No, secco della maggioranza. Basta con l’attacco ai pensionati

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E’ arrivato un “no” secco dalla maggioranza contro la proposta della Meloni che voleva fissare il tetto delle pensioni a “3200 euro netti”, inclusa previdenza integrativa e complementare. Come si fa d’altra parte a dichiarare una “pensione d’oro” al di sopra dei 3000 euro con il costo della vita in Italia? La commissione Lavoro della Camera a comunque bocciato la proposta di legge del capogruppo di Fratelli d’Italia, tutelando i pensionati. Un segnale pessimo” ha commentato Giorgia Meloni, sottolineando di “aver dato parere favorevole alle proposte emendative” della maggioranza tra cui l’innalzamento del tetto a 5 mila euro nette.

 

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Pensioni: torna la rivalutazione

pensioni-tuttacronacaDopo due anni di blocco, torna la rivalutazione delle pensioni rispetto all’inflazione nel 2014. Al massimo si potranno avere 22 euro in più. Per quel che riguarda la quota di rivalutazione, sarà dell’1,2% (100% dell’aumento dei prezzi) per le pensioni fino a tre volte il minimo, dell’1,8% per le pensioni tra tre e quattro volte il minimo (si recupera il 90% dell’inflazione), dello 0,90% tra quattro e cinque volte il minimo e dello 0,6% per quelle tra cinque e sei volte il minimo.

Queste in sintesi le fasce per la rivalutazione:  

fino a 3 volte il TM (trattamento minimo) 100% inflazione euro (fino a 1.486,29) 1,2% fino a 17,8 euro  

Fascia di garanzia oltre 1.486,29 e fino a 1.488,06 sono garantiti 1.504,13 euro  

Tra tre e 4 volte il TM  90% inflazione tra 1.486 e 1.981 euro 1,08%  tra 17,8 e 21,4 euro  

Fascia di garanzia  oltre 1.981,72 e fino a 1.985,25 sono garantiti 2.003,12 euro  

Tra 4 e  5 volte il TM  75% inflazione tra 1.981 e fino a 2.477 euro   0,90%  tra 21,4 e 22,3 euro  

Fascia di garanzia oltre 2.477,15 e fino a 2.484,53 sono garantiti 2.499,44 euro tra 5 e 6 volte il TM 50% inflazione tra 2.477,15 e 2.972,58 euro 0,60% tra 14,8 e 17,8 euro  

Oltre le sei volte il trattamento minimo (2.972,58 euro) è previsto un importo fisso di aumento di 17,84 euro.

Le pensioni: ostaggio di forze politiche che si fanno lo sgambetto

pensioni-tuttacronacaTutti ne parlano, tutti dicono la loro, ma ancora nulla si muove. Il tema è quello delle pensioni, con tante risposte ancora da trovare e dare, con incertezze da cancellare e, di non poca importanza, con tante soluzioni da trovare anche per permettere quel ricambio generazionale che possa dare una speranza di futuro anche alle nuove generazioni. Ma se soluzioni non si sono trovate per quel che riguarda Quota 96, esodati, vitalizi e così via, anche per quel che riguarda quelle d’oro il governo non riesce a trovare un accordo. La scorsa settimana sono state presentate sette mozioni dai partiti e tutte sono state bocciate. Come spiega l’Espresso, ha ricevuto parere favorevole solo quella, vaga, della maggioranza che afferma: il governo ha già preso provvedimenti, adesso monitori se i risultati arrivano e in caso corregga “eventuali distorsioni e privilegi”. Sempre l’Espresso scrive:”Il frutto avvelenato delle ristrette intese si ripercuote anche su uno degli obiettivi che il Partito democratico dovrebbe avere più a cuore: l’equità sociale. E ha ben poco da scalpitare Matteo Renzi che chiede un intervento deciso, visto che il Pd a Montecitorio è riuscito a farsi scavalcare perfino da Giorgia Meloni. Che difatti ha commentato ironica: «Se questi sono di sinistra, io sono Mao Tse Tung». La mozione iniziale dei democratici chiedeva infatti una trattenuta sulle pensioni oltre i 5mila euro da destinare alle fasce più deboli, ma è stata sacrificata per non perdere l’appoggio del Nuovo centrodestra.”

Nonostante le pensioni a cinque zeri siano tra gli argomenti più discussi tra i cittadini, il governo Letta non ha fatto molto, anzi. Ricorda Paolo Fantauzzi: “Nella legge di stabilità l’esecutivo ha inserito un prelievo che di qui al 2016 toglierà rispettivamente il 6, 12 e 18 per cento alla parte che eccede 14, 20 e 30 volte il minimo Inps. A leggere i numeri sembra tanto, in realtà è un’inezia. Tanto per avere un’idea: appena 5 euro al mese per un pensionato da 91 mila euro l’anno e 50 euro al mese a chi ne riscuote 100 mila.” Il che significa che il provvedimento frutterà non più di 12 milioni di euro e si tratta più o meno dello stesso prelievo effettuato dal governo Berlusconi (confermato poi da Mario Monti). E non va dimenticato che la Consulta l’ha bocciato, definendo incostituzionale il prelievo sui soli pensionati senza estenderlo anche ai lavoratori attivi. In tutto questo, le varie forze all’opposizione non hanno fatto che farsi sgambetti reciproci favorendo la bocciatura delle proposte altrui. Sembra però che, ora, qualcosa inizi a muoversi. Si legge ancora su L’Espresso: “A novembre la commissione Lavoro della Camera ha calendarizzato una proposta di legge presentata proprio dalla Meloni (la prima in ordine di tempo in questa legislatura) e nei giorni scorsi il testo è stato preso come bozza di partenza per elaborare un provvedimento condiviso dai partiti. L’assunto di base è minimal: i primi 5 mila euro sono “salvi”, per il resto nessun prelievo straordinario ma un semplice ricalcolo col sistema contributivo in vigore dal 1995. Insomma, come se ci si ritirasse dal lavoro oggi. Poi chi ha diritto a quanto percepisce, bene. Chi invece sta ricevendo dall’Inps più di quanto gli spetterebbe, vedrà decurtarsi l’assegno mensile. «La pensione dev’essere commisurata a quello che si è versato, a prescindere dall’importo. Il prelievo lineare è sbagliato» dice all’Espresso la Meloni. «Fra l’altro la Consulta non ha posto problemi di retroattività quindi problemi non dovrebbero essercene».” Questa settimana inizia l’esame del provvedimento, che giungerà in Aula a febbraio. Ammesso che trovino un’intesa. Perchè le diverse forze propongono soluzioni molto diverse tra loro. Si legge ancora sul sito internet del settimanale:
Il Movimento cinque stelle in Aula ha proposto un prelievo suddiviso in nove scaglioni: dallo 0,1 per cento per tutte le pensioni sotto i 3 mila euro fino al 32 per cento per quelle sopra i 322 mila euro. Un sistema che colpisce tutti in modo da evitare possibili contestazioni della Consulta e recuperare 1 miliardo e 142 milioni da destinare alle pensioni minime. Ben diversa però è la proposta di legge depositata, assai più vicina al “verbo” di Beppe Grillo e che ricorda il codice per i parlamentari: per tre anni, non più di 5 mila euro per tutti. Un provvedimento che, anche se divenisse legge, alla luce delle sentenze precedenti rischierebbe di essere cassato dalla Consulta.
Stesso discorso per la Lega nord, che vorrebbe fissare un tetto da 5 mila euro per le pensioni calcolate col sistema retributivo. In caso di più trattamenti previdenziali, la soglia sale a 8 mila euro. Scelta civica propone invece di intervenire oltre i 5 mila euro e di prelevare il denaro dalla parte “regalata” dal vecchio metodo di calcolo per la quale non sono stati effettuati versamenti.
E a sinistra? Guai a parlare di ricalcolo delle pensioni. Sel ad esempio nicchia. La deputata Titti Di Slavo ha denunciato il “populismo mischiato a falso egualitarismo” insito nella questione. Secondo i vendoliani, infatti, salvo qualche eccezione chi ha percepisce pensioni d’oro ha versato tanto e quindi ne ha diritto. Semmai, quindi, bisogna aumentare le aliquote sui redditi più alti, senza discriminare fra ricchi pensionati e non.
Il Partito democratico vorrebbe invece introdurre per un quinquennio un contributo di solidarietà basato su 17 aliquote progressive: si parte da 4 mila euro e si arriva fino alle pensioni da mezzo milione e oltre, su cui prelevare il 15 per cento. Tradotto in soldoni, un taglio da 40 mila a 34 mila euro al mese per i trattamenti più alti.
Ma come spiegare questa avversione al metodo contributivo, che da quasi 20 anni vige per tutti gli italiani? La motivazione ufficiale è che sarebbe un provvedimento regressivo, perché le pensioni più basse sono in media più generose rispetto a quanto versato. Considerato che i trattamenti delle fasce più povere sarebbero però fatti salvi, si tratta di una giustificazione che non regge. E allora è il caso di ricordare quanto in passato, proprio in tema di previdenza sociale, a sinistra abbia pesato la difesa di alcune sacche di privilegiati. L’intoccabilità dei baby-pensionati ai tempi del primo governo Prodi docet.

