiamo cercando di risolverlo: abbiamo già chiesto un incontro con l’Inps», dichiara il direttore dell’Ufficio scolastico provinciale Giuseppe Petralia, tra l’altro prossimo alla pensione, raccontando che già centinaia di insegnanti si sono recati all’ex Provveditorato per chiedere conto dei loro versamenti Inps attestati dal modello «01 M». «Si tratta, nella maggior parte, di docenti che oggi sono di ruolo, ma che hanno cominciato la loro carriera scolastica facendo supplenze nelle scuole, anche con incarichi annuali». E sono in molti anche gli insegnanti che si rivolgono alle segreterie delle scuole milanesi dove hanno lavorato in passato, per chiedere che vengano loro rilasciati gli attestati di servizio e i modelli “01 M” che attestano i versamenti all’Inps. Secondo l’Ufficio scolastico provinciale, inoltre, «è scontato il pagamento dei contributi da parte delle scuole». In ogni caso, il consiglio rivolto ai docenti è quello di controllare prima possibile la propria situazione previdenziale: in caso di «buchi» contributivi è necessario dotarsi dei certificati di servizio, o dei cedolini che attestano i versamenti delle scuole, prima di andare nuovamente agli sportelli Inps. Secondo i vertici dell’Istituto nazionale di previdenza di Milano, c’è innanzitutto l’esigenza di fare una verifica per capire l’entità e la consistenza di questo fenomeno: se la questione dovesse riguardare i contributi versati fino al 1987, per le cosiddette supplenze brevi, si tratterebbe di versamenti che rientrano nella gestione previdenziale privata (Ago, assicurazione generale obbligatoria) dell’Inps. Contributi per i quali – tra l’altro – scatta la precrizione dopo un periodo di dieci anni. Infatti, fino al 1987, i contributi degli insegnanti per le supplenze brevi venivano versati direttamente all’Inps, poi queste pratiche sono divenute di competenza dell’Inpdap. Intanto, l’Inps conferma che è in programma a breve un tavolo con l’Ufficio provinciale scolastico di Milano, nel corso del quale verrà affrontato questo tema.
Vera Lamonica, Maurizio Petriccioli e Domenico Proietti, Segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil, hanno firmato una nota unitaria con la quale si rendere noto che “Le segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto un incontro al Ministro del Lavoro Giuliano Poletti per affrontare alcune fra le principali questioni inerenti il sistema pensionistico sulle quali le organizzazioni sindacali si stanno battendo da tempo”. La nota prosegue precisando che “Gli interventi del dicembre 2011 hanno provocato ricadute sociali gravissime, dovute all’eccessivo irrigidimento dei requisiti di accesso al pensionamento, generando iniquità e problematiche che ancora oggi aspettano una soluzione definitiva. Sul piano della sostenibilità sociale vanno prese, poi, decisioni che possano, nel lungo periodo, assicurare l’obiettivo di una pensione dignitosa, da conseguire attraverso un pilastro pubblico equo e solidale e una previdenza complementare ampiamente diffusa e accessibile a tutti. Inoltre, anche alla luce delle recenti vicende che hanno interessato l’Inps, va accelerata la riforma del modello di governo degli enti previdenziali e assicurativi, assumendo i contenuti dell’Avviso comune sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria il 26 giugno 2012”.
Il nuovo presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato che a marzo verrà presentato il nuovo piano lavoro e ci si aspetta che, con esso, arrivino anche le modifiche per le pensioni che finora sono state attese invano nonostante le molte richieste. Sono infatti necessari interventi per risolvere situazioni cruciali, come quelle di esodati e Quota 96, e per un’uscita anticipata dal lavoro per precoci e usuranti. E’ il sito businessonline.it che ci aggiorna sulla situazione attuale spiegando che sembrano tornare in voga due precedenti proposte: quella del prestito pensionistico e l’ipotesi di uscita flessibile dal lavoro.
Sembra si possa tornare a rivalutare o l’idea del prestito pensionistico dell’ex ministro Giovannini, o l’ipotesi di uscita flessibile dal lavoro, avanzata mesi fa da Cesare Damiano, che prevedeva la possibilità di uscita anticipata dal lavoro, a 62 anni, con 35 anni di contributi ma accettando un sistema di penalizzazioni, o anche incentivi se si decidesse di rimanere a lavoro fino all’età di 70 anni.
L’idea del prestito pensionistico, invece, offre la lavoratore la possibilità di andare prima in pensione rispetto alla soglia fissata dei 66 anni, accettando un prestito da parte dell’Inps, dello Stato o dell’azienda stessa, che dovrà poi però essere restituito una volta maturati i requisiti pensionistici richiesti, attraverso decurtazioni dall’assegno finale.
Questo sistema permetterebbe, dunque, a precoci e usuranti di lasciare prima il lavoro, ad altre categorie di lavoratori di decidere, su base volontaria, di andare in pensione prima, permettendo anche un turn over e facilitando l’accesso nel mondo del lavoro dei più giovani.
E proprio l’occupazione giovanile è una delle sfide che si trova ad affrontare il nuovo governo Renzi mentre i dati Istat parlano di una disoccupazione record. Il nuovo governo Renzi punta inoltre ad allargare le tutele economiche e sociali per chi lavora e, per chi dovesse perdere il posto, pensare al cosiddetto reddito minimo garantito, garanzia per i disoccupati. Si tratta comunque di un sostengo al reddito che dovrebbe interessare tutti, lavoratori dipendenti, autonomi a progetto o con partita Iva.
Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil, ha redatto una nota per denunciare che ”I lavoratori e le lavoratrici che in questi giorni stanno presentando domanda di pensionamento anticipato rischiano di trovarsi ulteriori penalizzazioni che, come nel caso della scuola, li costringerebbero ad allungare di un altro anno il loro lavoro”. E spiega: ”Questa penalizzazione è il portato delle previsioni assurde della legge Fornero e anche delle successive interpretazioni date dall’Inps e soprattutto dall’ex Inpdab”. Ancora, la dirigente sindacale prosegue sottolineanche che la legge Fornero ”prevede il mancato calcolo nell’anzianità contributiva utile per non incorrere nelle penalizzazioni previste per chi va in pensione anticipata prima dei 62 anni, di una serie di periodi quali ad esempio la cassa integrazione straordinaria, la disoccupazione, la mobilità o la partecipazione agli scioperi. Successivamente un parzialissimo intervento del Parlamento ha corretto ma non risolto il problema”. La Cgil, quindi, conclude Lamonica, chiede ”all’Inps e al Ministero del lavoro di impedire un ulteriore pesante effetto sulla vita delle persone, correggendo innanzitutto interpretazioni che appesantiscono norme inique che vanno comunque cancellate”.
Si parla molto delle pensioni, sempre in attesa di qualche risposta. E diversi sono i casi di cronaca che parlano di morti celate per continuare a percepire quella di un familiare. Ma non solo: la Guardia di finanza di Tropea, come riporta l’Ansa, ha condotto una verifica su alcune posizioni di cittadini emigrati che, pur avendo mantenuto la residenza in Italia, potevano essere deceduti all’estero. Si è così scoperto che l’Inps, non avendo cognizione dei possibili decessi, aveva continuato ad erogare le provvidenze con danni per l’erario. Gli accertamenti proseguono per scoprire casi analoghi ma nel frattempo l’Istituto ha recuperato quasi 90 mila euro.
L’attesa è alta per quel che riguarda i primi interventi del neo ministro Giuliano Poletti sul tema pensioni ma nel frattempo possiamo provare a capire che linea seguirà il governo Renzi per quel che riguarda la pensione anticipata 2014 e il prepensionamento Giovannini. E’ possibile grazie a una recente intervista rilasciata dallo stesso Poletti all’Unità. Anche se il ministro non parla direttamente di pensione anticipata e del prepensionamento con prestito, spiega di mirare a costruire e non a demolire, aggiungendo di essere intenzionato a lavorare in un’ottica di continuità con il suo predecessore. “Io lo ringrazio per il lavoro svolto e mi auguro che possa collaborare con noi per il futuro. In generale le cose fatte mi sembrano importanti, come per l’appunto la Garanzia Giovani. Sarebbe un errore fermarsi per smontare tutto. Noi dobbiamo andare avanti”. Da queste parole è lecito ipotizzare che, per quel che riguarda la pensione anticipata 2014 con prestito, la propostà continuerà a venire discussa. Certo, si tratta comunque di un’ipotesi. Proseguendo su questa linea: se tale possibilità venisse estesa a una platea più ampia di quella prevista, di conseguenza si aprirebbero anche le porte per l’accesso al mondo del lavoro per molti giovani. Proprio a questo tema sembra particolarmente legato Poletti: “Bisogna metterci tutti nella condizione di produrre almeno un’offerta per chi non ha ancora trovato una collocazione”. Nel frattempo Damiano comunque continua a parlare della bontà della flessibilità: resta da vedere se verrà ascoltato.
Ieri Matteo Renzi ha chiesto, ottenendola, la fiducia al Senato ma nel suo discorso non ha parlato del tema pensioni. Questo tuttavia non dovrebbe allarmare, visto che le innovazioni per quel che riguarda il mercato del lavoro potrebbero offrire aperture proprio sul tema pensionamento. Le risposte che ci si attende sono, tra le altre, quelle alla questione esodati per risolverla una volta per tutti. Come spiega businessonline.it:
gli esodati continuano ad aumentare per effetto delle norme pensionistiche entrate in vigore con la legge Fornero e si tratta di un errore a cui è necessario porre fine. La legge previdenziale in vigore infatti, quando elaborata, non ha tenuto conto della specificità di alcuni comparti, come quello della scuola, nè di accordi stipulati da lavoratori con le proprie aziende per andare in pensione prima. Tutto questo ha creato una discrepanza di tempi dando vita ai cosiddetti esodati, coloro cioè che si ritrovano senza reddito e senza pensione, costretti a vivere ai margini e in condizioni di grave precarietà. Nonostante poi i tre decreti di salvaguardia dell’ex governo Monti, che hanno coinvolto 130mila persone, e quelli dell’ex governo Letta, sono ancora pochissimi coloro che effettivamente ricevono l’assegno pensionistico. Motivo per il quale è stata innanzitutto richiesta una ricognizione puntuale di coloro che ancora necessitano della tutela stabilita e per cui il nuovo premier incaricato, Matteo Renzi, sin dal suo discorso in virtù delle primarie, ha posto gli esodati come ‘situazione fondamentale’ da risolvere. Nonostante, dunque, ieri, nel suo discorso al Senato per la fiducia non abbia fatto accenno a questa categoria di persone, sembra scontato un impegno per scongiurare che la situazione diventi ancor più grave, che probabilmente potrebbe essere collegato ad una riforma del lavoro già nei piani del nuovo governo.
Anche pensioniblog.it parla dell’attuale esecutivo ricordando che, in un primo momento, per quel che riguarda le cariche di ministri del Lavoro e dell’Economia, si erano fatti i nomi di Guglielmo Epifani, ex segretario Cgil, e Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro. Entrambi facevano ben sperare su possibili modifiche, mentre ora, al constrario, nascono dubbi dalla nomina di Pier Carlo Padoan e Giuliano Poletti che dovranno, una volta per tutte, sciogliere il nodo esodati, risolvere la questione dei pensionandi appartenenti alla cosiddetta Quota 96 e pensare a piani di uscita flessibile per le pensioni di vecchiaia e anzianità. Perchè l’insorgere dei dubbi? Si legge:
Sono due ministri che, sulle pensioni, non hanno mai criticato apertamente la Legge Fornero, ma hanno manifestato intenzioni di cambiamenti sul lavoro. Ma, proprio modificando il lavoro, potrebbero arrivare modifiche anche sul fronte delle pensioni, a partire dalla possibilità di uscita flessibile – anche con penalizzazioni – per permettere ai più vecchi di uscire, cercando di arginare la formazione dell’esercito degli esodati, e far assumere i più giovani; sino ad arrivare a misure che possano risolvere le iniquità sociali per precoci e usuranti.
Per quel che riguarda il neo ministro del Lavoro,
appartiene all’area della Sinistra italiana, proviene da una lunga militanza nel partito Comunista ed è Presidente della Lega cooperative Nazionale; I lavoratori in toto attendono molto da lui nella speranza che possa essere impressa una decisa accelerata in tema di riforma delle pensioni entro questo 2014. A tal proposito Poletti si muove principalmente verso un risveglio delle imprese e propone, infatti, incentivi all’imprenditoria dei giovani e delle donne, agevolazioni fiscali alle aziende che assumono, e un rilancio generale delle piccole-medie imprese.
Diversamente, il neo ministro all’Economia Padoan,
sostanzialmente avanza l’ipotesi della tassazione sul patrimonio e la detassazione del lavoro, che è quella, a suo parere, che maggiormente blocca la crescita del paese. Ricordiamo – purtroppo – che Padoan si trova favorevole all’allungamento dell’età pensionabile a beneficio dei conti pubblici, poiché, a suo dire, è così che si stabilirebbero le possibilità di lavoro e risalirebbe il livello dei consumi italiani.
Padoan ha recentemente affermato, nel corso di un’intervista rilasciata al Wall Street Journal: “Il risanamento è efficace, il dolore è efficace”, intendendo così la via dell’austerity sia la sola al momento percorribile per uscire dall’impasse nel quale l’intera nazione si trova.
Se l’austerity di cui parla Padoan dovesse servire a recuperare i fondi necessari a ricreare, a distanza di anni, una rinnovata sostenibilità del sistema previdenziale (finalità che a conti fatti ispirò anche la riforma Fornero), il sistema previdenziale potrebbe trovare una soluzione definitiva… ma a che prezzo? Oltre alle questioni prettamente economiche ne entrano poi in gioco altre di natura evidentemente sociale, civile e politica; è diventato impensabile che si continui a negare il diritto alla pensione a tutta una serie di lavoratori che a causa degli errori tecnici contenuti in una riforma, risultano impossibilitati ad accedere al trattamento pensionistico, ecco che un primo intervento potrebbe essere proprio quello di modificare il dispositivo normativo della stessa Legge Fornero. Ne va dell’onorabilità del patto cittadini-Stato già pesantemente incrinato dalle ultime vicende. Dall’altra parte, precoci e usuranti hanno già raggiunto il massimo degli anni di contributi ma non possono accedere alla finestra pensionistica per via del mancato raggiungimento dell’età pensionabile, ecco che una riforma delle pensioni che consenta di attribuirgli il diritto all’uscita dal lavoro (magari tramite una forma di prepensionamento) rappresenterebbe la chiave non solo per sbloccare la loro situazione ma anche per creare nuovi posti di lavoro e dunque per fomentare un ricambio generazionale ormai indispensabile per il tessuto lavorativo italiano.
