Riina in ospedale: il boss mafioso e il malore in cella

Riina-tuttacronaca-maloreSi è sentito mentre si trovava nella sua cella nel carcere di Opera, dov’è rinchiuso in regime di 41bis, Totò Riina. Il boss mafioso è stato ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo di Milano e in un primo momento si pensava che il padrino corleonese avesse avuto un ictus. In realtà l’uomo, condannato a diversi egastoli,  ha avuto un malore e le sue condizioni, al momento, non sono giudicate gravi dai medici. Gli esami clinici a cui è stato sottoposto, infatti, avrebbero stabilito che si tratta di un’indigestione. Il boss viene tenuto comunque al momento sotto osservazione per stabilire la natura del malessere e la sua evoluzione. Fonti carcerarie spiegano che il capomafia potrebbe tornare nel carcere di Opera tra stasera e domani.

Il killer della Sacra Corona Unita che costa allo Stato 700 euro al giorno

ospedale-tuttacronaca700 euro al giorno. Tanto spende lo Stato per permettere a un killer della Sacra Corona Unita, la mafia pugliese, di vivere in ospedale, perchè i giudici hanno deciso che non può scontare la pena in carcere. Lui è Francesco Cavorsi ed è stato condannato all’ergastolo per tre omicidi. Tuttavia da 10 anni si trova all’ospedale Niguarda di Milano, su una sedia a rotelle e in una camera doppia ad uso singolo. All’ergastolo sono concesse visite a piacere, e senza il controllo di un piantone, e permessi di libera uscita, nonostante abbia confessato di aver ucciso tre persone, scrive Paolo Berizzi su Repubblica, nonostante fosse su una sedia a rotelle dal 1988:

“spari ordinati dal capo ‘ndranghetista Pepè Flachi che vuole eliminarlo. Lui rimane paraplegico, ma questo non gli vieta di eseguire personalmente i suoi regolamenti di conti. La tecnica è sempre la stessa, una specie di marchio di fabbrica: il padrino pugliese si fa accompagnare in auto da due gregari; fa salire le vittime a bordo per parlare. Poi lascia la parola alla sua pistola calibro 7,65. «Bum, bum, bum, bum, bum… cinque colpi ci ho sparato, perché quello non meritava di morire troppo velocemente»: così, nell’estate del ‘92, intercettato dalle cimici piazzate dal pm Maurizio Romanelli, un compiaciuto Cavorsi racconta l’omicidio, eseguito sei mesi prima, di un piccolo trafficante di droga, Virgilio Famularo.

È il suo terzo delitto in tre anni: nel ‘90 uccide il veterano della mala milanese Oreste Pecori; nel ‘91t occa a Antonio Di Masi, spacciatore legato agli slavi. Tre omicidi confessati davanti ai giudici della terza Corte d’assise di Milano. E dunque: nel ‘96, due anni dopo l’arresto (operazione “Inferi”), il 33enne Cavorsi è condannano all’ergastolo con la teorica aggiunta di altri 53 anni di carcere”.

Condannato all’ergastolo, Cavorsi per i giudici non può stare in carcere e nel 2001 arriva al Niguarda:

“Cinquantunenne, risulta domiciliato all’“ospedale Niguarda Cà Granda, piazza dell’Ospedale Maggiore, 3, Milano”. Per essere un ergastolano con alle spalle tre omicidi vive, diciamo, in condizioni non particolarmente restrittive: non c’è nessun agente di piantone che lo controlla; riceve normali visite; gira liberamente in ospedale su quella stessa sedia a rotelle dalla quale vent’anni fa — quando era un killer e muoveva da un ristorante di via Padova, base logistica della mafia pugliese — chiudeva per sempre la bocca ai suoi nemici. Ogni tanto Cavorsi esce in permesso: il via libera arriva via fax dal giudice di sorveglianza”.

La direzione sanitaria del Niguarda spiega che Coversi è detenuto in chirurgia da “4 anni”, ma il conto di Repubblica è diverso:

“A quanto risulta a Repubblica, la lungo degenza, anzi, la lunga detenzione, risale a molto prima. Almeno dieci anni fa, appunto. Quel che si può apprezzare con certezza è l’imbarazzo provocato tra i vertici ospedalieri, e non da ieri, dalla presenza del paziente ergastolano, e da un’“anomalia” che viene a galla solo adesso”.

Grillo condannato a 4 mesi: “Non mi arrendo”

grillo-condanna-tuttacronacaIl 5 dicembre 2010 Grillo, accompagnando Perino e un gruppo di manifestanti contro la Tav, prese parte all’irruzione nella piccola baita costruita abusivamente come simbolo della protesta e poi sigillata, per ordine della procura. Il comandante dei carabinieri della compagnia di Susa lo aveva informato che se avesse varcato la soglia della casetta avrebbe commesso un reato. Dopo qualche minuto, tra flash di fotografi e telecamere, Grillo è entrato e poi è uscito trionfante mimando di avere i polsi ammanettati. Ora per Grillo è arrivata la condanna da parte del Tribunale di Torino a quattro mesi di carcere e cento euro di multa per la violazione dei sigilli della baita Clarea, in Valsusa. La reazione del leader del M5S è contenuta in un tweet apparso nel primo pomeriggio: “Oggi mi hanno condannato a 4 mesi in primo grado. Non mi arrendo. La vostra solidarietà è un grande aiuto. #Vinciamonoi”. Grillo pubblica sul suo blog un post di un sostenitore torinese: “C’è condanna e condanna: per me quei quattro mesi per la rottura ‘di quei sigilli violati dal vento’ sono una medaglia al valore civile. Perchè non sempre la ‘giustizia’ coincide con la ‘legalità’. Sarà dura!”

Se il detenuto non ha lo spazio vitale, risarcito con 100 euro al giorno

carcere-sovraffollamento-tuttacronacaI magistrati degli uffici di sorveglianza di Venezia, che hanno parzialmente accolto i reclami giurisdizionali presentati da una quindicina di detenuti veneziani (all’esame c’è anche quello di un trevigiano), hanno stabilito che il carcere di Venezia Santa Maria Maggiore dovrà trovare celle più ampie, assicurando a ciascun detenuto almeno 7 metri quadri di spazio vitale. Qualora non lo facesse, dovrà risarcire i carcerati con 100 euro al giorno. Il pronunciamento dà applicazione a quanto previsto dal “decreto svuotacarceri”, il 146 del dicembre 2013. I dirigenti del tribunale di sorveglianza sottolineano: “Queste ordinanze sono tra le prime in Italia in materia”. Il reclamo può essere presentato quando inosservanze dell’amministrazione comportano “attuale e grave pregiudizio” ai diritti dei detenuti. Primo fra tutti il pregiudizio derivante dal sovraffollamento delle carceri, riconosciuto dalla Corte europea e dalla Corte Costituzionale. La Sorveglianza ha quindi accolto i reclami dei detenuti e ora il ministero può impugnare le ordinanze tramite l’Avvocatura dello Stato, entro il termine di 15 giorni. Se non lo farà la decisione “passerà in giudicato”.

Gli evasi di Rebibbia: catturato Giampiero Cattini

evasi-rebibbia-tuttacronacaNella notte tra martedì e mercoledì erano evasi, dal carcere di Rebibbia, a Roma, Giampiero Cattini e Sergio Di Paolo. I due si sono dati alla fuga dopo aver segato le sbarre di protezione in cortile con una lima ed essersi calati dal muro di cinta tramite delle lenzuola annodate tra loro. Di loro si erano perse le tracce ma ora è stato rintracciato e arrestato Cattini. Le forze dell’ordine sono ancora alla ricerca del suo compagno di evasione. Cattini è stato arresato dalla polizia con l’ausilio della polizia penitenziaria. Cattini, 41 anni, Di Palo, 35, avevano probabilmente progettato la fuga da tempo: i due, che stavano scontando da circa un anno la loro pena, avrebbero dovuto restare in carcere fino al 2018. La moglie di Sergio Di Palo ha lanciato un appello al marito affinché si costituisca. “Mio marito è scappato sicuramente perché gli manca la famiglia. Ma io gli chiedo di tornare in carcere, spero che non abbia problemi con gli agenti quando lo ritroveranno – spiega la donna- sperava nell’amnistia, l’ho visto lunedì al colloquio ed era tranquillo. Mi spiace che mio figlio di nove anni, ha dovuto vedere la foto del padre alla tv. Ma mio marito non è una persona pericolosa”.

“Harry Potter” condannato a 4 anni e mezzo di carcere

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Da vittima a carnefice questa l’evoluzione di Ryan Walker, un 19enne che spesso veniva preso di mira per quegli occhiali spessi e i capelli pettinati da bravo ragazzo. “Harry Potter” lo chiamavano a scuola, fin quando il ragazzosi accanito contro due ragazzine, Emma Keeble, 15 anni, e Leah Pearce, 16 anni, con un coltello in mano e le ha aggredite sfigurandole in volto. Poi ancora furioso ha preso la testa delle due teenagers e l’ha sbattuta ripetutamente contro un calcello urlando “Morite, dovete morire”. Walker poi è stato fermato dalla polizia e ha definito il suo comportamento mostruoso. Nonostante la provocazione delle ragazzine, il giudice ha condannato “Harry Potter” a 4 anni e mezzo di carcere.

Ancora un’evasione! Due carcerati in fuga da Rebibbia

evasione-tuttacronacaSi chiamano Giampiero Cuttini e Sergio Di Palo, rispettivamente di 41 e 35 anni, i due carcarati evasi intorno alla mezzanotte della scorsa dal carcere di Rebibbia, a Roma. I due hanno segato le sbarre di protezione in cortile con una lima e, aiutandosi con lenzuola annodate tra loro, si sono calati dal muro di cinta. In cerca di indizi utili alla loro cattura, gli investigatori si sono recati dalle famiglie dei due, a Primavalle e a Tor Bella Monaca. Stando a quanto riporta il Messaggero i due, una volta superato il muro di cinta, si sono ritrovati nel parcheggio riservato agli agenti della polizia penitenziaria e, da lì, hanno imboccato via Tiburtina, la lunga direttrice che collega la centrale stazione Termini al Grande raccordo anulare. Non è ancora noto se dei complici fossero in loro attesa ed è difficile accertare la direzione che hanno preso. Per questo sono stati allestiti posti di blocco in tutta la Capitale e presso gli accessi del Gra. Al momento, però, Giampiero Cuttini e Sergio Di Palo, che erano in carcere per rapina a mano armata, sono riusciti a far perdere le proprie tracce.