La pensione in prestito!

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Si fa largo l’ipotesi della pensione in prestito! Un lavoratore a cui mancano due o tre anni per accedere alla pensione potrebbe scegliere l’uscita anticipata e l’Inps gli anticiperebbe 600 o 700 euro al mese che poi dovranno essere restituite all’ente di previdenza nel momento in cui decorrano i requisiti ordinari per il trattamento pensionistico.La restituzione avverrebbe poi con una quota calcolata sulla base dell’aspettativa di vita e non superiore al 10/15% dell’importo totale. Questa sarebbe l’ultima idea di Enrico Giovannini per evitare nuovi esodati senza stravolgere troppo la riforma Fornero incentivando le uscite anticipate (che fanno salire il costo della spesa previdenziale).

Il “prestito pensionistico” si concentrerebbe sul riconoscimento con anticipo di 2 o 3 anni della pensione maturata nei confronti di soggetti rimasti senza impiego e senza ammortizzatore sociale, con almeno 62 anni di età e 35 anni di contributi. Una specie di “sussidio di ultima istanza” lo definisce il Sole 24 Ore che dovrebbe coinvolgere 10-15 mila lavoratori nel 2014.

Ma il problema è trovare le coperture per dar vita a questa riforma e proprio su questo punto entro gennaio il Governo presenterà ai sindacati un progetto di “manutenzione” della riforma delle pensioni. Di nuovo nel mirino del ministro del Lavoro Enrico Giovannini le pensioni d’oro e d’argento: cioè gli assegni medio alti e in particolare quelli con connotazione retributiva (cioè quelle calcolate sugli ultimi stipendi e non sugli effettivi contributi versati). Nel mirino finiscono anche le reversibilità, sempre in rapporto al passaggio al sistema contributivo. Ed eventualmente verrà ancora rivisto il meccanismo di cumulo tra diversi trattamenti previdenziali.

Per fine febbraio sono attese le prime indicazioni anche per evitare ricadute negative a livello costituzionale e per scongiurare collisioni con le misure in cantiere per introdurre elementi di flessibilità sia per chi vuole lasciare in anticipo il lavoro rispetto ai requisiti necessari, sia per le imprese che intendono ringiovanire il proprio personale.

Di nuovo il governo cercherà quindi di intaccare i diritti acquisiti poiché non riesce a fare una vera e propria riforma pensionistica che riesca a garantire eguali diritti a chi ha già maturato la pensione, a chi la maturerà nei prossimi anni e chi ha usufruito di uno scivolo concesso dai precedenti governi? Inoltre come è possibile ridurre l’assegno mensile a chi ha maturato gli anni per andare in pensione quando era vigente come unico sistema il retributivo e non il contributivo? Che scelta aveva il lavoratore? Perché ora deve essere penalizzato perché ha pagato i contributi secondo quanto richiesto dai passati governi? Se i passati governi hanno sbagliato le loro proiezioni perché ora il cittadino deve essere falcidiato? Perché poi il governo si sta accanendo contro i pensionati, mentre non chiede contributi di solidarietà ai lavoratori?

C’era una volta “a mia insaputa” ora è “non ce ne siamo accorti”… sulle pensioni!

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Drammatico, ma anche involontariamente umoristico così lo descrive Alberto Stasera su Repubblica il grande taglio populista alle pensioni d’oro che casualmente ha lasciato invariate quelle dei politici. Al centro della polemica di Stasera il viceministro Stefano Fassina:

Nonostante il volto perennemente imbronciato, il viceministro dell’Economia Stefano Fassina è capace di irresistibile umorismo (involontario). Interrogato sul perché il prelievo di solidarietà che la legge di stabilità reintroduce sulle pensioni superiori a 90 mila euro lordi l’anno non colpisca anche le pensioni dei parlamentari, ha risposto al Fatto: «Non ce ne siamo accorti». Ma guarda un po’ che singolare dimenticanza.

Il viceministro però si è pentito e garantisce che rimedierà con un emendamento alla Camera, altrimenti «sarebbe un drammatico problema di equità». Troppi emendamenti dovrà presentare il viceministro, visto che di drammatiche iniquità è tappezzato l’intero provvedimento. A cominciare proprio dagli interventi sulle pensioni, territorio privilegiato delle scorrerie legislative di uno Stato incapace di colpire le vere ricchezze sottratte al fisco per 120 o più miliardi. Sacrosanto l’obiettivo di introdurre un reddito minimo per i poveri e i giovani disoccupati, ma ipocrita e probabilmente incostituzionale il mezzo per reperire gli scarsissimi fondi. Le cosiddette pensioni d’oro, che ovviamente suscitano lo sconcerto di che vive con meno di mille euro al mese, non sono tuttavia il valsente di ricchi rentier, ma il salario differito di ex lavoratori dipendenti che hanno versato (quasi tutti) contributi e imposte sui redditi fino all’ultimo centesimo.

Il provvedimento, improntato a un’evidente demagogia, colpisce meno di 30 mila persone e dà un gettito modesto. Ma soprattutto costituisce l’ennesimo vulnus al principio costituzionale della parità di tassazione a parità di reddito, da poco confermato dalla Corte costituzionale, che ha bocciato il precedente contributo di solidarietà imposto dai governi Berlusconi e Monti. Chi ha buoni redditi può benissimo accettare di pagare un contributo se sarà effettivamente destinato alla solidarietà sociale, come avrebbe potuto pagare l’Imu. Ma il viceministro Fassina dovrebbe spiegare perché il prelievo colpisce solo i pensionati e non tutte le centinaia di migliaia di contribuenti che guadagnano oltre 90 mila euro l’anno e i pochi (noti al fisco) oltre i 300 mila euro. Il che produrrebbe oltretutto un gettito ben più ragguardevole. Ma si sa, non c’ è nulla di più facile che colpire le pensioni.

Non solo quelle dei «paperoni» da 90 mila euro l’anno, ma persino quelle dei pensionati (d’argento?) che percepiscono 1.441 euro lordi al mese, cui è stato congelato l’assegno da due anni e quelli da 1.486 euro che dovranno rinunciare a parte dell’indicizzazione a partire dal 2014, se la legge di stabilità passerà alla Camera così com’è. I fortunati che poi hanno una pensione da 2.972 euro lordi mensili non avranno alcun aggiornamento al costo della vita, con effetti moltiplicativi crescenti negli anni. Se poi l’adeguamento al costo della vita sarà abolito per tutti come qualcuno vorrebbe, andiamo incontro a un aumento della fascia di povertà e semi-povertà. Attendiamo con ansia l’emendamento del viceministro Fassina sulle pensioni dei parlamentari e magari che si accorga anche degli altri «problemi drammatici di equità», che è facile prevedere daranno molto lavoro alla Corte costituzionale.

