Riforma pensioni: parla Giuliano Poletti, ministro del Lavoro

giuliano_poletti-pensioni-tuttacronacaHa una priorità il governo Renzi: il lavoro. Con il pacchetto che verrà presentato già in questo mese. Sui binari paralleli al piano per il rilancio del mercato dell’occupazione viaggia la riforma delle pensioni, che è in fase di realizzazione. Ilministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giuliano Poletti, ha spiegato che si prevedono numerose misure tra le quali l’allargamento della platea dei beneficiari del sussidio di disoccupazione e l’offerta di un’opportunità di impiego entro 4 mesi a ciascuna persona, giovane, adulta o anziana, che abbia perso il lavoro. Il ministro ritiene infatti che “nessuno deve essere lasciato a non fare nulla, perché si traduce in una gravissima condanna. Su questo si giudica pure il grado di civiltà di un Paese”. Va notato che il ministro, tuttavia, nonostante abbia rilasciato numerose interviste, ha toccato i temi delle pensioni e degli esodati solo di sfuggita, mentre non ha ancora fissato un incontro con le parti sociali, seppur richiesto dai sindacati. Ma non è il caso di allarmarsi perchè lo stesso Poletti ha spiegato: “Ho bisogno di fare una ricognizione dello stato dell’arte, ho da scegliere delle figure importanti all’interno del ministero”. I sottosegretari arrivano in tre dal Pd: Teresa Bellanova, Franca Biondelli e Luigi Bobba mentre Massimo Cassano è del Ncd. Ma il ministro ha sottolineato anche che la sua metodologia di lavoro “non può prescindere dall’incontro delle parti sociali e anche dell’associazionismo impegnato nel terzo settore: non dimentichiamo che il ministero ha anche la delega al welfare. E per me il terzo settore è una leva essenziale allo sviluppo del Paese”. Su Webmasterpont.it, Marcello Tansini si chiede: “Si possono ridurre gli oneri sociali?” E risponde:

Anche se l’incidenza dei contributi è rilevante, i margini di intervento su questa sono limitati perché si tratta in larghissima parte di contributi previdenziali. La quota residua di oneri impropri, che potrebbero essere fiscalizzati ossia posti a carico dello Stato, è molto limitata. Tagliare la contribuzione previdenziale avrebbe l’effetto indesiderato di ridurre le pensioni future dei lavoratori visto che ormai dal 2012 tutti sono passati al sistema contributivo. Nonostante un’aliquota contributiva effettiva del 33% (circa il 9% a carico del dipendente e il resto del datore di lavoro) le pensioni contributive proiettate nei prossimi decenni risultano…

Pensioni shock! Che fine hanno fatto i contributi?

contributi-pensioni-tuttacronacaSono stati alcuni insegnanti della provincia di Milano a fare una scoperta a dir poco shock: dei loro contributi previdenziali non si trova traccia nei terminali dell’Inps. I docenti, per i quali si avvicina il tempo della pensione, si sono infatti recati all’Istituto per richiedere i conteggio dei versamenti. A quel punto la scoperta: nessun contributo per alcune supplenze effettuate all’inizio della carriera presso scuole pubbliche dell’area metropolitana. Come spiega il Sole 24 ore, si tratta di supplenze temporanee (per periodi brevi ma anche incarichi annuali) effettuate in periodi lontani nel tempo: in particolare tra l’inizio degli anni Settanta e il 1987. Il caso, a Milano, “interessa centinaia di docenti”, conferma il direttore scolastico provinciale, Giuseppe Petralia, ma il numero “potrebbe lievitare nei prossimi mesi, quando altri docenti si troveranno a fare i calcoli in vista del pensionamento”. In ogni caso, tiene a precisare l’ex provveditore, “il problema va ben oltre la dimensione locale: si tratta di una questione nazionale che dunque può riguardare un numero ben più ampio di docenti”. Spiega Silvia Sperandio sulle pagine del quotidiano:

A lanciare l’allarme è stata la a Cgil di Milano che – basandosi su segnalazioni pervenute direttamente al sindacato e sui dati del patronato Inca Cgil – ha rilevato un preoccupante crescendo di casi in provincia di Milano. «Abbiamo riscontrato buchi contributivi, anche consistenti, relativi al periodo compreso tra il 1970 e il 1987», spiega Caterina Spina, segretaria generale Flc Cgil di Milano. Il problema «è stato subito segnalato all’Ufficio scolastico regionale, e l’ex provveditorato ha riconosciuto effettive difficoltà a trovare la copertura contributiva. Ora il fenomeno è in crescita, urge una soluzione», incalza Spina. La casistica è varia, ma il leitmotiv è lo stesso. Tra i prof che si sono trovati in difficoltà c’è ad esempio chi è già in pensione, e ha riscattato – pagando di tasca sua – più di un anno di contributi che non risultano all’Inps, e insegnanti che hanno presentato la domanda di pensionamento tre o quatto anni fa ma sono ancora in attesa della pensione: nessuna erogazione dall’Inps a causa di “buchi” riscontrati nel ’78 e ’79, non giustificati dall’amministrazione. «Il problema esiste, sappiamo che è urgente e stiamo cercando di risolverlo: abbiamo già chiesto un incontro con l’Inps», dichiara il direttore dell’Ufficio scolastico provinciale Giuseppe Petralia, tra l’altro prossimo alla pensione, raccontando che già centinaia di insegnanti si sono recati all’ex Provveditorato per chiedere conto dei loro versamenti Inps attestati dal modello «01 M». «Si tratta, nella maggior parte, di docenti che oggi sono di ruolo, ma che hanno cominciato la loro carriera scolastica facendo supplenze nelle scuole, anche con incarichi annuali». E sono in molti anche gli insegnanti che si rivolgono alle segreterie delle scuole milanesi dove hanno lavorato in passato, per chiedere che vengano loro rilasciati gli attestati di servizio e i modelli “01 M” che attestano i versamenti all’Inps.
Secondo l’Ufficio scolastico provinciale, inoltre, «è scontato il pagamento dei contributi da parte delle scuole». In ogni caso, il consiglio rivolto ai docenti è quello di controllare prima possibile la propria situazione previdenziale: in caso di «buchi» contributivi è necessario dotarsi dei certificati di servizio, o dei cedolini che attestano i versamenti delle scuole, prima di andare nuovamente agli sportelli Inps.
Secondo i vertici dell’Istituto nazionale di previdenza di Milano, c’è innanzitutto l’esigenza di fare una verifica per capire l’entità e la consistenza di questo fenomeno: se la questione dovesse riguardare i contributi versati fino al 1987, per le cosiddette supplenze brevi, si tratterebbe di versamenti che rientrano nella gestione previdenziale privata (Ago, assicurazione generale obbligatoria) dell’Inps. Contributi per i quali – tra l’altro – scatta la precrizione dopo un periodo di dieci anni. Infatti, fino al 1987, i contributi degli insegnanti per le supplenze brevi venivano versati direttamente all’Inps, poi queste pratiche sono divenute di competenza dell’Inpdap. Intanto, l’Inps conferma che è in programma a breve un tavolo con l’Ufficio provinciale scolastico di Milano, nel corso del quale verrà affrontato questo tema.

I sindacati, il ministro del Lavoro e le pensioni

sindacati-pensioni-tuttacronacaVera Lamonica, Maurizio Petriccioli e Domenico Proietti, Segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil, hanno firmato una nota unitaria con la quale si rendere noto che “Le segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto un incontro al Ministro del Lavoro Giuliano Poletti per affrontare alcune fra le principali questioni inerenti il sistema pensionistico sulle quali le organizzazioni sindacali si stanno battendo da tempo”. La nota prosegue precisando che “Gli interventi del dicembre 2011 hanno provocato ricadute sociali gravissime, dovute all’eccessivo irrigidimento dei requisiti di accesso al pensionamento, generando iniquità e problematiche che ancora oggi aspettano una soluzione definitiva. Sul piano della sostenibilità sociale vanno prese, poi, decisioni che possano, nel lungo periodo, assicurare l’obiettivo di una pensione dignitosa, da conseguire attraverso un pilastro pubblico equo e solidale e una previdenza complementare ampiamente diffusa e accessibile a tutti. Inoltre, anche alla luce delle recenti vicende che hanno interessato l’Inps, va accelerata la riforma del modello di governo degli enti previdenziali e assicurativi, assumendo i contenuti dell’Avviso comune sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria il 26 giugno 2012”.

Governo Renzi e pensioni: a che punto siamo?

pensioni-governo-renzi-tuttacronacaIl nuovo presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato che a marzo verrà presentato il nuovo piano lavoro e ci si aspetta che, con esso, arrivino anche le modifiche per le pensioni che finora sono state attese invano nonostante le molte richieste. Sono infatti necessari interventi per risolvere situazioni cruciali, come quelle di esodati e Quota 96, e per un’uscita anticipata dal lavoro per precoci e usuranti. E’ il sito businessonline.it che ci aggiorna sulla situazione attuale spiegando che sembrano tornare in voga due precedenti proposte: quella del prestito pensionistico e l’ipotesi di uscita flessibile dal lavoro.

Sembra si possa tornare a rivalutare o l’idea del prestito pensionistico dell’ex ministro Giovannini, o l’ipotesi di uscita flessibile dal lavoro, avanzata mesi fa da Cesare Damiano, che prevedeva la possibilità di uscita anticipata dal lavoro, a 62 anni, con 35 anni di contributi ma accettando un sistema di penalizzazioni, o anche incentivi se si decidesse di rimanere a lavoro fino all’età di 70 anni.

L’idea del prestito pensionistico, invece, offre la lavoratore la possibilità di andare prima in pensione rispetto alla soglia fissata dei 66 anni, accettando un prestito da parte dell’Inps, dello Stato o dell’azienda stessa, che dovrà poi però essere restituito una volta maturati i requisiti pensionistici richiesti, attraverso decurtazioni dall’assegno finale.

Questo sistema permetterebbe, dunque, a precoci e usuranti di lasciare prima il lavoro, ad altre categorie di lavoratori di decidere, su base volontaria, di andare in pensione prima, permettendo anche un turn over e facilitando l’accesso nel mondo del lavoro dei più giovani.

E proprio l’occupazione giovanile è una delle sfide che si trova ad affrontare il nuovo governo Renzi mentre i dati Istat parlano di una disoccupazione record. Il nuovo governo Renzi punta inoltre ad allargare le tutele economiche e sociali per chi lavora e, per chi dovesse perdere il posto, pensare al cosiddetto reddito minimo garantito, garanzia per i disoccupati. Si tratta comunque di un sostengo al reddito che dovrebbe interessare tutti, lavoratori dipendenti, autonomi a progetto o con partita Iva.

Pensioni: ulteriori penalizzazioni in vista? La nota della Cgil

pensioni-tuttacronaca-cgilVera Lamonica, segretario confederale della Cgil, ha redatto una nota per denunciare che ”I lavoratori e le lavoratrici che in questi giorni stanno presentando domanda di pensionamento anticipato rischiano di trovarsi ulteriori penalizzazioni che, come nel caso della scuola, li costringerebbero ad allungare di un altro anno il loro lavoro”. E spiega: ”Questa penalizzazione è il portato delle previsioni assurde della legge Fornero e anche delle successive interpretazioni date dall’Inps e soprattutto dall’ex Inpdab”. Ancora, la dirigente sindacale prosegue sottolineanche che la legge Fornero ”prevede il mancato calcolo nell’anzianità contributiva utile per non incorrere nelle penalizzazioni previste per chi va in pensione anticipata prima dei 62 anni, di una serie di periodi quali ad esempio la cassa integrazione straordinaria, la disoccupazione, la mobilità o la partecipazione agli scioperi. Successivamente un parzialissimo intervento del Parlamento ha corretto ma non risolto il problema”. La Cgil, quindi, conclude Lamonica, chiede ”all’Inps e al Ministero del lavoro di impedire un ulteriore pesante effetto sulla vita delle persone, correggendo innanzitutto interpretazioni che appesantiscono norme inique che vanno comunque cancellate”.

Le pensioni pagate… a chi è vissuto ed è morto all’estero!

pensioni-emigrati-tuttacronacaSi parla molto delle pensioni, sempre in attesa di qualche risposta. E diversi sono i casi di cronaca che parlano di morti celate per continuare a percepire quella di un familiare. Ma non solo: la Guardia di finanza di Tropea, come riporta l’Ansa, ha condotto una verifica su alcune posizioni di cittadini emigrati che, pur avendo mantenuto la residenza in Italia, potevano essere deceduti all’estero. Si è così scoperto che l’Inps, non avendo cognizione dei possibili decessi, aveva continuato ad erogare le provvidenze con danni per l’erario. Gli accertamenti proseguono per scoprire casi analoghi ma nel frattempo l’Istituto ha recuperato quasi 90 mila euro.