Grillo e il processo No Tav: “Nove mesi? Passano in fretta…”

grillo-carcere-tuttacronacaLa Procura di Torino ha chiesto che Beppe Grillo venga condannato a nove mesi di reclusione con riferimento alla costruzione abusiva costruita nel 2010 e poi diventata uno dei simboli del movimento No Tav. Ora il leader del Movimento 5 Stelle ha deciso di prendere la parola e risponde spiegando che “9 mesi passano presto”. Grillo, inoltre, si dice tranquillo, pronto a scontare la pena. E rilancia con un appello di solidarietà per i NoTav.

Questo è un appello di solidarietà alla Val di Susa. Sono più di 500 inquisiti, tutti sotto processo per delle cose che io non riesco assolutamente a capire. Comunque io confido nella Giustizia. Sono calmo, sono sereno. Sono molto sereno. Non ho grossi problemi. Il PM ha chiesto nove mesi di reclusione perché io avrei rotto un sigillo “già portato via dal vento”, come scritto nella notifica. Era un sigillo che non c’era, un sigillo “inconsapevole”. Mi hanno invitato in una baita dove mangiavano della polenta e io sono andato a mangiare la polentina. Però io sono tranquillo: nove mesi passano presto. Voglio dare la mia solidarietà a Alberto Perino e a tutti i ragazzi della Val di Susa che devono risarcire un danno ipotetico di 215.000 euro, ne hanno già raccolto circa 100.000 e ne mancano altrettanti. C’è poco tempo e dobbiamo dargli una mano a risolvere questo problema. La TAV è un problema che non riguarda solo la Val di Susa, ma tutta l’Italia e forse tutta l’Europa, ma noi siamo tranquilli! La Giustizia farà il suo corso e io sono calmo, perfetto e non mi agito assolutamente. Aiuta la Valle a resistere! I contributi devono essere versati esclusivamente sul Conto Corrente postale per le spese legali NO TAV n.1004906838 IBAN: IT22L0760101000001004906838 intestato a Pietro Davy e Maria Chiara Cebrari.

La cella zero di Poggioreale!

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Ci sarebbe una cella “molto particolare” nel carcere di Poggioreale. A denunciare i presunti abusi sui detenuti sarebbe stato  Pietro Ioia, uno che si batte da sempre per i diritti della popolazione carceraria e che per questo ha anche creato l’associazione degli ex detenuti napoletani. Ioia ha raccontato, in quattro pagine dattiloscritte, a metà settembre, cosa accadrebbe in una cella del carcere più affollato d’Europa. La «cella zero», sarebbe il luogo dove – secondo Ioia – avverrebbero vessazioni sia fisiche che morali, se non addirittura veri e propri pestaggi a opera di alcuni agenti della polizia penitenziaria.

«È una storia antica – racconta Ioia al pm Piscitelli – non si tratta purtroppo di una novità. Dieci anni fa capitò anche a me e ai miei nove compagni di cella, a Poggioreale; durante un controllo gli agenti scoprirono un mazzo di carte da gioco napoletane, all’epoca tenerle in carcere era vietato. Uno a uno venimmo accompagnati nella cella zero e picchiati selvaggiamente…».

«Le violenze a Poggioreale sono cosa risaputa e riguardano alcune frange della polizia penitenziaria che si comportano in maniera indegna e non professionale. Ma non demonizziamo tutta la categoria» queste, invece, le parole di don Franco Esposito, cappellano della casa circondariale e responsabile della Pastorale carceraria della diocesi napoletana.

«Anch’io ho segnalato alla direzione penitenziaria alcuni episodi di pestaggi che mi sono stati raccontati in via confidenziale dagli stessi detenuti – aggiunge il religioso -. Ovvio che non ho potuto fare i loro nomi perché altrimenti avrebbero avuto vita difficile in cella».

Kabobo: rigettata l’istanza per il trasferimento in ospedale psichiatrico

Adam-Kabobo-tuttacronacaIl Tribunale del Riesame di Milano ha rigettato l’istanza della difesa di Adam Kabobo, il ghanese che lo scorso maggio ha ucciso tre passanti a colpi di piccone, di trasferimento in un ospedale psichiatrico giudiziario e malgrado una perizia avesse parlato della necessità del trasferimento in Opg. Una perizia richiesta dalla difesa e depositata dal medico legale Marco Scaglione, nominato dai giudici del Riesame, sosteneva che la situazione di Kabobo non era compatibile con il carcere. Il perito aveva accertato che per curare adeguatamente la forma di psicosi schizofrenica di cui soffre in ghanese sarebbe stato necessario un trasferimento in un ospedale psichiatrico giudiziario, sempre in regime di custodia cautelare, e come misura di sicurezza per la sua pericolosità sociale. In un’udienza svoltasi lo scorso lunedì, e alla quale era presente lo stesso Kabobo, si era discusso della perizia e oggi è arrivata la risposta dei giudici del Riesame che, con un provvedimento di sette pagine, hanno respinto l’istanza della Difesa e deciso che il ghanese deve restare in carcere a San Vittore. I legali di Kabobo hanno già preannunciato che faranno ricorso in Cassazione. Un’istanza analoga era stata respinta nei mesi scorsi dal gip e da qui il ricorso al Riesame. Il processo con rito abbreviato a carico del ghanese per il triplice omicidio, avvenuto lo scorso 11 maggio, è fissato per il prossimo 6 febbraio davanti al gup Manuela Scudieri. A rappresentare l’accusa ci sarà il pm Isidoro Palma.

“Serve l’indulto”: parla il Primo presidente della Cassazione

indulto-tuttacronacaIl Primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario ha detto che, in attesa di “riforme di sistema”, non c’è “altra via che l’indulto” per ridurre il numero dei detenuti”. Per quel che riguarda la persistente tensione tra politica e magistratura, Santacroce ha lanciato un appello al Capo dello Sato Giorgio Napolitano, sottolineando come rappresenti “una vera e propria spina nel cuore per noi magistrati”.

Kabobo uccise tre persone con l’accetta: per lui l’ospedale psichiatrico

Kabobo_Milano-tuttacronacaEra l’11 maggio quando, a Milano, Adam Kabobo seminò il panico per le strade del capoluogo lombardo uccidendo tre passanti a colpi di piccone. Il ghanese però non resterà in carcere: sarà trasferito in ospedale psichiatrico perchè le sue condizioni di salute mentale sono incompatibili con il carcere. Ad accertarlo una perizia disposta dal tribunale del Riesame di Milano, che sulla base della perizia dovrà decidere. Erano stati i difensori di Kabobo a presentare un’istanza con cui chiedevano il trasferimento dell’uomo in un luogo di cura, sempre in regime di custodia cautelare e oggi è stata depositata l’integrazione della perizi. La relazione del medico sarà discussa in un’udienza fissata per il 27 gennaio. Quindi i giudici del riesame prenderanno una decisione sull’eventuale trasferimento dell’imputato per il quale il procedimento con rito abbreviato comincerà il 6 febbraio davanti al gup Manuela Scudieri.

Vincenzo Di Sarno in ospedale: rifiuta le cure

vincenzo-di-sarno-tuttacronacaAnche Giorgio Napolitano era intervenuto sul caso del detenuto a Poggioreale Vincenzo Di Sarno che ha chiesto l’eutanasia. Rosa Labonia, magistrato di sorveglianza di Napoli, ha rigettato la richiesta di differimento pena presentata dai suoi difensori e ha disposto il ricovero in ospedale. Nel suo decreto, il giudice ha rilevato che “non vi sono i presupposti per l’adozione di un provvedimento d’urgenza” dal momento che il soggetto non appare in immediato pericolo di vita e, “Nonostante le continue sollecitazioni mediche, sta rifiutando la terapia medica infusiva e nutrizione con brick”.  La madre di Di Sarno, tuttavia, non accetta quanto detto sul figlio: “Mio figlio non è in pericolo di vita? È allo stremo, come fanno i magistrati a non capirlo?” E aggiunge: “Rifiuta la terapia perchè non ce la fa più. Pesava 115 kg ed ora 53, sta bene secondo voi?”  Eugenio Sarno, segretario della Uilpa Penitenziari, sindacato della polizia penitenziaria, ha detto: “c’è evidentemente da apprezzare lo scrupolo con cui l’ufficio di sorveglianza ha valutato la pratica. Inoltre, trova conferma anche la puntualità della pratica per la parte che compete al Dap”, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E ha proseguito: “Questa vicenda deve essere da monito, perchè alcune cause prima di essere sposate devono essere valutate fino in fondo. Da quanto ci risulta, infatti, il detenuto non sarebbe in condizioni così gravi come si è voluto fare emergere e rifiuta le terapie, e questo probabilmente ha determinato il rigetto della richiesta di sospensione della pena”.