In Italia il pensionato paga per tutti! Legge di Stabilità o campagna elettorale?

pensioni-d'oro-tuttacronacaIl Senato ha votato la fiducia riguardo la Legge di Stabilità. Tra i provvedimenti della nuova legge si trovano anche il reddito minimo e i tagli alle pensioni d’oro, fortemente collegati tra loro perchè il fondo per il contrasto alla povertà, che andrá a finanziare il reddito minimo garantito, verrà creato, con risorse che arriveranno proprio dalle pensioni d’oro. Il contributo su di queste partirá dal 6% per la parte eccedente quattordici volte il trattamento minimo Inps, (per gli assegni superiori ai 90.000 l’anno circa),  del 12% per le pensioni  oltre i 128.000 Euro  e salirá fino al 18%, per la parte eccedente trenta volte il trattamento minimo Inps (oltre 193.000 euro circa all’anno). In poche parole: il reddito minimo lo paga il pensionato d’oro, ossia chi riceve oltre 4.300 euro al mese. Una discriminazione, visto che il contributo di solidarietà viene imposto solo a loro e quindi sono gli unici bersagli dell’inasprimento fiscale. Nell’affondo, infatti, non sono stati compresi anche i redditi da lavoro. Di questo, se ne occuperà la Corte Costituzionale, che con due sentenze ha già fatto rilevare la sperequazione. Come sottolinea anche Blitz Quotidiano: “Reddito minimo per finta, tanto paga il pensionato d’oro. E’ un testa-coda assistenziale (pensionati d’oro in soccorso degli indigenti non ancora raggiunti dalla carta acquisti) di minima efficacia e bassa realizzabilità quello introdotto dalla Legge di Stabilità. La sperimentazione nelle grandi città del Sostegno per l’inclusione attiva (Sia) si aggiunge a un altro programma sperimentale (appunto la nuova carta acquisti fino a 400 euro sulla base dell’Isee). Le limitatissime risorse  (40 milioni l’anno per tre anni) per finanziare il test Sia che confluiranno nel Fondo per la lotta alla Povertà, arriveranno dal prelievo supplementare (e ad alto tasso di illegittimità costituzionale) sulle pensioni.” Per quel che riguarda il reddito minimo, l’idea è d’integrare il reddito di tutte le famiglie sotto la soglia di povertà assoluta, in cambio di un patto di inserimento con i beneficiari. Era il 13 giugno 2013 quando il gruppo di studio istituito dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali  presentò il modello che, a regime, dovrebbe costare 7 miliardi per consentire a tutti l’uscita dall’indigenza. La sperimentazione nelle grandi aree metropolitane, secondo questo modello, prevedeva un fondo con dotazione di 400 milioni. Troppi per essere accolti dalla Legge di Stabilità che ora può solo contare sui 120mln  in tre anni tolti ai pensionati…  Meno di quanto la legge ha stanziato per i lavori socialmente utili in Calabria (110 nel biennio 2013-2014). Ma se inizialmente tale finanziamento sarebbe dovuto arrivare innalzando la tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 22%, alla fine si è preferito tassare le pensioni d’oro. Ma considerato che tale misura non è universale, cioè non è destinata a tutti i residenti in età lavorativa che si trovano sotto la soglia di povertà, cosa che avviene invece regolarmente in tutta Europa, le domande sorgono. Come, o meglio chi finanzierà i 7 miliardi? Come stabilire i criteri di assegnazione e riconoscere le persone realmente in difficoltà? Al momento, non sembra che gli enti locali siano pronti per una simile eventualità,  anche perché nessuno scommette, visti i precedenti, sulla loro affidabilità contabile. Guido Gentili, sul Sole 24 Ore, la chiama “zampata equo-distributiva” e sicuramente appare molto più come una strizzata d’occhio elettorale che cerca di accontentare tutti e vuole mostrare che ora  le larghe intese, dopo l’uscita di Forza Italia, mirano un po’ più a sinistra. I politici si sono limitati a spostare soldi  che nulla hanno a che fare con tagli alla politica e stipendi alti. Una “manovra all’italiana” insomma, in un Paese in cui anche le chiavi delle case popolari è più probabile che finiscano in mano ad amici piuttosto che a chi ne ha bisogno…

Fassina: “Impegno alla Camera sull’indicizzazione delle pensioni”

fassina-pensioni-tuttacronacaE’ il viceministro all’economia, Stefano Fassina, ad aver riferito nella replica sulla manovra in Senato che le modifiche sull’indicizzazione delle pensioni arriveranno nel passaggio del ddl stabilità alla Camera. “Non siamo riusciti a intervenire per migliorare le indicizzazioni delle pensioni. È un impegno che il governo conferma e che cercheremo di portare avanti alla camera”, ha riferito Fassina.

Ritirato l’emendamento sulle pensioni!

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Nessun contributo di solidarietà se non quello già previsto in precedenza. La commissione bilancio del Senato fa marcia indietro con l’annuncio del presidente della commissione Bilancio del Senato, Antonio Azzollini (Ncd). L’emendamento prevedeva, tra l’altro, la rivalutazione fino a 4 volte il trattamento minimo Inps, e il prelievo di solidarietà del 5% sugli assegni d’oro oltre i 90mila euro annui a salire.

Stato persecutorio verso i pensionati?

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E’ Franco Abruzzo, giornalista che ha lavorato con il Sole 24 Ore e per Il Giorno, a puntare il dito contro le parole di Carlo Cottarelli:

Pensioni d’oro, pensioni d’argento, pensioni e basta. Lasciate in pace i pensionati. Carlo Cottarelli dia la caccia agli evasori e ai patrimoni mafiosi, non diventi un ennesimo persecutore di pensionati. Questo è lo slogan della petizione che ho lanciato tramite http://www.avaaz.org, indirizzata al Parlamento e al Governo.

Poi prosegue:

Cari amici, spero vorrete firmare la petizione. Si chiama: “Appello al Parlamento e al Governo: lasciate stare i pensionati, hanno già dato in tasse e contributi”.

È una questione molto importante per tanti cittadini e insieme possiamo fare la differenza! Se la firmerete e poi la condividerete con i vostri amici e contatti, riusciremo presto a ottenere il nostro obiettivo di 1000 firme e potremo cominciare a fare pressione per ottenere il risultato che vogliamo. Cliccate qui per saperne di più e per firmare:

Campagne come questa partono sempre in piccolo, ma crescono se persone come noi si attivano: vi prego di dare una mano firmando e diffondendo subito la voce. Il ricorso al passaparola è efficace!!!

Chi difende i pensionati?

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L’autunno caldo, o meglio l’inverno di fuoco. C’è chi in Italia ha iniziato a puntualizzare e a far venire al pettine i nodi, ma soprattutto le differenze tra pensioni d’oro e pensioni sudate, tra chi ha usufruito di scivoli e chi invece ha costruito anno dopo anno la propria pensione. Così Franco Abruzzo nominato presidente del “Movimento nazionale pensionati per l’Italia”, prova a chiarire il concetto:

Lo sport nazionale è quello di colpire i pensionati, che hanno costruito il loro reddito con il lavoro, mentre il Governo Letta/Alfano e il Pd afflitto da populismo e demagogia nulla dicono sullo Stato che riesce a incassare solo 69 miliardi dei 737 miliardi di tasse accertate e notificate.

L’ultima è di queste ore.

Aumenteranno benzina e gasolio perché lo Stato non è il grado neppure di farsi pagare dai bicazzieri legalizzati concessionari di slot machine il dovuto di multe su cui Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni avevano già fatto lo sconto del 70%, accontentandosi di 233 milioni invece del miliardo e 165 milioni dovuti.

La cifra cui ha rinunciato lo Stato, oltre 900 milioni, in un colpo solo è ben superiore a qualsiasi contributo di solidarietà eppure i biscazzieri non sono contenti e vogliono lo sconto dell’80%.

Cosa fa Letta senza attributi? China la testa e sevizia i pensionati che non si sanno difendere. Altro che palle d’acciaio, qui siamo a canne al vento.

Invece serve una politica “MANETTARA” contro evasori, mafiosi e percettori di redditi clandestini, che succhiano ogni anno 500 miliardi di euro ai cittadini onesti. Gli espropri proletari sono una brutta pagina della cronaca italiana”.

Mentre il Tribunale di Palermo ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del blocco della perequazione automatica delle pensioni superiori a tre volte il minimo Inps ordinando la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, il Governo Letta/Alfano e il Pd si apprestano a colpire le pensioni costruite con il lavoro con un prelievo bocciato dalla Corte costituzionale, mentre nulla decidono sul fronte della battaglia contro gli evasori/ladri, contro i mafiosi e contro i percettori di redditi clandestini, una miniera calcolata dalla Banca d’Italia in almeno 500 miliardi di euro.