Governo Renzi e pensioni: le novità del ministro Poletti

pensioni-poletti-tuttacronacaL’attesa è alta per quel che riguarda i primi interventi del neo ministro Giuliano Poletti sul tema pensioni ma nel frattempo possiamo provare a capire che linea seguirà il governo Renzi per quel che riguarda la pensione anticipata 2014 e il prepensionamento Giovannini. E’ possibile grazie a una recente intervista rilasciata dallo stesso Poletti all’Unità. Anche se il ministro non parla direttamente di pensione anticipata e del prepensionamento con prestito, spiega di mirare a costruire e non a demolire, aggiungendo di essere intenzionato a lavorare in un’ottica di continuità con il suo predecessore. “Io lo ringrazio per il lavoro svolto e mi auguro che possa collaborare con noi per il futuro. In generale le cose fatte mi sembrano importanti, come per l’appunto la Garanzia Giovani. Sarebbe un errore fermarsi per smontare tutto. Noi dobbiamo andare avanti”. Da queste parole è lecito ipotizzare che, per quel che riguarda la pensione anticipata 2014 con prestito, la propostà continuerà a venire discussa. Certo, si tratta comunque di un’ipotesi. Proseguendo su questa linea: se tale possibilità venisse estesa a una platea più ampia di quella prevista, di conseguenza si aprirebbero anche le porte per l’accesso al mondo del lavoro per molti giovani. Proprio a questo tema sembra particolarmente legato Poletti: “Bisogna metterci tutti nella condizione di produrre almeno un’offerta per chi non ha ancora trovato una collocazione”. Nel frattempo Damiano comunque continua a parlare della bontà della flessibilità: resta da vedere se verrà ascoltato.

Cosa aspettarsi sul tema pensioni dai neo ministri del Lavoro e dell’Economia

pensioni-governo-renzi-tuttacronacaIeri Matteo Renzi ha chiesto, ottenendola, la fiducia al Senato ma nel suo discorso non ha parlato del tema pensioni. Questo tuttavia non dovrebbe allarmare, visto che le innovazioni per quel che riguarda il mercato del lavoro potrebbero offrire aperture proprio sul tema pensionamento. Le risposte che ci si attende sono, tra le altre, quelle alla questione esodati per risolverla una volta per tutti. Come spiega businessonline.it:

gli esodati continuano ad aumentare per effetto delle norme pensionistiche entrate in vigore con la legge Fornero e si tratta di un errore a cui è necessario porre fine. La legge previdenziale in vigore infatti, quando elaborata, non ha tenuto conto della specificità di alcuni comparti, come quello della scuola, nè di accordi stipulati da lavoratori con le proprie aziende per andare in pensione prima. Tutto questo ha creato una discrepanza di tempi dando vita ai cosiddetti esodati, coloro cioè che si ritrovano senza reddito e senza pensione, costretti a vivere ai margini e in condizioni di grave precarietà. Nonostante poi i tre decreti di salvaguardia dell’ex governo Monti, che hanno coinvolto 130mila persone, e quelli dell’ex governo Letta, sono ancora pochissimi coloro che effettivamente ricevono l’assegno pensionistico. Motivo per il quale è stata innanzitutto richiesta una ricognizione puntuale di coloro che ancora necessitano della tutela stabilita e per cui il nuovo premier incaricato, Matteo Renzi, sin dal suo discorso in virtù delle primarie, ha posto gli esodati come ‘situazione fondamentale’ da risolvere. Nonostante, dunque, ieri, nel suo discorso al Senato per la fiducia non abbia fatto accenno a questa categoria di persone, sembra scontato un impegno per scongiurare che la situazione diventi ancor più grave, che probabilmente potrebbe essere collegato ad una riforma del lavoro già nei piani del nuovo governo.

Anche pensioniblog.it parla dell’attuale esecutivo ricordando che, in un primo momento, per quel che riguarda le cariche di ministri del Lavoro e dell’Economia, si erano fatti i nomi di Guglielmo Epifani, ex segretario Cgil, e Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro. Entrambi  facevano ben sperare su possibili modifiche, mentre ora, al constrario, nascono dubbi dalla nomina di Pier Carlo Padoan e Giuliano Poletti che dovranno, una volta per tutte, sciogliere il nodo esodati, risolvere la questione dei pensionandi appartenenti alla cosiddetta Quota 96 e pensare a piani di uscita flessibile per le pensioni di vecchiaia e anzianità. Perchè l’insorgere dei dubbi? Si legge:

Sono due ministri che, sulle pensioni, non hanno mai criticato apertamente la Legge Fornero, ma hanno manifestato intenzioni di cambiamenti sul lavoro. Ma, proprio modificando il lavoro, potrebbero arrivare modifiche anche sul fronte delle pensioni, a partire dalla possibilità di uscita flessibile – anche con penalizzazioni – per permettere ai più vecchi di uscire, cercando di arginare la formazione dell’esercito degli esodati, e far assumere i più giovani; sino ad arrivare a misure che possano risolvere le iniquità sociali per precoci e usuranti.

Per quel che riguarda il neo ministro del Lavoro,

appartiene all’area della Sinistra italiana, proviene da una lunga militanza nel partito Comunista ed è Presidente della Lega cooperative Nazionale; I lavoratori in toto attendono molto da lui nella speranza che possa essere impressa una decisa accelerata in tema di riforma delle pensioni entro questo 2014. A tal proposito Poletti si muove principalmente verso un risveglio delle imprese e propone, infatti, incentivi all’imprenditoria dei giovani e delle donne, agevolazioni fiscali alle aziende che assumono, e un rilancio generale delle piccole-medie imprese.

Diversamente, il neo ministro all’Economia Padoan,

sostanzialmente avanza l’ipotesi della tassazione sul patrimonio e la detassazione del lavoro, che è quella, a suo parere, che maggiormente blocca la crescita del paese. Ricordiamo – purtroppo – che Padoan si trova favorevole all’allungamento dell’età pensionabile a beneficio dei conti pubblici, poiché, a suo dire, è così che si stabilirebbero le possibilità di lavoro e risalirebbe il livello dei consumi italiani.

Padoan ha recentemente affermato, nel corso di un’intervista rilasciata al Wall Street Journal: “Il risanamento è efficace, il dolore è efficace”, intendendo così la via dell’austerity sia la sola al momento percorribile per uscire dall’impasse nel quale l’intera nazione si trova.

Se l’austerity di cui parla Padoan dovesse servire a recuperare i fondi necessari a ricreare, a distanza di anni, una rinnovata sostenibilità del sistema previdenziale (finalità che a conti fatti ispirò anche la riforma Fornero), il sistema previdenziale potrebbe trovare una soluzione definitiva… ma a che prezzo? Oltre alle questioni prettamente economiche ne entrano poi in gioco altre di natura evidentemente sociale, civile e politica; è diventato impensabile che si continui a negare il diritto alla pensione a tutta una serie di lavoratori che a causa degli errori tecnici contenuti in una riforma, risultano impossibilitati ad accedere al trattamento pensionistico, ecco che un primo intervento potrebbe essere proprio quello di modificare il dispositivo normativo della stessa Legge Fornero. Ne va dell’onorabilità del patto cittadini-Stato già pesantemente incrinato dalle ultime vicende. Dall’altra parte, precoci e usuranti hanno già raggiunto il massimo degli anni di contributi ma non possono accedere alla finestra pensionistica per via del mancato raggiungimento dell’età pensionabile, ecco che una riforma delle pensioni che consenta di attribuirgli il diritto all’uscita dal lavoro (magari tramite una forma di prepensionamento) rappresenterebbe la chiave non solo per sbloccare la loro situazione ma anche per creare nuovi posti di lavoro e dunque per fomentare un ricambio generazionale ormai indispensabile per il tessuto lavorativo italiano.

Non resta quindi che attendere e scoprire quali saranno le linee scelte dal nuovo governo.

La rottamazione di Renzi è prendersela con i pensionati?

babyrenzi-tuttacronacaE’ Mario Giordano, in un articolo dal titolo “Governo, Renzi vuole tassare i pensionati”, apparso su Libero, ad attaccare il neo premier Matteo Renzi sottolineando che “Tra gaffe e minacce è partita la vera rottamazione: quella dei vecchietti. A colpi di imposte e tagli alle pensioni”. Il giornalista è infatti certo che il nuovo presidente del Consiglio ce l’abbia con gli anziani, quelli che in genere i boy-scout cercano di aiutare ad attraversare la strada. Il neo premier, al contrario, darebbe l’impressione di volerli far mettere sotto.

In mancanza dell’auto pirata, ci pensa direttamente lui: qualche tempo fa aveva proposto l’abolizione delle pensioni di reversibilità, adesso propone di aumentare i balzelli sui Bot della pensionata. Ci manca solo un’imposta speciale sui nonni, l’obbligo di ospizio coatto e la geronto-tassa per tutti coloro che hanno inspiegabilmente superato i 70 anni di età, e poi il gioco è fatto: avremo il governo più antianziani che si possa immaginare. Anziché aiutarli, punta a tartassarli. Alla faccia del premier boy scout.

Ancora, scrive Giordano:

Che ci volete fare? Renzi deve essersi fatto prendere la mano dalla rottamazione. Rottama di qui, rottama di là, baby è bello, ci vogliono facce nuove, eliminiamo il vecchio… Il giovanilismo è una brutta malattia: fa pensare che tutto ciò che sta al di sotto di un’età anagrafica sia per forza buono, e che tutto quello che sta al di sopra sia da buttare. O, in mancanza di pattumiera, da bastonare. Il discorso con cui il presidente del Consiglio ha chiesto la fiducia al Senato era più vuoto del sottovuoto, si faticava a trovare un elemento di concretezza che non fosse la mano in tasca e una serie di faccette che nemmeno Barbara D’Urso quando è in forma. Ma forse è stato così proprio perché Renzi ha voluto trattenersi un po’. Altrimenti che cosa avrebbe detto contro gli anziani?

LA FIGURACCIA Domenica, parlando da Lucia Annunziata su Raitre, il suo braccio destro, plenipotenziario e sottosegretario, Graziano Delrio, si era già portato avanti, puntando il dito contro il vero bersaglio del governo del cambiamento: «Se una signora anziana ha messo da parte 100mila euro in Bot non credo che se le togli 25 o 30 euro avrà problemi di salute…», ha detto. Ora voi capite che se il buon giorno si vede dal mattino, siamo fregati: quando hanno annunciato l’abolizione dell’Imu, ci hanno raddoppiato la tassa sulla casa, ora che cominciano ad annunciare che tassano i risparmi, dove arriveremo? Il punto chiave però è che Delrio poteva dire genericamente: un risparmiatore, un cittadino, un italiano. Invece no: ha detto proprio «un’anziana signora». Evidentemente hanno già individuato dove andare a colpire. Nelle ore successive a Palazzo Chigi hanno cercato di dissimulare con uno di quei comunicati che, fingendo di smentire, confermano. Infatti si parla di «rimodulazione delle tasse». Un nuovo eufemismo: ti stangano e la chiamano «rimodulazione», così è più morbido. Più chic. Si può vendere con un tweet. Gli anziani, che non forse non sanno usare i tweet, però hanno già capito bene che cosa sta per succedere: verranno rimodulati pesantemente. Senza possibilità di ribellarsi. Del resto Matteo non è nuovo a impulsi anti-vecchi. Nel novembre scorso a Servizio Pubblico su La7 se la prese con la sua nonna materna, 93 anni. «E chi l’ammazza?», disse con il solito tatto. «Ha perso il marito 41 anni fa, aveva 6 figli. Giustamente è scattato il meccanismo della reversibilità. Ma è giusto che continui a prendere ancora oggi quella pensione da 3mila euro al mese?». Non sappiamo come reagì all’attacco diretto la povera nonna, che pure in precedenza si era spesa per parlare bene di lui da Bruno Vespa (nipote ingrato). Ma sappiamo come reagirono tutti gli altri anziani per cui la pensione di reversibilità è l’unica fonte di sostentamento: si sentirono rimodulare profondamente l’intestino. In altre parole: se la fecero sotto (…)