Non resta quindi che attendere e scoprire quali saranno le linee scelte dal nuovo governo.
E’ Mario Giordano, in un articolo dal titolo “Governo, Renzi vuole tassare i pensionati”, apparso su Libero, ad attaccare il neo premier Matteo Renzi sottolineando che “Tra gaffe e minacce è partita la vera rottamazione: quella dei vecchietti. A colpi di imposte e tagli alle pensioni”. Il giornalista è infatti certo che il nuovo presidente del Consiglio ce l’abbia con gli anziani, quelli che in genere i boy-scout cercano di aiutare ad attraversare la strada. Il neo premier, al contrario, darebbe l’impressione di volerli far mettere sotto.
In mancanza dell’auto pirata, ci pensa direttamente lui: qualche tempo fa aveva proposto l’abolizione delle pensioni di reversibilità, adesso propone di aumentare i balzelli sui Bot della pensionata. Ci manca solo un’imposta speciale sui nonni, l’obbligo di ospizio coatto e la geronto-tassa per tutti coloro che hanno inspiegabilmente superato i 70 anni di età, e poi il gioco è fatto: avremo il governo più antianziani che si possa immaginare. Anziché aiutarli, punta a tartassarli. Alla faccia del premier boy scout.
Ancora, scrive Giordano:
Che ci volete fare? Renzi deve essersi fatto prendere la mano dalla rottamazione. Rottama di qui, rottama di là, baby è bello, ci vogliono facce nuove, eliminiamo il vecchio… Il giovanilismo è una brutta malattia: fa pensare che tutto ciò che sta al di sotto di un’età anagrafica sia per forza buono, e che tutto quello che sta al di sopra sia da buttare. O, in mancanza di pattumiera, da bastonare. Il discorso con cui il presidente del Consiglio ha chiesto la fiducia al Senato era più vuoto del sottovuoto, si faticava a trovare un elemento di concretezza che non fosse la mano in tasca e una serie di faccette che nemmeno Barbara D’Urso quando è in forma. Ma forse è stato così proprio perché Renzi ha voluto trattenersi un po’. Altrimenti che cosa avrebbe detto contro gli anziani?
LA FIGURACCIA Domenica, parlando da Lucia Annunziata su Raitre, il suo braccio destro, plenipotenziario e sottosegretario, Graziano Delrio, si era già portato avanti, puntando il dito contro il vero bersaglio del governo del cambiamento: «Se una signora anziana ha messo da parte 100mila euro in Bot non credo che se le togli 25 o 30 euro avrà problemi di salute…», ha detto. Ora voi capite che se il buon giorno si vede dal mattino, siamo fregati: quando hanno annunciato l’abolizione dell’Imu, ci hanno raddoppiato la tassa sulla casa, ora che cominciano ad annunciare che tassano i risparmi, dove arriveremo? Il punto chiave però è che Delrio poteva dire genericamente: un risparmiatore, un cittadino, un italiano. Invece no: ha detto proprio «un’anziana signora». Evidentemente hanno già individuato dove andare a colpire. Nelle ore successive a Palazzo Chigi hanno cercato di dissimulare con uno di quei comunicati che, fingendo di smentire, confermano. Infatti si parla di «rimodulazione delle tasse». Un nuovo eufemismo: ti stangano e la chiamano «rimodulazione», così è più morbido. Più chic. Si può vendere con un tweet. Gli anziani, che non forse non sanno usare i tweet, però hanno già capito bene che cosa sta per succedere: verranno rimodulati pesantemente. Senza possibilità di ribellarsi. Del resto Matteo non è nuovo a impulsi anti-vecchi. Nel novembre scorso a Servizio Pubblico su La7 se la prese con la sua nonna materna, 93 anni. «E chi l’ammazza?», disse con il solito tatto. «Ha perso il marito 41 anni fa, aveva 6 figli. Giustamente è scattato il meccanismo della reversibilità. Ma è giusto che continui a prendere ancora oggi quella pensione da 3mila euro al mese?». Non sappiamo come reagì all’attacco diretto la povera nonna, che pure in precedenza si era spesa per parlare bene di lui da Bruno Vespa (nipote ingrato). Ma sappiamo come reagirono tutti gli altri anziani per cui la pensione di reversibilità è l’unica fonte di sostentamento: si sentirono rimodulare profondamente l’intestino. In altre parole: se la fecero sotto (…)
Tassare i Bot, cioè quei soldi che i cittadini prestano allo Stato per avere dei rendimenti e che ora invece saranno tassati. Non è meglio quindi prendere titoli di stato stranieri se il Paese in cui viviamo aumenta la tassazione sul prestito che gli facciamo? Ma il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio dichiara:
«Se una signora anziana ha messo da parte 100mila euro in Bot non credo che se le togli 25 o 30 euro ne avrà problemi di salute. Vediamo».
Insomma i cittadini italiani non sono tutti uguali, chi ha risparmiato per una vita e ha investito in Bot sostenendo il proprio Paese ora viene considerato un ricco speculatore a cui aumentare le tasse? Ma il problema non sono i 20 o 30 euro, è il concetto alla base del ragionamento… E Naturalmente questa è solo la punta dell’iceberg… poi arriva l’Imu! Delrio anche qui ha le idee chiare «Io sono contrario personalmente a cambiare le regole ogni sei mesi, ma non decido io. L’Imu è stata una tassazione molto criticata ma a regime avrà una sua dignità. Manderemo milioni di dichiarazioni precompilate sulle tasse locali».
Poi c’è la patrimoniale? «Non la faremo – dice Delrio -. L’Imu fu una patrimoniale a tutti gli effetti, il governo Monti la introdusse perche Paese aveva bisogno di sistemare i conti». E i dipendenti statali: «Il tema non è tagliare la P.a., ma renderla più efficiente e amica. C’è moltissimo efficientamento da fare. Non credo che in questo momento questo Paese si possa permettere di licenziare». Così a In mezz’ora Graziano Delrio, che immagina «percorsi di conversione da un lavoro inutile a un lavoro utile».
L’Italicum è stato congelato come aveva chiesto Alfano? «No, non è congelato – dice Delrio -. Io ero presente alle consultazioni, ho sentito tutti i colloqui, dal partito più grande al più piccolo, ed a tutti è stata detta la stessa cosa; bisogna approvare la legge elettorale alla Camera» poi sulle tante polemiche scoppiate in questi giorni Delrio afferma «È giusto che giornali e corpi intermedi mantengano un atteggiamento di distanza dal governo che è assolutamente sano. Noi dobbiamo dimostrare con i fatti di essere all’altezza»e poi aggiunge «Se faremo male è giusto che ci critichino. Ma non siamo interessati da alleanze strutturali per sostenere il governo. Se faremo bene al Paese convinceremo gli industriali».
Ieri il nuovo governo Renzi ha prestato giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica e la squadra è già al lavoro. Molti sono i nodi da risolvere ma chiaramente un occhio di riguardo sarà per la crisi economica che attanaglia l’Italia. Al riguardo, due sono i temi da trattare ora che c’è stato un cambio della guardia anche per quanto riguarda i ministri del Lavoro (Poletti) e dell’Economia (Padoan): quello delle pensioni e quello del mercato del lavoro, tra loro strettamente connessi. Entrambi i ministri interessati hanno già rilasciato, in passato, dichiarazioni secondo le quali la riforma delle pensioni targata Fornero non necessitasse di cambiamenti nell’impianto generale ma che andava soltanto razionalizzata attraverso norme che risolvessero la questione degli esodati, delle uscite anticipate, rivedendo leggermente i coefficienti e i requisiti per le pensioni di vecchiaia e anzianità. Molto, quindi, dipenderà dalle politiche del lavoro che il governo Renzi realizzerà. La riforma Fornero ha l’handicap di bloccare il turn over nel mercato del lavoro a causa dell’allungamento dell’età pensionistica, quindi sarà necessario trovare gli strumenti adatti per permettere un’uscita anticipata. In precedenza si era parlato del prestito pensionistico, ma questo non sembra essere una delle priorità del nuovo esecutivo, quindi non resta che attendere le eventuali alternative. Ma già è possibile tentare di capire la direzione assunta dal mercato del lavoro analizzando il programma del neo ministro Poletti. Vi sono alcune priorità: 1) contratto a tempo indeterminato per i neoassunti anche se, per i primi tre anni, non vi saranno le coperture dell’art. 18; 2) contratti flessibili ammessi soltanto per esigenze di produzione; 3) nuovo sussidio di disoccupazione, universale e uguale per tutti con obbligo di frequenza di corsi di formazione in vista del reinserimento nel mercato del lavoro; 4) riforma di tutte le agenzie del lavoro e dei centri per l’impiego, che andranno subordinati a una Agenzia unica; 5) riforma della legge sulla rappresentanza sindacale.
Lo si sapeva, ma ci si aspettava che la guerra generazionale fosse condotta dopo una attenta riflessione, invece il governo Renzi asfalta immediatamente i pensionati e mira dritto a scardinare i diritti acquisiti come gli scatti di anzianità dei professori. “Basta scatti” questa sarà la nuova bayyaglia che già dalle prime ore della sua investitura a ministro dell’Istruzione Stefania Giannini vuole portare avanti. Si punterà sul merito… ma come sarà rilevato questo merito? Si passerà a calcolare le attività extrascolastiche? Quindi una lezione preparata con attenzione che segue il programma ministeriale passerà in subordine a una visita al museo dove i ragazzi possono correre felici nel parco? Oppure si darà rilievo ai professori che usano la tecnologia nelle scuole all’avanguardia, mentre in periferia i professori non hanno i gessi per scrivere alla lavagna? Interrogativi che non sono nuovi, ma tornano di attualità anche alla luce delle parole della neoministro che in attesa della fiducia nei due rami del Parlamento già sentenzia”Un Paese che spende 265 miliardi in pensioni e solo 54 miliardi per scuola e ricerca – dice il neo ministro, segretaria di Scelta Civica – deve porsi qualche interrogativo”. “Gli automatismi sono il frutto di un mancato coraggio politico del passato – dice Stefania Giannini -. Ma ovviamente sto parlando in modo generale, prescindendo da eventuali misure che ancora non ho neanche lontanamento concepito”.
Quindi non possiamo dire come secondo lei dovrebbe essere applicato il principio della valutazione meritocratica?
“C’è una terza parola fondamentale: autonomia – risponde il neo ministro dell’Istruzione -. La valutazione si collega all’autonimia e alla responsabilità di chi è autore del processo. Posso fare l’esempio delle università, che sono diventate responsabili di sé stesse da quando sono istituzioni con bilancio autonomo. Credo che anche nella scuola si debba introdurre questo concetto”.
Lei in passato ha detto che, a suo giudizio, nelle università andrebbero aboliti i concorsi.
«Ora però sono ministro e posso solo dire che questo capitolo va certamente rivisitato».
Ma qual è l’alternativa al concorso pubblico? L’assunzione per chiamata diretta
«No, non funzionerebbe in un sistema come quello italiano ed europeo».
E allora?
«E allora autonomia e responsabilità. Le università dovrebbero poter adottare il loro sistema valutativo, e rispondere del prodotto finale, dei risultati conseguiti».
E come si misurano i risultati raggiunti da un’università?
«Si possono seguire gli esempi di altri paesi che hanno fatto scelte politicamente diverse dalle nostre, più proiettate verso il futuro».
Quali paesi?
«Per esempio la Gran Bretagna. Dove sono passati da una valutazione dei risultati puramente quantitativa a una valutazione anche qualitativa».
Il sistema inglese di valutazione è complesso e articolato. Le valutazioni dei professori avvengono durante l’arco della loro carriera e comportano una serie di controlli e verifiche date da corsi di aggiornamento e tecniche di insegnamento che vengono modificate in base alla scuola in cui insegnano. Chi può poi con assoluta sicurezza affermare che un professore con un ottimo curriculum sia il migliore per trasferire le sue nozioni ai ragazzi? Si può sapere molto, essere enciclopedie viventi ed essere totalmente incapaci di insegnare… pura demagogia e populismo o solo voglia di rivalsa contro i pensionati destinati a pagare gli sbagli di una classe politica incapace? Rottamare gli anziani per dare possibilità ai giovani? Questa è l’Italia dream?
Ieri Matteo Renzi ha presentato la lista dei suoi ministri e oggi, sul Sole 24 Ore, Eugenio Bruno e Davide Colombo prendono in considerazione il ruolo di Graziano Delrio che nel nuovo governo avrebbe più quello di
un vicepremier che di un semplice sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sia per il numero (e il peso specifico) delle deleghe che si troverà a gestire, sia per il legame personale (e politico) con Matteo Renzi.
Dovrebbero allarmarsi gli italiani in base a questa osservazione fattuale? Bisogna guardare per un attimo al passato e si ricorda che Delrio, oltre a essere stato inserito nel “partito dell’odio contro i pensionati”, è stato anche autore della riforma delle Province, che fingendo di eliminarle ne ha ampliato le possibilità di assumere gente, sostituendo ai vecchi carrozzoni locali che rispondevano assai più delle Regioni alla storia della nostra Italia, i potenziali mega carrozzoni delle Metropoli che costeranno anche di più in tasse per i contribuenti. La sua difesa: “Ma è strategico“. Per quel che riguarda i pensionati, lo scorso ottobre l’Ansa riportava le parole di Delrio durante la Leopolda: “Serve rivisitare i tre grandi patti che tengono insieme il Paese. Il primo è che chi lavora paga le pensioni a chi ha lavorato prima, questo “va riscritto: chi ha pensioni alte deve essere in grado di aiutare chi di pensione prende 400 euro”. Prendere fondi dalle pensioni alte, ha suggerito, in preda al delirio di onnipotenza, “anche per creare centri per l’impiego”. Bruno e Colombo, parlando del medico endocrinologo Delrio, ricordano ancora che è un 54enne di Reggio Emilia cattolico, di sinitra e con nove figli. Nel 2004 e nel 2009 è stato il primo sindaco non comunista della sua città, il che vuole dire che per essere accettato dai comunisti che dominano quelle terre deve essere più comunista di loro.
Nel Governo di Renzi, sarà
un po’ come Gianni Letta per Silvio Berlusconi oppure Enrico Letta per Romano Prodi. Con ancora più deleghe se è vero, come sembra, che si vedrà assegnare le attività dei dipartimenti rimasti orfani di un ministro senza portafoglio. E che solo in un secondo momento potranno essere trasferite ad altri sottosegretari che verranno nominati sempre a Palazzo Chigi.
Coesione territoriale, che comporta la gestione dell’intera partita sulla programmazione dei fondi europei.