Il Governo e i gruppi parlamentari nulla hanno previsto sul fronte repressivo contro chi ruba al Popolo italiano. L’ultimo scandalo romano dell’Atac e il contemporaneo aumento del costo delle pensioni della casta suggeriscono una politica altamente repressiva. Servono una politica “MANETTARA” contro chi succhia miliardi di euro ai cittadini onesti e una politica di scelte concrete e di immediata efficacia in direzione del potenziamento al cubo delle attività della Direzione delle entrate, della Guardia di Finanza, dei Carabinieri e della Polizia di Stato. I gruppi parlamentari non dicono nulla sullo Stato che riesce a incassare solo 69 miliardi dei 737 miliardi di tasse accertate e notificate”.

La Corte costituzionale, con la sentenza 116/2013, ha cancellato i tagli alle pensioni sopra i 90 mila euro, perché la normativa rappresentava “un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini (i pensionati)”. In sostanza se lo Stato ha bisogno DI RISORSE ECONOMICHE devono pagare tutti, pensionati e lavoratori attivi.

Non è più possibile mettere sotto torchio soltanto i pensionati. L’assunto è semplice e chiaro. E’ una perdita di tempo, quindi, discutere su quali e quanti tagli effettuare in danno dei pensionati. Lo Stato deve scegliere gli obiettivi per far cassa utilizzando soprattutto l’arma della confisca in tempi rapidissimi. Qualcuno dovrebbe sottolineare al Governo Letta/Alfano e al Pd:

a) che l’uguaglianza di trattamento è un valore costituzionale fondamentale tra cittadini in quiescenza e cittadini in attività;

b) che LO STATO PUO’ RECUPERARE I QUATTRINI UTILI AL RILANCIO DELL’OCCUPAZIONE E DELLO SVILUPPO COLPENDO LE MAFIE E I LADRI (=EVASORI).

I signori parlamentari del Pd non HANNO DISTINTO LE pensioni costruite con il lavoro da quelle frutto di leggi e leggine ad personas. Sparare sul mucchio è molto facile, ma non è equilibrato e giusto. Gli espropri proletari sono una brutta pagina della cronaca italiana.

Il sogno di Grillo… reddito di cittadinanza, la politica l’ignorerà?

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Nonostante ci sia ottimismo in casa 5 stelle sembra proprio che l’emendamento del reddito di cittadinanza, fissato a 600 euro e integrazioni per chi non arriva a tale somma, presentato dai pentastellati e discusso sul blog dagli inscritti al portale entro il 30 giugno sia destinato all’oblio. La politica ha già risposto alla proposta del Movimento 5 Stelle con il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, che ha respinto al mittente la proposta con toni particolarmente duri. “Le balle di Grillo sono sempre più grosse. Il nuovo che avanza”.

La proposta però prevedeva anche le coperture necessarie con tagli al ministero della Difesa e alle pensioni d’oro, ma risorse anche dall’Imu sugli immobili che fanno capo alla Chiesa.

L’esponente di governo del Pd si spiega, punto per punto. “Il costo complessivo supera, secondo le valutazioni più prudenti, i 30 miliardi di euro all’anno. La cosiddetta ‘copertura’ – secondo il M5S – arriverebbe dal taglio delle pensioni d’oro, dall’Imu sui beni della Chiesa e dal taglio delle spese militari. La prima voce, anche nell’ipotesi di considerare ‘d’oro’ le pensioni superiori a 3500 euro netti mensili, implica risparmi di alcune centinaia di milioni di euro all’anno”.

“L’eventuale Imu sui beni della Chiesa utilizzati per attività miste – prosegue Fassina – porterebbe un gettito aggiuntivo di alcune decine di milioni di euro all’anno. Infine, l’azzeramento delle spese militari, non soltanto gli F-35 ma tutto, proprio tutto, a parte il ‘dettaglio’ dell’impossibilità di utilizzare risorse in conto capitale per finanziare spesa corrente, libererebbe circa 3,5 miliardi all’anno”.

“In totale, in una generosissima valutazione, si arriverebbe intorno a 4 miliardi disponibili soltanto per alcuni anni. Un decimo di una prudente previsione di spesa”.

“Finalmente ce l’abbiamo fatta – annuncia trionfante il deputato stellato Marco Baldassare, in un video diffuso in rete – dopo mesi di confronto con cittadini, esperti, associazioni”. “Servono parecchi soldi e noi li troviamo – gli fa eco il collega Daniele Pesco – tagliandoli al ministero della Difesa, tagliando le pensioni d’oro, facendo pagare l’Imu alla Chiesa e ottenendo nuove risorse dal gioco d’azzardo”.

Su Twitter, il leader di Sel Nichi Vendola: “Anche M5S dopo Sel presenta proposta per reddito minimo? Bene. Una legge giusta che Parlamento ora può votare, perché una maggioranza è possibile. Il reddito minimo garantito può essere uno strumento contro la solitudine di una generazione prigioniera dell’ergastolo della precarietà e della disoccupazione di massa”.

Ipotesi sulle pensioni? Tartassare i più ricchi?

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Mercoledì si entrerà nell’Aula del Senato per iniziare a votare gli emendamenti alla Legge di Stabilità. Il gruppo maggiore di emendamenti riguarda le pensioni. In particolare si punta al ripristino dell’indicizzazione per quelle sopra i 1500 euro. ma non è la sola modifica che si vuole effettuare: Come scrive Mario Sensini,

“Tutti puntano ad evitare un’eccessiva penalizzazione su quelle di importo più basso. Il Pdl vorrebbe far scattare il blocco dell’indicizzazione solo per le pensioni oltre 6 volte il minimo, e solo per i pensionati che hanno meno di 68 anni. Anche il Pd chiede di reintrodurre l’indicizzazione piena sulle pensioni più basse, sopra 1.500 euro, ma suggerisce di compensare i costi con un maggior prelievo sulle pensioni d’oro (oltre i 90 mila euro annui)”.

Conferma Salvatore Cannavò sul Fatto:

“l Pd ha deciso di presentare diversi emendamenti alla legge di Stabilità tra cui quelli sulle pensioni: recupero della deindicizzazione del quarto, quinto e sesto scaglione pensionistico (da 2.000 a 3.000 euro), e allargamento della platea degli “esodati” da salvaguardare. A pagare dovrebbero essere le “pensioni d’oro” con la riduzione da 150 a 90mila euro della soglia oltre la quale versare il contributo di solidarietà del 5% e oltre”.

Naturalmente escluse pensioni e vitalizi di parlamentari, consiglieri regionali.

Vittoria del Pdl, nessun contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro

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Si è andato avanti, si sono trovate nuove ipotesi, ma poi la misura è stata nuovamente eliminata. E’ passata la linea del Pdl, che con  Angelino Alfano e Gaetano Quagliariello aveva detto “no” fin dall’inizio. L’unico prelievo aggiunto così resta quello del 3% sui redditi superiori ai 300 mila euro lordi l’anno che sarà prorogato fino al 2016. 

Quando scatta il prelievo sulle pensioni d’oro?

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L’interrogativo c’è: oltre i 150 o i 300 mila euro scatterà il prelievo per le pensioni d’oro? Tutto sarà deciso in Parlamento per il momento c’è solo un elastico che si tende pronto a scagliarsi contro un diritto acquisito. Intanto però i media fanno varie ipotesi. C’è chi ritenga che alla fine ci sarà un prelievo progressivo che partirà da un 5% se si supereranno i 150mila euro annui, per poi salire al 10% se si toccheranno i 200mila euro fino a raggiungere la vetta del 15% per le pensioni che supereranno i 250mila euro, e c’è chi invece già sostiene che quel provvedimento il Parlamento lo cancellerà. L’escamotage però si era trovato per aggirare il divieto della Corte Costituzionale, e facendo passare il tributo come trattenuta Inps si può a questo punto immettere, cambiando nome (come sempre avviene in Italia) il principio che già era stato bocciato. Si perderà davvero la “ghiotta” l’occasione di mirare a un po’ di sano populismo nell’ottica anche di avere qualche voto in più se davvero ci sarà la crisi di governo che molti intravvedono all’orizzonte?