Governo Renzi al lavoro: il punto su pensioni e mercato del lavoro

Lavoro-pensioni-tuttacronacaIeri il nuovo governo Renzi ha prestato giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica e la squadra è già al lavoro. Molti sono i nodi da risolvere ma chiaramente un occhio di riguardo sarà per la crisi economica che attanaglia l’Italia. Al riguardo, due sono i temi da trattare ora che c’è stato un cambio della guardia anche per quanto riguarda i ministri del Lavoro (Poletti) e dell’Economia (Padoan): quello delle pensioni e quello del mercato del lavoro, tra loro strettamente connessi. Entrambi i ministri interessati hanno già rilasciato, in passato, dichiarazioni secondo le quali la riforma delle pensioni targata Fornero non necessitasse di cambiamenti nell’impianto generale ma che andava soltanto razionalizzata attraverso norme che risolvessero la questione degli esodati, delle uscite anticipate, rivedendo leggermente i coefficienti e i requisiti per le pensioni di vecchiaia e anzianità. Molto, quindi, dipenderà dalle politiche del lavoro che il governo Renzi realizzerà. La riforma Fornero ha l’handicap di bloccare il turn over nel mercato del lavoro a causa dell’allungamento dell’età pensionistica, quindi sarà necessario trovare gli strumenti adatti per permettere un’uscita anticipata. In precedenza si era parlato del prestito pensionistico, ma questo non sembra essere una delle priorità del nuovo esecutivo, quindi non resta che attendere le eventuali alternative. Ma già è possibile tentare di capire la direzione assunta dal mercato del lavoro analizzando il programma del neo ministro Poletti. Vi sono alcune priorità: 1) contratto a tempo indeterminato per i neoassunti anche se, per i primi tre anni, non vi saranno le coperture dell’art. 18; 2) contratti flessibili ammessi soltanto per esigenze di produzione; 3) nuovo sussidio di disoccupazione, universale e uguale per tutti con obbligo di frequenza di corsi di formazione in vista del reinserimento nel mercato del lavoro; 4) riforma di tutte le agenzie del lavoro e dei centri per l’impiego, che andranno subordinati a una Agenzia unica; 5) riforma della legge sulla rappresentanza sindacale.

Delrio, il vero vicepremier. Contro le pensioni e a favore delle Province

graziano-delrio-tuttacronacaIeri Matteo Renzi ha presentato la lista dei suoi ministri e oggi, sul Sole 24 Ore, Eugenio Bruno e Davide Colombo prendono in considerazione il ruolo di Graziano Delrio che nel nuovo governo avrebbe più quello di

un vicepremier che di un semplice sottosegretario alla presidenza del Consiglio,  sia per il numero (e il peso specifico) delle deleghe che si troverà a gestire, sia per il legame personale (e politico) con Matteo Renzi.

Dovrebbero allarmarsi gli italiani in base a questa osservazione fattuale? Bisogna guardare per un attimo al passato e si ricorda che Delrio, oltre a essere stato inserito nel “partito dell’odio contro i pensionati”, è stato anche autore della riforma delle Province, che fingendo di eliminarle ne ha ampliato le possibilità di assumere gente, sostituendo ai vecchi carrozzoni locali che rispondevano assai più delle Regioni alla storia della nostra Italia, i potenziali mega carrozzoni delle Metropoli che costeranno anche di più in tasse per i contribuenti. La sua difesa: “Ma è strategico“. Per quel che riguarda i pensionati, lo scorso ottobre l’Ansa riportava le parole di Delrio durante la Leopolda: “Serve rivisitare i tre grandi patti che tengono insieme il Paese.  Il primo è che chi lavora paga le pensioni a chi ha lavorato prima, questo “va riscritto: chi ha pensioni alte deve essere in grado di aiutare chi di pensione prende 400 euro”. Prendere fondi dalle pensioni alte, ha suggerito, in preda al delirio di onnipotenza, “anche per creare centri per l’impiego”. Bruno e Colombo, parlando del medico endocrinologo Delrio, ricordano ancora che è un 54enne di Reggio Emilia cattolico, di sinitra e con nove figli. Nel 2004 e nel 2009 è stato il primo sindaco non comunista della sua città, il che vuole dire che per essere accettato dai comunisti che dominano quelle terre deve essere più comunista di loro.

Nel Governo di Renzi, sarà

un po’ come Gianni Letta per Silvio Berlusconi oppure Enrico Letta per Romano Prodi. Con ancora più deleghe se è vero, come sembra, che si vedrà assegnare le attività dei dipartimenti rimasti orfani di un ministro senza portafoglio. E che solo in un secondo momento potranno essere trasferite ad altri sottosegretari che verranno nominati sempre a Palazzo Chigi.

Coesione territoriale, che comporta la gestione dell’intera partita sulla programmazione dei fondi europei.

Politiche comunitarie, Integrazione.

Pari Opportunità.

Sport.

Giovani.

A Delrio sarebbe pure affidata la responsabilità sul personale della Presidenza, sicuramente quella per la Protezione Civile, altro mega-dipartimento della presidenza, probabilmente quella sui Servizi e quella per l’Editoria. Mentre Integrazione, Pari opportunità e Sport potrebbero nelle sue mani anche dopo l’eventuale riassegnamento.

“Due sono anche le caselle chiave da riempire nell’immediato: il segretario generale di Palazzo Chigi e il capo del dipartimento affari giuridici e legislativi (Dagl). Per consentire alla macchina di viaggiare a pieno ritmo, vista la mole di provvedimenti annunciati e l’importanza dei compiti gestiti, servirà una figura operativa di strettissima fiducia. E non è un caso che tra i nomi circoli con insistenza quello di Angelo Rughetti, ex segretario generale dell’Anci e attuale deputato democratico di stretta osservanza renziana.

Le pensioni nelle mani di Giuliano Poletti: che ne sarà delle riforme?

giuliano-poletti-tuttacronacaMatteo Renzi ha voluto alla guida del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti, 63enne imolese, una carriera tutta trascorsa dentro la politica e il mondo della cooperazione, che ha scalato fino a diventare presidente nazionale di Legacoop e, da qualche mese, numero uno dell’Alleanza delle cooperative. E Poletti non ha perso tempo a dettare il suo metodo basato su collaborazione e dialogo: “Sono convinto che la condizione essenziale per ottenere buoni risultati sia quella di una collaborazione efficace con il Parlamento e con le forze sociali”. Ora dovrà mettere in campo tutte le qualità di mediatore che gli vengono riconosciute per affrontare le nuove sfide che lo attendono. La prima è l’occupazione ancora in calo (-1,9% dicembre 2013) e quella giovanile sempre più aleatoria e flessibile con una disoccupazione al 41,6%. Senza contare il Jobs Act di Renzi che dovrà essere pronto per marzo. Ancora, sguardo puntato all’alleggerimento del cuneo fiscale. Ma tra le problematiche c’è anche la vicenda “esodati” generata dalla riforma Fornero delle pensioni, sulla quale ci sarà ancora da fare degli aggiustamenti. Sarà poi necessario rinnovare gli strumenti di sostegno al reddito, in particolare il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e, nello specifico, la Cig in deroga. La nomina di Poletti “è stata una sorpresa” ma non troppo se si pensa che Legacoop, l’associazione che riunisce 15 mila imprese cooperative e di cui è presidente nazionale, mentre il Paese era in piena emorragia occupazionale, fra il 2011 e il 2012, ha aumentato i suoi dipendenti da 480.435 a 492.995 (+2,6%). Oltre a essere stimato da Renzi, Poletti è anche un estimatore del nuovo premier tanto che qualche giorno fa, ad un convegno a Bologna, si diceva convinto che Renzi fosse l’uomo giusto: “Credo che una cosa cui dovrebbe guardare con cura questo presidente sia di evitare di continuare con una produzione legislativa che genera burocrazia, ostacoli, anziché essere un aiuto allo sviluppo”.

Quella clamorosa decisione di Renzi che potrebbe aver ripercussioni sulle Pensioni

pensionpuzzle-tuttacronacaAndrà a posto anche il tassello delle pensioni con il governo Renzi? E’ una domanda che viene naturale porsi ma una premessa è d’obbligo: non si possono dare risposte certe finchè non si conoscerà il nome del nuovo ministro del Lavoro e delle politiche sociali che, tuttavia, potrebbe determinare le mosse del nuovo governo in ambito previdenziale. Per avere una certezza sarà quindi necessario attendere sabato, quando verrà resa nota la lista del nuovo esecutivo. E chiaramente lunedì, quando lo stesso chiederà la fiducia. Al momento sono vari i nomi che circolano, come quello di  Tito Boeri a Lorenzo Bini Smaghi, ma anche Carlo Padoan e Pietro Ichino. Nelle ultime ore, tuttavia, gira con insistenza tra i media anche il nome di Cesare Damiano, attuale presidente della Commissione Lavoro alla Camera, che ha già ricoperto il ruolo di ministro del Lavoro in passato. La sua scelta avrebbe davvero del clamoroso visto che, pur appartenendo entrambi al Pd, hanno visioni distanti tra loro per quel che riguarda diversi punti. In particolare, come sottolineato anche da Irene Canziani su Supermoney.eu, per quel che riguarda il Jobs Act. “E’ illusorio, secondo me pensare che si possa creare nuova occupazione, specie giovanile, cambiando nuovamente le regole del mercato del lavoro. Per creare nuova occupazione, è invece necessaria una spinta allo sviluppo con una nuova politica industriale”. In ogni caso, precisa, “le tempistiche spettano al nuovo premier e al nuovo governo”. Un governo dal quale, almeno attualmente, Damiano si ritiene escluso. Sul suo blog, Damiano “sfida” il nuovo premier Renzi anche sui temi partite Iva e cuneo fiscale: “Il programma di Governo di Renzi – leggiamo – dovrà avere, tra i suoi punti-cardine, la diminuzione del cuneo fiscale. Su questo argomento c’è una forte aspettativa tra le imprese e tra i lavoratori”. Se Damiano risultasse davvero essere la scelta di Renzi, vale la pena ricordare la sua idea di base: la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro. Tale idea prevede la possibilità per il lavoratore di scegliere la pensione anticipata in cambio di una penalizzazione economica sull’importo dell’assegno, o di posticipare il ritiro dall’attività, usufruendo di un incentivo. La libertà di scelta sarebbe fissata tra i 62 e i 70 anni, con variazioni sull’assegno da -8% (per chi lascia il lavoro a 62 anni) a +8% (per chi decide di continuare a lavorare fino ai 70).

Pensioni: facciamo il punto della situazione

pensioni-usuranti-tuttacronacaSegnatevi la data: 1 marzo. E’ questo il giorno entro cui, ricorda l’Inps, va presentata la domanda per la pensione. Può andare in pensione, per quel che riguarda i lavori usuranti, chi ha raggiuntoi 61 anni e 3 mesi, tornano però a fare la loro apparizione le finestre mobili. Questo significa che la pensione arriverà solo dopo 12 mesi, che salgono a 18 per i lavoratori autonomi, da quando matura effettivamente la pensione. Dal 2012 le finestre mobili erano state modificate, per cui il neo pensionato poteva ricevere la pensione un mese dopo averla maturata. Per i lavoratori autonomi la soglia però si alza: 62 anni e 3 mesi e sarà necessario, per questi lavoratori, raggiungere quota 97,3 (somma tra età anagrafica e anni di contributi). Questo vuol dire che se un lavoratore va in pensione a 61 anni e 3 mesi, deve anche aver versato almeno 36 anni di contributi (61,3 + 36 = 97,3). La quota da raggiungere per gli autonomi è di conseguenza 98,3. Riporta Blitz Quotidiano:

Il messaggio dell’Inps sottolinea che i lavoratori notturni e turnisti occupati per un numero di giorni lavorativi pari o superiori a 78 l’anno potranno fare richiesta di pensione anticipata con i requisiti previsti per i lavoratori impegnati in mansioni faticose e pesanti (i cosiddetti lavori usuranti).

Gli occupati nei turni e nelle ore notturne per un numero di giorni da 64 a 71 l’anno possono conseguire il trattamento pensionistico ove in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un’età minima di 63 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 99,3, se lavoratori autonomi, di un’età minima di 64 anni e 3 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 100,3.

Anche per questi lavoratori la decorrenza della pensione scatta dopo 12 mesi se dipendenti e dopo 18 mesi se autonomi. I lavoratori con un numero di giorni di turni o di notti l’anno tra 71 e 77 che maturano i requisiti nel 2014, possono invece conseguire il trattamento pensionistico ove in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 35 anni a 62 anni e tre mesi se lavoratori dipendenti (con quota 98,3) e con 63 anni e 3 mesi se lavoratori autonomi (con quota 99,3).