L’appello shock del carcerato: “datemi la pena di morte”

carcere-tuttacronacaA dicembre, la madre di un detenuto 34enne, Vincenzo di Sarno, chiedeva la grazia per il figlio. Ora lo stesso recluso, malato di tumore, chiede di morire. Di Sarno, che pesava 115 kg al momento dell’ingresso in prigione  e attualmente ne pesa 54, già nell’ottobre scorso aveva scritto una lettera a Giorgio Napolitano, con la richiesta di ottenere la grazia per poter andare in una clinica in Svizzera. Il caso, insieme a quello di Angelo Rosciano, detenuto diabetico e con gravi problemi di salute, con un arto amputato, sulla sedia a rotelle e semicieco, è al centro della lotta dei Radicali in Campania.Donato Salzano, segretario Radicali di Salerno, ha spiegato: “Soltanto dopo la nostra mobilitazione Vincenzo Di Sarno è stato trasferito dal padiglione Avellino al centro clinico del padiglione San Paolo di Poggioreale ha scritto una lettera al presidente Napolitano, in cui spiegava che non riusciva a vivere più, era in fin di vita, con una malattia terminale, e sopravviveva in condizioni che definire umane sarebbe un eufemismo. Da Napolitano non c’è stata nessuna risposta e oggi quella richiesta è stata reiterata”.  Nell’appello lanciato dalla madre, Maria Cacace, si legge: “Illustrissimo signor Presidente, faccio appello a lei perchè oramai sono allo stremo delle forze, sia fisiche che mentali e che, se potessi, sceglierei la pena di morte: intramuscolo/endovena, oppure essere inviato in qualche clinica svizzera ad effettuare l’eutanasia. Egregio Signor Presidente: mi indichi lei quale di queste due strade debbo intraprendere. Nell’attesa di un benevolo accoglimento, le porgo i miei più doverosi ossequi”. Il 28 ottobre scorso, Di Sarno aveva paragonato la situazione in cui si trova “un inferno”, spiegando che “sopravvivere così come fossimo bestie (loro godono di più attenzioni) in una struttura piena zeppa di barriere architettoniche e, durante la giornata, a causa di forti dolori retro-nucali devo obbligatoriamente indossare un fastidioso collare cervicale rigido, anche per mancanza di cure adeguate alla grave patologia da me indicatole”.  “Adesso le chiedo: può un essere vivente campare in questo modo?! – prosegue – Dato che la malattia è neurodegenerativa e che nel giro di un anno o poco più ho perso circa 60 chili, perchè tanta malvagità e disprezzo verso di me? E questo tipo di popolazione sempre più numerosa?! Ma anche da parte del carcere di Poggioreale nei confronti di una persona con estrema fragilità psicologica, ma anche perchè per loro, oggi come ieri e domani, è sempre uguale! Bah, comunque so solo che la testa mi scoppia, la depressione è all’ordine del giorno e che neppure più gli occhi per piangere mi sono rimasti, in questo orribile e dolente carcere”.  La garante dei detenuti della Campania, Adriana Tocco, racconta: “Ci siamo mossi moltissimo per Vincenzo Di Sarno, già durante il processo d’appello chiedemmo al magistrato del giudizio una misura alternativa al carcere, ma lui non ne volle sapere. Di Sarno era già malato. Il presidente della Repubblica lo incontrò a settembre scorso durante la visita al carcere e gli disse faremo qualcosa per te. In quell’occasione fu una suora a spiegare il caso al capo dello Stato. Dopo un mese Di Sarno inviò al presidente una richiesta di grazia”.  E aggiunge: “Il presidente della Repubblica ha fatto partire la richiesta di istruttoria al ministero della Giustizia, di questo ho avuto notizia, ma fino a Natale al Quirinale non era ancora arrivata l’istruttoria. Ora non ci resta che chiedere la sospensione della pena al magistrato di sorveglianza. Purtroppo queste procedure non sono brevi”.

Meglio il “fresco” che il gelo! Si riconsegna alla polizia

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Meglio il carcere che morire di freddo così un 42enne evaso dal carcere in Kentucky negli Usa ha deciso di tornare al fresco piuttosto che stare al gelo! il protagonista della vicenda è Robert Vick, evaso dall’istituto di correzione Blackburn, dove stava scontando una pena a 6 anni per furto. Vick, scappato di prigione domenica 5 gennaio si è trovato però avvolto nel vortice artico che sta attanagliando molti stati americani e ha deciso di entrare in un motel e chiedere se potevano chiamare la polizia. Gli agenti lo hanno trovato in stato di ipotermia, hanno chiamato quindi i sanitari che lo hanno sottoposto a cure idonee e poi è stato rinchiuso nuovamente al “fresco”!

  

Appello shock di O.J. Simpson: “Ho un tumore al cervello, liberatemi”

ojsimpson-tuttacronacaL’ex campione di football O.J. Simpson teme di avere un tumore al cervello e ha implorato il presidente statunitense Barack Obama di farlo uscire anzitempo di prigione per poter morire a casa. L’ex giocatore era stato protagonista di un clamoroso caso giudiziario a metà anni Novanta. Prosciolto per insufficienza di prove dell’omicidio della ex moglie Nicole e dell’amico Ronald Goldman nel 1994 a Los Angeles, O.J. Simpson al momento si trova nel penitenziario Lovelock Correctional Center a Lovelock, nel Nevada dove sta scontando una pena di 33 anni per rapina a mano armata e sequestro di persona. Solo tra quattro anni gli sarà possibile chiedere la grazia.  Ora però l’ex campione sarebbe gravemente malato. Alcuni mesi fa il tabloid National Enquire parlava di un diabete che l’avrebbe portato alla morte, ma ora arriva il sospetto di un cancro al cervello a causa del quale, secondo lo stesso rotocalco, l’ex atleta si starebbe sottoponendo a test medici segreti.

Peggio che mai: la Minetti bastonata dai tabloid americani

nicole-minetti-miami-tuttacronacaI giornali esteri Tmz e NyDailyNews hanno preso di mira Nicole Minetti che si gode le vacanze sotto il sole di Miami, chiedendosi come faccia l’ex consigliera regionale ad essere così rilassata essendo stata recentemente condannata a cinque anni di reclusione per favoreggiamento alla prostituzione. La Minetti si è trasferita da qualche mese in America, tra Miami e New York, dove abita il suo fidanzato ristoratore milionario Cipriani, per sfuggire ai giornali italiani. E invece è finita nelle maglie dei tabloid anglosassoni, molto più crudeli. Come sottolinea Dagospia, se in Italia si possono trovare titoli simili a “Nicole si rilassa al sole di Miami”, “TMZ” usa l’epiteto di

“Silvio Berlusconi’s hooker wrangler hanging out in Miami…Before prison” (tradotto con licenza poetica: “La domatrice di mignotte si diverte a Miami…prima della prigione”), e si chiede come mai una condannata a 5 anni di prigione in primo grado possa lasciare il proprio Paese e svacanzare oltreoceano (la risposta? “Basta guardare il suo c**o”). Poi passa l’inglese “Daily Mail” e ingioiella i bikini della nostra Nicole con la seguente didascalia: “Miami vice: Anglo-Italian woman sentenced to five years for pimping prostitutes for Berlusconi enjoys herself on Florida beach as jail term is delayed. Showgirl is not behind bars because she is appealing her conviction” (“Miami Vice: donna anglo-italiana condannata a 5 anni di prigione per aver fatto la pappona delle prostitute di Berlusconi si gode le spiagge della Florida mentre la sua pena viene rimandata. Non si trova dietro le sbarre perché ha appellato la sua condanna”).

 

Il tutto è corredato da gallery fotografiche che mostrano la Minetti intenta a godersi le sue vacanze con un bikini che non passa inosservato.

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4 italiani ancora in carcere a Varsavia: c’è anche un operatore de Le Iene

ultras-laziali-tuttacronacaMatteo, Alberto e Daniele, con tutta probabilità, trascorreranno il Natale nel carcere di Bialoleka, come ha confermato all’Adnkronos l’abasciatore italiano a Varsavia Riccardo Guariglia, che ha assicurato di essere “pronto ad andare a visitarli in carcere il giorno di Natale“. Guariglia ha poi precisato che 18 dei 22 tifosi che erano “fisicamente in carcere” sono già tornati in Italia, mentre “l’ultimo arriverà domani (oggi, ndr)“. Non è ancora finita, quindi, la vicenda degli ultrà laziali arrestati in Polonia a causa degli scontri prima del match di Europa League. L’ambasciatore ha anche ricordato che dodici tifosi, tra quelli arrestati, non erano ancora stati condannati e “hanno potuto patteggiare e poi sono stati rilasciati pagando delle multe“, mentre dei “dieci già condannati in primo grado: 7 sono usciti, sono stati messi in libertà sotto cauzione“. Di altri tre tifosi, invece, “il giudice ha respinto l’istanza di conversione della pena detentiva in libertà sotto cauzione. Oggi ne rimangono tre nel carcere di Varsavia, ma gli avvocati sono al lavoro“. Ma c’è anche un quarto italiano ancora detenuto. Si tratta dell’operatore televisivo de Le Iene Riccardo Messa, condannato a sei mesi di reclusione perchè, al momento dell’arresto, aveva con sè un bite dentale, ossia un apparecchio che viene utilizzato durante il sonno dalle persone affette da bruxismo. Messa è stato così accusato pensando che fosse un paradenti da rissa, motivo per cui gli è stata aumentata la pena.L’operatore, tifoso interista, nonostante l’accettazione da parte del Tribunale della scarcerazione dietro il pagamento di una cauzione di 30.000 szlote (circa 7.200 euro), non è stato ancora rilasciato. Davide Parenti, l’ideatore della trasmissione televisiva, ha spiegato la situazione in un’intervista a “Il Tempo”:

 

Non appena ricevuta la notizia della possibilità di tirare fuori Riccardo dalla galera, non ci abbiamo pensato un attimo e, utilizzando un fondo costituito da tutti noi de “Le Iene”, abbiamo dato mandato alla banca di effettuare un bonifico alla cancelleria del tribunale polacco, ma venerdì ci è stato comunicato che i soldi non erano ancora arrivati e che, quindi, Riccardo veniva trattenuto in cella come “garanzia”. A quel punto ci siamo subito attivati contattando l’agenzia dell’Istituto di Credito al quale ci eravamo rivolti che, dopo una serie di verifiche, ci ha assicurato invece che il bonifico era giunto a destinazione. Abbiamo cercato di raccogliere altri soldi contanti. Operazione non facile, in quanto le banche erano chiuse e abbiamo dovuto fare una colletta tra tutti i dipendenti. Ma ce l’abbiamo fatta. Uno zio del giovane operatore televisivo è volato a Varsavia con un bagaglio a mano contenente ottomila euro in contanti. Come un mafioso, ora voglio proprio vedere se troveranno qualche altro cavillo per continuare a tenere “sequestrato” Riccardo.