 

Quei contributi figurativi che riducono le pensioni

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Si chiamano contributi figurativi e minano l’assegno pensionistico. Cosa sono? Ad esempio le assenze per donare il sangue o anche per svolgere un servizio sociale. Come racconta il Sole 24 Ore:

A scoprire in prima persona gli effetti delle nuove regole sono state decine di donatori volontari del sangue, che nelle scorse settimane hanno avviato i conteggi per accedere alla pensione anticipata, verificando che i giorni non lavorati perché dedicati alla donazione non vengono calcolati. Già con un parere dell’ottobre 2012, la gestione ex Inpdap, aveva precisato che la presenza di contribuzione utile ai fini del diritto al trattamento di quiescenza relativa ad assenza diverse da quelle previste dalla norma, poiché non costituisce prestazione effettiva di lavoro, comporta l’applicazione delle riduzioni percentuali.Tale interpretazione, in linea con il tenore letterale della norma, comporta oggettive difficoltà applicative, soprattutto nel pubblico impiego, dove non sempre risulta possibile avere una situazione storica di tutte le tipologie di assenze effettuate dal lavoratore nel corso dell’intera vita lavorativa.

Per queste persone quindi i contributi non verrebbero conteggiati e non sarebbe quindi consentito di andare in pensione anticipata entro il 2017 senza la decurtazione dell’assegno. I dubbi sono sorti e con loro le polemiche tanto che l’Inps ha richiesto ed è in attesa del parere di due ministeri. Questo è l’ennesimo nodo “opaco” della riforma Fornero che prevede decurtazioni per chi accede alla pensione anticipata (cioè prima dei 62 anni) con elevata anzianità contributiva. Decurtazioni che non valgono per chi matura i requisiti contributivi entro il 2017, a patto che l’anzianità contributiva sia determinata da prestazione effettiva di lavoro.

E i donatori di sangue sembra che abbiano invece fatto assenze ingiustificate? Speriamo che si arrivi presto a un chiarimento!

Se crolla il governo che ne sarà di pensionati, esodati e cig?

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Cosa ne sarà di pensionandi, pensionati, esodati e cassaintegrati se cade il governo Letta? La riforma Fornero non funziona e questo è un dato di fatto, ma ci sarà il tempo per apportare le modifiche? Molto si cercherà di fare con la legge di stabilità che verrà presentata al Parlamento in ottobre… sempre che il governo regga fino a quella data. Giovannini promette anche misure di contenimento del cuneo fiscale. E il lavoro? Con il governo che è in disequilibrio costantemente sono molti gli interrogativi che per il momento ancora non hanno risposte.

IlSussidiario.net ha riportato quanto dichiarato nell’intervista da Silvano Moffa, ex Presidente della Commissione Lavoro della Camera:

Cosa rischiano pensionati, pensionandi, esodati, cassaintegrati se cade il governo Letta?

In queste settimane stanno venendo a galla tutte le incognite della riforma Fornero. E che fine farà il taglio delle pensioni d’oro su cui pure si è impegnato il governo ma che ha già ottenuto un primo stop dalla Corte costituzionale perché va a toccare i diritti acquisiti dei lavoratori? Tutto dipenderà dalla legge di stabilità che verrà presentata alle camere a ottobre. Sempre che l’attuale governo sia ancora in carica. Secondo il ministro Giovannini, la legge di stabilità conterrà anche misure per il contenimento del cuneo fiscale. IlSussidiario.net ne ha parlato con Silvano Moffa, ex Presidente della Commissione Lavoro della Camera.

Se cade Letta che ne sarà della riforma pensioni? Esodati e cassa integrazioni rimarranno senza copertura? Che fine farà il taglio delle pensioni d’oro?

Non so se il governo cadrà, nonostante le fibrillazioni di questi giorni. Sul fronte delle convenienze reciproche credo che alla fine ci sia un interesse comune dei due poli a tenere in piedi l’attuale esecutivo. Tuttavia, se dovesse cadere sicuramente ci sarà un rallentamento del processo di riforma della riforma, per il recupero delle parti dannose che la riforma Fornero ha introdotto.

Solo un rallentamento?

Secondo me sì, anche perché ci saranno ulteriori passaggi che debbono essere fatti all’interno della finanziaria. È lì che bisognerà trovare le risorse aggiuntive necessarie.

Come giudica l’operato del governo sul tema delle pensioni?

Guardi, già all’epoca del governo Monti, attraverso la Commissione Lavoro della Camera, chiedemmo di impostare un percorso completamente diverso. E in parte riuscimmo a sanare la questione “esodati”. Ovviamente questi temi oggi sono tornati in primo piano.

Qual è l’argomento più urgente da affrontare?

Tutto quello che si riesce a fare per recuperare un equilibrio su un tema così fortemente sbilanciato è positivo. La riforma del lavoro ha infatti ridotto l’area della flessibilità in entrata con conseguenze pesantissime sulla disoccupazione giovanile, con molti contratti a termine che non sono stati rinnovati. A suo tempo dicemmo: attenzione, in questa maniera avete preso come bersaglio la precarizzazione, ma di fatto avete fatto scomparire dal mercato le prime opportunità di lavoro che si presentano a un giovane. In più…

In più?

Il governo si è assunto l’onere di risolvere definitivamente il problema degli esodati esploso a suo tempo e parzialmente tamponato. Con la prossima legge di stabilità dovrà dire in che maniera intende farlo.

Con la legge di stabilità il governo vorrebbe addirittura ridurre il cuneo fiscale…

Non c’è dubbio che bisogna ridurre il cuneo fiscale per andare incontro alle esigenze delle imprese e dei lavoratori. Però, anche qui, il governo dovrà dire con quali risorse intende perseguire questo obiettivo.

È d’accordo con l’idea di introdurre una maggiore flessibilità in uscita per chi è prossimo alla pensione?

Assolutamente sì. È esattamente l’equilibrio che cercavamo di offrire alla Fornero quando proponevamo maggiore flessibilità in entrata e di rendere meno rigido il mercato in uscita. Che significava liberare il mercato del lavoro da tanti vincoli che ne bloccavano l’espansione. Questo purtroppo non è avvenuto: abbiamo mantenuto un mercato rigido con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Cosa ne pensa dell’idea del ministro Giovannini di dare un acconto sulla pensione a chi perde il posto quando è a pochi anni, due o tre, dal traguardo?

In questo modo si cerca di recuperare almeno in parte il danno causato dall’allungamento dell’età pensionabile creando una sorta di scivolo, con un’anticipazione. Voglio solo sottolineare il fatto che stiamo parlando di risorse che appartengono ai lavoratori: non stiamo regalando niente. Stiamo solo accorciando i tempi. In una situazione congiunturale sfavorevole come quella attuale può essere una boccata d’ossigeno. Ma non mi sembra una riforma sistemica del nostro sistema pensionistico.

Giusto il taglio delle pensioni d’oro?

Guardi, a suo tempo cui fu una discussione abbastanza accesa sull’argomento. C’era chi diceva che bisognava ridurle non tenendo conto che si tratta di diritti acquisiti. Altri, come me, dicevano invece: attenzione, mettendo in discussione diritti acquisiti rischiamo di andare a scontrarci con norme di rango costituzionale. Cosa che è puntualmente avvenuta. Quando ero Presidente della Commissione Lavoro, assieme al collega della Commissione Affari istituzionali, mettemmo chiaramente in luce il rischio di incostituzionalità di quella norma.

Sta dicendo che le pensioni d’oro non si possono tagliare?

No, non sto affatto dicendo questo. Si può fare introducendo un elemento di solidarietà, una sorta di bonus di solidarietà che può essere richiesto per un certo numero di anni a chi gode di pensioni fuori dall’ordinario tanto sono elevate. Chiedere a chi oggi si trova in condizioni di maggior benessere, addirittura di una ricchezza oltremisura, un atto di solidarietà mi sembra giusto. Non solo. Sarebbe un obiettivo più facilmente perseguibile e non attaccabile sotto il profilo della norma costituzionale.

Quando andranno in pensione gli insegnanti?