Per gli iscritti alla gestione pubblica impegnati in attività usuranti il requisito per la richiesta di pensione sempre in presenza di almeno 35 anni di contributi è di almeno 61 anni e 3 mesi e quota 97 e tre mesi tra età e contributi.

Verso il governo Renzi: il cambiamento passa anche per le pensioni? Le nuove idee

renzi-pensioni-tuttacronacaIl governo Letta non è stato in grado di dare molte risposte per quel che riguarda il tema delle pensioni e ci si chiede che ne sarà della riforma ora che Matteo Renzi è chiamato a diventare presidente del Consiglio. Lo stesso ex-sindaco fiorentino ha più volte anticipato che, per quel che riguarda la questione esodati, il Governo sarebbe intenzionato a trovare rapide soluzioni per risolvere il dramma di molte persone rimaste intrappolate dalle nuove norme, vigenti dal primo gennaio, insite nella riforma Fornero. Va ricordato che, per quel che riguarda il toto-ministri, è stato più volte avanzato il nome di Tito Boeri, che ha già fatto pervenire la proposta del reddito minimo garantito. Si tratterebbe di un assegno pari a 400-500 euro probabilmente da destinare in primis agli esodati, vista l’impossibilità al momento di estendere il reddito minimo garantito indistintamente a tutte le età. Passando a parlare di precoci e usuranti, difficilmente otterrà l’approvazione il prestito Inps ideato da Giovannini ma Cesare Damiano, sul proprio sito, spiega che una minoranza del Pd sia al lavoro su un documento da presentare a Renzi dove vengono sottolineate i punti politico-economici di maggior urgenza da affrontare e, chiaramente, non mancano il tema degli esodati e l’introduzione di un criterio di flessibilità la quale dovrebbe consentire ai lavoratori di raggiungere la pensione anticipatamente, permettendo così di svecchiare il mondo del lavoro attraverso un necessario turnover generazionale. Ovviamente, segnali positivi continuano ad attenderli anche i Quota 96 della scuola, con la speranza che un nuovo governo riesca finalmente ad offrire qualche risposta.

Renzi al governo? Pessime notizie sul fronte pensioni!

homer_facepalm-pensioni-tuttacronacaSe il segretario generale della Cgil Camusso è intervenuta sulla nomina del commissario straordinario nominato per riformare l’Inps, Vittorio Conti, sottolineando che non bisogna comunque abbassare la guardia sulla questione di una riforma delle pensioni che limiti le irrazionalità della legge Fornero, ora che sempre più si avvicina un governo Renzi, aumentano notevolmente le preoccupazioni di chi spera di riuscire a varcare la soglia del pensionamento. Si parla infatti in queste ore del toto-ministri e per ilMinistero del Lavoro si fanno i nomi di Tito Boeri, Lorenzo Bini Smaghi, Carlo Padoan, presidente dell’Istat e Andrea Guerra, amministratore delegato di Luxottica. Sembra che il nome più accreditato sia quello di Tito Boeri e proprio da qui le preoccupazioni per quel che riguarda il tema pensioni. Negli ultimi tempo, infatti, intervenendo sulla questione ha sconfessato il prestito pensionistico e si è mostrato convinto che, con qualche aggiustamento, la riforma delle pensioni targata Monti-Fornero sia il meglio per la situazione economica del Paese. A quanto pare, per avere buone notizie dovremo attendere ancora a lungo…

Pensioni: si torna a parlare di flessibilità

pensioni-flessibilità-tuttacronacaIl tema pensioni resta caldo ma immobile: il governo ancora non è stato in grado di offrire risposte e del resto è a sua volta più che mai tra ballante, con Letta che ha perso vari ministri, Renzi impegnato nel pressing, Forza Italia e i 5 Stelle che vogliono le urne e il presidente della Repubblica, che ha voluto questo Governo, sotto accusa. Un cambio, forse, porterebbe anche risposte sul tema pensioni, ma l’unica certezza, al momento, è che se ne continua a parlare. Al riguardo, Cesare Damiano, intervistato da Il sussidiario, è tornato a parlare della flessibilità come criterio giusto, seppur costoso, per una vera riforma della previdenza. “Continuo a sostenere la flessibilità in uscita anche se costa. Con la drastica, anzi draconiana riforma Fornero, tra il 2020 e il 2060 dalle pensioni verranno drenate risorse superiori ai 300 miliardi di euro. Una cifra imponente di trasferimento da stato sociale a debito. E io penso che possa essere restituita ai pensionati in termini di flessibilità: se di quei 300 miliardi gliene portiamo via uno, non cambia niente. In questo modo faremmo anche giustizia sociale”.

“Così il clan controlla le pensioni”: le rivelazioni shock di un pentito

napoli-pensioni-camorra-tuttacronacaE’ il Mattino che fa notare come la storia dei falsi invalidi a Napoli sembri un pozzo senza fondo, con l’attenzione degli inquirenti che, dopo Chiaia, si è spostata nella quarta municipalità di Napoli, già toccata un anno fa da arresti e indagini. Oggi è inoltre spuntato, agli atti dell’inchiesta sul can Contini, il verbale d’accusa di Alfredo Sartori, noto alla giustizia dai tempi di un’inchiesta sulle truffe ai danni della Telecom. Scrive il Mattino: “Non siamo a Chiaia, dove pure sono stati realizzati arresti e sequestri (grazie a un accordo tra un politico locale e alcuni soggetti in odore di camorra), ma a piazza Nazionale. Zona contesa tra clan Contini e Mazzarella. Il «medico», il «professore», l’informatico: «Ecco gli uomini del sistema». E spunta il caso della stanza 27 – un ufficio della municipalità del centro – dove ci sarebbe un via vai di soggetti legati alla camorra.”

Settimana nuova, problemi vecchi: le pensioni

esodati-inps-tuttacronacaE’ l’agenzia di stampa Adnkronos a riportare, in base a un rapporto dell’Inps sulle operazioni di salvaguardia che fa il punto della situazione al 20 gennaio scorso, che solo uno su cinque esodati ha ottenuto la liquidazione della pensione. Si tratta di 33.147, su un totale di 162.147, posizioni salvaguardate con cinque differenti provvedimenti. L’Inps ha certificato le posizioni alla data del 20 gennaio e si tratta di 82.458 di cui 62.383 relative alla prima salvaguardia che prevede la copertura di 65mila posizioni, 14.450 alla seconda salvaguardia, che prevede 55mila coperture e 5.625 alla terza che prevede 10.130 coperture. Nel rapporto viene precisato inoltre che, in relazione alle ultime due salvaguardie per 32mila coperture complessive, per la quarta relativa a 9mila coperture è in corso la presentazione delle domande alle direzioni territoriali del lavoro delle istanze degli interessati con termini di scadenza fissati al 26 e 27 febbraio a seconda della categoria di appartenenza. Ancora si legge che le attività di certificazione saranno concluse entro giugno 2014. Per la quinta salvaguardia relativa a 23mila posizioni deve ancora essere pubblicato il decreto interministeriale di attuazione. Si prevede comunque che le attività di certificazione saranno concluse entro il 2014. Spiega il Sole 24 Ore:
Il rapporto analizza nel dettaglio la tipologia dei lavoratori salvaguardati e il relativo anno di decorernza della pensione limitatamente alle 82.458 posizioni certificate, di cui 33.147 già liquidate. Nel dettaglio quanto all’anno di decorrenza nel 2013 sono stati certificati 35.594 esodati, nel 2014 sono previsti 23.294, nel 2015 altri 13.488. A seguire 5.902 andranno in pensione nel 2016, mentre 2.474 nel 2017. Tra i già certificati ve ne sono 76 che andranno in pensione nel 2020, 7 nel 2021 e uno addirittura nel 2022. Quanto alla provenienza degli esodati già certificati la gran parte (35.139) vengono dalla mobilità ordinaria, seguono i lavoratori dei fondi di di solidarietà con 18.795 esodati, i prosecutori volontari con 16.741 esodati, il lavoratori cessati con 7.180 esodati, la mobilità lunga con 3.202 esodati, gli esonerati con 1.226 esonerati, i congedati per assistenza figli con 98 esodati e i prosecutori volontari dopo la mobilità con 77 esodati.
Il Parlamento continua tuttavia a prestare attenzione al tema degli esodati, con la riforma Fornero che ha lasciato delle posizioni senza lavoro e senza pensione. Per questo motivo la commissione lavoro della Camera ha formulato un’ipotesi di soluzione condivisa da tutti i partiti e la presidente Laura Boldrini ha annunciato che il testo proposto dalla commissione sarà esaminato dalll’aula entro il mese di marzo. Cesare Damiano, presidente della commissione lavoro, ha spiegato all’Adnkronos: “Rispetto ai primi tre contingenti salvaguardati che ammontano a 130mila esodati sono state liquidate 33mila pensioni. C’è una sproporzione. Perciò abbiamo chiesto all’Inps un monitoraggio costante con una relazione trimestrale. Intanto la commissione ha formulato una proposta che affronta in modo risolutivo il problema eliminando alcuni paletti della riforma e aggiustando alcune date. Viene così consentito a chi ha maturato i requisiti di andare in pensione con le regole precedenti alla riforma Fornero. A questo punto l’auspicio è che il governo ci metta le risorse necessarie e che tutto il Parlamento faccia propria la proposta della commissione che non riguarda nuove famiglie di esodati da salvare ma interviene con criteri generali e omogenei per risolvere definitivamente ilproblema”.

La decisione del Governo per le pensioni… è non decidere!

PENSIONE-tuttacronacaIeri ci si attendeva risposta da parte della Commissione bilancio che doveva prendere una decisione per il pensionamento del personale scolastico quota 96. Sul tavolo c’era la proposta Ghizzoli-Marzana e si era parlato di ottimismo perchè, come detto dallo stesso Ghizzoni, “Questa volta ci sono le coperture finanziarie e non vi è motivo per respingerlo”. Si trattava dell’ultimo passaggio istituzionale, ma è stato richiesto il rinvio direttamente dal Governo, come ha spiegato l’On. Manuela Ghizzoni, proprio al fine di acquisire maggiori chiarimenti sotto l’aspetto finanziario. Il Governo ha avanzato la richiesta dopo sollecitazioni da parte della Ragioneria dello Stato. Ancora Ghizzoni, nel dar comunicazione del rinvio ha affermato “Condivido, la considerazione finale del Presidente Boccia: c’è un’intesa trasversale (assai rara, dati i tempi) tra i gruppi per dare soluzione a questa vicenda. Sfruttiamola per indirizzare il governo sulla giusta (e unica) via da imboccare”. Si sa che il Governo dipende dalle decisioni della Ragioneria e dal ministero delle Finanze e ora ci si chiede se gli onorevoli Ghizzoni e Boccia saranno in grado, nei prossimi gioni, di convincere i ragionieri tecnici sulla bontà e validità della loro richiesta mentre per i quota 96 la pensione è sempre più un miraggio.

Pensioni: il giorno della verità. E trapela ottimismo…

pensioni-tuttacronaca5 febbraio 2014. E’ oggi il giorno nel quale si troveranno le risposte? La commissione bilancio discute l’ennesimo testo, il disegno di legge unificato delle proposte di Ghizzoni del Pd e Marzana del M5S. Il nuovo testo, che riguarda molti insegnanti della scuola che non possono andare in pensione per quello che è stato un errore nella riforma del ministro Fornero, è stato elaborato per evitare nuove bocciature dalla commissione bilancio, e da quanto ha dichiarato l’onorevole Ghizzoni trapela ottimismo: ” Questa volta ci sono le coperture finanziarie e non vi è motivo per respingerlo”. Se passerà la nuova proposta, verrebbe esteso a circa 4mila insegnanti il diritto di andare in pesione utilizzando i requisiti validi prima della riforma Fornero, potendo andare così in pensione con la famosa quota 96 tra contributi e età anagrafica. Ci si augura, quindi, che finalmente arrivino delle risposte, considerato che anche i sindacati hanno attaccato duramente il governo Letta “Per non aver raccolto ancora in nessun provvedimento legislativo gli emendamenti presentati più volte in difesa della quota 96, nella convinzione che nessuna risoluzione di natura giudiziaria, facente seguito a ricorsi legali degli interessati, ha dato torto ai ricorrenti e che l’alto numero di precari nel comparto esigono dalla politica un atto di coraggio”. Ora, come spiegato in Supermoney, non resta che aspettare la decisione della commissione bilancio, che da sempre ha dato problemi e bocciato le varie proposte per mancanza di fondi. Questa volta la speranza è che vengano trovati i soldi, circa 35 milioni di euro per il 2014 secondo il censimento Miur e poi 107 per i successivi tre anni.