Politiche comunitarie, Integrazione.
Pari Opportunità.
Sport.
Giovani.
A Delrio sarebbe pure affidata la responsabilità sul personale della Presidenza, sicuramente quella per la Protezione Civile, altro mega-dipartimento della presidenza, probabilmente quella sui Servizi e quella per l’Editoria. Mentre Integrazione, Pari opportunità e Sport potrebbero nelle sue mani anche dopo l’eventuale riassegnamento.
“Due sono anche le caselle chiave da riempire nell’immediato: il segretario generale di Palazzo Chigi e il capo del dipartimento affari giuridici e legislativi (Dagl). Per consentire alla macchina di viaggiare a pieno ritmo, vista la mole di provvedimenti annunciati e l’importanza dei compiti gestiti, servirà una figura operativa di strettissima fiducia. E non è un caso che tra i nomi circoli con insistenza quello di Angelo Rughetti, ex segretario generale dell’Anci e attuale deputato democratico di stretta osservanza renziana.
Matteo Renzi ha voluto alla guida del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti, 63enne imolese, una carriera tutta trascorsa dentro la politica e il mondo della cooperazione, che ha scalato fino a diventare presidente nazionale di Legacoop e, da qualche mese, numero uno dell’Alleanza delle cooperative. E Poletti non ha perso tempo a dettare il suo metodo basato su collaborazione e dialogo: “Sono convinto che la condizione essenziale per ottenere buoni risultati sia quella di una collaborazione efficace con il Parlamento e con le forze sociali”. Ora dovrà mettere in campo tutte le qualità di mediatore che gli vengono riconosciute per affrontare le nuove sfide che lo attendono. La prima è l’occupazione ancora in calo (-1,9% dicembre 2013) e quella giovanile sempre più aleatoria e flessibile con una disoccupazione al 41,6%. Senza contare il Jobs Act di Renzi che dovrà essere pronto per marzo. Ancora, sguardo puntato all’alleggerimento del cuneo fiscale. Ma tra le problematiche c’è anche la vicenda “esodati” generata dalla riforma Fornero delle pensioni, sulla quale ci sarà ancora da fare degli aggiustamenti. Sarà poi necessario rinnovare gli strumenti di sostegno al reddito, in particolare il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e, nello specifico, la Cig in deroga. La nomina di Poletti “è stata una sorpresa” ma non troppo se si pensa che Legacoop, l’associazione che riunisce 15 mila imprese cooperative e di cui è presidente nazionale, mentre il Paese era in piena emorragia occupazionale, fra il 2011 e il 2012, ha aumentato i suoi dipendenti da 480.435 a 492.995 (+2,6%). Oltre a essere stimato da Renzi, Poletti è anche un estimatore del nuovo premier tanto che qualche giorno fa, ad un convegno a Bologna, si diceva convinto che Renzi fosse l’uomo giusto: “Credo che una cosa cui dovrebbe guardare con cura questo presidente sia di evitare di continuare con una produzione legislativa che genera burocrazia, ostacoli, anziché essere un aiuto allo sviluppo”.
Andrà a posto anche il tassello delle pensioni con il governo Renzi? E’ una domanda che viene naturale porsi ma una premessa è d’obbligo: non si possono dare risposte certe finchè non si conoscerà il nome del nuovo ministro del Lavoro e delle politiche sociali che, tuttavia, potrebbe determinare le mosse del nuovo governo in ambito previdenziale. Per avere una certezza sarà quindi necessario attendere sabato, quando verrà resa nota la lista del nuovo esecutivo. E chiaramente lunedì, quando lo stesso chiederà la fiducia. Al momento sono vari i nomi che circolano, come quello di Tito Boeri a Lorenzo Bini Smaghi, ma anche Carlo Padoan e Pietro Ichino. Nelle ultime ore, tuttavia, gira con insistenza tra i media anche il nome di Cesare Damiano, attuale presidente della Commissione Lavoro alla Camera, che ha già ricoperto il ruolo di ministro del Lavoro in passato. La sua scelta avrebbe davvero del clamoroso visto che, pur appartenendo entrambi al Pd, hanno visioni distanti tra loro per quel che riguarda diversi punti. In particolare, come sottolineato anche da Irene Canziani su Supermoney.eu, per quel che riguarda il Jobs Act. “E’ illusorio, secondo me pensare che si possa creare nuova occupazione, specie giovanile, cambiando nuovamente le regole del mercato del lavoro. Per creare nuova occupazione, è invece necessaria una spinta allo sviluppo con una nuova politica industriale”. In ogni caso, precisa, “le tempistiche spettano al nuovo premier e al nuovo governo”. Un governo dal quale, almeno attualmente, Damiano si ritiene escluso. Sul suo blog, Damiano “sfida” il nuovo premier Renzi anche sui temi partite Iva e cuneo fiscale: “Il programma di Governo di Renzi – leggiamo – dovrà avere, tra i suoi punti-cardine, la diminuzione del cuneo fiscale. Su questo argomento c’è una forte aspettativa tra le imprese e tra i lavoratori”. Se Damiano risultasse davvero essere la scelta di Renzi, vale la pena ricordare la sua idea di base: la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro. Tale idea prevede la possibilità per il lavoratore di scegliere la pensione anticipata in cambio di una penalizzazione economica sull’importo dell’assegno, o di posticipare il ritiro dall’attività, usufruendo di un incentivo. La libertà di scelta sarebbe fissata tra i 62 e i 70 anni, con variazioni sull’assegno da -8% (per chi lascia il lavoro a 62 anni) a +8% (per chi decide di continuare a lavorare fino ai 70).
Segnatevi la data: 1 marzo. E’ questo il giorno entro cui, ricorda l’Inps, va presentata la domanda per la pensione. Può andare in pensione, per quel che riguarda i lavori usuranti, chi ha raggiuntoi 61 anni e 3 mesi, tornano però a fare la loro apparizione le finestre mobili. Questo significa che la pensione arriverà solo dopo 12 mesi, che salgono a 18 per i lavoratori autonomi, da quando matura effettivamente la pensione. Dal 2012 le finestre mobili erano state modificate, per cui il neo pensionato poteva ricevere la pensione un mese dopo averla maturata. Per i lavoratori autonomi la soglia però si alza: 62 anni e 3 mesi e sarà necessario, per questi lavoratori, raggiungere quota 97,3 (somma tra età anagrafica e anni di contributi). Questo vuol dire che se un lavoratore va in pensione a 61 anni e 3 mesi, deve anche aver versato almeno 36 anni di contributi (61,3 + 36 = 97,3). La quota da raggiungere per gli autonomi è di conseguenza 98,3. Riporta Blitz Quotidiano:
Il messaggio dell’Inps sottolinea che i lavoratori notturni e turnisti occupati per un numero di giorni lavorativi pari o superiori a 78 l’anno potranno fare richiesta di pensione anticipata con i requisiti previsti per i lavoratori impegnati in mansioni faticose e pesanti (i cosiddetti lavori usuranti).
Gli occupati nei turni e nelle ore notturne per un numero di giorni da 64 a 71 l’anno possono conseguire il trattamento pensionistico ove in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un’età minima di 63 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 99,3, se lavoratori autonomi, di un’età minima di 64 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 100,3.
Anche per questi lavoratori la decorrenza della pensione scatta dopo 12 mesi se dipendenti e dopo 18 mesi se autonomi. I lavoratori con un numero di giorni di turni o di notti l’anno tra 71 e 77 che maturano i requisiti nel 2014, possono invece conseguire il trattamento pensionistico ove in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni a 62 anni e tre mesi se lavoratori dipendenti (con quota 98,3) e con 63 anni e 3 mesi se lavoratori autonomi (con quota 99,3).
Per gli iscritti alla gestione pubblica impegnati in attività usuranti il requisito per la richiesta di pensione sempre in presenza di almeno 35 anni di contributi è di almeno 61 anni e 3 mesi e quota 97 e tre mesi tra età e contributi.
I derivati o meglio l’uso inconsiderato che in questi ultimi anni si è fatto di questi prodotti finanziari ha portato a perdere almeno 250 milioni del fondo pensionistico dei medici italiani. I responsabili sono i vertici dell’Enpam che controlla appunto le pensioni di questo settore. Ora sono accusati di truffa aggravata e ostacolo alla Vigilanza dalla Procura di Roma (che chiede di processarli) l’ex presidente della Fondazione Enpam, Eolo Parodi e gli altri dirigenti Roberto Roseti, Maurizio Dallocchio e Leonardo Zongoli. La tesi dei magistrati è che attraverso raggiri e artifici abbiano usato fondi per 3 miliardi di euro da investire in derivati, che poi hanno portato alla perdita di 250 milioni.
Sarebbero otto in particolare i prodotti derivati oggetto della speculazione finita male, ma il comportamento dei dirigenti, almeno secondo la procura di Roma, sarebbe penalmente rilevante visto che avrebbe mirato ad aggirare paletti deontologici, criteri di prudenza vincolanti, direttive ministeriali precise che impongono ormai da anni di investire solo in prodotti dall’alto rating (cioè affidabili), che consentano rendimenti magari contenuti ma abbastanza certi. E invece, secondo la Procura, i dirigenti Enpam avrebbero occultato la reale solidità delle obbligazioni, mentendo al Consiglio di Amministrazione e anzi assicurando che, per esempio
l’obbligazione strutturata denominata Oak Harbour emessa da Saphir Finance Plc e proposta dalla banca Lehman Brothers di valore nominale pari a 20 milioni di euro era, contrariamente al vero, una obbligazione che garantiva il rimborso del capitale alla scadenza e assicurava un rendimento cedolare certo e redditizio. (Procura di Roma)
Laddove, al contrario, le obbligazioni erano ad alto grado di rischio: alla fine Enpam ci ha perso quasi il 20% del capitale investito, favorendo viceversa le banche, Lehman in testa, beneficiarie, dicono ancora i magistrati, di “un ingiusto profitto”.
Il governo Letta non è stato in grado di dare molte risposte per quel che riguarda il tema delle pensioni e ci si chiede che ne sarà della riforma ora che Matteo Renzi è chiamato a diventare presidente del Consiglio. Lo stesso ex-sindaco fiorentino ha più volte anticipato che, per quel che riguarda la questione esodati, il Governo sarebbe intenzionato a trovare rapide soluzioni per risolvere il dramma di molte persone rimaste intrappolate dalle nuove norme, vigenti dal primo gennaio, insite nella riforma Fornero. Va ricordato che, per quel che riguarda il toto-ministri, è stato più volte avanzato il nome di Tito Boeri, che ha già fatto pervenire la proposta del reddito minimo garantito. Si tratterebbe di un assegno pari a 400-500 euro probabilmente da destinare in primis agli esodati, vista l’impossibilità al momento di estendere il reddito minimo garantito indistintamente a tutte le età. Passando a parlare di precoci e usuranti, difficilmente otterrà l’approvazione il prestito Inps ideato da Giovannini ma Cesare Damiano, sul proprio sito, spiega che una minoranza del Pd sia al lavoro su un documento da presentare a Renzi dove vengono sottolineate i punti politico-economici di maggior urgenza da affrontare e, chiaramente, non mancano il tema degli esodati e l’introduzione di un criterio di flessibilità la quale dovrebbe consentire ai lavoratori di raggiungere la pensione anticipatamente, permettendo così di svecchiare il mondo del lavoro attraverso un necessario turnover generazionale. Ovviamente, segnali positivi continuano ad attenderli anche i Quota 96 della scuola, con la speranza che un nuovo governo riesca finalmente ad offrire qualche risposta.
Se il segretario generale della Cgil Camusso è intervenuta sulla nomina del commissario straordinario nominato per riformare l’Inps, Vittorio Conti, sottolineando che non bisogna comunque abbassare la guardia sulla questione di una riforma delle pensioni che limiti le irrazionalità della legge Fornero, ora che sempre più si avvicina un governo Renzi, aumentano notevolmente le preoccupazioni di chi spera di riuscire a varcare la soglia del pensionamento. Si parla infatti in queste ore del toto-ministri e per ilMinistero del Lavoro si fanno i nomi di Tito Boeri, Lorenzo Bini Smaghi, Carlo Padoan, presidente dell’Istat e Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica. Sembra che il nome più accreditato sia quello di Tito Boeri e proprio da qui le preoccupazioni per quel che riguarda il tema pensioni. Negli ultimi tempo, infatti, intervenendo sulla questione ha sconfessato il prestito pensionistico e si è mostrato convinto che, con qualche aggiustamento, la riforma delle pensioni targata Monti-Fornero sia il meglio per la situazione economica del Paese. A quanto pare, per avere buone notizie dovremo attendere ancora a lungo…
Il tema pensioni resta caldo ma immobile: il governo ancora non è stato in grado di offrire risposte e del resto è a sua volta più che mai tra ballante, con Letta che ha perso vari ministri, Renzi impegnato nel pressing, Forza Italia e i 5 Stelle che vogliono le urne e il presidente della Repubblica, che ha voluto questo Governo, sotto accusa. Un cambio, forse, porterebbe anche risposte sul tema pensioni, ma l’unica certezza, al momento, è che se ne continua a parlare. Al riguardo, Cesare Damiano, intervistato da Il sussidiario, è tornato a parlare della flessibilità come criterio giusto, seppur costoso, per una vera riforma della previdenza. “Continuo a sostenere la flessibilità in uscita anche se costa. Con la drastica, anzi draconiana riforma Fornero, tra il 2020 e il 2060 dalle pensioni verranno drenate risorse superiori ai 300 miliardi di euro. Una cifra imponente di trasferimento da stato sociale a debito. E io penso che possa essere restituita ai pensionati in termini di flessibilità: se di quei 300 miliardi gliene portiamo via uno, non cambia niente. In questo modo faremmo anche giustizia sociale”.
E’ il Mattino che fa notare come la storia dei falsi invalidi a Napoli sembri un pozzo senza fondo, con l’attenzione degli inquirenti che, dopo Chiaia, si è spostata nella quarta municipalità di Napoli, già toccata un anno fa da arresti e indagini. Oggi è inoltre spuntato, agli atti dell’inchiesta sul can Contini, il verbale d’accusa di Alfredo Sartori, noto alla giustizia dai tempi di un’inchiesta sulle truffe ai danni della Telecom. Scrive il Mattino: “Non siamo a Chiaia, dove pure sono stati realizzati arresti e sequestri (grazie a un accordo tra un politico locale e alcuni soggetti in odore di camorra), ma a piazza Nazionale. Zona contesa tra clan Contini e Mazzarella. Il «medico», il «professore», l’informatico: «Ecco gli uomini del sistema». E spunta il caso della stanza 27 – un ufficio della municipalità del centro – dove ci sarebbe un via vai di soggetti legati alla camorra.”