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L’appello della madre di un detenuto malato di tumore

carcere-tuttacronacaArriva l’appello di Maria Cacace, madre di un detenuto in attesa di giudizio con l’accusa di omicidio. Il figlio, Enzo di Sarno, che è detenuto dal 2009, è affetto da un tumore spinale. “Chiedo a chi ne ha il potere di avere un po’ di misericordia per mio figlio che è gravemente malato e detenuto nel carcere di Poggioreale dove non può essere curato adeguatamente”. Di Sarno necessiterebbe di “una quotidiana terapia in acqua che – come dichiarato dalla madre – il carcere non può garantire”.La famiglia ha scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per chiedere “un intervento compassionevole”. L’appello della madre di Di Sarno cade a poche ore dalla terza marcia di Natale indetta dai Radicali, per il 25 dicembre e in programma a Roma, con cui il movimento di Marco Pannella intende tornare a chiedere al Parlamento un provvedimento di amnistia e indulto. Donato Salzano, segretario dei Radicali di Salerno ha affermato:  “Chiediamo al Parlamento di dare seguito al messaggio alle Camere dello scorso ottobre del Presidente Napolitano in materia di amnistia”. Un provvedimento che, secondo Salzano, è “un atto di prepotente urgenza” in virtù delle condizioni “disumane” delle carceri italiane contro cui si è pronunciata anche la Corte di Giustizia europea.  Ancora, Salzano ha spiegato: “L’amnistia e l’indulto non possono essere ritenuti atti criminogeni perchè previsti dalla nostra Costituzione”. Dai Radicali sono state portate all’attenzione anche le condizioni di un altro detenuto di Poggioreale, Angelo Rosciano che – come spiegato – si trova nel padiglione San Paolo adibito a reparto clinico perchè – secondo quanto riferito – ha una menomazione fisica, è diabetico, cardiopatico e non vede a un occhio. Rosciano è stato condannato per ricettazione. “I familiari di Rosciano – ha detto l’esponente dei Radicali – si sono già rivolti al presidente Napolitano e al ministro Cancellieri che – ha aggiunto Salzano – è un ministro attento a tutte le segnalazioni”.

10 mesi al killer di Savona evaso la settimana scorsa

gagliano-evaso-tuttacronacaIl 18 dicembre era evaso dal carcere Marassi di Genova, approfittando di un permesso premio, il serial killer Bartolomeo Gagliano. L’uomo è stato in seguito catturato a Nizza e ora, secondo quanto riportato dal sito internet di Nice Matin, sconterà dieci mesi di prigione senza condizionale. Il killer di Savona era stato arrestato venerdì scorso dalla polizia francese a Mentone, in Francia.

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Prima la cattura… poi il pentimento! Parla il serial killer

gagliano-verrina-tuttacronacaE’ stato il legale di Bartolomeo Gagliano, il serial killer evaso da Genoa e catturato a Mentone in Francia, a rendere note le prime parole del 55enne appena riconsegnato allo giustizia: “Sono dispiaciuto per aver tradito la fiducia della dottoressa Verrina e del dottor Mazzeo”.Le due persone a cui Gagliano fa riferimento sono rispettivamente il magistrato di sorveglianza che ha disposto il permesso premio e il direttore del carcere, entrambe finite nella bufera per l’evasione.

Catturato! Preso in Francia il serial killer di Savona

bartolomeo-gagliano-tuttacronacaE’ stato catturato a Mentone, in Francia, il serial killer Bartolomeo Gagliano, evaso dopo un permesso premio. A riferirlo il ministro Cancellieri, che stamane ha riferito sul caso alla Camera e ha annunciato un’indagine approfondita. “Una circostanza che intendo chiarire subito è che sia il magistrato di sorveglianza che il carcere di Genova erano a conoscenza dell’intero percorso giudiziario del detenuto”. Così il ministro della Giustizia nel corso dell’informativa nell’aula della Camera, sulla vicenda di Bartolomeo Gagliano. E aggiunge: “Si tratta di un episodio gravissimo che richiede un accertamento molto rigoroso. Inutile negare che questo rischia di essere un duro colpo a quanto stiamo facendo per rendere il carcere un luogo più civile e in grado di assolvere alla propria funzione rieducativa. Faremo chiarezza ed individueremo eventuali responsabilità. Fatti di questo genere non possono e non devono accadere.” La prima risposta giunta da Genova è stata quella del giudice di sorveglianza Daniela Verrina che ha firmato il permesso premio. Un provvedimento – ci tiene a spiegare – preso “su basi legittime, dopo un lungo studio delle relazioni che riportavano da tempo una compensazione del disturbo psichiatrico, lucidità, capacità di collaborare, tranquillità e nessun rilievo psicopatologico”. Aggiunge: “È il caso più studiato di questo tribunal”». Intanto è stata avviata un’azione disciplinare per il direttore del carcere di Marassi Salvatore Mazzeo . Per lui si profila un trasferimento. A breve sarà disposto il suo spostamento presso il Provveditorato regionale per la Liguria dell’Amministrazione Penitenziaria.

Catturato Pietro Esposito, il pentito di camorra evaso

pietro_esposito-tuttacronacaE’ stato catturato a Forlì, a casa della sorella, il pentito di camorra Pietro Esposito. Il 47enne era evaso il 15 dicembre dal carcere di Pescara dove si trovava, dopo aver terminato di scontare la pena per due omicidi, per una precedente evasione. Prima di pentirsi, sarebbe stato uno dei killer protagonisti della faida di Scampia. Esposito era tra i  fedelissimo del clan Di Lucia, stretto alleato dei Di Lauro. Le sue dichiarazioni portarono all’ordinanza di custodia nei confronti del boss Paolo Di Lauro e a individuare anche i responsabili dell’omicidio di Gelsomina Verde, in cui era coinvolto e per il quale fu condannato. La 22enne fu uccisa nel 2004 durante la faida di Scampia perché fidanzata di un esponente degli scissionisti. Il pentito non ha opposto resistenza quando è stato bloccato dopo che degli agenti  lo avevano notato mentre si aggirava nei pressi di un bed&breakfast. Hanno così ipotizzato che potesse soggiornare nella struttura ma poi è emerso che era dalla sorella.

Ancora sei tifosi laziali in carcere a Varsavia

laziali-varsavia-tuttacronacaEra il 28 novembre quando 120 tifosi laziali venivano fermati a Varsavia a seguito atti di violenza contro la polizia locale avvenuti prima della partita di Europa League della loro squadra contro il Legia. Sei di loro sono tuttora nel carcere nei pressi della capitale polacca. A darne conferma, la Farnesina. Il portavoce della procura della capitale polacca Przemyslaw Nowak aveva poco prima dato la notizia che gli ultimi 12 tifosi fermati erano stati liberati. La Farnesina era intervenuta da subito con il governo d Varsavia per chiedere un resoconto dell’accaduto nonchè la scarcerazione dei connazionali.

Il killer in fuga dopo l’evasione è armato

Bartolomeo-Gagliano-tuttacronacaBartolomeo Gagliano, il serial killer 55enne evaso durante un permesso dal carcere genovese di Marassi e ora ricercato “in tutta Italia”, sarebbe anche armato. L’uomo ha utilizzato una Fiat Panda Van verde targata CV848AW per darsi alla fuga. Il ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, al riguardo, ha parlato di un “duro colpo” aggiungendo che serve “individuare le responsabilità. L’uomo, del quale si contavano già almeno cinque evasioni, ha ucciso due donne e una transessuale. L’uomo è sempre stato giudicato infermo di mente. Il direttore del carcere ha sostenuto di non essere stato a conoscenza dei suoi precedenti.

Shock! Evaso il serial killer di Savona

serial-killer-tuttacronacaE’ shock in Liguria per l’evasione del serial killer di Savona. Il 55enne Bartolomeo Gagliano, che era in permesso premio dal carcere di Marassi, non è rientrato alle 9 del mattino come avrebbe dovuto fare. L’uomo che si è già macchiato di tre omicidi, di due donne e di un transessuale durante i precedenti “permessi premio” dal carcere, non è nuovo all’evasione: già in precedenza era fuggito cinque volte. Secondo le prime ricostruzioni, questa mattina, alle 6, è uscito dalla casa di sua madre a Savona e ha bloccato la Fiat Panda chiara di un commesso che stava ultimando le consegne in città. Gli ha puntato contro la pistola e lo ha costretto a raggiungere Genova. E’ salito in auto trascinandosi dietro tre borse. Giunti in via De Marini, a Sampierdarena, a ponente del capoluogo, ha fatto scendere il commesso ed è fuggito con l’auto.

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Sparatoria in carcere: il poliziotto che uccide un ispettore

poliziotto-uccide-tuttacronacaSi è consumata una tragedia al carcere delle Vallette di Torino, dove un poliziotto ha aperto il fuoco uccidendo un ispettore nel carcere Lo Russo Cotugno di Torino. Quindi ha rivolto l’arma contro se stesso, ferendosi gravemente. Stando alle prime informazioni, tutto è accaduto nel bar interno alla casa circondariale. Donato Capece, segretario generale sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe, riferisce: “È notizia di pochi minuti fa. È una notizia agghiacciante. Non si conoscono ancora le ragioni del gesto”.

La Franzoni resta in carcere: serve una nuova perizia psichiatrica

annamaria_franzoni_tuttacronacaAveva chiesto i domiciliari per assistere il figlio Gioele, Anna Maria Franzoni, in carcere per l’omicidio del piccolo Samuele, ma per ora il Tribunale ha stabilito che dovrè restare in carcere. Prima che la donna torni nella casa, sarà infatti necessaria una perizia psichiatrica. Prima di pronunciarsi i giudici vogliono capire se ci siano rischi di reiterazione del reato, e se i suoi due figli siano in pericolo di vita.  La prossima udienza è prevista per il 21 gennaio, intanto la donna continuerà a ascontare i suoi 16 anni di condanna in carcere.