Che futuro ci aspetta? “Paura per le pensioni”

Pensioni-1-tuttacronacaE’ il Giornale a titolare un articolo, a firma Francesco Forte, “Paura per le pensioni”, nel quale si sottolinea che “Si discute della ricca poltrona di presidente dell’Inps ma non della bomba sotto que­sta poltrona, ossia la situazione economica dell’Inps”. Sottolinea ancora l’autore: “Nel 2015, così continuando, il pa­trimonio netto dell’Inps diventa negativo per 5 miliardi. Certo, la gestione finanziaria ha molte partite contabili che la fanno differire da quella di cassa, nuda e cruda. Ma questa non è mi­gliore di quella finanziaria, sem­mai peggiore, perché le entrate ef­fettive per contributi e altri introi­ti sono 275 miliardi e le uscite 385,6, con un deficit di 110,5, os­sia il 9,5% del Pil.” Come ricorda Forte, tuttavia, va ricordato che lo stato eroga all’Inps 92 miliardi, per prestazioni assisten­ziali e a invalidi civili di sua com­petenza, che sono coperti dal si­stema tributario a carico del con­tribuente statale. Tuttavia: “Resta un saldo negativo di 18 miliardi, che lo sta­to copre con anticipazioni al­l’Inps. Questa è la cassa. Se si guarda alla gestione di contabili­tà economica dell’Inps, si torna a 10 miliardi circa di deficit fra cre­diti e debiti nati nell’esercizio: i 10 che vanno a diminuire il patri­monio.” Ma va considerato che la crisi ha peggiorato le cose:

Le spese aumentano, men­tre le entrate contributive risento­no del calo occupazionale. Ma ci sono anche altri problemi, fra cui due nuovi di zecca del 2012 che il governo Monti ha scaricato sul­l’Inps. Due patacche finanziariee anche politiche che costituisco­no le mine vaganti che bisogne­rebbe disinnescare. Si chiamano ex Inpdap ed esodati. Il governo Monti ha avuto la brillante idea di dare all’Inps già sovraccarico di casse integrazioni ordinarie e in deroga, che dilatavano la sua spe­sa, anche l’ente previdenziale dei dipendenti pubblici, l’Inpdap, il cui bilancio è in deficit, perché il pubblico impiego è stato sfoltito con prepensionamenti, che ridu­cono la spesa per personale, ma aumentano quella per pensioni, anche se di meno e riducono l’in­troito per contributi previdenzia­li. Il deficit dell’ex Inpdap nasce da lì e non è facile tapparlo, se non si modificano le leggi e la prassi attuale, per cui in cambio dei pensionati pubblici si metto­no in ruolo i precari della pubbli­ca amministrazione.

Senza dimenticare il tema esodati:

C’è,per l’Inps,un’altra mina va­gante, di portata ancora maggio­re: il bubbone degli «esodati». Si tratta di lavoratori che hanno pat­teggiato il prepensionamento, con una buona uscita «ponte» che – con le regole vigenti prima della riforma delle pensioni del governo Monti- consentiva di ar­rivare alla età per la pensione sen­za oneri aggiuntivi. Elsa Fornero, ministro del lavoro del governo Monti aveva calcolati gli esodati nel limbo in 65mila. L’Inps, rifatti i calcoli, inizialmente li ha stima­ti in 319mila. Ora si sostiene sia­no circa 350mila. È però difficile stabilire chi ha realmente patteg­giato l’esodo prima della riforma che ha elevatol’età pensionabile. E il governo Monti non aveva pen­sato di sterilizzare i prepensiona­menti in corso mentre varava il decreto sulle pensioni: forse non voleva toccare gli esodandi, che riguardavano settori come le ban­che, la scuola, le poste ove questi patti erano molto popolari. Dopo i primi 65mila esodati, ne sono stati salvati altri 65mila e a sgoc­cioli, un po’ di altri. Da ultimo, con emendamenti nella legge di stabilità, altri 17mila, consenten­do ai sindacati e ai politici che hanno promosso le operazioni di farsi dei meriti. Ciò aumenta le pensioni sia Inps che ex Inpdap. Molti contributi previdenziali, inoltre,non vengono riscossi.C’è il lavoro nero e le imprese, soffo­cate da contributi altissimi, sono spinte a evadere. Alcune gestioni Inps ex autonome sono in deficit: con il rischio di aumenti dei con­tributi dei loro iscritti. Ci sono i fal­si invalidi e le indennità di casse integrazioni date anche a chi fa un lavoro in nero. Occorrerebbe occuparsi di meno della poltrona di presidente dell’Inps e di più dei suoi costi e ricavi.

Dimissioni di Mastrapasqua: si riaprirà la partita sui contributi pensionistici?

pensioni-mastrapasqua-tuttacronacaMastrapasqua ha rassegnato le sue dimissioni da presidente dell’Inps e ora sembrano riaccendersi le speranze dei parenti delle vittime della strage alla stazione di Bologna e di altri atti di terrorismo. Quello che ci si augura, è che possa essere sbloccata l’annosa partita sui contributi pensionistici. Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime del 2 agosto 1980 e deputato Pd, dice: “Ora speriamo che il successore di Mastrapasqua sia minimamente attento a far rispettare la legge, la 206 del 2004”, cioè quella che prevedeva gli indennizzi pensionistici, ma che fin qui era rimasta inattuata. Come scrive Repubblica:
Bolognesi e la sua associazione da anni puntano il dito contro l’Inps per le ‘resistenze’ sulla partita dei benefit pensionistici: l’istituto di previdenza “è stato uno specialista nel creare problemi su questa vicenda. Ora che Mastrapasqua se ne va, speriamo che sia la volta buona per accelerare e non bloccare di nuovo la soluzione di questo tema”, auspica Bolognesi. Di fatto, secondo il presidentedell’associazione dei parenti delle vittime, “basterebbe una circolare interpretativa per mettere a posto almeno sei delle otto questioni aperte” e sbloccare i contributi previdenziali. E magari il nuovo corso dell’Inps sarà più disponibile e attento, sperano i parenti delle vittime. “Le risorse ci sono, la questione è istruita, ormai è solo la voglia dell’Inps di risolvere questa faccenda una volta per tutte che va trovata”.

Pensioni minime troppo basse: in Italia gli anziani non sono garantiti

pensioni-minime-tuttacronacaIl Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa ha stilato un rapporto nel quale evidenzia le sette violazioni della Carta sociale europea compiute dall’Italia, dove l’ammontare delle pensioni minime è “inadeguato” e non c’è una legislazione in grado di garantire alle persone anziane lo stesso livello di vita del resto della popolazione. Il documento, che è stato reso noto ieri, è composto da 50 pagine e prende in esame il periodo che va dal primo gennaio 2008 al 31 dicembre 2011. Come spiega il Sole 24 Ore, l’analisi condotta dal Comitato ha riguardato anche le politiche per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, le norme che devono garantire il diritto alla sicurezza sui luoghi di lavoro e quelle relative all’accesso ai servizi sanitari e all’assistenza sociale. Scrive ancora il quotidiano:

La Carta sociale europea, firmata a Torino nel 1961 e rivista nel 1996, è una delle convenzioni internazionali alla base dell’attività del Consiglio d’Europa, l’organismo paneuropeo a cui aderiscono 47 Paesi. Naturale complemento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo che tutela i diritti civili e politici degli individui, la Carta garantisce i diritti sociali ed economici in materia di alloggio, salute, istruzione, occupazione, circolazione delle persone, non discriminazione e tutela giuridica. Il Comitato per i diritti sociali ha il compito di verificare la compatibilità delle situazioni nazionali con quanto indicato nella Carta.

Pensioni: finalmente qualcosa si muove!

pensioni-tuttacronacaDopo tanto parlare, è arrivata una buona notizia sul fronte pensioni, anche se colpisce solo determinati lavoratori: una piccola parte dei circa 4.000 impiegati del personale scolastico rientrante nei Quota 96, infatti, potrà fruire dei requisiti pre riforma Fornero e andare in pensione a partire dal primo settembre. Ma nel frattempo si sono aperti spiragli anche per esodati e precoci. Per quel che riguarda i Quota 96, potranno andare in pensione coloro che, nel 2011, si trovavano in stato di congedo straordinario (per motivi di salute o per assistere un parente) o si trovavano ad aver fruito del permesso di 3 giorni al mese regolamentato dalla legge 104. Tutti i Quota 96 che abbiano i requisiti suddetti dovranno inoltrare la domanda di pensionamento alla DTL entro il 26 febbraio 2014. Punto di svolta quindi, anche se c’è ancora molto da fare per giungere a una risoluzione definitiva. Per quel che riguarda esodati e precoci, invece, il ministro Franceschini ha assicurato, per il 2014, un allargamento di esodati salvaguardati e lo stanziamento di maggiori fondi. Come spiega Supermoney.eu, la criticità più rilevante è costituita dal tipo di intervento che va predisponendo ormai da settimane il governo, che invece di riformare le norme introdotte dalla riforma Fornero punta alla messa a disposizione dei lavoratori di strumenti da adottarsi su base volontaristica. Certo, si continua a lavorare nel tentativo di incrementare la flessibilità in uscita, ma il rischio concreto è che non si proceda alla riforma strutturale invocata non solo dalle parti sociali ma anche dagli stessi giuslavoristi, in primis Epifani, da sempre favorevole ad invertire la rotta rispetto al disposto Fornero. Sempre acceso infine il dialogo sulla pensione anticipata donne con opzione contributivo e sull’ipotesi del prestito pensionistico INPS avanzata dal ministro Giovannini. Dopo la risoluzione parziale del caso Quota 96 ogni discussione può essere condotta con maggiore serenità, ma il dibattito sulle pensioni 2014 INPS rimane comunque molto acceso. Tante sono ancora le criticità che attendono infatti una soluzione definitiva.

Riforma delle pensioni: le nuove idee

pensioni-nuove-idee-tuttacronacaTra gli obiettivi del governo c’è anche quello di rendere più flessibile il sistema previdenziale e le idee arrivano da ogni partito. Enrico Giovannini, ministro del Lavoro, propone le sue, che riguardano lavoratori precoci e usuranti nonchè il comparto scuola. Come sintetizza Domenico Ferlita, per quel che riguarda la prima categoria, l’idea sarebbe di permettere loro di andare in pensione una volta raggiunto il massimo dei contributi versati. Gli impiegati, sempre per quel che concerne le nuove idee, potranno optare per l’allungamento della loro attività lavorativa rispetto ai parametri previsti dalla precedente Riforma Fornero. Capitolo esodati: per evitare di vedere ingrossarsi ulteriormente le fila, si pensa di dare un sostentamento economico oltre ad avere la possibilità di accesso alla pensione senza dover attendere quattro anni a tutti coloro che hanno raggiunto i requisiti contributivi e si trovano senza un lavoro. Non va inoltre dimenticata la proposta del prestito pensionistico, idea sulla quale si sta ancora lavorando e che pone una questione fondamentale: dove reperire le risorse? Perchè l’idea è di offrire una sorta di ausilio erogato dallo Stato per tutti coloro che lasciano l’attività lavorativa dopo i trentacinque anni di contributi versati, da restituire con la decurtazione del 10% nel momento in cui l’ex lavoratore percepirà l’assegno mensile. Una sorta di prepensionamento facoltativo, del quale potrebbero usufruire anche i Quota 96 del comparto scuola.