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Da una parte gli esodati dall’altra i cosidetti “quota 96” poi ci sono gli insegnati  vittime anche loro della riforma Fornero che nonostante avessero richiesto la pensione si sono ritrovati senza requisiti per ottenerla. E chi sperava di trovar risposte nell’ultimo atteso decreto legge sulla scuola è rimasto deluso perché di loro non è stata fatta menzione. Insomma fantasmi invisibili a cui i diritti come lavoratori non sono stati riconosciuti. I pensionati della scuola restano infatti bloccati in servizio dalla legge Fornero… ma che insegneranno se alcuni di loro sono distratti e divisi tra la rabbia di non poter andare in pensione e ‘impotenza di veer riconosciuto il loro diritto di lavoratori?

Manuela Ghizzoni, deputata Pd, aveva sollevato il problema da tempo la questione e aveva parlato di “schiaffo ai diritti dei lavoratori”. Poi, con la presentazione del decreto, è arrivata la conferma.

I pensionandi restano bloccati in servizio dalla Fornero, che ha abolito la “quota 96” da cui prendono nome. Prima del provvedimento varato dal governo Monti, infatti, il requisito per andare in pensione nel mondo della scuola era il raggiungimento di questa cifra, tra età anagrafica e contributiva (partendo da un minimo di 60 anni di età e 35 di servizio). Molti docenti, a ottobre 2011, avevano già fatto domanda di pensionamento perché avrebbero conseguito la quota entro la fine dell’anno scolastico. Ma la riforma Fornero ha azzerato tutto: alcuni di loro (specie fra gli uomini) adesso dovranno aspettare anche 5-6 anni.

Il Partito Democratico si era fatto carico della questione, facendone addirittura uno dei punti del programma di governo per il settore scuola: “Occorre permettere il pensionamento di quanti (docenti e Ata) sono rimasti ‘impigliati’ nella riforma Fornero, in particolare sanando l’ingiustizia subìta dai lavoratori della scuola della cosiddetta quota 96”.

Ma perché non mandarli in pensione? Per una questione meramente economica che al momento non è quantificabile, ma se solo si calcolano quelli stimati dal Miur e quindi si ritiene vero il dato di almeno 3500 professori prossimi alla pensione, si capisce che non è sopportabile per lo stato italiano tale somma.

 

Bella ciao… ovvero ecco come cambiano le pensioni per alcuni settori!

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Pensioni che tutelavano i lavori più pesanti come quelli dei marittimi, poligrafici o degli sportivi oppure quelli in cui l’età ha un ruolo determinante come nel mondo dello spettacolo per gli attori, i ballerini e cantanti verranno modificate con una nuova legge che dovrebbe arrivare in Consiglio dei Ministri, lunedì 9 e trovare applicazione già dal 1° gennaio 2014. Saranno così chiuse le vecchie “finestre mobili” e arriveranno i nuovi requisiti. Naturalmente sono salvi però i comparti della Difesa e Sicurezza e i Vigili del Fuoco che se inclusi nel provvedimento avrebbero accresciuto notevolmente il risparmio della spesa pubblica. Il provvedimento invece così come arriverà in aula farà risparmiare 526,4 milioni di euro.  Lo stesso Sole 24 ore in un articolo a firma di Davide Colombo afferma:

“È facile immaginare come sarebbero cresciuti i risparmi sulla spesa pensionistica con l’inclusione anche di questi comparti che, nel loro insieme, contano su circa 500mila addetti, pari al 15% dei dipendenti pubblici”.

Ma come cambieranno le regole del pensionamento? Per i marittimi la pensione di vecchiaia scatterà con 5 anni di anticipo:

“Per i marittimi il diritto alla pensione di vecchiaia arriva con cinque anni di anticipo rispetto ai requisiti anagrafici generali, mentre per l’anzianità speciale riconosciuta a chi ha almeno 10 anni di “effettiva navigazione” o di “servizio di macchina” o di “stazione radiotelegrafica”, dai 56 anni (con 20 di contributi) si passerà dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2017 a 57 anni, mentre dal 2018 si salirà a 58 anni”.

Nel mondo dello spettacolo invece cambiano le regole per ballerini, attori e cantanti:

“Per ballerini e tersicorei l’età di pensionamento di vecchiaia sale di un anno, da 45 a 46, mentre per gli attori è previsto l’aumento da 63 a 64 anni, sempre dal 1° gennaio prossimo. Le attrici vedranno cambiare i requisiti anagrafici con più gradualità: un anno ogni due, per allinearsi all’età pensionabile degli uomini nel 2022. Adeguamento anche per i cantanti con il sistema di calcolo misto della pensione: andranno in vecchiaia a 61 anni, da gennaio, gli uomini mentre per le donne c’è una scalettatura da 57 a 61 sempre entro il 2022″.

L’adeguamento per gli sportivi professionisti è anch’esso previsto entro il 2022:

“Alla stessa data è previsto l’allineamento graduale uomo-donna per gli iscritti al fondo sportivi professionisti: a 53 anni gli uomini subito, da 49 a 53 le donne”.

Il nuovo sistema poi riguarderà anche i poligrafici delle aziende in crisi:

“Per i lavoratori poligrafici di aziende in crisi, infine, il prossimo gennaio passa da 32 a 35 anni il requisito contributivo necessario per il ritiro anticipato, venendo a cadere il vecchio abbuono di tre anni. Il requisito contributivo sale ulteriormente a 36 anni nel 2016 e 37 anni nel 2018″.

Ma non si configura la disparità giuridica fra differenti soggetti dello Stato uniti dalla qualifica di lavoratori?

La Polonia nazionalizza le pensioni private. Accadrà anche in Italia?

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La Polonia non è il primo Paese ad aver deciso di nazionalizzare la previdenza privata, prima di lei erano giunte alla stessa conclusione anche l’Argentina e l’Ungheria. La “mossa” permette di ridurre il debito pubblico e nel caso della Polonia questo verrà ridotto di ben l’8%.

Accadrà anche in Italia? Come si legge sul Sole 24 Ore:

La possibilità di individuare forme per annettere al bilancio dello Stato parte se non tutto il patrimonio della previdenza privata, è stata occasione di ipotesi anche nei corridoi dei palazzi italiani: si va dall’annessione dei titoli di debito sovrani, come accaduto in Polonia, alla creazione di vincoli di portafoglio, passando dall’imposizione – per gli strumenti di primo pilastro – di una tassazione da strumento speculativo, non conforme con gli obiettivi previdenziali…

I fondi pensione complementari italiani, in particolare, presentano costi particolarmente bassi se confrontati con quelli di analoghi strumenti europei e con rendimenti medi che negli ultimi otto anni – crisi compresa – hanno battuto quello dei Tfr, alternativo nelle scelte dei lavoratori italiani. Il fianco scoperto del sistema italiano di secondo pilastro è rappresentato dalla gestione prudente – che impedisce per esempio di investire in paesi considerati nel 1996, epoca della definizione del decreto che stabilisce i criteri di investimento – “rischiosi”; Cina, Brasile, Russia compresi; dall’altra l’alta esposizione in titoli di Stato in particolare italiani, per quasi 30 miliardi di euro: titolo il cui merito di credito è sceso complice i declassamenti delle agenzie di rating, tanto da spingere le autorità di vigilanza ad invitare a prendere “con le pinze” le indicazioni relativi alle soglie minime. E infine, oltre al “pericolo polacco”, sono da considerare le condizioni fiscali dei fondi pensione: divenuti particolarmente convenienti negli ultimi due anni a causa dell’inasprimento dell’imposizione fiscale di altri strumenti utilizzati analogamente come forma di risparmio di lungo termine: da una parte il recentissimo decreto 102 che taglia le detrazione per le polizze Vita e dall’altra l’imposta definita dal decreto Salva Italia dello 0,15% sul totale affidata in gestione a fondi comuni, Etf, gestioni finanziarie.

Gli statali costano troppo… in pensione per decreto!

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Gli statali che lavorano fino a 70 anni costano troppo e così arriva il decreto per mandarli in pensione.