La Franzoni chiede i domiciliari per assistere Gioele, l’altro figlio

annamaria-franzoni-tuttacronacaLa Cassazione aveva ritenuto Anna Maria Franzoni colpevole della morte del figlio Samuele. Ora la donna ha presentato richiesta di detenzione domiciliare per assistere il figlio più piccolo, Gioele e ora, spiega Paola Savio, l’avvocato della Franzoni, “Annamaria ovviamente aspetta con ansia la risposta”. L’udienza si è svolta oggi al tribunale di Sorveglianza a Bologna, città dove sta scontando la pena. Il legale ha riferito che oggi è stata ribadita la richiesta di detenzione domiciliare per assistere il figlio più piccolo, Gioele. “Non abbiamo chiesto nulla di diverso da quello che era già stato fatto in passato e che era già stato scritto”. E ha aggiunto: “Il procuratore generale ha espresso parere contrario, noi abbiamo sostenuto le nostre motivazioni”.  La Sorveglianza, ha spiegato ancora, si è riservata sulla decisione. Per quel che riguarda i tempi, infine, “I tempi del tribunale non li conosco, si prenderanno il loro tempo”.

Carcere e musica: Cancellieri a San Vittore per la prima della Scala

carcere_san_vittore_tuttacronacaI detenuti di San Vittore hanno ricevuto una doppia sorpresa oggi, giorno della Prima della Scala. Innanzitutto la visita in carcere di Anna Maria Cancellieri per la diretta tv della Traviata e poi la telefonata del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il Capo dello Stato ha presentato gli auguri di Natale e ha spiegato di essersi ”ispirato alla visita a San Vittore” per il messaggio alle Camere sulle carceri. Ad accogliere il ministro della Giustizia al suo arrivo al carcere, il provveditore Aldo Fabozzi e la direttrice dell’istituto Gloria Manzelli. Con lei, ad assistere alla Prima sul megaschermo, circa 80 detenuti e 30 dipendenti della struttura penitenziaria. “Sono molto contenta di essere qui, non ero mai stata a San Vittore”, ha detto Cancellieri che poi ha ribadito: “Il problema delle carceri mi sta a cuore ma è complesso e non si può risolvere in poco tempo. Io, come ministro del governo, continuerò a impegnarmi per garantire ai detenuti condizioni migliori, e soprattutto finalizzate al reinserimento nella società”. Anche Napolitano ha espresso lo stesso impegno a trovare una soluzione per le “condizioni disumane e degradanti” dei reclusi. Il governo, ha assicurato, sta lavorando con decisione: “Mi sono ispirato a voi per il mio messaggio alle Camere, ha concluso.

Federico Perna, morto in carcere a 34 anni. Aperta un’indagine interna

federico-perna-tuttacronacaL’8 novembre moriva nel carcere di Poggioreale, in provincia di Trapani, Federico Perna e ora la madre, Nobilia Scafuro, chiede di conoscere la verità, dopo aver denunciato delle anomalie e il fatto di non aver ricevuto risposte. Il ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, attraverso il capo del Dap Giovanni Tamburino, ha disposto una “rigorosa indagine amministrativa interna” al riguardo. Il guardasigilli, che ha espresso “le sue condoglianze e la sua personale vicinanza alla mamma del giovane”, “auspica che sulla vicenda sia fatta completa chiarezza, assicurando la massima collaborazione alla Procura della Repubblica che ha già avviato una sua inchiesta”. Dal canto suo la madre di Perna ha fin da subito raccontato una storia che lei ritiene essere piena di punti bui, sia per quello che riguarda i momenti successivi alla morte che, soprattutto, quelli precedenti, quando il 34enne stava male e forse, denuncia la donna,  qualcuno non ha fatto quello che doveva fare. L’uomo, racconta la madre, aveva bisogno di un trapianto di fegato e da giorni perdeva sangue dalla bocca quando tossiva. Si trovava nel Padiglione Avellino, cella numero sei, insieme ad altre undici persone. “Federico non doveva restare in carcere, ma essere ricoverato in ospedale: aveva bisogno di un trapianto ed era stato dichiarato incompatibile con la detenzione da due diversi rapporti clinici, stilati dei Dirigenti Sanitari delle carceri di Viterbo e Napoli Secondigliano – questo il racconto della mamma pochi giorni dopo la morte del figlio – Invece, da Secondigliano è stato trasferito a Poggioreale, dove le sue condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate: sputava sangue, letteralmente, e chiedeva il ricovero disperatamente da almeno dieci giorni lamentando dolori lancinanti allo stomaco”. La famiglia ha appreso della sua morte “da una lettera di un compagno di cella”. “Non sappiamo nemmeno dove sia morto, perchè le versioni sono diverse – la denuncia della mamma – ci dicono che è morto nell’infermeria del carcere di Poggioreale, di attacco cardiaco e senza la possibilità di essere salvato con il defibrillatore, poi ci dicono che è morto in ambulanza, poi ancora che è morto prima di essere caricato in ambulanza o addirittura in ospedale, e anche su questo ci hanno nominato più di una struttura possibile”.

Smentita sul tentato suicidio di Corona: “Notizia falsa e priva di fondamento”

corona-smentita-tuttacronacaArriva la smentita, da parte di Federico, fratello di Fabrizio Corona, sul fatto che l’ex re dei paparazzi abbia tentato il suicidio in carcere, notizia che era stata diffusa dal settimanale Oggi. “I familiari e gli avvocati di Fabrizio Corona smentiscono categoricamente la notizia del tentato suicidio pubblicata questa mattina dal settimanale ‘Oggi’. La notizia è del tutto falsa e priva di fondamento”. Stando a quanto riportava la rivista il fotoreporter avrebbe tentato il suicidio nel carcere milanese di Opera, dove si trova detenuto, soffocandosi con dei cerotti. “La famiglia Corona precisa che verranno avanzate azioni legali nei confronti dei responsabili della pubblicazione”.

Fabrizio Corona tenta il suicidio in carcere!

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E’ il settimanale Oggi a riportare la notizia che Fabrizio Corona sarebbe stato ritrovato in carcere con la bocca e il naso coperti di cerotti. Corona è stato ricoverato nell’infermeria del carcere di Opera, Milano, dove si trova detenuto il 19 ottobre scorso. Il personale medico lo ha soccorso estraendo i cerotti, medicando le ferite provocate dagli stessi e sedandolo. Secondo quello che hanno raccontato i familiari, Corona soffrirebbe molto in Carcere e non avrebbe ancora accettato la condizione in cui è costretto a stare. Sembra che ora le sue condizioni siano migliorate, anche grazie alla visita in carcere del figlio Carlos.

Più tardi, tuttavia, è arrivata la smentita da parte della famiglia dell’ex re dei paparazzi.

Innocenti in carcere per tre anni: il perito non capisce il dialetto

Carcere-innocenti-tuttacronacaTre anni in carcere per due fratelli, innocenti, di San Marco in Lamis, in provincia di Foggia. E’ Libero che riporta la vicenda di Antonio e Michele Ianno, per i quali il gip del tribunale di Bari ha firmato nel 2004 la richiesta di custodia cautelare quando erano poco meno che 40enni. Sono piccoli imprenditori edili, ma vengono (ingiustamente) considerati promotori di un clan malavitoso che fa capo alle famiglie Martino-Di Claudio. Le accuse nei lro confronti sono pesanti: dall’associazione mafiosa al concorso in tentato omicidio e in duplice omicidio. Tutto per un errore di interpretazione un perito che fraintende il dialetto pugliese ascoltato in alcune intercettazioni. L’avvocato Giuseppe Della Monica, legale dei fratelli, tenta di smontare le accuse ma solo dopo tre anni i giudici si accorgono dell’errore e i due fratelli vengono scarcerati. Ora i due chiedono allo Stato un milione di risarcimento, 500mila euro ciascuno, per i 36 mesi di ingiusta detenzione.

“Fabrizio sta veramente male”, le parole della mamma di Corona

Fabrizio Corona -tuttacronaca

“Fabrizio sta veramente male. Soffre di una forma di depressione già diagnosticata prima dell’esperienza carceraria e confermata anche adesso da alcuni specialisti”. Caso simile ad altri quindi per cui è stata chiesta e ottenuta la scarcerazione, ma invece Fabrizio Corona è ancora in carcere, nonostante l’appello della mamma, Gabriella.  Oggi la sua intervista esclusiva rilasciata a ‘Verissimo’ va in onda. Dopo la lettera che Fabrizio ha inviato qualche giorno fa a Verissimo,   Silvia Toffanin  chiede a Gabriella di commentare quello che Fabrizio ha scritto, e la madre risponde: “Il carcere non è il posto adatto dove uno come Fabrizio possa espiare le sue colpe. E’ una persona che ha commesso dei reati a causa di questa patologia di cui soffre e che non è stata curata adeguatamente, anche per un suo rifiuto. Dovrebbe scontare la sua pena in modo alternativo al carcere, perché il carcere non lo può salvare”.  E sullo stato delle carceri italiane, dichiara: “Un paese democratico come l’Italia dovrebbe assolutamente provvedere affinché ci sia decoro nelle carceri. I diritti dell’uomo non possono mai essere violati, anche se si sono commessi reati gravi. In carcere i detenuti, come Fabrizio, non hanno la possibilità di recuperare, perché non ci sono i mezzi. Vivono in condizioni precarie e in uno stato di grave sovraffollamento, tema sul quale si è espresso anche il presidente della Repubblica. Infine, Gabriella racconta dell’incontro avvenuto tra Fabrizio Corona e suo figlio Carlos, che per la prima volta è potuto andare a trovare suo padre: “E’ stato un incontro bellissimo, Carlos saltava dalla gioia. Padre e figlio si sono manifestati a vicenda il loro infinito affetto. All’incontro era presente anche Nina Moric e Fabrizio è stato molto affettuoso anche con lei”.