Pensioni: la recente legge-finestra e la beffa per gli statali

pensioni-tuttacronacaUna recente legge-finestra per le pensioni del settore pubblico offre la possibilità di uscire dal posto di lavoro e andare in pensione con i requisiti pre-Fornero a coloro che abbiano usufruito, nell’anno 2011, di congedo familiare o della legge 104 per l’assistenza di un parente. Tale normativa, come spiega il Secolo XIX parlando di quanto accade a Savona, ha mandato in tilt i patronati dei sindacati dove si lavora alacremente per preparare le domande, che non dovranno superare il termine del prossimo 26 febbraio. Le perplessità tuttavia sono diverse, visto che si tratta di un’opzione che non solo pone limitazioni prigide ma anche piuttosto discutibili. A partire dal confine temporale: non è chiaro perché si apra l’opzione soltanto per colore che hanno usufruito della 104 nel 2011 e non in altri anni. Spiega inoltre il quotidiano che in tutta Italia il numero progressivo non potrà superare le 2.500 domande accolte, mentre soltanto nel savonese le richieste stilate supereranno il migliaio. Il comparto coinvolto, infatti, è ampio: si va dai dipendenti dell’Asl a quelli degli enti pubblici e della scuola. Persone che avevano perso le speranze e per le quali si apre uno spiraglio, con la consapevolezza, però, che il numero complessivo è assai ristretto e che spetterà all’ Inps stilare una graduatoria i cui parametri non sono ancora del tutto chiari. In gioco dovrebbero entrare la maggiore o minore vicinanza ai requisiti pensionistici e la data di presentazione della domanda. Contando che i requisiti validi sono quelli pre-Fornero, quindi, per gli uomini, i 65 anni di età e i 20 di contributi oppure i 40 di contributi, mentre per le donne i 61 di età e i 20 di contributi.

Quota 96: la penalizzazione della riforma Fornero

quota96-tuttacronacaL’ora x sta per scattare: entro il 7 febbraio gli operatori scolastici devono presentare la domanda di cessazione dal servizio. Tra i molti che si presentaranno all’appuntamento, di questi, buona parte appertiene ai Quota 96, che già nel settembre 2012, raggiunti i requisiti indicati dalla legge 247/2007, pensavano d’iniziare una nuova fase della loro vita. Quello che servirebbe loro per riuscire finalmente a raggiungere la meta, o almeno sperare sia possibile, come spiega Ciro Troccoli,

c’è bisogno solo di una forte azione legislativa da parte della Ministra Carrozza, accompagnata dallo slittamento della data fissata per le domande di pensionamento. Spostamento che non creerebbe alcun problema tecnico-amministrativo per la predisposizione degli adempimenti scolastici. Slittamento, del resto, già adottato per l’anno scolastico 2012/13, dal mese di gennaio al marzo 2012. E molte sono le donne che accetteranno di andare in pensione con le norme Fornero. Per costoro, ma ciò vale per tutti, significa rinunciare ad almeno 300/400 euro mensili, non avendo altre alternative, pur avendo raggiunto da tempo i requisiti della normativa vigente prima della legge 201/2011, legge Monti-Fornero sulle pensioni che, ricordiamo, ha arretrato la data per andare in pensione al 31/12/2011, anziché al 31/08/2012 come previsto dalla legislazione scolastica. Riforma che oltre ad aver stravolto il calendario scolastico e la normativa che lo regola, ha sconvolto la vita a quelle migliaia di persone (circa 4000) che già si ritenevano in pensione dal 1 settembre 2012.

Penalizzato chi sceglie di andare in pensione. Penalizzati anche gli alunni che si trovano come docenti, a volte, insegnanti disillusi che vorrebbero essere altrove, ma, causa crisi, continuano a sedere ogni mattina al loro posto. Ciò naturalmente comporta domande alle quali è difficile dare una risposta. Perchè viene anche da domandarsi, visto lo stato attuale della scuola italiana che manca dei fondi necessari, come potranno in mancanza di aggiornamenti costanti docenti in età teoricamente pensionabile dare la giusta istruzione alle nuove generazioni? E non è una domanda da poco, visto che recenti studi hanno dimostrato che i giovani italiani sono “inoccupabili” proprio perchè non hanno le competenze richieste. Le stesse competenze che dovrebbero apprendere a scuola e non con metodi educativi “arcaici” in un’era 2.0.

Il piano di Giovannini per le pensioni

pensioni-tuttacronacaContinuano i lavori al governo per quel che riguarda le pensioni e, in particolare, al piano per la possibile uscita anticipata rispetto all’età di pensionamento con il contributo di Stato, aziende e lavoratori. A renderlo noto è il ministro del Lavoro Enrico Giovannini, che spiega che il progetto deve avere “robustezza finanziaria”. Stando a quanto riferisce il ministro, si tratterà di uno “strumento flessibile in funzione delle esigenze soggettive dei lavoratori”. E ha aggiunto, rispondendo a una domanda sul possibile anticipo dell’assegno rispetto all’età prevista dalla riforma Fornero: “Stiamo lavorando sugli aspetti tecnici. Il procedimento è complesso. Può prevedere anche il contributo da parte delle aziende. L’idea è di avere una contribuzione da parte di tutti e tre i soggetti (lavoratore, impresa ma anche Stato, ndr) ma ci deve essere robustezza finanziaria”. Al piano collabora anche il ministero dell’Economia e si sta “valutando come ottenere uno strumento flessibile in funzione delle condizioni soggettive del lavoratore”. Ma il ministro ha anche sottolineato che il piano per “favorire la transizione” sul pensionamento, non prevede tuttavia modifiche delle regole della legge Fornero, che ha riformata la previdenza italiana, spiegando che “lo strumento allo studio è finalizzato a favorire la transizione, su base volontaria, dal lavoro alla pensione, fermi restando i requisiti dell’attuale normativa. Tale strumento – spiega – andrebbe incontro a persone e a imprese (come quelle di minori dimensioni) che attualmente non possono utilizzare gli strumenti previsti”. In una nota del ministro si legge:

«Con riferimento alle dichiarazioni del Ministro Giovannini sul cosiddetto “prestito pensionistico” si ribadisce che, come già dichiarato fin dal mese di settembre, lo strumento allo studio è finalizzato a favorire la transizione, su base volontaria, dal lavoro alla pensione, fermi restando i requisiti dell’attuale normativa. Tale strumento andrebbe incontro a persone e a imprese (come quelle di minori dimensioni) che attualmente non possono utilizzare gli strumenti previsti in materia dalla legislazione vigente. Si ribadisce che l’ipotesi alla quale si sta lavorando non modificherebbe le regole pensionistiche attualmente esistenti, ma offrirebbe uno strumento aggiuntivo cui si accederebbe su base volontaria, con il possibile coinvolgimento delle imprese, come già avviene nei casi previsti dalla legge per le aziende di maggiori dimensioni. Sono quindi destituite di ogni fondamento le ipotesi e le letture circolate a seguito delle dichiarazioni odierne del Ministro, il quale ha semplicemente ribadito, rispondendo ad una domanda di un giornalista che chiedeva se l’idea del “prestito pensionistico” fosse ancora presa in considerazione, concetti già espressi nelle settimane scorse».

Il democratico Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera nota:

«Ci fa piacere – premette – che il Governo stia lavorando in queste ore “per elaborare una proposta robusta che eviti il formarsi di nuovi esodati”. Questa dichiarazione del ministro Giovannini la stiamo aspettando da tempo. Ormai è chiaro a tutti che, nonostante una serie di interventi che hanno portato complessivamente alla salvaguardia di oltre 160 mila lavoratori rimasti senza reddito a seguito della “riforma” Fornero, il tema dei cosiddetti esodati non può dirsi risolto. Non a caso come Partito Democratico abbiamo invocato già nella scorsa legislatura, e riproposto nell’attuale, il tema dell’introduzione di una normativa di flessibilità nell’uscita dal lavoro verso la pensione. Adesso – conclude Damiano – anche il Governo parla di un anticipo del pensionamento rispetto agli attuali tetti: si tratta di capire nel merito quale sarà la proposta e, soprattutto, di chiedere che l’Esecutivo si confronti da subito e davvero con i disegni di legge che, su questo argomento, sono attualmente in discussione alla Commissione Lavoro della Camera».

Lavoratrici, usuranti e precoci: pensioni e le ultime novità

pensioni-tuttacronacaLa Riforma pensioni attualmente insita nella legge di Stabilità del governo Letta non convince i lavoratori e per questo motivo sono molte le proposte che vengono avanzate per apportavi delle modifiche, che riguardano in particolar modo la pensione anticipata donne, lavori usuranti e precoci. Per quel che riguarda la prima categoria, sembra che per le lavoratrici possa riaprirsi un piccolo spiraglio. Qualora passasse la modifica alla circolare Inps che aveva anticipato al 2014 la possibilità di accedere alla pensione anticipata, per l’intero 2015 le donne potrebbero uscire anticipatamente dal lavoro attraverso l’opzione contributivo. Sarebbe dunque possibile per le donne, come spiega Erica Venditti, andare in pensione anticipata fino al 31/12/2015 con 57 anni di età e 35 anni di contributi se dipendenti oppure 35 anni di contributi ma 58 anni se autonome, a patto di vedersi calcolare l’assegno pensionistico con calcolo contributivo, da qui il nome “opzione contributivo”. Ma al governo si parla anche di lavoratori precoci e usuranti, per i quali la possibilità di accedere alla pensione anticipata potrebbe essere insita nella proposta di Giovannini sul prestito pensionistico. Questo significa che potrebbero uscire anticipatamente dal lavoro, 2 o 3 anni prima di aver raggiunto i requisiti pensionistici necessari, avendo una sorta di prestito dall’Inps da rendere poi una volta raggiunti i requisiti effettivi.

La decurtazione sull’assegno pensionistico finale sarebbe pari al 10-15%, quindi e un po’ come se il lavoratore per i primi anni facesse un prestito a se stesso. Le decurtazioni in entrambi i casi sono ragguardevoli, ma crediamo che nonostante l’amaro in bocca, molti cittadini, se passassero queste proposte di pensione anticipata, sceglieranno comunque di uscire dal lavoro prima, temendo ulteriori Riforme pensioni che posticipino ulteriormente il raggiungimento dell’agognata pensione.

La clamorosa novità sulle pensioni!

pensionsi-tuttacronacaSi continua a parlare delle pensioni e ora si vuole tornare a quelle anticipate, le stesse eliminate dalla riforma Fornero che aveva così dato il via alla questione degli esodati. L’idea è del ministro del Lavoro Enrico Giovannini. La promessa è quella di una soluzione al problema di chi è stato incentivato a uscire dal mondo del lavoro pur non avendo raggiunto l’età pensionabile. Resta la domanda: con quali soldi? Al riguardo il ministro non è stato molto chiaro e parla di un anticipo previdenziale ma col contributo sinergico di Stato, aziende e lavoratori. Un piano al quale il governo starebbe lavorando da tempo, ha spiegato il ministro, ma che richiede una certa “robustezza finanziaria”. Sarà, assicura il titolare del Welfare, uno “strumento flessibile in funzione delle esigenze soggettive dei lavoratori”. A margine di una conferenza stampa all’Inail, ha così illustrato le possibilità circa un ipotetico anticipo dell’assegno previdenziale rispetto all’età prevista dalla riforma Fornero:

“Stiamo lavorando – ha detto il ministro – sugli aspetti tecnici. Il procedimento è complesso. Può prevedere anche il contributo da parte delle aziende. L’idea è di avere una contribuzione da parte di tutti e tre i soggetti (lavoratore, impresa ma anche Stato, ndr) ma ci deve essere robustezza finanziaria”.

Il ministro ha però sottolineato che il piano è ancora allo studio, in collaborazione con il ministero dell’Economia.

“Stiamo valutando come ottenere uno strumento flessibile in funzione delle condizioni soggettive del lavoratore”.

In pratica al lavoratore verrebbe offerto una sorta di prestito d’onore garantito dalle aziende e dallo Stato. Prestito che andrà poi restituito dallo stesso lavoratore, una volta ricevuto il primo assegno previdenziale. Un po’ come si fa con gli studenti, ai quali viene concessa una linea di credito da investire per la propria formazione, in vista dei futuri guadagni. Ma qui siamo molto in là nel mare delle ipotesi, dal momento che il piano oltre a dover reperire i necessari fondi di attuazione, dovrà pure essere approvato dalle parti sociali. Giovannini però ci tiene a precisare che la sua non sarà una “controriforma” post Fornero.

Pensioni: torna la rivalutazione

pensioni-tuttacronacaDopo due anni di blocco, torna la rivalutazione delle pensioni rispetto all’inflazione nel 2014. Al massimo si potranno avere 22 euro in più. Per quel che riguarda la quota di rivalutazione, sarà dell’1,2% (100% dell’aumento dei prezzi) per le pensioni fino a tre volte il minimo, dell’1,8% per le pensioni tra tre e quattro volte il minimo (si recupera il 90% dell’inflazione), dello 0,90% tra quattro e cinque volte il minimo e dello 0,6% per quelle tra cinque e sei volte il minimo.