Il decreto legge 101/2013 contiene una norma che obbliga la pubblica amministrazione a pensionare tutti i dipendenti che ne abbiano maturato i requisiti entro il 2011, facendo salvi i limiti previsti nei diversi ordinamenti. In questo modo vengono tagliati tutti i contenziosi che si erano aperti fra gli enti pubblici e quei dipendenti – soprattutto alti dirigenti e professori universitari – che vogliono restare al lavoro fino a 70 anni.

Il decreto 101,  che tra l’altro allunga fino a tutto il 2015 la validità dei requisiti pensionistici pre riforma Fornero, consentirà di mandare in pensione il personale in soprannumero nella pubblica amministrazione. Si dà forza di legge primaria a quello che, spiega Marco Rogari sul Sole 24 Ore, era:

“un dispositivo che era già stato espresso in una circolare (la n. 2/2013) dal Dipartimento Funzione pubblica, condiviso dai ministeri dell’Economia e del Lavoro, ma che poi annullata dal Tar Lazio (n. 2446/2013). Bisogna insomma evitare che il contenzioso che s’è aperto dopo il varo della riforma delle pensioni si consolidi con danno economico per amministrazioni obbligate a gestire al ribasso il costo del personale”.

Con l’applicazione della Legge Fornero si era infatti creato un blocco per le amministrazioni che da una parte non riuscivano a pensionare i dipendenti che erano costretti a rimanere sino a tarda età sul posto di lavoro, dall’altra però avevano l’esigenza di fare spending review e quindi pensionare chi alle soglie della pensione aveva avuto un aumento di stipendio grazie agli scatti di anzianità di servizio. Le amministrazioni pubbliche quindi si trovavano a dover pagare stipendi più alti a persone che erano costrette a rimanere sul posto di lavoro.

Non è un caso che in media vadano in pensione più tardi quelli che hanno gli stipendi più alti:

“A impugnare gli atti di pensionamento sono soprattutto alti dirigenti e professori universitari, che per resistere alla procedura di collocamento a riposo avevano opposto l’articolo 24 comma 4 del decreto “Salva Italia”. […]

Nel 2012, stando ai dati forniti dall’Inps nell’ultimo Rapporto annuale sulle nuove pensioni ex Inpdap, sono state 109.076 le nuove pensioni. La Cassa dov’è stato registrato il più alto numero di nuove liquidazioni è quella dei trattamenti pensionistici statali (58%) seguita dalla Cassa pensioni dipendenti degli enti locali (38%). […] Se si guarda agli importi complessivi dei nuovi assegni erogati dall’Inps ad ex dipendenti pubblici – intesi come media delle prestazioni dirette e indirette – si scopre che questi variano dai 4.549 euro mensili per la Cassa pensioni sanitari (sono il 3% delle nuove prestazioni sorte nel 2012) ai 1.502 euro mensili della Cassa pensioni insegnanti. Gli importi medi più elevati si registrano nell’ambito della magistratura (8.225 euro mensili), settore seguito dall‘Università (3.546 euro) e delle Forze Armate (2.614 euro). Ma se in quest’ultimo caso l’età media alla decorrenza del pensionamento è attorno ai 59 anni, per i magistrati si sale al 68,7 mentre per l’Università a 65,1. Solo per il personale delle aziende autonome (1.311 pensionamenti l’anno scorso) si è riusciti ad andare oltre, con un’età media al momento dell’incasso del primo versamento Inps di 72,2 anni”.

Passo dopo passo verso la pensione… con il prestito: ecco la nuova riforma!

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Archiviata la proposta Damiano – che prevedeva un’età di pensionamento flessibile tra 62 e 66 anni con tagli sull’assegno previdenziale dal 2% all’8% – perché ha costi troppo elevati, ora il ministro del lavoro, Enrico Giovannini prova a gettare l’asso e ha fare un poker che potrebbe essere la giusta quadratura per riformare la Legge Fornero e contenere allo stesso tempo i costi.

Il ministro, al Sole 24 Ore, ha parlato di “uno schema per cui, supponiamo, chi è a due o tre anni dal pensionamento e lascia il lavoro potrebbe per tale periodo ricevere un sostegno economico che poi dovrà ripagare negli anni successivi: si tratterebbe di una sorta di prestito, senza costi aggiuntivi sul sistema pensionistico”.

Le parole di Giovannini, in pratica, lasciano intendere che i lavoratori potranno anche lasciare il posto prima del raggiungimento dell’età anagrafica previsto dalla Fornero, ma non a spese dello Stato. In pratica otterrebbero dalla mano pubblica (probabilmente dall’Inps) un anticipo in forma di prestito della loro pensione, da restituire però negli anni attraverso un successivo taglio del futuro assegno previdenziale.

Ma cosa può comportare questo tipo di riforma? Uno degli esempi più banali potrebbe essere quello di un pensionato che si ritrova a restituire, attraverso il taglio dell’assegno previdenziale, il prestito di cui ha usufruito man mano che va avanti con l’età e che probabilmente i costi della salute aumentano e l’inflazione preme. Inoltre chi risarcirebbe il prestito in caso di morte del pensionato?

Il ministro è poi tornato a parlare delle pensioni d’oro, quelle superiori ai 20 mila euro  al mese e ha ribadito che Nessun riequilibrio del sistema previdenziale,   può essere effettuato esclusivamente intervenendo su questi assegni, poiché il numero di pensionati d’oro è davvero esiguo.

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Dalla riforma delle pensioni d’oro ora si passa a quella delle pensioni di latta!

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La lunga intervista del ministro Enrico Giovannini interessa gran parte degli italiani perché sono stati toccati i temi bollenti che rischiano di far esplodere un autunno caldo: le pensioni d’oro, la legge Fornero, il lavoro, la disoccupazione, la giustizia sociale.

Il primo tema, quello a lungo dibattuto, che in questi giorni sembra essere diventato uan pallina da ping pong che rimbalza sui tavoli della politica, è quello delle pensioni d’oro. Enrico Giovannini oggi, a sorpresa, fa traghettare il discorso dalle pensioni d’oro a quelle di latta. Quindi non più detrarre una parte del diritto acquisito a chi ha una pensione di un certo rilievo economico, ma piuttosto andare a innalzare chi ha una pensione troppo bassa.

“È vero, ma il grande tema non sono le pensioni d’oro, ma le tante persone che hanno pensioni di latta. Il problema delle pensioni d’oro riguarda relativamente poche persone, ed è un problema di giustizia sociale. Ma pensare che intervenire semplicemente sulle pensioni altissime riesca a finanziare un’azione fortemente perequativa per le pensioni più basse, semplicemente non è nei numeri. La quantità di denaro che si risparmierebbe è insufficiente a compensare i milioni di pensionati che percepiscono importi molto bassi”. Così Giovanni si è espresso sul tema delle pensioni d’oro.

Ma allora occorre ripensare al sistema pensionistico nel suo insieme?

“Questo governo non ha intenzione di intervenire sulla riforma già fatta. Bisogna affrontare il tema delle pensioni d’oro per poi decidere cosa fare del frutto di questo intervento. Dopodiché dobbiamo anche capire cosa sia una pensione d’oro”.

Avete fatto una stima di quante siano complessivamente?

“I dati di Istat e Inps sono facilmente consultabili. Ha destato molta impressione la lista dei primi dieci, che arrivano a percepire 91mila euro al mese. Parliamo di decine, o di centinaia di persone, a seconda di dove si fissa l’asticella. Si capisce bene che un intervento su centinaia di persone non è sufficiente per cambiare la situazione, sono due problemi diversi”.

Quindi cosa serve?

“La vera questione è che se un sistema economico non cresce, se i giovani di oggi hanno carriere lavorative molto discontinue – e quindi avranno pochi contributi – tutto ciò genererà pensione ancora più basse nel futuro. Questo è il problema che ci dobbiamo porre: da un lato per accelerare la crescita, dall’altro per aumentare il lavoro a tempo indeterminato o continuativo, per assicurare nel futuro pensioni adeguate. In tanti tra quelli che oggi hanno pensioni molto esigue sono già oggi a rischio povertà”.

Quando inizierete a mettere mano al problema?

“Ci stiamo lavorando. Nel corso del mese di settembre concluderemo il lavoro e valuteremo se inserire qualche elemento nella legge di stabilità o fare un provvedimento diverso. Ma questo è solo un pezzo del puzzle, legato poi al tema degli esodati e ad una serie di manutenzioni sul sistema pensionistico che vanno fatte, senza per questo stravolgerlo”.