Fonsai e i 451mila euro a La Russa quando era ministro

fonsai-larussa-tuttacronacaNell’inchiesta Fonsai, che vede indagati per corruzione Salvatore Ligresti e Giancarlo Giannini, spunta un altro nome eccellente. Dagli atti dell’inchiesta di Milano emergerebbe infatti, secondo il quotidiano Repubblica, che quando era ministro della Difesa, tra il 2009 e il 2010, Ignazio La Russa percepì dal gruppo Fonsai 451mila euro come “parcelle spese sinistri” e “altre prestazioni di servizi”. “Non può sfuggire la singolare preferenza che Isvap esprime per il matrimonio Unipol-Fonsai”. È Fulvio Gismondi, ex attuario di Fonsai, a ricostruire davanti al pm di Milano Luigi Orsi tutte le fasi che portano alla fusione tra la galassia Ligresti e la compagnia bolognese guidata da Carlo Cimbri, durante le quali ci sono stati controlli “morbidi” da parte dell’autorità di controllo, rapporti personali tra Salvatore Ligresti e Giancarlo Giannini, ma anche lettere in cui l’Isvap detta le condizioni di un matrimonio ‘obbligato’.  Nella sua testimonianza del 16 aprile 2012, gismondi ha svelato che “il 19 marzo scorso si è tenuta l’assemblea di Fonsai in vista della quale sia Consob che lsvap hanno inviato 2 distinte missive al Cda della società. Consob scrive a Fonsai e, sostanzialmente, chiede di sapere come la società intende risolvere il problema della ricapitalizzazione. Isvap, invece, chiede a Fonsai di precisare che il progetto di ricapitalizzazione è finalizzato alla fusione con Unipol. Si coglie in modo palmare il pregiudizio della vigilanza assicurativa, nella visione della quale esiste esclusivamente l’integrazione Unipol-Fonsai”.  Due giorni dopo, Gismondi è ancora più esplicito sul “carattere partigiano e pregiudiziale delle comunicazioni di Isvap a Fonsai e a Premafin”. Nel verbale si legge: “Si consideri innanzitutto la missiva da lsvap a Fonsai datata 12 marzo 2012. L’ultimo inciso di questa lettera recita: ‘si richiama l’attenzione di codesta società affinchè, nella rappresentazione agli azionisti, siano correttamente esplicitate motivazioni e destinazione dell’aumento stesso, in coerenza con le iniziative rappresentate a questa autorità'”.  ln sostanza, sottolinea Gismondi, l’Isvap chiede a Fonsai “di spiegare che l’aumento di capitale si va a fare secondo lo schema della integrazione con Unipol. A questo progetto l’Isvap fa riferimento quando scrive ‘iniziative rappresentate a questa autorità'”. “Per contrasto legga la nota Consob del 14 marzo scorso indirizzata a Fonsai. Vi si legge semplicemente che la società vigilata indichi quali iniziative sta promuovendo. Pure rilevante è la missiva Isvap a Fonsai del 16 marzo scorso che dà per scontata la salvezza di Fonsai attraverso la operazione con Unipol”.

Non sa resistere al Parmigiano Reggiano: finisce in carcere

parmigiano-reggiano-tuttacronacaIl 57enne romano Franco Valente ha una strana “dipendenza” che l’ha condotto dritto al carcere di Rebibbia. L’uomo, semplicemente, adora talmente il Parmigiano Reggiano dall’aver accumulato 12 condanne per furto e dieci anni di reclusione. L’uomo, ex impiegato delle poste, in dodici anni ha sottratto dai supermercati della Città Eterna centinaia di pezzi del pregiato formaggio. Per lui sempre e solo Parmigiano: ha infatti disdegnato qualsiasi altro prodotto. La prima volta che venne scoperto con “le mani nel formaggio”, il giudice lasciò correre, ma all’ennesimo processo finì agli arresti domiciliari. Dai quali evase… per andare a far nuove scorte del formaggio. Nei market, toglieva i codici a barre riuscendo così a farla franca al momento del pagamento. L’uomo uscirà dal carcere ad aprile.

Fabrizio Corona, lettera dal carcere

fabrizio_corona_tuttacronacaFabrizio Corona, condannato a 14 mesi per corruzione, dopo aver rivisto il figlio Carlos, che vorrebbe di nuovo stare con il suo papà, ha scritto una lunga lettera alla trasmissione condotta da Silvia Toffanin “Verissimo”, durante la quale afferma che, nel carcere di Opera, a Milano, ha “avuto tempo di riflettere sui miei errori e finalmente capire chi sono”.  L’ex fotografo, nella missiva pubblicata da Libero, spiega anche: “Continuo a combattere come ho fatto dal primo giorno che sono entrato in questo nuovo mondo, con questa nuova vita, per dimostrare che nei momenti di difficoltà si deve niente affatto ripiegare le ali”. Queste le parole di Corona:

“A chiunque incontro e mi chiede come sto, rispondo sempre la stessa cosa: «Sto bene, molto bene». Ma risponderei così anche dopo 30 coltellate, sanguinante, in fin di vita. Ho sempre risposto così, a tutti. Penso che dopo la scoperta di una grave malattia, il carcere sia la cosa più brutta che possa accadere ad un uomo. È la realtà dell’inferno in terra, dove colpevoli e innocenti sono costretti a vivere in condizioni vergognose e disumane nell’indifferenza istituzionale. Io però, in questo momento, non provo più rabbia, né rancore per chi mi ha condannato e inflitto questa pena così eccessiva e così assurda, ma anzi lo ringrazio perché mi ha dato la possibilità di capire tante cose, mi ha aiutato a riconoscere i tanti sbagli, ad ammettere gli errori, a guardarmi dentro, nel profondo della mia anima e a capire finalmente, a quasi quarant’anni, chi sono e cosa voglio veramente.

Il mio avvocato mi dice sempre: «Sii forte del fatto che ciò che è giusto alla fine vince», e io continuo a combattere come ho fatto dal primo giorno che sono entrato in questo nuovo mondo, con questa nuova vita, per dimostrare che nei momenti di difficoltà si deve niente affatto ripiegare le ali, abbassare il tiro, ma anzi, tentare di rilanciarsi lavorando sui propri margini di miglioramento e sulla riscoperta dei valori veri e dei sentimenti come l’orgoglio e il coraggio, perché alla fine, quello che conta veramente (nothing else matter) è il carattere e il cuore che metti nella tua vita. Bisogna saper rispondere alla disperazione con un sorriso di sfida e il dito medio alzato. E questo, oggi, deve essere d’esempio e di aiuto ai molti che pensano di non farcela e decidono di lasciarsi andare… Io non l’ho fatto e mai lo farò! Stare in prigione in questo paese è come morire lentamente, ma io continuo a vivere lo stesso, di notte, nei miei sogni, anche attraverso i ricordi di quella che è stata la mia incredibile vita: le tante emozioni provate, il grande amore dato e quello ricevuto, convinto, ancora oggi, che i sogni, se li desideri veramente e fai di tutto per raggiungerli, prima o poi diventano realtà. Oggi, chiuso dentro la mia cella, la numero 1 del primo reparto del carcere di massima sicurezza di Opera, guardandovi seduto dal mio sgabello di legno mezzo rotto, attraverso un minuscolo televisore degli anni Settanta, voglio vedere mia madre sorridere: ha già pianto e sofferto troppo. Un bacio e un ringraziamento speciale a te, Silvia. Con affetto”

Anche la sorella di Giulia Ligresti, Jonella è fuori dal carcere

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La sorella di Giulia, Jonella Ligresti  dopo 4 mesi il carcere di San Vittore può andare ai domiciliari. Lo ha deciso il Gip di Torino per le minori esigenze cautelari dovute al fatto che la Ligresti ha chiesto nei giorni scorsi di patteggiare con la procura di Torino una pena di 3 anni e 4 mesi. Giulia Ligresti ha patteggiato una pena a due anni e 8 mesi, il fratello Paolo ha evitato il carcere perché in Svizzera. La notizie arriva proprio nel giorno in cui la Cancellieri incassa la fiducia in Parlamento e rimane al suo posto nonostante lo scandalo. 

Adam Kabobo, torna a sentire le voci e tenta di strangolare il compagno di cella

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Adam Kabobo, che nelle scorse settimane, una perizia psichiatrica,  ha accertato che  – al momento delle aggressioni in zona Niguarda, nella quale persero la vita tre persone  – fosse in grado di intendere e di volere anche se  in modo attenuato, ora sembra che  sia tornato ad agire e che abbia, nei giorni scorsi tentato di strangolare il suo compagno di cella. Il motivo sarebbero sempre “le voci” che gli chiedono di compiere determinati atti.

Cancellieri – Ligresti? Associazioni di detenuti: “favoritismo inaccettabile”

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Fu davvero gesto umanitario? Martedì in Aula la Cancellieri respingerà ogni accusa, ma la bufera si è innescata. Il discorso tenderà a smontare ogni ipotesi di favoritismo nel caso Ligresti da parte del Guardasigilli e a sostegno della sua tesi il ministro citerà altre decine di casi che già sono stati ampiamente confermati dai dirigenti del Dap. Ma ciò che potrebbe suonare stonato sono le parole del vice del Dipartimento amministrazione penitenziaria Cascini che ha dichiarato: “Io non ho fatto proprio nulla. Ho solo detto a Cancellieri ‘ministro stia tranquilla’ la Ligresti è seguitissima. Lei come altri detenuti a rischio, pure per Lavitola ci siamo allertati”.  Quindi se era seguitissima, come d’altra parte lo erano altri carcerati, tra cui Lavitola, quali rischi correva?