Queste in sintesi le fasce per la rivalutazione:  

fino a 3 volte il TM (trattamento minimo) 100% inflazione euro (fino a 1.486,29) 1,2% fino a 17,8 euro  

Fascia di garanzia oltre 1.486,29 e fino a 1.488,06 sono garantiti 1.504,13 euro  

Tra tre e 4 volte il TM  90% inflazione tra 1.486 e 1.981 euro 1,08%  tra 17,8 e 21,4 euro  

Fascia di garanzia  oltre 1.981,72 e fino a 1.985,25 sono garantiti 2.003,12 euro  

Tra 4 e  5 volte il TM  75% inflazione tra 1.981 e fino a 2.477 euro   0,90%  tra 21,4 e 22,3 euro  

Fascia di garanzia oltre 2.477,15 e fino a 2.484,53 sono garantiti 2.499,44 euro tra 5 e 6 volte il TM 50% inflazione tra 2.477,15 e 2.972,58 euro 0,60% tra 14,8 e 17,8 euro  

Oltre le sei volte il trattamento minimo (2.972,58 euro) è previsto un importo fisso di aumento di 17,84 euro.

Le pensioni: ostaggio di forze politiche che si fanno lo sgambetto

pensioni-tuttacronacaTutti ne parlano, tutti dicono la loro, ma ancora nulla si muove. Il tema è quello delle pensioni, con tante risposte ancora da trovare e dare, con incertezze da cancellare e, di non poca importanza, con tante soluzioni da trovare anche per permettere quel ricambio generazionale che possa dare una speranza di futuro anche alle nuove generazioni. Ma se soluzioni non si sono trovate per quel che riguarda Quota 96, esodati, vitalizi e così via, anche per quel che riguarda quelle d’oro il governo non riesce a trovare un accordo. La scorsa settimana sono state presentate sette mozioni dai partiti e tutte sono state bocciate. Come spiega l’Espresso, ha ricevuto parere favorevole solo quella, vaga, della maggioranza che afferma: il governo ha già preso provvedimenti, adesso monitori se i risultati arrivano e in caso corregga “eventuali distorsioni e privilegi”. Sempre l’Espresso scrive:”Il frutto avvelenato delle ristrette intese si ripercuote anche su uno degli obiettivi che il Partito democratico dovrebbe avere più a cuore: l’equità sociale. E ha ben poco da scalpitare Matteo Renzi che chiede un intervento deciso, visto che il Pd a Montecitorio è riuscito a farsi scavalcare perfino da Giorgia Meloni. Che difatti ha commentato ironica: «Se questi sono di sinistra, io sono Mao Tse Tung». La mozione iniziale dei democratici chiedeva infatti una trattenuta sulle pensioni oltre i 5mila euro da destinare alle fasce più deboli, ma è stata sacrificata per non perdere l’appoggio del Nuovo centrodestra.”

Nonostante le pensioni a cinque zeri siano tra gli argomenti più discussi tra i cittadini, il governo Letta non ha fatto molto, anzi. Ricorda Paolo Fantauzzi: “Nella legge di stabilità l’esecutivo ha inserito un prelievo che di qui al 2016 toglierà rispettivamente il 6, 12 e 18 per cento alla parte che eccede 14, 20 e 30 volte il minimo Inps. A leggere i numeri sembra tanto, in realtà è un’inezia. Tanto per avere un’idea: appena 5 euro al mese per un pensionato da 91 mila euro l’anno e 50 euro al mese a chi ne riscuote 100 mila.” Il che significa che il provvedimento frutterà non più di 12 milioni di euro e si tratta più o meno dello stesso prelievo effettuato dal governo Berlusconi (confermato poi da Mario Monti). E non va dimenticato che la Consulta l’ha bocciato, definendo incostituzionale il prelievo sui soli pensionati senza estenderlo anche ai lavoratori attivi. In tutto questo, le varie forze all’opposizione non hanno fatto che farsi sgambetti reciproci favorendo la bocciatura delle proposte altrui. Sembra però che, ora, qualcosa inizi a muoversi. Si legge ancora su L’Espresso: “A novembre la commissione Lavoro della Camera ha calendarizzato una proposta di legge presentata proprio dalla Meloni (la prima in ordine di tempo in questa legislatura) e nei giorni scorsi il testo è stato preso come bozza di partenza per elaborare un provvedimento condiviso dai partiti. L’assunto di base è minimal: i primi 5 mila euro sono “salvi”, per il resto nessun prelievo straordinario ma un semplice ricalcolo col sistema contributivo in vigore dal 1995. Insomma, come se ci si ritirasse dal lavoro oggi. Poi chi ha diritto a quanto percepisce, bene. Chi invece sta ricevendo dall’Inps più di quanto gli spetterebbe, vedrà decurtarsi l’assegno mensile. «La pensione dev’essere commisurata a quello che si è versato, a prescindere dall’importo. Il prelievo lineare è sbagliato» dice all’Espresso la Meloni. «Fra l’altro la Consulta non ha posto problemi di retroattività quindi problemi non dovrebbero essercene».” Questa settimana inizia l’esame del provvedimento, che giungerà in Aula a febbraio. Ammesso che trovino un’intesa. Perchè le diverse forze propongono soluzioni molto diverse tra loro. Si legge ancora sul sito internet del settimanale:
Il Movimento cinque stelle in Aula ha proposto un prelievo suddiviso in nove scaglioni: dallo 0,1 per cento per tutte le pensioni sotto i 3 mila euro fino al 32 per cento per quelle sopra i 322 mila euro. Un sistema che colpisce tutti in modo da evitare possibili contestazioni della Consulta e recuperare 1 miliardo e 142 milioni da destinare alle pensioni minime. Ben diversa però è la proposta di legge depositata, assai più vicina al “verbo” di Beppe Grillo e che ricorda il codice per i parlamentari: per tre anni, non più di 5 mila euro per tutti. Un provvedimento che, anche se divenisse legge, alla luce delle sentenze precedenti rischierebbe di essere cassato dalla Consulta.
Stesso discorso per la Lega nord, che vorrebbe fissare un tetto da 5 mila euro per le pensioni calcolate col sistema retributivo. In caso di più trattamenti previdenziali, la soglia sale a 8 mila euro. Scelta civica propone invece di intervenire oltre i 5 mila euro e di prelevare il denaro dalla parte “regalata” dal vecchio metodo di calcolo per la quale non sono stati effettuati versamenti.
E a sinistra? Guai a parlare di ricalcolo delle pensioni. Sel ad esempio nicchia. La deputata Titti Di Slavo ha denunciato il “populismo mischiato a falso egualitarismo” insito nella questione. Secondo i vendoliani, infatti, salvo qualche eccezione chi ha percepisce pensioni d’oro ha versato tanto e quindi ne ha diritto. Semmai, quindi, bisogna aumentare le aliquote sui redditi più alti, senza discriminare fra ricchi pensionati e non.
Il Partito democratico vorrebbe invece introdurre per un quinquennio un contributo di solidarietà basato su 17 aliquote progressive: si parte da 4 mila euro e si arriva fino alle pensioni da mezzo milione e oltre, su cui prelevare il 15 per cento. Tradotto in soldoni, un taglio da 40 mila a 34 mila euro al mese per i trattamenti più alti.
Ma come spiegare questa avversione al metodo contributivo, che da quasi 20 anni vige per tutti gli italiani? La motivazione ufficiale è che sarebbe un provvedimento regressivo, perché le pensioni più basse sono in media più generose rispetto a quanto versato. Considerato che i trattamenti delle fasce più povere sarebbero però fatti salvi, si tratta di una giustificazione che non regge. E allora è il caso di ricordare quanto in passato, proprio in tema di previdenza sociale, a sinistra abbia pesato la difesa di alcune sacche di privilegiati. L’intoccabilità dei baby-pensionati ai tempi del primo governo Prodi docet.

La riforma delle pensioni fa disperare… ma c’è chi la prende a ritmo di musica

san-carlo-pensioni-tuttacronacaChi spera che prima o poi arrivi anche per lui il fatidico giorno in cui andrà in pensione. Chi con la sua non arriva a fine mese mentre la crisi avanza. Non è facile fare i conti con la situazione attuale. Ma questo vale “solo” per una buona parte degli italiani. Poi ci sono i privilegiati. Come 320 dipendenti del Teatro di San Carlo di Napoli che fanno festa con le loro doppie pensioni, chiaramente d’oro. Come spiega il Giornale:

Si tratta di un privilegio varato dal ’74 all’84, attraverso l’istituzione di un Fondo integrativo aziendale. Il lavoratore pagava una quota insignificante (appena il 2 per cento dello stipendio) il resto era a carico del San Carlo. Il che, tradotto in cifre, vuol dire un paio di milioncini di euro all’anno. Il decennio 74–84 è stato a guida ex Pci, ex Dc e ex Psi. Il Lirico napoletano era controllato da questi tre potentissimi partiti della prima Repubblica.

E’ stata la sovrintendente del Massimo napoletano, Rosanna Purchia, che ha rivelato questo scandalo delle pensioni aggiuntive al quotidiano il Mattino. Insomma, il teatro combatte con una crisi infinita, ma c’è chi ancora ne ricava vantaggi. Spiega Purchia: “Una ballerina prende 650 euro, un orchestrale 750 mentre un impiegato 680 e un dirigente 1.100”. E le cifre si sommano alle pensioni ordinarie. Spiega ancora il Giornale:

Ma a 40 anni da quelle scelte scellerate, il Lirico napoletano sembra essersi infilato in un tunnel di cui non si vede l’uscita. Dei 320 che beneficiarono del «regalino», solo 17 sono ancora in servizio. Una volta cessata l’attività anche questi lavoratori avranno diritto alla pensione aggiuntiva. Ma c’è il rischio che per questi fortunati il pozzo, che sembrava senza fondo, si esaurisca nel giro di pochi anni. Al 31 dicembre del 2012 in cassa c’erano circa 15 milioni di euro «ma – spiega ancora la Sovrintendente – in base a un calcolo approssimativo il fondo potrebbe esaurirsi nel giro di 7 anni». Una via di uscita ci sarebbe: contrattare una sorta di buona uscita con ogni pensionato. Ma sarebbe comunque necessaria una forte liquidità per attuare questo piano. Secondo la Sovrintendente Purchia «nelle linee che avevamo predisposto avevamo stabilito di approfittare della liquidità per chiedere fondi alla cassa depositi e prestiti e contrattare con i pensionati la estinzione delle pensioni integrative». Le pensioni d’oro sono solo un aspetto della crisi in cui versa il San Carlo. Giovedi scorso cinque componenti del Consiglio di amministrazione si sono dimessi in contrasto con il sindaco Luigi De Magistris. E, ora, sul Massimo incombe lo spettro del commissariamento

Pensioni 2014: a che punto siamo con Quota 96 e lavoratori precoci

pensioni-tuttacronacaManuela Ghizzoni (Pd) continua la sua battaglia per restituire ai docenti privati ingiustamente del diritto alla pensione per un errore della riforma pensioni Fornero. Al riguardo, sono stati presentati oggi degli emendamenti ma, come spiega Matteo Carriero su Blasting.News: Come già accaduto, anche se dovesse procedere tutto per il meglio, per le pensioni dei Quota 96 della scuola arriverebbe poi il vaglio della Commissione Bilancio e si sa, il problema è sempre stato legato alla volontà del Governo di non investire le risorse necessarie per restituire le pensioni ai Quota 96. Di conseguenza, per quanto ci auguriamo possano giungere sorprese, la situazione per i Quota 96 della scuola resta decisamente nera.

Per le pensioni dei lavoratori precoci le news si focalizzano invece sulla possibilità di vedere attuata la proposta del ministro Giovannini di pensione anticipata (di 2 o 3 anni) con prestito, ovvero ricevendo assegni il cui importo andrebbe poi restituito con decurtazione della pensione vera e propria (si parla di decurtazioni attorno al 10-15% fino a ripagamento del prestito). Non si tratta di news sulle pensioni dei lavoratori precoci e usuranti in sé, ma di misure che interesserebbero tali categorie come altre: di misure specifiche per precoci e usuranti, difatti, non si parla ormai da molto tempo. La politica (ma anche i sindacati) sembrano essersi dimenticati delle richieste di nuove norme specifiche che siano adeguate alle particolarità delle due categorie.

Nel frattempo, resiste l’idea di un prepensionamento con prestito per la riforma pensioni 2014.