Con quale tempistica si risolverà il problema degli esodati?

“Speriamo entro settembre”.

Avete intenzione di intervenire anche sul cuneo fiscale per ridurlo?

“È un impegno del presidente del Consiglio. Nella legge di stabilità vedremo quel che sarà possibile fare in termini di compatibilità finanziaria. Probabilmente non si risolverà tutto in un anno, ma ci stiamo lavorando”.

Qualcuno parla dell’intenzione del governo di fare un tagliando alla legge Fornero.

“Stiamo incontrando avvocati che gestiscono i contenziosi sul mercato del lavoro, perché ci sono delle critiche rispetto ad alcuni aspetti operativi delle cause lavoristiche che determinano incertezza dei tempi della giustizia, mettendo in difficoltà le imprese. Non siamo intervenuti su questo aspetto con il decreto lavoro, ma è uno dei problemi che ci stiamo ponendo. Ci saranno alcuni interventi in futuro, su questo e su qualche altro tema, dalla prossima settimana inizieremo a rifletterci”.

Per esempio?

“Altre questioni rispetto alle quali abbiamo già avviato il lavoro, a partire dalla riforma del sistema dell’impiego. Una riforma strutturale indispensabile in questo paese – sulla quale siamo già al lavoro – la cui mancanza ha fatto sì che pochissime persone arrivano nel mondo del lavoro attraverso il sistema dell’intermediazione pubblica, mentre in altri paesi è avviato e mette perfettamente in collegamento domanda e offerta”.

Statali a rischio? In arrivo tagli per il pubblico impiego?

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Sembra che la spending review debba anche interessare i dipendenti pubblici. Il Governo è pronto a varare un piano che prevede un taglio di 200mila unità. Se si considera che complessivamente lo stato a 3 milioni di addetti si capisce la dimensione del provvedimento. Chi sarà colpito? L’idea è quella di mandare in pensionamento anticipato gli over 57 e risparmiare circa 2 miliardi di euro. Quindi si punterebbe su una riforma che andrebbe davvero controtendenza rispetto alla legge Fornero. Il punto d’incontro, forse, potrebbe essere quello di una promessa di ulteriori tagli più legati a superpensioni, consulenze e sprechi: che, specie secondo il leader della Cisl Bonanni, rappresentano il vero, grande problema della Pubblica Amministrazione. Naturalmente si rivedere gli stipendi dei manager pubblici non se ne parla. Si può intervenire su chi ha maturato un diritto acquisito? Con i Governi che si susseguono in forte successione, gli italiani non riescono più a progettare un futuro: dall’innalzamento dell’età pensionabile ora si va al prepensionamento? Naturalmente, tutto sulla pelle dei cittadini in balia delle idee del politico di turno.

 

Attacco alla Corte Costituzionale? Trema l’Italia

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Se mezzo milione di italiani trema ( ma neppure più di tanto essendo quelli con un reddito superiore ai 90 mila euro) chi invece dovrebbe tremare è l’intero popolo italiano. La Corte Costituzionale si è pronunciata infatti sul “contributo di solidarietà” applicato sugli stipendi pubblici sopra 90 mila euro e poi quello sulle pensioni dello stesso livello e ha dichiarato l’incostituzionalità del prelievo. Ora un fronte compatto che va da Fratelli d’Italia alla sinistra vuole che la Corte Costituzionale ritorni a pronunciarsi su questa sentenza, adducendo che la Consulta si è pronunciata su richiesta di magistrati in genere “interessati” direttamente al problema.

Sarebbe una disparità tra cittadini e quindi  tacciabile di incostituzionalità  se a un magistrato a causa della sua professione  si vietasse  far valere i suoi diritti reagendo  a un’eventuale ingiustizia di cui si sente vittima. Tale motivazione a non accettare  la  sentenza si  presenta come  una palese  diseguaglianza tra cittadini. Inoltre,  un tale comportamento  si potrebbe configurare  anche come   un tentativo di  vera  e propria pressione  sulla Corte Costituzionale, chiedendo a un organo indipendente dal potere politico di  farsi  condizionare dallo stesso,  tornando di nuovo su un punto su cui ha  già deliberato. 

Il vero problema è che lo Stato, bloccando Iva e Imu, ha un gettito ridotto nelle casse  per cui sta pensando di operare un prelievo su tutti coloro che dichiarano un reddito sopra quota 90 mila euro. Senza distinzioni,ma soprattutto senza verificare le evasioni fiscali che sono ingentissime!

Ancora tasse quindi anche sugli imprenditori che dovrebbero assumere i giovani? Ancora tasse sugli italiani per contrarre di più i consumi?  Un’ ideologia che mette i “poveri”  contro la “classe media” solo per destabilizzare il potere della Corte Costituzionale? Quando la Corte non sarà più libera di tutelare la Carta Costituzionale a chi si rivolgeranno i poveri che spesso sono i più lesi?

Il Governo, per bocca del Sottosegretario al Lavoro e alle Politiche sociali Carlo Dell’Aringa, ha assicurato l’intenzione di ribattere il punto…  Per farlo senza franare di nuovo sulla Consulta, però, occorre evitare di riservare le tagliole a una sola categoria (l’articolo 53 della Costituzione spiega che tutti i cittadini devono pagare le tasse in base alla propria «capacità contributiva», a prescindere dall’origine del reddito), e Dell’Aringa ha indicato nel «prelievo fiscale» la via più universale e quindi a prova di esame costituzionale.

Un escamotage per innalzare le tasse a tutta la popolazione italiana? O un’operazione che parte da lontano, che nasconde però qualche subdolo attacco alla Corte e alla giustizia italiana?

A innescare il ragionamento di Dell’Aringa è stata un’interpellanza del Pd, ma anche dal Pdl il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, “mente” economica del partito, si dice interessato alla questione: «Aspettiamo che il Governo faccia proposte, vediamo se ne avrà il coraggio: certo è che la sentenza della Consulta grida vendetta».

Sembra che la vendetta  ricadrà su tutti gli italiani a prescindere dal reddito! Un imprenditore colpito da un’ulteriore prelievo, licenzierà i propri dipendenti, così come  allo stesso modo si avrà una ripercussione sui consumi a causa della riduzione del reddito disponibile.

Colpendo i “ricchi” chi ci rimette non sono anche  i poveri?

Incostituzionale colpire solo una fascia di cittadini.

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La tassa sui ricchi non si può applicale lo ha stabilito la Consulta avendo riscontrato un’incostituzionalità in un comma  del decreto legge 98 del 2011. La norma censurata disponeva infatti un contributo perequativo per le pensioni oltre i 90 mila euro lordi. Contributo che la Corte Costituzionale considera di natura tributaria e in cui ravvisa “un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini”.  Questa  decisione sicuramente provocherà problemi al ministro del Lavoro, Giovannini, che aveva già annunciato che i futuri provvedimenti sull’occupazione sarebbero stati finanziati anche tassando le pensioni d’oro.

Si afferma il principio dell’uguaglianza dei cittadini come previsto dalla Costituzione, quindi anche per quei cittadini che percepiscono redditi più elevati non è possibile applicare un criterio discriminatorio che va a colpire un’unica categoria.

A sollevare la questione di legittimità costituzionale di fronte alla Consulta è stata la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, a seguito del ricorso di un magistrato presidente della Corte dei conti in quiescenza dal 21 dicembre 2007 e titolare di pensione superiore a 90mila euro: nel mirino, il comma 22.bis dell’art.18 del decreto-legge 98 emanato il 6 luglio 2011, contenente disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria.

D’altra parte chi percepisce un reddito elevato è già sottoposto, in base al criterio di progressività della tassazione italiana, a dover versare all’erario un contributo più elevato di chi invece ha un reddito più basso. La tassa applicata quindi sui pensionati che hanno più di 90mila euro annui è una incostituzionalità che va a gravare solo e unicamente su una certa fascia di cittadini, oltre tutto pensionati. Una vera e propria “disparità di trattamento”.

“L’intervento – si legge in sentenza – riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi”.

 

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