 E se tra i casi, anonimi per ragioni di privacy, l’Avvenire cita  “la lettera scritta da R., campano 48enne allocato in una casa lavoro dell’Emilia Romagna in procinto di essere trasferito a Favignana, nel Trapanese, difficilmente raggiungibile dai familiari, che risiedono in Campania. Per evitarlo, il detenuto attua uno sciopero della fame, rifiuta di assumere medicine e scrive al ministro. A metà agosto R. viene trasferito in una casa lavoro in Abruzzo, più vicina alla sua famiglia”. Ce ne sono altri dove invece sembra proprio che il gesto umanitario non ci sia stato… e che quindi i numeri siano rovesciati a sfavore di chi resta inascoltato. E se è vero che i casi sono moltissimi, quasi impossibile arrivare ovunque, sono però le stesse associazioni di detenuti, cioè coloro che quotidianamente sono a contatto con i detenuti e che conoscono da vicino questa realtà a parlare con durezza nel caso Ligresti di un “favoritismo inaccettabile”

Come dice Il Fatto Quotidiano: La cronaca rivela però che i gesti umanitari mancati sono la regola, l’interessamento “sollecitato” un’eccezione: non più tardi di quattro giorni fa un 81enne è morto nel carcere di Ferrara dopo uno sciopero della fame. L’uomo, di origini calabresi, era recluso nella sezione sicurezza, separato dagli altri detenuti. “Forse non aveva il numero del ministro”, è la battuta che gira tra volontari e secondini dell’Arginone. Carlo Mazzero, direttore della casa circondariale di Massa Marittima intervenendo a Linea Notte (Rai3) è stato tranciante sul caso Ligresti: “Con 67mila detenuti e 40mila posti abbiamo molti casi di grandissima difficoltà, di vera e propria disperazione, di cui ci facciamo carico. E il telefono, diciamo così, per loro non squilla”.

Favero (Ristretti Orizzonti): “Non avrei parlato di gesto umanitario”. Da Padova, Ferrara, Milano le reazioni di chi lavora tutti i giorni a contatto con i carcerati variano dall’incredulità allo sdegno e fino alla rabbia. “Altro che gesto umanitario. Questa storia dimostra ancora una volta che se non hai certi natali puoi morire di stenti in una cella”. Usa parole durissime Ornella Favero, direttore di “Ristretti Orizzonti”, il giornale della Casa di reclusione di Padova e dell’Istituto di pena femminile della Giudecca. “Fossi stata nel ministro non avrei parlato di un gesto umanitario, né liquidato le pressioni sul Dap come un doveroso interessamento per minimizzare le implicazioni della vicenda. Piuttosto avrei ammesso l’evidenza e per salvare una parvenza di dignità avrei aggiunto “vorrei farlo per ogni detenuto””.

Il caso del detenuto bibliotecario da Padova a Cremona. Nessun favoritismo, certo. Per il detenuto comune. Ornella Favero lo può testimoniare direttamente. Racconta le difficoltà riscontrate da “Ristretti Orizzonti” su un caso che si è risolto solo pochi mesi fa, a luglio, e che chiama in causa proprio il ministro Cancellieri. “Tre mesi fa si è chiusa l’incredibile vicenda di un detenuto che è anche il nostro bibliotecario, Stefano Carnoli. Da Padova è stato trasferito d’ufficio a Cremona perché il magistrato di Sorveglianza aveva accolto il suo reclamo contro ilsovraffollamento ai sensi delle indicazioni della Corte Europea per i diritti umani (stabilisce i 3 metri quadrati come spazio minimo per una persona in cella, ndr)”. Per “rispettare” questo diritto ecco il trasferimento d’ufficio, deciso dal Ministero, in un carcere dove i centimetri erano rispettati, con la brusca interruzione però di un percorso di rieducazione che a Padova andava avanti da tre anni e a Cremona sarebbe stato impossibile. La vicenda ha un epilogo positivo, ma non grazie all’interessamento umanitario della Cancellieri. “Quando a Cremona è stato chiaro che non c’era alcun percorso di riabilitazione possibile si è messa in moto una campagna di sensibilizzazione su vasta scala. La Cancellieri ha risposto che doveva rimanere a Cremona ma che “avrebbe vigilato”. Nel caso dello sconosciuto Carneroli sono stati l’associazione e i giornali. “A fine luglio il Dap decide di fare marcia indietro, optando per una valutazione di ordine realmente umanitario e non burocratica. Ma su sollecitazione di Adriano Sofri e di Corrado Augias che hanno pubblicato le lettere e fatto proprio il suo appello”.

Il numero dei suicidi in carcere cresciuto del 300%. Si dice “basito” del comportamento del Ministro Achille Saletti, presidente dell’associazione Saman che nelle carceri svolge attività di aiuto soprattutto alla popolazione di tossicodipendenti. “Quello che è capitato a Giulia Ligresti succede a migliaia di detenuti senza nome che non ricevo alcun trattamento di favore. E il nodo è proprio questo: se è lodevole che il ministro si interessi alle condizioni di un carcerato lo è molto meno che lo faccia nei confronti di uno solo, anche perché la Cancellieri sa che il numero di suicidi in carcere è cresciuto del 300% negli ultimi 10 anni e solo dall’inizio dell’anno se ne contano una quarantina. E non mi risultano telefonate dirette a perorare un trattamento migliore o una qualche soluzione personale”.

Il caso Musumeci: “Siamo carne viva immagazzinata”. A volte, invece, non c’è ragione umanitaria che tenga. “La storia di Carmelo Musumeci – ragiona la Favaro – è emblematica. Il suo è un caso che dovrebbe smuovere le coscienze e invece dimostra che senza santi in Paradiso non vai proprio da nessuna parte”. Condannato all’ergastolo per omicidio è detenuto dietro le sbarre del Due Palazzi in regime “ostativo” da 20 anni: nonostante abbia fatto passi enormi (si è laureato in giurisprudenza, ha scritto una proposta di legge contro l’ergastolo, collabora con la rivista Ristretti Orizzonti) gli è inibito ogni beneficio penitenziario: zero permessi, semilibertà o affidamento ai servizi sociali sono chimere. Ha scritto a Napolitano proprio nei giorni in cui l’attenzione del Presidente era rivolta alla condanna a un anno dell’ex premier Berlusconi. “Siamo come carne viva immagazzinata in una cella e destinata a morire”, scriveva. Ma nessuna telefonata è arrivata dal Quirinale o dal Ministero della Giustizia. Anche lui, evidentemente, non aveva i numeri.

Rivolta nel carcere di Maidstone, nella cittadina dove è stato ucciso Joele

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Durissima protesta nel carcere di Maidstone, nel Kent, dove oltre 100 detenuti stanno dando vita alla rivolta. Sky News britannica ha commentato così la notizia: «in un’ala del carcere è in corso un incidente e sono state dispiegate forze di sicurezza nazionali». Secondo alcune fonti tra 160 e i 180 detenuti stanno mettendo a ferro e fuoco un’area della prigione che si trova nella cittadina dove lo scorso 20 ottobre è stato ucciso, massacrato di botte, Joele Leotta, diciannovenne della provincia di Lecco.

Cancellieri-Ligresti: parla il procuratore capo di Torino

caselli-tuttacronacaE’ il procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli, a prendere la parola in difesa del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, riguardo le telefonate intercettate con la famiglia Ligresti. Il procuratore, intervenendo a SkyTg24, ha spiegato che gli arresti domiciliari a Giulia Ligresti “sono stati concessi esclusivamente sulla base di due fatti concreti, obiettivi, provati: le condizioni di salute assolutamente incompatibili con il carcere (come una perizia di un qualificato professionista ha certificato) e la richiesta di patteggiamento intervenuta ben prima che ci fossero le telefonate dii cui le cronache di queste giorni sono piene”. “Assolutamente nient’altro, questo e soltanto questo”. E aggiunge: “Sarebbe arbitraria, sarebbe infondata qualunque ipotesi di circostanze esterne che in qualche modo abbiano influito sulle decisioni dell’autorità giudiziaria. Abbiamo agito, come sempre, in base alla legge e gli atti processuali sono lì a dimostrarlo”. Lo stesso concetto era stato esposto in una nota anche dalla procura di Torino. I domiciliari a Giulia Ligresti sono stati concessi per una serie di “circostanze obiettive” e “sarebbe arbitraria e del tutto destituita di fondamento ogni illazione che ricolleghi la concessione degli arresti domiciliari a circostanze esterne di qualunque natura”. Caselli sottolinea, in particolare, che “tutte le risultanze del fascicolo (ormai pubbliche e riscontrabili: documenti, acquisizioni processuali, atti d’indagine e accertamenti peritali) testimoniano in modo univoco e incontrovertibile che la concessione degli arresti domiciliari è avvenuta esclusivamente in base alla convergenza di decisive circostanze obiettive: le condizioni di salute verificate con consulenza medico-legale e l’intervenuta richiesta di ‘patteggiamento’ da parte dell’ imputata, risalente al 2 agosto e perciò di molto antecedente le conversazioni telefoniche oggetto delle notizie”.

Fonsai: il ministro della Giustizia pronto a riferire in Aula

giulia_ligresti_fonsai-tuttacronacaDopo che da varie parti politiche si sono levate voci di richiesta di spiegazioni e dopo diverse accuse, ha preso la parola il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, replica sul caso di Giulia Ligresti spiegando che nella vicenda non vi è stata nessuna interferenza con le decisioni degli organi giudiziari, ma solo un intervento “doveroso” finalizzato ad impedire eventuali gesti autolesivi. La Cancellieri si è inoltre detta, in una lettera ai Capigruppo di Camera e Senato, “pronta a riferire in Parlamento”.