E’ l’agenzia di stampa Adnkronos a riportare, in base a un rapporto dell’Inps sulle operazioni di salvaguardia che fa il punto della situazione al 20 gennaio scorso, che solo uno su cinque esodati ha ottenuto la liquidazione della pensione. Si tratta di 33.147, su un totale di 162.147, posizioni salvaguardate con cinque differenti provvedimenti. L’Inps ha certificato le posizioni alla data del 20 gennaio e si tratta di 82.458 di cui 62.383 relative alla prima salvaguardia che prevede la copertura di 65mila posizioni, 14.450 alla seconda salvaguardia, che prevede 55mila coperture e 5.625 alla terza che prevede 10.130 coperture. Nel rapporto viene precisato inoltre che, in relazione alle ultime due salvaguardie per 32mila coperture complessive, per la quarta relativa a 9mila coperture è in corso la presentazione delle domande alle direzioni territoriali del lavoro delle istanze degli interessati con termini di scadenza fissati al 26 e 27 febbraio a seconda della categoria di appartenenza. Ancora si legge che le attività di certificazione saranno concluse entro giugno 2014. Per la quinta salvaguardia relativa a 23mila posizioni deve ancora essere pubblicato il decreto interministeriale di attuazione. Si prevede comunque che le attività di certificazione saranno concluse entro il 2014. Spiega il Sole 24 Ore:
Il rapporto analizza nel dettaglio la tipologia dei lavoratori salvaguardati e il relativo anno di decorernza della pensione limitatamente alle 82.458 posizioni certificate, di cui 33.147 già liquidate. Nel dettaglio quanto all’anno di decorrenza nel 2013 sono stati certificati 35.594 esodati, nel 2014 sono previsti 23.294, nel 2015 altri 13.488. A seguire 5.902 andranno in pensione nel 2016, mentre 2.474 nel 2017. Tra i già certificati ve ne sono 76 che andranno in pensione nel 2020, 7 nel 2021 e uno addirittura nel 2022. Quanto alla provenienza degli esodati già certificati la gran parte (35.139) vengono dalla mobilità ordinaria, seguono i lavoratori dei fondi di di solidarietà con 18.795 esodati, i prosecutori volontari con 16.741 esodati, il lavoratori cessati con 7.180 esodati, la mobilità lunga con 3.202 esodati, gli esonerati con 1.226 esonerati, i congedati per assistenza figli con 98 esodati e i prosecutori volontari dopo la mobilità con 77 esodati.
Il Parlamento continua tuttavia a prestare attenzione al tema degli esodati, con la riforma Fornero che ha lasciato delle posizioni senza lavoro e senza pensione. Per questo motivo la commissione lavoro della Camera ha formulato un’ipotesi di soluzione condivisa da tutti i partiti e la presidente Laura Boldrini ha annunciato che il testo proposto dalla commissione sarà esaminato dalll’aula entro il mese di marzo. Cesare Damiano, presidente della commissione lavoro, ha spiegato all’Adnkronos: “Rispetto ai primi tre contingenti salvaguardati che ammontano a 130mila esodati sono state liquidate 33mila pensioni. C’è una sproporzione. Perciò abbiamo chiesto all’Inps un monitoraggio costante con una relazione trimestrale. Intanto la commissione ha formulato una proposta che affronta in modo risolutivo il problema eliminando alcuni paletti della riforma e aggiustando alcune date. Viene così consentito a chi ha maturato i requisiti di andare in pensione con le regole precedenti alla riforma Fornero. A questo punto l’auspicio è che il governo ci metta le risorse necessarie e che tutto il Parlamento faccia propria la proposta della commissione che non riguarda nuove famiglie di esodati da salvare ma interviene con criteri generali e omogenei per risolvere definitivamente ilproblema”.
Ieri ci si attendeva risposta da parte della Commissione bilancio che doveva prendere una decisione per il pensionamento del personale scolastico quota 96. Sul tavolo c’era la proposta Ghizzoli-Marzana e si era parlato di ottimismo perchè, come detto dallo stesso Ghizzoni, “Questa volta ci sono le coperture finanziarie e non vi è motivo per respingerlo”. Si trattava dell’ultimo passaggio istituzionale, ma è stato richiesto il rinvio direttamente dal Governo, come ha spiegato l’On. Manuela Ghizzoni, proprio al fine di acquisire maggiori chiarimenti sotto l’aspetto finanziario. Il Governo ha avanzato la richiesta dopo sollecitazioni da parte della Ragioneria dello Stato. Ancora Ghizzoni, nel dar comunicazione del rinvio ha affermato “Condivido, la considerazione finale del Presidente Boccia: c’è un’intesa trasversale (assai rara, dati i tempi) tra i gruppi per dare soluzione a questa vicenda. Sfruttiamola per indirizzare il governo sulla giusta (e unica) via da imboccare”. Si sa che il Governo dipende dalle decisioni della Ragioneria e dal ministero delle Finanze e ora ci si chiede se gli onorevoli Ghizzoni e Boccia saranno in grado, nei prossimi gioni, di convincere i ragionieri tecnici sulla bontà e validità della loro richiesta mentre per i quota 96 la pensione è sempre più un miraggio.
5 febbraio 2014. E’ oggi il giorno nel quale si troveranno le risposte? La commissione bilancio discute l’ennesimo testo, il disegno di legge unificato delle proposte di Ghizzoni del Pd e Marzana del M5S. Il nuovo testo, che riguarda molti insegnanti della scuola che non possono andare in pensione per quello che è stato un errore nella riforma del ministro Fornero, è stato elaborato per evitare nuove bocciature dalla commissione bilancio, e da quanto ha dichiarato l’onorevole Ghizzonitrapela ottimismo: ” Questa volta ci sono le coperture finanziarie e non vi è motivo per respingerlo”. Se passerà la nuova proposta, verrebbe esteso a circa 4mila insegnanti il diritto di andare in pesione utilizzando i requisiti validi prima della riforma Fornero, potendo andare così in pensione con la famosa quota 96 tra contributi e età anagrafica. Ci si augura, quindi, che finalmente arrivino delle risposte, considerato che anche i sindacati hanno attaccato duramente il governo Letta “Per non aver raccolto ancora in nessun provvedimento legislativo gli emendamenti presentati più volte in difesa della quota 96, nella convinzione che nessuna risoluzione di natura giudiziaria, facente seguito a ricorsi legali degli interessati, ha dato torto ai ricorrenti e che l’alto numero di precari nel comparto esigono dalla politica un atto di coraggio”. Ora, come spiegato in Supermoney, non resta che aspettare la decisione della commissione bilancio, che da sempre ha dato problemi e bocciato le varie proposte per mancanza di fondi. Questa volta la speranza è che vengano trovati i soldi, circa 35 milioni di euro per il 2014 secondo il censimento Miur e poi 107 per i successivi tre anni.
Gli effetti della legge Fornero sono visibili: il numero dei nuovi pensionati è calato del 43%. Nel 2013 infatti sono state liquidate 649.621 nuove pensioni rispetto ai 1.146.340 di nuovi assegni liquidati nel 2012. Questo è quanto emerge dal confronto tra il bilancio preventivo Inps per il 2014 (nel quale sono contenuti i dati 2013 assestati che risentono della riforma Fornero) e il bilancio sociale dell’Istituto per il 2012.
Sempre nel bilancio di previsione dell’Inps risulta che la spesa pensionistica finanziata in via principale dei contributi versati dai lavoratori e dai datori di lavoro nel 2014 ammonterà a 243,4 miliardi (+1,1% sul 2013) e sarà pari al 15,19% del Pil.
Nel documento si sottolinea che la spesa pensionistica complessiva comprese le pensioni erogate per conto dello Stato (come quelle sociali o agli invalidi civili) ammonterà a 255,5 miliardi, pari al15,94% del Pil (16,21% nel 2013).
E’ il Giornale a titolare un articolo, a firma Francesco Forte, “Paura per le pensioni”, nel quale si sottolinea che “Si discute della ricca poltrona di presidente dell’Inps ma non della bomba sotto questa poltrona, ossia la situazione economica dell’Inps”. Sottolinea ancora l’autore: “Nel 2015, così continuando, il patrimonio netto dell’Inps diventa negativo per 5 miliardi. Certo, la gestione finanziaria ha molte partite contabili che la fanno differire da quella di cassa, nuda e cruda. Ma questa non è migliore di quella finanziaria, semmai peggiore, perché le entrate effettive per contributi e altri introiti sono 275 miliardi e le uscite 385,6, con un deficit di 110,5, ossia il 9,5% del Pil.” Come ricorda Forte, tuttavia, va ricordato che lo stato eroga all’Inps 92 miliardi, per prestazioni assistenziali e a invalidi civili di sua competenza, che sono coperti dal sistema tributario a carico del contribuente statale. Tuttavia: “Resta un saldo negativo di 18 miliardi, che lo stato copre con anticipazioni all’Inps. Questa è la cassa. Se si guarda alla gestione di contabilità economica dell’Inps, si torna a 10 miliardi circa di deficit fra crediti e debiti nati nell’esercizio: i 10 che vanno a diminuire il patrimonio.” Ma va considerato che la crisi ha peggiorato le cose:
Le spese aumentano, mentre le entrate contributive risentono del calo occupazionale. Ma ci sono anche altri problemi, fra cui due nuovi di zecca del 2012 che il governo Monti ha scaricato sull’Inps. Due patacche finanziariee anche politiche che costituiscono le mine vaganti che bisognerebbe disinnescare. Si chiamano ex Inpdap ed esodati. Il governo Monti ha avuto la brillante idea di dare all’Inps già sovraccarico di casse integrazioni ordinarie e in deroga, che dilatavano la sua spesa, anche l’ente previdenziale dei dipendenti pubblici, l’Inpdap, il cui bilancio è in deficit, perché il pubblico impiego è stato sfoltito con prepensionamenti, che riducono la spesa per personale, ma aumentano quella per pensioni, anche se di meno e riducono l’introito per contributi previdenziali. Il deficit dell’ex Inpdap nasce da lì e non è facile tapparlo, se non si modificano le leggi e la prassi attuale, per cui in cambio dei pensionati pubblici si mettono in ruolo i precari della pubblica amministrazione.
Senza dimenticare il tema esodati:
C’è,per l’Inps,un’altra mina vagante, di portata ancora maggiore: il bubbone degli «esodati». Si tratta di lavoratori che hanno patteggiato il prepensionamento, con una buona uscita «ponte» che – con le regole vigenti prima della riforma delle pensioni del governo Monti- consentiva di arrivare alla età per la pensione senza oneri aggiuntivi. Elsa Fornero, ministro del lavoro del governo Monti aveva calcolati gli esodati nel limbo in 65mila. L’Inps, rifatti i calcoli, inizialmente li ha stimati in 319mila. Ora si sostiene siano circa 350mila. È però difficile stabilire chi ha realmente patteggiato l’esodo prima della riforma che ha elevatol’età pensionabile. E il governo Monti non aveva pensato di sterilizzare i prepensionamenti in corso mentre varava il decreto sulle pensioni: forse non voleva toccare gli esodandi, che riguardavano settori come le banche, la scuola, le poste ove questi patti erano molto popolari. Dopo i primi 65mila esodati, ne sono stati salvati altri 65mila e a sgoccioli, un po’ di altri. Da ultimo, con emendamenti nella legge di stabilità, altri 17mila, consentendo ai sindacati e ai politici che hanno promosso le operazioni di farsi dei meriti. Ciò aumenta le pensioni sia Inps che ex Inpdap. Molti contributi previdenziali, inoltre,non vengono riscossi.C’è il lavoro nero e le imprese, soffocate da contributi altissimi, sono spinte a evadere. Alcune gestioni Inps ex autonome sono in deficit: con il rischio di aumenti dei contributi dei loro iscritti. Ci sono i falsi invalidi e le indennità di casse integrazioni date anche a chi fa un lavoro in nero. Occorrerebbe occuparsi di meno della poltrona di presidente dell’Inps e di più dei suoi costi e ricavi.
Mastrapasqua ha rassegnato le sue dimissioni da presidente dell’Inps e ora sembrano riaccendersi le speranze dei parenti delle vittime della strage alla stazione di Bologna e di altri atti di terrorismo. Quello che ci si augura, è che possa essere sbloccata l’annosa partita sui contributi pensionistici. Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime del 2 agosto 1980 e deputato Pd, dice: “Ora speriamo che il successore di Mastrapasqua sia minimamente attento a far rispettare la legge, la 206 del 2004”, cioè quella che prevedeva gli indennizzi pensionistici, ma che fin qui era rimasta inattuata. Come scrive Repubblica:
Bolognesi e la sua associazione da anni puntano il dito contro l’Inps per le ‘resistenze’ sulla partita dei benefit pensionistici: l’istituto di previdenza “è stato uno specialista nel creare problemi su questa vicenda. Ora che Mastrapasqua se ne va, speriamo che sia la volta buona per accelerare e non bloccare di nuovo la soluzione di questo tema”, auspica Bolognesi. Di fatto, secondo il presidentedell’associazione dei parenti delle vittime, “basterebbe una circolare interpretativa per mettere a posto almeno sei delle otto questioni aperte” e sbloccare i contributi previdenziali. E magari il nuovo corso dell’Inps sarà più disponibile e attento, sperano i parenti delle vittime. “Le risorse ci sono, la questione è istruita, ormai è solo la voglia dell’Inps di risolvere questa faccenda una volta per tutte che va trovata”.
E’ arrivato un “no” secco dalla maggioranza contro la proposta della Meloni che voleva fissare il tetto delle pensioni a “3200 euro netti”, inclusa previdenza integrativa e complementare. Come si fa d’altra parte a dichiarare una “pensione d’oro” al di sopra dei 3000 euro con il costo della vita in Italia? La commissione Lavoro della Camera a comunque bocciato la proposta di legge del capogruppo di Fratelli d’Italia, tutelando i pensionati. Un segnale pessimo” ha commentato Giorgia Meloni, sottolineando di “aver dato parere favorevole alle proposte emendative” della maggioranza tra cui l’innalzamento del tetto a 5 mila euro nette.
Mastrapasqua e quei tre incarichi davvero delicati, quasi una “trinità laica”. Come può un solo uomo ricoprire infatti la carica di direttore generale dell’ospedale israelitico, di Presidente dell’Inps e vicepresidente di Equitalia? Ora lo stesso premier Letta interviene: “Per il governo l’incarico di presidente di un ente pubblico nazionale deve essere fatto in esclusiva e non in regime di conflitto di interesse”. Mastrapasqua ha accumulato un deficit nel bilancio dell’Inpscon l’annessione dell’Inpdap che di anno in anno ha portato a un profondo rosso. Ora chi lo paga? I pensionati che si sono visti bloccare la rivalutazione, coloro che hanno dovuto rinunciare a una quota di un diritto acquisito mediante il contributo di solidarietà e quei cittadini che invece la pensione la sognano, ma non la riescono a ottenere. Il loro diritto alla pensione di anno in anno subisce variazioni, con evidenti ripercussioni sui giovani. Sì, perché il disastro dell’amministrazione Inps non finisce in un anno, ma si ripercuoterà sulle generazioni future quelle che oggi sono in cerca di lavoro e perdono anni importanti che non recupereranno più con evidente danno sulle pensioni.
“Manca la norma sulle incompatibilità” spiega Letta, secondo cui è necessario intervenire per legge perché “per guidare un ente nazionale come l’Inps lo si deve fare in esclusiva”. Questi incarichi, dice ancora, “devono essere svolti in esclusività, così come accade a me e alle persone che lavorano con me nel Governo. Allo stesso modo riteniamo che la stessa cosa debba avvenire per l’Inps e gli altri enti paragonati all’Inps, come l’Istat, l’Inail e altri”.
Poi il premier torna sul caso specifico e ricorda che la nomina di Mastrapasqua è stata decisa per legge, con il decreto Salva-Italia, per cui “una nomina per legge non può che essere cambiata o attraverso una legge o attraverso le dimissioni”.
Letta aggiunge che “stante quella situazione, abbiamo deciso di accelerare un percorso già iniziato dal ministro Giovannini per la nuova governance dell’Inps, a seguito della fusione Inps-Inpdap. C’eravamo dati il mese di marzo come termine, a questo punto accelereremo e contiamo di fare la consultazione dei sindacati e delle forze politiche rapidissimamente nei prossimi giorni’”.
Il Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa ha stilato un rapporto nel quale evidenzia le sette violazioni della Carta sociale europea compiute dall’Italia, dove l’ammontare delle pensioni minime è “inadeguato” e non c’è una legislazione in grado di garantire alle persone anziane lo stesso livello di vita del resto della popolazione. Il documento, che è stato reso noto ieri, è composto da 50 pagine e prende in esame il periodo che va dal primo gennaio 2008 al 31 dicembre 2011. Come spiega il Sole 24 Ore, l’analisi condotta dal Comitato ha riguardato anche le politiche per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, le norme che devono garantire il diritto alla sicurezza sui luoghi di lavoro e quelle relative all’accesso ai servizi sanitari e all’assistenza sociale. Scrive ancora il quotidiano:
La Carta sociale europea, firmata a Torino nel 1961 e rivista nel 1996, è una delle convenzioni internazionali alla base dell’attività del Consiglio d’Europa, l’organismo paneuropeo a cui aderiscono 47 Paesi. Naturale complemento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che tutela i diritti civili e politici degli individui, la Carta garantisce i diritti sociali ed economici in materia di alloggio, salute, istruzione, occupazione, circolazione delle persone, non discriminazione e tutela giuridica. Il Comitato per i diritti sociali ha il compito di verificare la compatibilità delle situazioni nazionali con quanto indicato nella Carta.
Dopo tanto parlare, è arrivata una buona notizia sul fronte pensioni, anche se colpisce solo determinati lavoratori: una piccola parte dei circa 4.000 impiegati del personale scolastico rientrante nei Quota 96, infatti, potrà fruire dei requisiti pre riforma Fornero e andare in pensione a partire dal primo settembre. Ma nel frattempo si sono aperti spiragli anche per esodati e precoci. Per quel che riguarda i Quota 96, potranno andare in pensione coloro che, nel 2011, si trovavano in stato di congedo straordinario (per motivi di salute o per assistere un parente) o si trovavano ad aver fruito del permesso di 3 giorni al mese regolamentato dalla legge 104. Tutti i Quota 96 che abbiano i requisiti suddetti dovranno inoltrare la domanda di pensionamento alla DTL entro il 26 febbraio 2014. Punto di svolta quindi, anche se c’è ancora molto da fare per giungere a una risoluzione definitiva. Per quel che riguarda esodati e precoci, invece, il ministro Franceschini ha assicurato, per il 2014, un allargamento di esodati salvaguardati e lo stanziamento di maggiori fondi. Come spiega Supermoney.eu, la criticità più rilevante è costituita dal tipo di intervento che va predisponendo ormai da settimane il governo, che invece di riformare le norme introdotte dalla riforma Fornero punta alla messa a disposizione dei lavoratori di strumenti da adottarsi su base volontaristica. Certo, si continua a lavorare nel tentativo di incrementare la flessibilità in uscita, ma il rischio concreto è che non si proceda alla riforma strutturale invocata non solo dalle parti sociali ma anche dagli stessi giuslavoristi, in primis Epifani, da sempre favorevole ad invertire la rotta rispetto al disposto Fornero. Sempre acceso infine il dialogo sulla pensione anticipata donne con opzione contributivo e sull’ipotesi del prestito pensionistico INPS avanzata dal ministro Giovannini. Dopo la risoluzione parziale del caso Quota 96 ogni discussione può essere condotta con maggiore serenità, ma il dibattito sulle pensioni 2014 INPS rimane comunque molto acceso. Tante sono ancora le criticità che attendono infatti una soluzione definitiva.
Tra gli obiettivi del governo c’è anche quello di rendere più flessibile il sistema previdenziale e le idee arrivano da ogni partito. Enrico Giovannini, ministro del Lavoro, propone le sue, che riguardano lavoratori precoci e usuranti nonchè il comparto scuola. Come sintetizza Domenico Ferlita, per quel che riguarda la prima categoria, l’idea sarebbe di permettere loro di andare in pensione una volta raggiunto il massimo dei contributi versati. Gli impiegati, sempre per quel che concerne le nuove idee, potranno optare per l’allungamento della loro attività lavorativa rispetto ai parametri previsti dalla precedente Riforma Fornero. Capitolo esodati: per evitare di vedere ingrossarsi ulteriormente le fila, si pensa di dare un sostentamento economico oltre ad avere la possibilità di accesso alla pensione senza dover attendere quattro anni a tutti coloro che hanno raggiunto i requisiti contributivi e si trovano senza un lavoro. Non va inoltre dimenticata la proposta del prestito pensionistico, idea sulla quale si sta ancora lavorando e che pone una questione fondamentale: dove reperire le risorse? Perchè l’idea è di offrire una sorta di ausilio erogato dallo Stato per tutti coloro che lasciano l’attività lavorativa dopo i trentacinque anni di contributi versati, da restituire con la decurtazione del 10% nel momento in cui l’ex lavoratore percepirà l’assegno mensile. Una sorta di prepensionamento facoltativo, del quale potrebbero usufruire anche i Quota 96 del comparto scuola.
Una recente legge-finestra per le pensioni del settore pubblico offre la possibilità di uscire dal posto di lavoro e andare in pensione con i requisiti pre-Fornero a coloro che abbiano usufruito, nell’anno 2011, di congedo familiare o della legge 104 per l’assistenza di un parente. Tale normativa, come spiega il Secolo XIX parlando di quanto accade a Savona, ha mandato in tilt i patronati dei sindacati dove si lavora alacremente per preparare le domande, che non dovranno superare il termine del prossimo 26 febbraio. Le perplessità tuttavia sono diverse, visto che si tratta di un’opzione che non solo pone limitazioni prigide ma anche piuttosto discutibili. A partire dal confine temporale: non è chiaro perché si apra l’opzione soltanto per colore che hanno usufruito della 104 nel 2011 e non in altri anni. Spiega inoltre il quotidiano che in tutta Italia il numero progressivo non potrà superare le 2.500 domande accolte, mentre soltanto nel savonese le richieste stilate supereranno il migliaio. Il comparto coinvolto, infatti, è ampio: si va dai dipendenti dell’Asl a quelli degli enti pubblici e della scuola. Persone che avevano perso le speranze e per le quali si apre uno spiraglio, con la consapevolezza, però, che il numero complessivo è assai ristretto e che spetterà all’ Inps stilare una graduatoria i cui parametri non sono ancora del tutto chiari. In gioco dovrebbero entrare la maggiore o minore vicinanza ai requisiti pensionistici e la data di presentazione della domanda. Contando che i requisiti validi sono quelli pre-Fornero, quindi, per gli uomini, i 65 anni di età e i 20 di contributi oppure i 40 di contributi, mentre per le donne i 61 di età e i 20 di contributi.
Gli occhi sono sempre puntati sulle cose “grandi”. I media ci assalgono con notizie che giungono da Roma, Milano, Napoli, Torino. Sentiamo parlare di Regioni e di metropoli. Assistiamo all’incapacità decisionale del governo e a una sicurezza nel futuro che crolla così come si sbriciola Pompei. Ma quanti italiani non vivono in quei centri? Quanti provano indignazione per quello che accade nei loro piccoli paesi o nelle zone periferiche? Perchè è vero che a Venezia non ci si cura delle vetrate delle chiese in frantumi, ed è gravissimo, ma molto c’era anche nei piccoli centri, e anche lì le cose vanno alla deriva. Così oggi abbiamo deciso di provare, almeno per un attimo, a volgere lo sguardo altrove. A quello che non si conosce. Il paese si chiama Battaglia Terme ed è il comune più piccolo della provincia di Padova. Anni fa, sulla sua guida, si leggeva che si trattava di un “ridente paesello ai piedi dei colli (Euganei, ndr.)”. Ora non si ride più. Al massimo si sorride a denti stretti. A Battaglia c’era la fabbrica della Magrini Galileo, ora ci sono i suoi esodati. C’erano i “barcaroli”, che remavano sul canale che lo attraversano, importantissima via di comunicazione nei tempi che furono, ora c’è un Museo della Navigazione praticamente sconosciuto. Ma a Battaglia c’era anche, e c’è tutt’ora, una fonte termale e una grotta naturale. E c’era lo stabilimento dell’Inps costruito ancora in epoca fascista che per decenni ha richiamato turisti in cerca di cure termali e ha distribuito salute agli abitanti della zona. Oltre, chiaramente, a creare innumerevoli posti di lavoro.
Ora resta la Contea, altro stabilimento termale, e resta lo scheletro di una struttura vuota che da anni non si sa come riutilizzare. Fortuna ha voluto che almeno il parco esterno venisse riordinato dando così la possibilità di un fresco rifugio alla calura estiva a pensionati e bambini. In tutti questi anni diverse amministrazioni si sono succedute e, come accade a Roma, le stesse facce si alleassero con i “nemici” delle elezioni precedenti, ma nulla è cambiato. E ci si chiede: se è così difficile riuscire ad amministrare un comune da 4mila abitanti, come possono riuscire a decire qualcosa tutte le teste che ci sono in Parlamento? Il fatto è che anche le casse di questo piccolo paese si sono prosciugate, così come quelle statali, e ora come ora è impossible puntare dita contro. Ma in precedenza? Perchè non intervenire prima che piccole crepe diventino macerie? E’ lo stesso passato recente di Battaglia a offrirci la metafora di questo Paese. Là dove c’era aqua dove tutti attingevano, ora non restano che sterparglie.
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(Per onor di cronaca: l’acqua, in senso letterale, è in seguito tornata a scorrere lungo il canale e questo frangente di “secca” è stato dovuto a dei lavori di manutenzione. Ma certe immagini restano difficili da scordare)
Quindi Battaglia come centro industriale, porto per le merci e via di comunicazione, oltre che “Terme” proprio per il suo essere un luogo di cura. Cosa manca all’appello? Una villa e un castello. Se chiedete agli abitanti del luogo, vi nomineranno Villa Emo, dal nome suo precedente proprietario e ora ribattezzata Villa Selvatico-Sartori. Miracolosamente salvata da un destino di degrado. Ma, soprattutto, il Castello del Catajo. Eretto da Pio Enea I Obizzi tra il 1570 e il 1573, vanta anche, come ogni castello che si rispetti, il suo fantasma, Lucrezia Obizzi, che trovò la morte tra quelle mura. 350 stanze, un ampio parco, un laghetto, una scuderia. Non manca nulla a questa splendida dimora. A parte l’intelligenza umana che non è riuscita a dargli il giusto lustro. Il castello, nel corso del 2013, è stato messo all’asta due volte, prima a 11 milioni e mezzo, in seguito a 9 milioni e 200 mila euro. Ma ancora “grava” sulla famiglia Dalla Francesca. C’è crisi, ci sono alti costi di gestione. La famiglia l’ha visto come un bene privato ma le poche visite e i ricevimenti che vi vengono organizzati non sono sufficienti a mantenere in piedi un simile pezzo di storia. I muri si sgretolano, i dipinti svaniscono. Le stanze che fino a 30-20 anni fa erano visitabili ora sono state chiuse al pubblico. E diciamocelo, in un castello dov’è avvenuto un fatto di sangue, chiudere la stanza dell’omicidio con la famosa pietra ancora insanguinata è come negare al visitare l’anima stessa della magione. Così ora verrà venduto, al migliore offerente ammesso che qualcuno si prenda il disturbo di riscoprire questo piccolo paese che era una perla e i cui marciapiedi ora sono rovinati dalle radici dei troppi alberi che sorgono lungo le (poche) strade. In Italia svendiamo tutto. Svenderemo anche tutte i nostri patrimoni che ignoravamo di avere. Molti, in visita al Catajo, sono i turisti che si chiedono perchè non hanno potuto visitare la stanza dalla finestra della quale si è appena affacciata una donna subito scomparsa. Non si racconta più loro la triste storia di Francesca e della sua anima che ancora vi dimora e che, ogni tanto, proprio da quella stanza osserva il mondo fuori. Chissà, forse anche lei si troverà a condividere la sua casa con ricchi magnati russi o di una qualche altra nazionalità. E forse non capirà. Come del resto non ci capiamo noi. Neanche se sediamo nel consiglio comunale del nostro stesso paese e più che l’italiano parliamo il dialetto. Una sola lingua, ma ormai non ci unisce più. E quest’estate intoneremo l’inno e canteremo infinite volte “L’Italia s’è desta”. Peccato poi abbia reclinato nuovamente il capo. Buona notte, Italia, con l’augurio che torni presto una nuova alba da osservare.