Cancellieri e Ligresti: dal mondo politico si levano richieste di chiarimenti

anna_maria_cancellieri-tuttacronacaBeppe Grillo e Lega Nord “unite” su un fronte comune: che il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri dia dei chiarimenti sulla “vicenda torbida” che la vedono coinvolta nella vicenda Ligresti per quel che riguarda il passaggio ai domiciliari di Giulia Ligresti. In un’tercettazione, risalente al 17 luglio scorso e in possesso dell‘Adnkronos, la si sente rivolgersi a Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti, dicendo: “Comunque guarda, qualsiasi cosa io possa fare conta su di me, non lo so cosa possa fare però guarda son veramente dispiaciuta”. Ma M5S e Lega non sono gli unici a voler capire. Danilo Leva, responsabile giustizia del Pd, chiede chiarezza: “È opportuno che il ministro Cancellieri, alla luce di quanto viene riportato da una agenzia di stampa, chiarisca il senso delle parole da lei proferite nel corso di una telefonata con Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti. Si tratta di una vicenda estremamente delicata su cui è necessario garantire la massima trasparenza. Bisogna inoltre fugare ogni dubbio che possano esistere detenuti di serie A e di serie B”. Ma la telefonata tra Cancellieri e Fragni non è l’unica intrattenuta tra le due famiglie. Il nucleo di polizia tributaria della Gdf di Torino ha scritto, in un’annotazione del 29 agosto scorso agli atti dell’inchiesta su Fonsai, “Dal monitoraggio delle conversazioni telefoniche è emerso che lo stesso ex direttore generale di Fondiaria-Sai”, Piergiorgio Peluso, figlio del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, “continua a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che di quelle societarie”. Come riporta l’Huffington Post, nella stessa annotazione la Gdf spiega le ragioni per cui è necessario ai fini delle indagini captare le conversazioni telefoniche della stessa figlia di Salvatore Ligresti e di Peluso.

Quest’ultimo, scrive la Gdf, “è stato dal mese di giugno 2011 al mese di settembre 2012 direttore generale di Fondiaria-Sai spa, con deleghe strategiche”. La posizione, si legge ancora nell’atto, “di top manager all’interno della società, ha fatto sì che Piergiorgio Peluso avesse stretti legami con la famiglia Ligresti e altri alti dirigenti del gruppo Fonsai”. Dalle intercettazioni, spiegano ancora i finanzieri, è emerso che Peluso “continua a intrattenere rapporti con alcuni dirigenti del Gruppo, interessandosi sia alle vicende giudiziarie che di quelle societarie”.

Giulia Ligresti ai domiciliari: l’intervento della Cancellieri

cancellieri-ligresti-tuttacronacaI legali di Giulia Ligresti, arrestata con altri tre componenti della famiglia il 17 luglio, avevano chiesto che la donna fosse mandata ai domiciliari: richiesta respinta dal giudice per le indagini preliminari. Un mese dopo, il 17 agosto, la compagna di Salvatore Ligresti, Gabriella Fragni, intercettata, parla al telefono con il cognato, Antonino Ligresti. Nel corso della chiamata la si sente dire: “La persona che potrebbe fare qualcosa per Giulia è il ministro Cancellieri”. Ed è così, come spiega Repubblica, che il ministro della Giustizia viene trascinato negli atti dell’inchiesta su Fonsai che è costata l’arresto all’intera famiglia del finanziere siciliano. Si legge sul quotidiano:

Chiamata direttamente da Antonino, il ministro della Giustizia risponde, e si attiva. Parla con i due vice capi di dipartimento del Dap, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, per “sensibilizzarli” sul fatto che Giulia Maria Ligresti soffre di anoressia. Il 28 agosto, dopo che il ministro della Giustizia si è interessata della sua situazione in cella, finalmente Giulia vede aprirsi le porte del carcere. “Si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione” spiega più tardi Cancellieri, davanti al procuratore aggiunto, Vittorio Nessi, che è volato a Roma per sentirla e che ha cercato di ricostruire l’intera vicenda. E la parentesi che la riguarda si chiude rapidamente senza alcun risvolto penale: non c’è un nesso provato tra il suo attivarsi e la scarcerazione della donna.

Ottavia Giustetti ricorda ancora che “La vicinanza tra il ministro e la famiglia dell’ingegnere di Paternò è un fatto noto, come pure che il figlio della Cancellieri, Piergiorgio Peluso, sia stato dirigente della compagnia assicurativa Fondiaria Sai. Il nome di Peluso compare spesso nelle carte dell’inchiesta torinese, mai però in veste di indagato. “Essendo io buona amica della Fragni da parecchi anni – ha spiegato il ministro al procuratore – ho ritenuto, in concomitanza con l’arresto dell’ingegnere e delle figlie, di farle una telefonata di solidarietà sotto l’aspetto umano”. Cancellieri e Fragni si sentono più di una volta per telefono. Tanto che la compagna di Salvatore Ligresti, quando la situazione della figlia Giulia non trova soluzione, parla con il cognato e suggerisce di contattarla come ultimo tentativo.” Alcuni giorni dopo, il ministro Cancellieri racconta ai magistrati l’accaduto: “Effettivamente ho ricevuto una telefonata da Antonino Ligresti che conosco da molti anni. Ligresti mi ha rappresentato la preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia Maria la quale, soffre di anoressia e rifiuta il cibo. In relazione a tale argomento ho sensibilizzato i due vice capi di dipartimento del Dap, Francesco Cascini e Luigi Pagano, perché facessero quanto di loro stretta competenza per la tutela della salute dei carcerati”. Ma oltre all’intervento del ministro, in procura a Torino arriva un fax con un referto redatto dalle psicologhe dell’istituto penitenziario dove la Ligresti è detenuta: parla dello stato di depressione della donna e certifica che le sue condizioni di salute sono incompatibili con il carcere. Il tutto senza che siano state avanzate richieste di feed back sulle condizioni di salute della detenuta, la situazione della quale li obbliga a nominare un medico legale, il quale, accertato l’effettivo disagio della detenuta, fa in modo che in pochi giorni alla Ligresti vengano concessi i domiciliari.

Il boss è affetto da gravi patologie? Niente 41-bis, lo dice la Cassazione

carcere-legge-tuttacronacaE’ stato accolto in Cassazione il ricorso dell’81enne Filiberto Maisano, ritenuto un capomafia della ‘ndrangheta reggina per il quale nel 2010 venne disposto il “carcere duro”, regime previsto dal 41 bis. Il detenuto, che si trova nel carcere di Novara, aveva chiesto fosse modificata la misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari “per gravi motivi di salute”. Il ricorso è stato accolto e da Piazza Cavour hanno  disposto un nuovo esame davanti al Tribunale della Libertà di Reggio Calabria. La Suprema Corte ha sottolineato che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” aggiungendo che è necessario equilibrare “le esigenze di giustizia, quelle di tutela sociale con i diritti individuali riconosciuti dalla Costituzione”. Questo anche quando si tratta di esponenti di spicco della criminalità. Il boss, sottolinea la sentenza 43890, presenta “un quadro patologico serio caratterizzato da patologie cardiache, artrosiche, discali e neurologiche” che l’hanno condotto a uno stato di depressione.

In Marocco una protesta… al bacio!

bacio-marocco-tuttacronacaRisale al 5 ottobre la notizia di una coppia di minorenni marocchini finiti in carcere per essersi baciati in pubblico e aver postato l’immagine della loro effusione in Facebook. Arrestato con loro anche l’amico che aveva scattato loro la foto. Il caso ha diviso il Marocco tra liberali e islamisti in una terra dove il gesto dei giovani è stato definito un “attentato alla morale pubblica”. Da allora è scattata la protesta con un “kiss-in” davanti al Parlamento di Rabat e in molte città del paese. Contemporaneamente, centinaia di persone stanno pubblicando baci su Twitter e altri social network.

Il fatto che baciarsi in pubblico venga considerato un comportamento non accettabile in diversi Stati del Medio Oriente e in Nord Africa, questa protesta ha provocato dure critiche in Marocco. Anche per questo motivo, sebbene in moltiabbiano ritenuto eccessiva la pena per i due ragazzi, soltanto poche decine di manifestanti si sono voluti spingere fino a baciarsi in pubblico.

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Violentata in carcere? Detenuta incinta al terzo mese

nigeriana-incinta-detenuta-tuttacronaca

Chi ha messo incinta la detenuta? E’ stata violentata o è stato un rapporto obbligato in cambio di “favori” all’interno delle mura carcerarie? Questi sono i mille interrogativi che dovranno essere svelati intorno alla vicenda di una nigeriana detenuta dal  2009 nel carcere di Pontedecimo per reati  legati al mondo della prostituzione che risulta incinta di tre mesi, ma che ha sempre incontrato il marito solo in sala colloqui e sotto la sorveglianza degli agenti penitenziari. Alla nigeriana non sono mai stati concessi permessi o incontri privati, per cui la gravidanza sembra essere riconducibile solo al personale che opera nel carcere o negli spazi di socializzazione. Il carcere poi è tristemente noto per l’ex direttore, Giuseppe Comparone, condannato a 30 mesi per concussione e violenza sessuale per aver concesso benefici e permessi in cambio di favori sessuali a una detenuta marocchina, reato aggravato dall’abuso di autorità. La nigeriana incinta sarebbe un teste che permise di incastrate l’ex dirigente dell’istituto.

 

Delitto di Cogne: la Franzoni tra guai economici e critiche

annna-maria-franzoni-tuttacronacaE’ stata ammessa al lavoro esterno dal carcere bolognese di Dozza Anna Maria Franzoni, dietro le sbarre per il delitto di Cogne, ma ora si trova a fare i conti con accuse e critiche. A lei e al marito è stata notificata, nei giorni scorsi, una citazione firmata da Giorgio Taormina, il figlio del suo ex avvocato, che che afferma di non essere mai stato pagato per una parcella di 771.507 euro. Per discutere la causa è stata fissata un’udienza. L’avvocato Carlo Taormina è stato il difensore della donna nel processo per l’omicidio del figlio Samuele fino al 23 febbraio 2007, quando rinunciò definitivamente al mandato. Il legale ha anche difeso sia lei che il marito e in alcuni casi solo l’uomo, per il quale, tra le altre cose, ha redatto diverse querele per diffamazione. Nella parcella rientrano l’attività giudiziale svolta, le indagini difensive, ma anche i viaggi aerei e in auto. Ma non solo. Ai guai economici per la Franzoni si sommano anche le critiche delle compagne del carcere femminile. Le recluse l’accusano di essere una privilegiata, con riferimento alle mansioni interne del carcere e per la possibilità concessale dalla direzione di lavorare in esterno, “cosa assai rara”. Dicono le detenute: “per i lavoro interni retribuiti c’era la rotazione, ma da quando è arrivata lei è saltato tutto”.

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