Cercando di cambiare tonalità e dal nero passando al rosa, questa settimana sono stati tanti gli avvenimenti di gossip che hanno sicuramente avuto un forte richiamo mediatico. Da Buffon a Hollande fino ad arrivare a Pirlo e all’immancabile nuovo capito di Icardi e Wanda Nara. Novità però anche sul fronte del calciomercato: con le proteste dei tifosi che in un primo momento avevano bloccato lo scambio Vucinic-Guarin, per poi arrivare a Thohir che ha stoppato la trattativa anche se resta ancora aperto uno spiraglio. Per sapere come finirà, bisognerà quindi attendere i prossimi giorni. Grande interesse anche quel gol di Peluso di cui la Rai non ha mostrato l’altro filmato, a cui sono seguite polemiche e bufere che sembrano non aver fine. Incertezza quindi anche dopo che il campionato vede la Roma recuperare sulla Juve due punti e avvicinarsi alla Vecchia Signora. A suscitare interesse però non è certamente solo il calcio, ci sono tanti lavoratori che si chiedono quando arriverà per loro l’ora della pensione, di proposta in proposta sembra svanire ogni sicurezza e per gli italiani resta solo la speranza che prima o poi si faccia chiarezza e si riveda la legge Fornero che ha davvero rivoluzionato la vita di molti lavoratori consegnandogli un futuro dipinto di grigio fumo. Ma non ci va di finire la settimana nel grigio fumo, al limite, meglio finire nel fumo delle Marlboro alla Marijuana!
L’ora x sta per scattare: entro il 7 febbraio gli operatori scolastici devono presentare la domanda di cessazione dal servizio. Tra i molti che si presentaranno all’appuntamento, di questi, buona parte appertiene ai Quota 96, che già nel settembre 2012, raggiunti i requisiti indicati dalla legge 247/2007, pensavano d’iniziare una nuova fase della loro vita. Quello che servirebbe loro per riuscire finalmente a raggiungere la meta, o almeno sperare sia possibile, come spiega Ciro Troccoli,
c’è bisogno solo di una forte azione legislativa da parte della Ministra Carrozza, accompagnata dallo slittamento della data fissata per le domande di pensionamento. Spostamento che non creerebbe alcun problema tecnico-amministrativo per la predisposizione degli adempimenti scolastici. Slittamento, del resto, già adottato per l’anno scolastico 2012/13, dal mese di gennaio al marzo 2012. E molte sono le donne che accetteranno di andare in pensione con le norme Fornero. Per costoro, ma ciò vale per tutti, significa rinunciare ad almeno 300/400 euro mensili, non avendo altre alternative, pur avendo raggiunto da tempo i requisiti della normativa vigente prima della legge 201/2011, legge Monti-Fornero sulle pensioni che, ricordiamo, ha arretrato la data per andare in pensione al 31/12/2011, anziché al 31/08/2012 come previsto dalla legislazione scolastica. Riforma che oltre ad aver stravolto il calendario scolastico e la normativa che lo regola, ha sconvolto la vita a quelle migliaia di persone (circa 4000) che già si ritenevano in pensione dal 1 settembre 2012.
Penalizzato chi sceglie di andare in pensione. Penalizzati anche gli alunni che si trovano come docenti, a volte, insegnanti disillusi che vorrebbero essere altrove, ma, causa crisi, continuano a sedere ogni mattina al loro posto. Ciò naturalmente comporta domande alle quali è difficile dare una risposta. Perchè viene anche da domandarsi, visto lo stato attuale della scuola italiana che manca dei fondi necessari, come potranno in mancanza di aggiornamenti costanti docenti in età teoricamente pensionabile dare la giusta istruzione alle nuove generazioni? E non è una domanda da poco, visto che recenti studi hanno dimostrato che i giovani italiani sono “inoccupabili” proprio perchè non hanno le competenze richieste. Le stesse competenze che dovrebbero apprendere a scuola e non con metodi educativi “arcaici” in un’era 2.0.
Continuano i lavori al governo per quel che riguarda le pensioni e, in particolare, al piano per la possibile uscita anticipata rispetto all’età di pensionamento con il contributo di Stato, aziende e lavoratori. A renderlo noto è il ministro del Lavoro Enrico Giovannini, che spiega che il progetto deve avere “robustezza finanziaria”. Stando a quanto riferisce il ministro, si tratterà di uno “strumento flessibile in funzione delle esigenze soggettive dei lavoratori”. E ha aggiunto, rispondendo a una domanda sul possibile anticipo dell’assegno rispetto all’età prevista dalla riforma Fornero: “Stiamo lavorando sugli aspetti tecnici. Il procedimento è complesso. Può prevedere anche il contributo da parte delle aziende. L’idea è di avere una contribuzione da parte di tutti e tre i soggetti (lavoratore, impresa ma anche Stato, ndr) ma ci deve essere robustezza finanziaria”. Al piano collabora anche il ministero dell’Economia e si sta “valutando come ottenere uno strumento flessibile in funzione delle condizioni soggettive del lavoratore”. Ma il ministro ha anche sottolineato che il piano per “favorire la transizione” sul pensionamento, non prevede tuttavia modifiche delle regole della legge Fornero, che ha riformata la previdenza italiana, spiegando che “lo strumento allo studio è finalizzato a favorire la transizione, su base volontaria, dal lavoro alla pensione, fermi restando i requisiti dell’attuale normativa. Tale strumento – spiega – andrebbe incontro a persone e a imprese (come quelle di minori dimensioni) che attualmente non possono utilizzare gli strumenti previsti”. In una nota del ministro si legge:
«Con riferimento alle dichiarazioni del Ministro Giovannini sul cosiddetto “prestito pensionistico” si ribadisce che, come già dichiarato fin dal mese di settembre, lo strumento allo studio è finalizzato a favorire la transizione, su base volontaria, dal lavoro alla pensione, fermi restando i requisiti dell’attuale normativa. Tale strumento andrebbe incontro a persone e a imprese (come quelle di minori dimensioni) che attualmente non possono utilizzare gli strumenti previsti in materia dalla legislazione vigente. Si ribadisce che l’ipotesi alla quale si sta lavorando non modificherebbe le regole pensionistiche attualmente esistenti, ma offrirebbe uno strumento aggiuntivo cui si accederebbe su base volontaria, con il possibile coinvolgimento delle imprese, come già avviene nei casi previsti dalla legge per le aziende di maggiori dimensioni. Sono quindi destituite di ogni fondamento le ipotesi e le letture circolate a seguito delle dichiarazioni odierne del Ministro, il quale ha semplicemente ribadito, rispondendo ad una domanda di un giornalista che chiedeva se l’idea del “prestito pensionistico” fosse ancora presa in considerazione, concetti già espressi nelle settimane scorse».
Il democratico Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera nota:
«Ci fa piacere – premette – che il Governo stia lavorando in queste ore “per elaborare una proposta robusta che eviti il formarsi di nuovi esodati”. Questa dichiarazione del ministro Giovannini la stiamo aspettando da tempo. Ormai è chiaro a tutti che, nonostante una serie di interventi che hanno portato complessivamente alla salvaguardia di oltre 160 mila lavoratori rimasti senza reddito a seguito della “riforma” Fornero, il tema dei cosiddetti esodati non può dirsi risolto. Non a caso come Partito Democratico abbiamo invocato già nella scorsa legislatura, e riproposto nell’attuale, il tema dell’introduzione di una normativa di flessibilità nell’uscita dal lavoro verso la pensione. Adesso – conclude Damiano – anche il Governo parla di un anticipo del pensionamento rispetto agli attuali tetti: si tratta di capire nel merito quale sarà la proposta e, soprattutto, di chiedere che l’Esecutivo si confronti da subito e davvero con i disegni di legge che, su questo argomento, sono attualmente in discussione alla Commissione Lavoro della Camera».
La Riforma pensioni attualmente insita nella legge di Stabilità del governo Letta non convince i lavoratori e per questo motivo sono molte le proposte che vengono avanzate per apportavi delle modifiche, che riguardano in particolar modo la pensione anticipata donne, lavori usuranti e precoci. Per quel che riguarda la prima categoria, sembra che per le lavoratrici possa riaprirsi un piccolo spiraglio. Qualora passasse la modifica alla circolare Inps che aveva anticipato al 2014 la possibilità di accedere alla pensione anticipata, per l’intero 2015 le donne potrebbero uscire anticipatamente dal lavoro attraverso l’opzione contributivo. Sarebbe dunque possibile per le donne, come spiega Erica Venditti, andare in pensione anticipata fino al 31/12/2015 con 57 anni di età e 35 anni di contributi se dipendenti oppure 35 anni di contributi ma 58 anni se autonome, a patto di vedersi calcolare l’assegno pensionistico con calcolo contributivo, da qui il nome “opzione contributivo”. Ma al governo si parla anche di lavoratori precoci e usuranti, per i quali la possibilità di accedere alla pensione anticipata potrebbe essere insita nella proposta di Giovannini sul prestito pensionistico. Questo significa che potrebbero uscire anticipatamente dal lavoro, 2 o 3 anni prima di aver raggiunto i requisiti pensionistici necessari, avendo una sorta di prestito dall’Inps da rendere poi una volta raggiunti i requisiti effettivi.
La decurtazione sull’assegno pensionistico finale sarebbe pari al 10-15%, quindi e un po’ come se il lavoratore per i primi anni facesse un prestito a se stesso. Le decurtazioni in entrambi i casi sono ragguardevoli, ma crediamo che nonostante l’amaro in bocca, molti cittadini, se passassero queste proposte di pensione anticipata, sceglieranno comunque di uscire dal lavoro prima, temendo ulteriori Riforme pensioni che posticipino ulteriormente il raggiungimento dell’agognata pensione.
Si continua a parlare delle pensioni e ora si vuole tornare a quelle anticipate, le stesse eliminate dalla riforma Fornero che aveva così dato il via alla questione degli esodati. L’idea è del ministro del Lavoro Enrico Giovannini. La promessa è quella di una soluzione al problema di chi è stato incentivato a uscire dal mondo del lavoro pur non avendo raggiunto l’età pensionabile. Resta la domanda: con quali soldi? Al riguardo il ministro non è stato molto chiaro e parla di un anticipo previdenziale ma col contributo sinergico di Stato, aziende e lavoratori. Un piano al quale il governo starebbe lavorando da tempo, ha spiegato il ministro, ma che richiede una certa “robustezza finanziaria”. Sarà, assicura il titolare del Welfare, uno “strumento flessibile in funzione delle esigenze soggettive dei lavoratori”. A margine di una conferenza stampa all’Inail, ha così illustrato le possibilità circa un ipotetico anticipo dell’assegno previdenziale rispetto all’età prevista dalla riforma Fornero:
“Stiamo lavorando – ha detto il ministro – sugli aspetti tecnici. Il procedimento è complesso. Può prevedere anche il contributo da parte delle aziende. L’idea è di avere una contribuzione da parte di tutti e tre i soggetti (lavoratore, impresa ma anche Stato, ndr) ma ci deve essere robustezza finanziaria”.
Il ministro ha però sottolineato che il piano è ancora allo studio, in collaborazione con il ministero dell’Economia.
“Stiamo valutando come ottenere uno strumento flessibile in funzione delle condizioni soggettive del lavoratore”.
In pratica al lavoratore verrebbe offerto una sorta di prestito d’onore garantito dalle aziende e dallo Stato. Prestito che andrà poi restituito dallo stesso lavoratore, una volta ricevuto il primo assegno previdenziale. Un po’ come si fa con gli studenti, ai quali viene concessa una linea di credito da investire per la propria formazione, in vista dei futuri guadagni. Ma qui siamo molto in là nel mare delle ipotesi, dal momento che il piano oltre a dover reperire i necessari fondi di attuazione, dovrà pure essere approvato dalle parti sociali. Giovannini però ci tiene a precisare che la sua non sarà una “controriforma” post Fornero.
Settimana intensa quella appena trascorsa e che fa riflettere sulla situazione italiana attuale. A partire da “il grande ritorno”. Dopo l’ormai famosa Guerra dei 20 anni, dopo aver disarcionato il Cavaliere dal governo… proprio il nuovo segretario del Pd Matteo Renzi torna a regalare prime pagine a Silvio Berlusconi. E poco importa le voci di protesta e il lancio delle uova: l’incontro per discutere in primo luogo sulla legge elettorale si è tenuto addirittura al Nazareno. Niente di cui meravigliarsi se pensiamo che i rappresentati del Movimento 5 Stelle seguono le direttive del guru Casaleggio, che boccia tutte le proposte del sindaco fiorentino, pur senza mai aver ottenuto un voto non essendosi candidato. Verrebbe da dire “da che pulpito” se non fosse che ormai i “pulpiti” vengono visti con diffidenza: tra scandali di preti pedofili e suore che restano incinte “a loro insaputa”. E se da una parte viene da chiedersi che fine abbia fatto il voto di castità non può non far riflettere il fatto che le stesse persone che parlano di perdono e porgi l’altra guancia poi, di fronte ai fatti, affermano che “la sorella non può tornare in convento perchè ci ha mentito“.
Ma tanto siamo pur sempre il Paese dove in Parlamento parlano tantissimo (poi che ascoltino è una questione diversa: la De Girolamo ha portato avanti le sue ragioni in un’Aula semivuota…) ma le pensioni sono sempre un tema che non trova risposte. Lo stesso dove ci si lamenta della mancanza di lavoro e si scopre che buona parte dei disoccupati non lo cerca più perchè ormai ha smesso di sperarci. Eppure c’è chi ancora le rispote le vuole e le cerca con ogni mezzo: allora anche per i casi della morte della giovane Yara e per la sparizione di Roberta Ragusa ci si rivolge a un veggente. Ma paradosso è anche il fatto che siamo la patria dei “calcio-dipendenti” che non perdono una mossa della squadra del cuore salvo poi andare allo stadio e intonare cori razzisti e poco importa se quella stessa squadra ne farà le spese. Per non parlare di chi arriva agli eccessi dei laziali: augurarsi che la propria squadra, che finalmente è tornata a vincere, perda contro la Juventus. Per quale ragione? Meglio sacrificarsi che aiutare, senza volerlo, i “cugini” della Roma. Per fortuna guardando all’estero si scopre che non siamo l’unica nazione con i suoi scandali: questa settimana infatti ha tenuto banco la presunta relazione di Hollande. E anche oltralpe sembra che quando c’è da puntare il dito contro ci si attacchi a qualsiasi cosa: famiglia, amante, sicurezza… si è parlato di tutto. Anche del fatto che lo scooter del presidente era di marca italiana. Che ci volete fare. L’amore nonostate tutto muove il mondo. Anche nel regno animale. Come dimostra il fatto che un toro in fuga si è placato solo dinanzi a una mucca. Insomma, di qualsiasi cosa si parli, prima o poi spunterà il suo contrario o il lato assurdo della vicenda. A questo punto meglio cercare di non prendercela troppo e di esibire un bel sorriso. E di ricordare che… a volte i nemici da combattere ce li creiamo da soli!
Dopo due anni di blocco, torna la rivalutazione delle pensioni rispetto all’inflazione nel 2014. Al massimo si potranno avere 22 euro in più. Per quel che riguarda la quota di rivalutazione, sarà dell’1,2% (100% dell’aumento dei prezzi) per le pensioni fino a tre volte il minimo, dell’1,8% per le pensioni tra tre e quattro volte il minimo (si recupera il 90% dell’inflazione), dello 0,90% tra quattro e cinque volte il minimo e dello 0,6% per quelle tra cinque e sei volte il minimo.
Queste in sintesi le fasce per la rivalutazione:
fino a 3 volte il TM (trattamento minimo) 100% inflazione euro (fino a 1.486,29) 1,2% fino a 17,8 euro
Fascia di garanzia oltre 1.486,29 e fino a 1.488,06 sono garantiti 1.504,13 euro
Tra tre e 4 volte il TM 90% inflazione tra 1.486 e 1.981 euro 1,08% tra 17,8 e 21,4 euro
Fascia di garanzia oltre 1.981,72 e fino a 1.985,25 sono garantiti 2.003,12 euro
Tra 4 e 5 volte il TM 75% inflazione tra 1.981 e fino a 2.477 euro 0,90% tra 21,4 e 22,3 euro
Fascia di garanzia oltre 2.477,15 e fino a 2.484,53 sono garantiti 2.499,44 euro tra 5 e 6 volte il TM 50% inflazione tra 2.477,15 e 2.972,58 euro 0,60% tra 14,8 e 17,8 euro
Oltre le sei volte il trattamento minimo (2.972,58 euro) è previsto un importo fisso di aumento di 17,84 euro.
Tutti ne parlano, tutti dicono la loro, ma ancora nulla si muove. Il tema è quello delle pensioni, con tante risposte ancora da trovare e dare, con incertezze da cancellare e, di non poca importanza, con tante soluzioni da trovare anche per permettere quel ricambio generazionale che possa dare una speranza di futuro anche alle nuove generazioni. Ma se soluzioni non si sono trovate per quel che riguarda Quota 96, esodati, vitalizi e così via, anche per quel che riguarda quelle d’oro il governo non riesce a trovare un accordo. La scorsa settimana sono state presentate sette mozioni dai partiti e tutte sono state bocciate. Come spiega l’Espresso, ha ricevuto parere favorevole solo quella, vaga, della maggioranza che afferma: il governo ha già preso provvedimenti, adesso monitori se i risultati arrivano e in caso corregga “eventuali distorsioni e privilegi”. Sempre l’Espresso scrive:”Il frutto avvelenato delle ristrette intese si ripercuote anche su uno degli obiettivi che il Partito democratico dovrebbe avere più a cuore: l’equità sociale. E ha ben poco da scalpitare Matteo Renzi che chiede un intervento deciso, visto che il Pd a Montecitorio è riuscito a farsi scavalcare perfino da Giorgia Meloni. Che difatti ha commentato ironica: «Se questi sono di sinistra, io sono Mao Tse Tung». La mozione iniziale dei democratici chiedeva infatti una trattenuta sulle pensioni oltre i 5mila euro da destinare alle fasce più deboli, ma è stata sacrificata per non perdere l’appoggio del Nuovo centrodestra.”
Nonostante le pensioni a cinque zeri siano tra gli argomenti più discussi tra i cittadini, il governo Letta non ha fatto molto, anzi. Ricorda Paolo Fantauzzi: “Nella legge di stabilità l’esecutivo ha inserito un prelievo che di qui al 2016 toglierà rispettivamente il 6, 12 e 18 per cento alla parte che eccede 14, 20 e 30 volte il minimo Inps. A leggere i numeri sembra tanto, in realtà è un’inezia. Tanto per avere un’idea: appena 5 euro al mese per un pensionato da 91 mila euro l’anno e 50 euro al mese a chi ne riscuote 100 mila.” Il che significa che il provvedimento frutterà non più di 12 milioni di euro e si tratta più o meno dello stesso prelievo effettuato dal governo Berlusconi (confermato poi da Mario Monti). E non va dimenticato che la Consulta l’ha bocciato, definendo incostituzionale il prelievo sui soli pensionati senza estenderlo anche ai lavoratori attivi. In tutto questo, le varie forze all’opposizione non hanno fatto che farsi sgambetti reciproci favorendo la bocciatura delle proposte altrui. Sembra però che, ora, qualcosa inizi a muoversi. Si legge ancora su L’Espresso: “A novembre la commissione Lavoro della Camera ha calendarizzato una proposta di legge presentata proprio dalla Meloni (la prima in ordine di tempo in questa legislatura) e nei giorni scorsi il testo è stato preso come bozza di partenza per elaborare un provvedimento condiviso dai partiti. L’assunto di base è minimal: i primi 5 mila euro sono “salvi”, per il resto nessun prelievo straordinario ma un semplice ricalcolo col sistema contributivo in vigore dal 1995. Insomma, come se ci si ritirasse dal lavoro oggi. Poi chi ha diritto a quanto percepisce, bene. Chi invece sta ricevendo dall’Inps più di quanto gli spetterebbe, vedrà decurtarsi l’assegno mensile. «La pensione dev’essere commisurata a quello che si è versato, a prescindere dall’importo. Il prelievo lineare è sbagliato» dice all’Espresso la Meloni. «Fra l’altro la Consulta non ha posto problemi di retroattività quindi problemi non dovrebbero essercene».” Questa settimana inizia l’esame del provvedimento, che giungerà in Aula a febbraio. Ammesso che trovino un’intesa. Perchè le diverse forze propongono soluzioni molto diverse tra loro. Si legge ancora sul sito internet del settimanale:
Il Movimento cinque stelle in Aula ha proposto un prelievo suddiviso in nove scaglioni: dallo 0,1 per cento per tutte le pensioni sotto i 3 mila euro fino al 32 per cento per quelle sopra i 322 mila euro. Un sistema che colpisce tutti in modo da evitare possibili contestazioni della Consulta e recuperare 1 miliardo e 142 milioni da destinare alle pensioni minime. Ben diversa però è la proposta di legge depositata, assai più vicina al “verbo” di Beppe Grillo e che ricorda il codice per i parlamentari: per tre anni, non più di 5 mila euro per tutti. Un provvedimento che, anche se divenisse legge, alla luce delle sentenze precedenti rischierebbe di essere cassato dalla Consulta.
Stesso discorso per la Lega nord, che vorrebbe fissare un tetto da 5 mila euro per le pensioni calcolate col sistema retributivo. In caso di più trattamenti previdenziali, la soglia sale a 8 mila euro. Scelta civica propone invece di intervenire oltre i 5 mila euro e di prelevare il denaro dalla parte “regalata” dal vecchio metodo di calcolo per la quale non sono stati effettuati versamenti.
E a sinistra? Guai a parlare di ricalcolo delle pensioni. Sel ad esempio nicchia. La deputata Titti Di Slavo ha denunciato il “populismo mischiato a falso egualitarismo” insito nella questione. Secondo i vendoliani, infatti, salvo qualche eccezione chi ha percepisce pensioni d’oro ha versato tanto e quindi ne ha diritto. Semmai, quindi, bisogna aumentare le aliquote sui redditi più alti, senza discriminare fra ricchi pensionati e non.
Il Partito democratico vorrebbe invece introdurre per un quinquennio un contributo di solidarietà basato su 17 aliquote progressive: si parte da 4 mila euro e si arriva fino alle pensioni da mezzo milione e oltre, su cui prelevare il 15 per cento. Tradotto in soldoni, un taglio da 40 mila a 34 mila euro al mese per i trattamenti più alti.
Ma come spiegare questa avversione al metodo contributivo, che da quasi 20 anni vige per tutti gli italiani? La motivazione ufficiale è che sarebbe un provvedimento regressivo, perché le pensioni più basse sono in media più generose rispetto a quanto versato. Considerato che i trattamenti delle fasce più povere sarebbero però fatti salvi, si tratta di una giustificazione che non regge. E allora è il caso di ricordare quanto in passato, proprio in tema di previdenza sociale, a sinistra abbia pesato la difesa di alcune sacche di privilegiati. L’intoccabilità dei baby-pensionati ai tempi del primo governo Prodi docet.
Pensionati in Italia equivale a “privilegiato”. La pensione in Italia ormai non è un diritto acquisito e maturato, è solo un “danno” al bilancio dell’Inps. Ma il male viene da lontano, da quegli investimenti sbagliati da parte dell’ente di previdenza, da una dirigenza che non è stata capace di prevedere il rosso che si sarebbe creato a causa di scelte pensionistiche troppo allegre. C’erano anni in cui ci si vantava di essere la più giovane pensionata d’Italia a poco più di 30 anni e c’era chi – grazie a scivoli e facilitazioni – veniva mandato in pensione appena superati i quaranta anni. Ma ora andare a imputare “le scelte sbagliate” e rivedere caso su caso è troppo oneroso e quindi la mannaia arriva su tutti. Così dopo mesi di speranze, svanite in un – quasi – nulla di fatto per una contro riforma Fornero mai realizzata, i primi a vedersi ridotto l’assegno con l’avvento del nuovo anno sono alcuni dipendenti pubblici ex Inpdap. Come afferma LeggiOggi quotidiano giuridico, politico ed economico:
Si tratta dell’ultimo aggiornamento fornito proprio dall’Inps, il quale, con il messaggio 574 dello scorso 13 gennaio, tramite la propria direzione centrale bilanci e servizi fiscali, ha comunicato l’ammontare dei cosiddetti “preconguagli” a carico degli ex lavoratori pubblici, migrati sotto la tutela dell’Istituto di previdenza sociale a seguito della fine per l’era autonoma dell’Inpdap.
Si tratta, specifica il nuovo SuperInps, dei prelievi relativi alle somme versate dalla gestione pubblica nell’arco dei mesi tra gennaio e agosto 2013: il debito accumulato, secondo il piano dell’ente, verrà diviso in due rate distinte e spalmato sugli assegni di gennaio e febbraio.
Insomma, secondo gli analisti, ci troviamo di fronte alla situazione simile a quella di dodici mesi fa, quando ben 6mila persone ricevettero assegni farsa di 2 o 3 euro a causa delle maxi trattenute del fisco, poi tardivamente rimodulate nel corso dell’intero anno.
Nello specifico, questi dovrebbero essere gli scaglioni per i pensionati ex Inpdap: chi riceve mediamente una pensione di 626,73 euro si vedrà corrispondere una somma di 501,38 euro, pari, cioè, al minimo Inps per il 2014 così come specificato nelle nuove norme che regolano le pensioni dal primo gennaio. Per chi, invece, percepisce una pensione inferiore alla quota di 626,73 euro, la linea seguita dalla previdenza sarà quella di mettere in atto trattenute pari a un quinto dell’importo.
Queste cifre, nelle speranze dell’Inps, dovrebbero essere mitigate dall’acconto, arrivato a dicembre, di 154,94 euro in più, relativo all’intero anno 2013, riconosciuto dalla previdenza negli assegni dello scorso dicembre a coloro che ne avessero effettuato domanda per chi presentasse i requisiti richiesti di assegno sotto al minimo e redditi non oltre le soglie predefinite..
Sarà compito delle sedi territoriali, spiega l’Inps nel suo messaggio, fornire ai diretti interessati tutte le informazioni del caso, per rendere questo inizio 2014 meno amaro per gli ex lavoratori del pubblico.
Manuela Ghizzoni (Pd) continua la sua battaglia per restituire ai docenti privati ingiustamente del diritto alla pensione per un errore della riforma pensioni Fornero. Al riguardo, sono stati presentati oggi degli emendamenti ma, come spiega Matteo Carriero su Blasting.News: Come già accaduto, anche se dovesse procedere tutto per il meglio, per le pensioni dei Quota 96 della scuola arriverebbe poi il vaglio della Commissione Bilancio e si sa, il problema è sempre stato legato alla volontà del Governo di non investire le risorse necessarie per restituire le pensioni ai Quota 96. Di conseguenza, per quanto ci auguriamo possano giungere sorprese, la situazione per i Quota 96 della scuola resta decisamente nera.
Per le pensioni dei lavoratori precoci le news si focalizzano invece sulla possibilità di vedere attuata la proposta del ministro Giovannini di pensione anticipata (di 2 o 3 anni) con prestito, ovvero ricevendo assegni il cui importo andrebbe poi restituito con decurtazione della pensione vera e propria (si parla di decurtazioni attorno al 10-15% fino a ripagamento del prestito). Non si tratta di news sulle pensioni dei lavoratori precoci e usuranti in sé, ma di misure che interesserebbero tali categorie come altre: di misure specifiche per precoci e usuranti, difatti, non si parla ormai da molto tempo. La politica (ma anche i sindacati) sembrano essersi dimenticati delle richieste di nuove norme specifiche che siano adeguate alle particolarità delle due categorie.
Nel frattempo, resiste l’idea di un prepensionamento con prestito per la riforma pensioni 2014.
Di corsa, in cerca di notizie diverse, interessanti, che diano un po’ di sollievo e magari strappino un sorriso. E sembra sempre più difficile perchè le “cose sbagliate” continuino ad accumularsi. Come ha detto Marco Travaglio: “L’intero cestino è marcio“. E non è chiaro se nel suo editoriale si riferisse solo a L’Aquila con il suo scandalo tangenti e il sindaco che si è dimesso o all’intero panorama politico. Del resto sempre più confuso. Abbiamo provato anche a catapultarci fuori dall’Italia, a provare a guardare il nostro Paese con uno sguardo diverso, da straniero, ed è difficile da capire quello che accade. Se non incomprensibile. Un segretario, Renzi, che sembra giocare al gatto e al topo con il premier, Letta, che è del suo stesso partito. Un ex senatore, ora decaduto, Berlusconi, che con una condanna da scontare mira ad essere eletto in Europa e ottenere quell’immunità. Un tribunale che, dopo anni, stabilisce che le elezioni per la Regione Piemonte vanno rifatte. Nulla di cui stupirsi del resto, per noi italiani, se la giustizia decide che la nostra legge elettorale è incostituzionale e quindi siamo governati in modo illegittimo ma il Capo dello Stato, che dagli “illegittimi” è stato eletto, dichiara il contrario. La certezza, ormai, è che non ci sono certezze, men che meno per il futuro. E non nel senso che vi dava Lorenzo il Magnifico. E’ proprio che non si vede futuro nè via d’uscita e questo perchè non si vede impegno al riguardo. Viene voglia di scappare? Correre lontano? Entrare nella schiera dei cervelli in fuga? Sì, certo. Via. Di corsa. Ma è un strada in discesa o… ?
E’ vero, non si vede futuro in Italia anche perchè mancano i punti di riferimento. Uno su tutti: la pensione diventa sempre più un’utopia. Se ne parla, si fanno supposizioni, ma alla fine sembra ormai l’oggetto del desiderio di tanti che non hanno altro a cui aggrapparsi. Anche a favore dei giovani che tentano invano di entrare nel mondo del lavoro. (Altra grande utopia del Belpaese) Mentre la disoccupazione cresce inesorabilmente (ma lo spread cala e Letta esulta, nonostante siano diverse le risposte che ci si aspetta da lui) si guarda all’estero quindi. Eppure… poi ci si spaventa per quell’ondata di gelo che stringe in una morsa mortale l’America ma ci si domanda pure come potremmo mai essere accolti noi italiani una volta varcati i confini nazionali. Perchè anche questa settimana è spuntato un altro, l’ennesimo, ristorante europeo che abbina l’italianità alla mafia. Si trova a Praga e si chiama Al Capone. Se questo è il biglietto da visita di una delle nostre eccellenze, la cucina, come potremmo venire apostrofati noi? Perdere la speranza e lasciare crollare il nostro umore così com’è crollata la palazzina a Matera? No! In fin dei conti ci sono anche segnali positivi che ci arrivano. Come il fatto che ora le voci a favore dei marò arrivano proprio dall’Unione Europea, che propone di fare quel passo che l’Italia non ha mai osato proporre. Per questo corriamo e andiamo avanti: perchè sappiamo che c’è sempre qualcosa che riesce a stupirci e a stamparci in volto un’espressione simile a quella di una bimba che vede per la prima volta il fratello gemello del papà. “Oibò!”, viene da esclamare. un po’ come quando la polizia conferma l’avvistamento di un ufo o un pilota di linea racconta il suo “incontro – quasi scontro – ravvicinato”. Continuiamo a muoverci perchè vogliamo continuare a stupirci, nella speranza di scoprire ricette nuove invece che riscaldare la solita, noiosa, minestra. In fin dei conti… a qualcosa bisogna pur credere e quindi tanto vale farlo nell’impossibile… tipo camminare sull’acqua!
Matteo Renzi ha presentato ieri, via newsletter, la bozza del suo Jobs Act, ma non è l’unico cantiere che riapre. Mentre il leader del Pd presenta il programma che poggia sul contratto unico e l’assegno universale per chi perde il lavoro, il ministro Dario Franceschini annuncia nuove misure “salva-esodati” da varare nei prossimi mesi. Intanto Giovannini sta affinando la sua proposta sul cosiddetto “prestito previdenziale” per consentire ai lavoratori rimasti senza lavoro di beneficiare con 2 o 3 anni di anticipo di parte della pensione già maturata. Delle possibili novità per quello che riguarda le pensioni ne parla il Sole 24 Ore:
Martedì scorso il ministro Franceschini ha annunciato che nei futuri interventi del governo sul tema del lavoro ci saranno anche dei provvedimenti specifici per gli esodati da attuare in un’unica tranche oppure poco per volta. Interventi di sostegno che dovrebbero andare ad aggiungersi alle misure di tutela già previste dall’ultima legge di stabilità: il salvataggio per il 2014 di altri 17mila soggetti oltre ai 6mila indicati in prima battuta. E sempre nella direzione della “tutela” si colloca il pacchetto al quale sta lavorando il ministro Giovannini che prevederebbe la possibilità di riconoscere con un anticipo di 2 o 3 anni la pensione maturata a lavoratori rimasti senza impiego e senza ammortizzatore sociale con almeno 62 ani di età e 35 di contributi. Una sorta di “prestito previdenziale” su cui il Governo potrebbe confrontarsi con le parti sociali entro fine mese. E sempre entro fine gennaio dovrebbero arrivare le prime indicazioni delle 25 task force di esperti istituite dal Commissario straordinario per la revisione della spesa, Carlo Cottarelli, per giungere alla definizione della nuova spending review. Tra i capitoli nel mirino di Cottarelli anche quello delle pensioni medio-alte, a partire da quelle con connotazione retributiva (calcolate sulla base dello stipendio e non solo dei contributi versati). Pensioni d’oro e d’argento, dunque su cui tra l’altro ieri sera la Camera ha approvato una mozione della maggioranza che impegna il Governo a una puntuale verifica dell’attuazione del contributo di solidarietà introdotto con l’ultima legge di stabilità.
Tutti i cittadini si auguravano una spending review, cioè un contenimento della spesa pubblica e quindi un miglioramento del bilancio dello Stato, ma in Italia, paese delle anomalie e dei termini stranieri usati per aggirare diritti acquisiti e maturati, la “beffa” è dietro l’angolo. Lo scrive De Dominicis a chiare note su Libero e stavolta, il termine è fissato in primavera, non saranno solo le pensioni d’oro ( o presunte tali) a dover dare un altro forte contributo di solidarietà, ma saranno anche i pensionati del ceto medio che con la proposta Cottarelli vedranno una vera e propria stretta sugli assegni maturati con il retributivo.
Nuovo affondo sulle pensioni. Nel 2014 dovrebbe arrivare un altro taglio agli assegni previdenziali. Dopo la botta assestata con la legge di stabilità, il governo di Enrico Letta potrebbe tornare alla carica del sistema pensionistico. La sforbiciata, secondo i ben informati, è attesa per primavera. Stavolta a preparare il terreno all’esecutivo è Carlo Cottarelli: l’ennesimo giro di vite pensionistico, infatti, sarebbe pronto a entrare nella spending review, curata appunto dall’ex funzionario del Fondo monetario internazionale. Per ora non ci sono numeri. Lo stesso commissario straordinario per la spesa pubblica incaricato dal governo Letta, però, nelle scorse settimana aveva fatto accenno a possibili interventi sui cosiddetti assegni d’oro o d’argento, cioè quelli di importo elevato.
Con la finanziaria appena approvata dal Parlamento sono stati introdotti contributi di solidarietà temporanei che scattano a determinate soglie: 6%oltre 90mila euro, 12% a 128mila e 18% a 193mila. E sempre con la manovra per il 2014 è stato varato un tetto (a 302mila euro) al cumulo trapensione e compensi per incarichi pubblici. Cottarelli sta studiando misure anche su questo fronte. Nel dettaglio, il piano potrebbe prevedere tagli alle pensioni retributive, vale a dire quelle calcolate (e pagate) non solo sulla base dei contributi versati, ma soprattutto sugli (ultimi) stipendi percepiti. Un meccanismo rimasto in piedi fino al 1996 e poi progressivamente smantellato fino all’intervento a gamba tesa del governo dei tecnici guidato da Mario Monti e con la legge targata Elsa Fornero. Tra le varie ipotesi di intervento sul tavolo di Cottarelli – e del ministro del Lavoro, Enrico Giovannini – c’è anche il passaggio al contributivo secco per gli assegni di reversibilità.
A sostenere l’assalto alle pensioni c’è, in prima linea, Scelta civica. Secondo Irene Tinagli, esponente del partito fondato dall’ex premier Monti, bisogna «intervenire sulla quota di pensione che non corrisponde ai contributi versati, utilizzando le risorse ricavate per aumentare i fondi per l’infanzia e per l’assistenza agli anziani». Non solo previdenza. Nel mirino di Cottarelli, ci sono tutte le spese dei ministeri. Secondo indiscrezioni riportate ieri da alcuni quotidiani, il commissario avrebbe cominciato a realizzare una specie di lista delle spese «anomale». Finora sono stati messi in evidenza alcuni casi particolari. Come quello della curiosa presenza di due ministeri sostanzialmente identici: Coesione territoriale e Affari regionali. Un doppione creato da Letta con ogni probabilità per distribuire poltrone tra le varie anime delle (ex) larghe intese. Si pagano, così, due ministri e due strutture. E mentre gli stipendi dei funzionari di Palazzo Chigi crescono – come documentato su Liberodi ieri – Cottarelli prova a tagliare qualche caffè alla presidenza del consiglio: nella black list ci sono infatti i 4mila euro per le forniture di caffè e i 20mila euro per l’ac – qua. E poi 14.374 euro per la squadra di Football americano Legio XIII (progetto di integrazione delle comunità di stranieri). La spending review dovrebbe portare a risparmi per 32 miliardi. E, in teoria, dovrebbe servire (anche) per ridurre la pressione fiscale, già calata, secondo Letta, nel 2013. Il premier, però, ieri stato smentito da Confcommercio. Secondo l’associazione dei commercianti, il peso delle tasse è salito al 44,3% lo scorso anno, nuovo record assoluto nella storia del nostro Paese dopo quello già raggiunto nel corso del 2012, e c’è la previsione di un livello stabile ben oltre il 44% anche nel 2014. La pressione del fisco va su e i consumi continuano a scendere, colpendo anche i saldi di fine stagione. Negli ultimi 5 anni – per l’Adusbef – gli italiani hanno più che dimezzato il budget destinato ai saldi: «da quelli del 2009 agli attuali la cifra è passata dai 450 ai 200 euro». L’andamen – to delle vendite nel periodo di saldi negli ultimi anni è stato disastroso – sostiene anche il Codacons – gli stessi commercianti al termine dei precedenti sconti invernali hanno denunciato fortissime riduzioni degli acquisti con punte del meno 30%. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, è convinto che l’abbattimento delle tasse è dietro l’angolo. Ma a credergli sono rimasti davvero in pochi
Si fa largo l’ipotesi della pensione in prestito! Un lavoratore a cui mancano due o tre anni per accedere alla pensione potrebbe scegliere l’uscita anticipata e l’Inps gli anticiperebbe 600 o 700 euro al mese che poi dovranno essere restituite all’ente di previdenza nel momento in cui decorrano i requisiti ordinari per il trattamento pensionistico.La restituzione avverrebbe poi con una quota calcolata sulla base dell’aspettativa di vita e non superiore al 10/15% dell’importo totale. Questa sarebbe l’ultima idea di Enrico Giovannini per evitare nuovi esodati senza stravolgere troppo la riforma Fornero incentivando le uscite anticipate (che fanno salire il costo della spesa previdenziale).
Il “prestito pensionistico” si concentrerebbe sul riconoscimento con anticipo di 2 o 3 anni della pensione maturata nei confronti di soggetti rimasti senza impiego e senza ammortizzatore sociale, con almeno 62 anni di età e 35 anni di contributi. Una specie di “sussidio di ultima istanza” lo definisce il Sole 24 Ore che dovrebbe coinvolgere 10-15 mila lavoratori nel 2014.
Ma il problema è trovare le coperture per dar vita a questa riforma e proprio su questo punto entro gennaio il Governo presenterà ai sindacati un progetto di “manutenzione” della riforma delle pensioni. Di nuovo nel mirino del ministro del Lavoro Enrico Giovannini le pensioni d’oro e d’argento: cioè gli assegni medio alti e in particolare quelli con connotazione retributiva (cioè quelle calcolate sugli ultimi stipendi e non sugli effettivi contributi versati). Nel mirino finiscono anche le reversibilità, sempre in rapporto al passaggio al sistema contributivo. Ed eventualmente verrà ancora rivisto il meccanismo di cumulo tra diversi trattamenti previdenziali.
Per fine febbraio sono attese le prime indicazioni anche per evitare ricadute negative a livello costituzionale e per scongiurare collisioni con le misure in cantiere per introdurre elementi di flessibilità sia per chi vuole lasciare in anticipo il lavoro rispetto ai requisiti necessari, sia per le imprese che intendono ringiovanire il proprio personale.
Di nuovo il governo cercherà quindi di intaccare i diritti acquisiti poiché non riesce a fare una vera e propria riforma pensionistica che riesca a garantire eguali diritti a chi ha già maturato la pensione, a chi la maturerà nei prossimi anni e chi ha usufruito di uno scivolo concesso dai precedenti governi? Inoltre come è possibile ridurre l’assegno mensile a chi ha maturato gli anni per andare in pensione quando era vigente come unico sistema il retributivo e non il contributivo? Che scelta aveva il lavoratore? Perché ora deve essere penalizzato perché ha pagato i contributi secondo quanto richiesto dai passati governi? Se i passati governi hanno sbagliato le loro proiezioni perché ora il cittadino deve essere falcidiato? Perché poi il governo si sta accanendo contro i pensionati, mentre non chiede contributi di solidarietà ai lavoratori?
Yoram Gutgeld, noto anche come “il guru di Matteo Renzi”, è il nuovo nome emerso nelle ultime ore come quello del possibile sostituto di Stefano Fassina nella carica di vice ministro all’Economia.
Chi è Yoram Gutgelt? Colui che ha dichiarato in un’intervista di novembre:
L'”abbattimento shock da 20 miliardi delle tasse con i proventi delle privatizzazioni di Poste, Ferrovie, Rai, municipalizzate e dei campioni nazionali quotati; rinuncia alla Tav; lotta all’evasione con l’eliminazione del denaro per i pagamenti tra imprese; 4 miliardi di euro dal ricalcolo delle pensioni sopra i 3.500 euro; contratto unico stabile senza articolo 18 per i lavoratori” e ancora “Siamo il primo bancomat d’Europa nella previdenza. Abbiamo una quota spesa pensionistica di circa 50 miliardi non coperta da contributi versati. C’è una quota importante di pensioni inferiori a 1.000 euro che non possono essere toccate. Ce ne sono però anche più alte e c’è una fetta di pensioni superiori ai 3.000 euro cui non corrispondono contributi versati. Pensiamo sia giusto ed equo rivedere queste pensioni in base ai contributi versati, utilizzando magari questi soldi per fare vero welfare, asili nidi, iniziare a lavorare sul welfare al femminile per esempio”.
A lui aveva risposto un pensionato che era intervenuto nella trasmissione di Santoro, “Servizio Pubblico”:
“Egregio Gutgeld, io sono d’accordo quasi totalmente con quello che dice, ma ciò che dice non è la posizione di Renzi e/o del PD. Infatti l’intervento che stanno facendo sulla de-indicizzazione e sui prelievi di solidarietà prescinde dalla verifica contributiva che invece lei caldeggia. Questo manterrà, nell’ambito delle pensioni “d’oro” la discriminazione tra chi ha una pensione alta per regali vari ricevuti (solitamente dallo Stato) e chi ha una pensione alta avendo versato molti contributi. Qualcosa non va…”
*A day in the life of the Vixen, a blog about EVERYTHING & ANYTHING: Life advice, Sex, Motivation, Poetry, Inspiration, Love, Rants, Humour, Issues, Relationships & Communication*