Riaprono i cantieri lavoro-pensioni: contratto unico, esodati e prestito

pensioni-tuttacronacaMatteo Renzi ha presentato ieri, via newsletter, la bozza del suo Jobs Act, ma non è l’unico cantiere che riapre. Mentre il leader del Pd presenta il programma che poggia sul contratto unico e l’assegno universale per chi perde il lavoro, il ministro Dario Franceschini annuncia nuove misure “salva-esodati” da varare nei prossimi mesi. Intanto Giovannini sta affinando la sua proposta sul cosiddetto “prestito previdenziale” per consentire ai lavoratori rimasti senza lavoro di beneficiare con 2 o 3 anni di anticipo di parte della pensione già maturata. Delle possibili novità per quello che riguarda le pensioni ne parla il Sole 24 Ore:

Martedì scorso il ministro Franceschini ha annunciato che nei futuri interventi del governo sul tema del lavoro ci saranno anche dei provvedimenti specifici per gli esodati da attuare in un’unica tranche oppure poco per volta. Interventi di sostegno che dovrebbero andare ad aggiungersi alle misure di tutela già previste dall’ultima legge di stabilità: il salvataggio per il 2014 di altri 17mila soggetti oltre ai 6mila indicati in prima battuta. E sempre nella direzione della “tutela” si colloca il pacchetto al quale sta lavorando il ministro Giovannini che prevederebbe la possibilità di riconoscere con un anticipo di 2 o 3 anni la pensione maturata a lavoratori rimasti senza impiego e senza ammortizzatore sociale con almeno 62 ani di età e 35 di contributi. Una sorta di “prestito previdenziale” su cui il Governo potrebbe confrontarsi con le parti sociali entro fine mese. E sempre entro fine gennaio dovrebbero arrivare le prime indicazioni delle 25 task force di esperti istituite dal Commissario straordinario per la revisione della spesa, Carlo Cottarelli, per giungere alla definizione della nuova spending review. Tra i capitoli nel mirino di Cottarelli anche quello delle pensioni medio-alte, a partire da quelle con connotazione retributiva (calcolate sulla base dello stipendio e non solo dei contributi versati). Pensioni d’oro e d’argento, dunque su cui tra l’altro ieri sera la Camera ha approvato una mozione della maggioranza che impegna il Governo a una puntuale verifica dell’attuazione del contributo di solidarietà introdotto con l’ultima legge di stabilità.

Esodati: solo uno su tre ha ricevuto l’assegno

esodati-tuttacronacaSi torna a parlare di esodati, lavoratori che hanno perso il posto o si sono licenziati in vista della pensione che sarebbe scattata per loro nel 2012, ma si sono ritrovati improvvisamente a fare i conti con la riforma Fornero e in molti casi rinviando di parecchi anni l’appuntamento con l’assegno previdenziale, ritrovandosi senza lavoro e la pensione che sembra essere un miraggio. Il governo ha cercato di capire come risolvere la situazione e negli ultimi due anni si contano 5 interventi di “salvaguardia”, incluso quello contenuto nella legge di Stabilità approvata prima di Natale. Tutti questi, come riporta il Corriere, consentono di andare in pensione con le regole in vigore fino al 31 dicembre 2011, cioè prima della riforma Fornero, a chi ha determinati requisiti. Si è così costruito nel tempo un sistema complesso di regole a maglie sempre più larghe: dai lavoratori in mobilità a quelli che si erano licenziati, cioè dagli esodati in senso stretto a categorie assimilate, come i contributori volontari, persone che pur non lavorando più avevano scelto di proseguire la contribuzione all’Inps per andare in pensione, fino a comprendere, con l’ultima legge di Stabilità, anche i lavoratori che si sono licenziati prima del 2012 e poi hanno ripreso a lavorare (purché non a tempo indeterminato) anche se dovessero guadagnare bene (finora per questi c’era un tetto di 7.500 euro l’anno). Un sistema sempre più complicato, quindi, dove magari qualche poveraccio resta fuori da ogni tutela e altri sono fin troppo protetti. E come se non bastasse, l’attuazione di questi provvedimenti procede molto a rilento. Ecco come ne parla Enrico Marro:

L’iter è estremamente complesso: si parte con la legge, poi c’è il decreto ministeriale attuativo, quindi la circolare Inps. Nel frattempo passano parecchi mesi. Quando finalmente tutto è pronto, la domanda va presentata alla direzione territoriale del ministero del Lavoro , che fa una prima verifica, e poi la passa all’Inps per tutta l’istruttoria del caso. Finora solo la prima salvaguardia, decisa a metà del 2012, cioè un anno e mezzo fa, può ritenersi conclusa. Per la seconda e la terza, anche se i termini di presentazione delle domande sono scaduti da tempo (21 maggio e 25 settembre 2013), l’esame delle pratiche è ancora in corso. Secondo un monitoraggio dell’Inps aggiornato al 13 dicembre scorso, la situazione è la seguente. Le prime 3 salvaguardie erano state varate per mandare in pensione complessivamente 130 mila persone, le domande accolte finora perché con i requisiti in ordine sono quasi 80 mila e le pensioni in pagamento meno di 27 mila. Insomma, solo uno su tre col diritto certificato alla pensione sta incassando l’assegno. Come mai? E come mai ci sono 50 mila domande in meno del previsto? Certamente sullo scarto tra platea stimata e domande accolte pesano le lungaggini procedurali e qualche calcolo sbagliato: per esempio, con la seconda salvaguardia si volevano tutelare 40 mila lavoratori in mobilità, ma le certificazioni finora inviate sono solo 5.432. Probabile quindi che ci sia stata una sovrastima di questa categoria. Sulle poche pensioni liquidate, invece, ci sono anche altre spiegazioni. Dice il direttore generale dell’Inps, Mauro Nori: «La differenza maggiore tra diritto certificato ed erogazione della pensione l’abbiamo sui lavoratori in mobilità. In molti casi queste persone resteranno ancora per anni con il sussidio previsto e la pensione scatterà solo dopo. Quindi anche se hanno il diritto certificato, l’assegno non poteva essere già messo in liquidazione». Gli esodati, dunque, ci accompagneranno ancora per molti anni.

Del resto, ai 130 mila potenziali beneficiari delle prime tre salvaguardie ne vanno aggiunti 9 mila della quarta decisa lo scorso agosto, che potranno presentare domanda fino al 26 febbraio 2014, e altri 17 mila previsti dalla legge di Stabilità, per un totale che supera le 156 mila unità. Con un costo davvero pesante: circa 11 miliardi e mezzo in nove anni, dal 2012 al 2020, che dovranno essere spesi per pagare pensioni che altrimenti (applicando i requisiti dalla riforma Fornero) non si sarebbero pagate. E che la storia degli esodati si esaurisca con la quinta salvaguardia è davvero improbabile.

Opzione Donna: il pensionamento possibile fino al 2017

opzione-donna-tuttacronacaE’ Noemi Secci, in un articolo pubblicato su BlastingNews, a parlare dell’Opzione Donna, ossia un regime sperimentale che prevede il pensionamento anticipato, secondo la Legge 243/2004, per le lavoratrici dipendenti che abbiano raggiunto 57 anni d’età , o per le autonome che ne abbiano raggiunti 58 (ai quali vanno aggiunti 3 mesi, per effetto dell’adeguamento alla speranza di vita), più almeno 35 anni di contributi. Come spiega l’autrice del pezzo:

La pensione per chi usufruisce dell’opzione è calcolata interamente con il metodo contributivo, anche per chi avrebbe normalmente usufruito del calcolo misto, o retributivo sino al 31/12/2011: tale metodologia comporta delle penalizzazioni, rispetto alle suddette tipologie di conteggi, che variano da caso a caso, a seconda dell’età, delle annualità maturate e delle retribuzioni percepite.

Per quel che riguarda i nuovi termini per usufruire del regime sperimentale, spiega Secci:

Dalla domanda di pensionamento alla fruizione del trattamento devono trascorrere 12 mesi per le dipendenti, e 18 per le lavoratrici autonome (compreso chi abbia effettuato, nell’arco della vita lavorativa, sia lavoro dipendente che “in proprio”), in quanto continuano ad applicarsi le “finestre” previste dalla vecchia normativa.

Sull’argomento, la circolare Inps numero 35 del 2012 aveva, di fatto, ristretto notevolmente la platea delle destinatarie, in quanto affermava che, per utilizzare l’Opzione, fosse necessario non solo maturare i requisiti entro il 31/12/2015, ma anche percepire effettivamente il trattamento previdenziale, anticipando, così, il termine ultimo della domanda al 01/12/2014 per le lavoratrici subordinate, ed addirittura al 01/06/2014 per le autonome (secondo altre interpretazioni, i termini sarebbero il 30/11/2014 per le dipendenti ed il 31/05/2014 per le autonome).

Fortunatamente, è stata presentata, in data 21/11/2013, una risoluzione, approvata da Camera e Senato, con la quale si dichiara che tale punto della circolare Inps 35/2012 è evidentemente contrario al disposto della legge (art.1 co.9 L. 243/2004): di conseguenza, è stato richiesto al Governo un intervento immediato per sollecitare l’INPS alla modifica della circolare stessa, in modo che il 31 dicembre 2015 sia considerata la data entro cui maturare i requisiti, non la data ultima di percezione del trattamento.

Per effetto di questa modifica, l’ultima data utile di percezione della pensione si sposterebbe dunque al 01/07/2015 per le autonome, ed al 01/01/2017 per le prestatrici di lavoro subordinato.

Allo stato dei fatti, non resta che attendere  una nuova circolare, Inps o anche ministeriale (da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), che confermi la chiara volontà interpretativa statale, rendendo ufficiale la modifica.

Esodati, Quota 96, lavoratori precoci: pensione e possibili cambiamenti nel 2014

pensioni-tuttacronacaIl 2013 è ormai agli sgoccioli ma, nonostante l’attesa e le speranze, non ci sono stati sviluppi sul tema delle pensioni per quel che riguarda gli esodati, i Quota 96 e i lavoratori precoci. Resta quindi da chiedersi cosa aspettarsi per l’anno che sta per iniziare, soprattutto se dovesse cambiare qualcosa al Governo con delle nuove elezioni, dopo che il Governo Letta non ha offerto risposte soddisfacenti per quel che riguarda le tre categorie citate. E’ Matteo Carriero che, sul sito Balsting.News presenta delle possibili previsioni legate anche alla sfera politica del nostro Paese. Nell’articolo si legge:
Eventuali previsioni di riforma pensioni per esodati, lavoratori precoci e Quota 96 devono essere inquadrate nell’ottica di un possibile rivolgimento politico: Matteo Renzi continua a lamentarsi duramente dell’operato del governo e sempre più opinionisti vedono come verosimile un ritorno alle elezioni prima dell’estate 2014.

Se il Governo Letta dovesse reggere per il prossimo anno potrebbero arrivare nuove misure per gli esodati, ma è estremamente difficile prevedere una soluzione definitiva del problema, dato il comportamento del governo fino a oggi. Per i Quota 96 della scuola le speranze sono ormai quasi nulle: la situazione è chiara ed è inutile girarci intorno, la Ragioneria di Stato non ha intenzione di stanziare i fondi necessari a restituire la pensione agli insegnanti penalizzati ingiustamente da un errore della Legge Fornero. Per le pensioni di lavoratori precoci e usuranti il 2014 è un mistero: davanti alla richiesta di un più equo trattamento date le peculiarità delle due categorie gli esponenti politici (in blocco) hanno da alcuni mesi tappato le orecchie, chiudendosi nel più assoluto silenzio. Qualche piccola misura di riforma pensioni nel 2014 potrebbe giungere per loro, ma resta più probabile l’ipotesi di un mantenimento della situazione attuale.

Ma se dovessero esserci nuove elezioni? Cosa potrebbe cambiare in termini di riforma pensioni per esodati, lavoratori precoci e Quota 96 della scuola? Ovviamente in tal caso molto dipenderebbe da chi potrebbe vincerle, con Renzi al momento senz’altro favorito alla guida di un eventuale nuovo governo. Tuttavia occorre ricordare che in ogni caso i tempi sarebbero lunghi e sperare in modifiche rapidissime sarebbe comunque utopico, inoltre, sebbene Renzi si sia sempre presentato come uomo del fare, in opposizione al Governo Letta del non fare, del rinviare, solo il tempo potrebbe effettivamente rivelare il grado di intraprendenza del nuovo segretario del PD.
Le previsioni sulla riforma pensioni 2014 per esodati, Quota 96 e lavoratori precoci sono a nostro giudizio, quindi, piuttosto fosche, con piccoli interventi per gli esodati e probabilmente poco o nulla per le altre categorie citate, tuttavia (come hanno dimostrato le elezioni di febbraio 2013) è sempre difficile prevedere l’esito delle urne in questo periodo storico italiano, quindi sarà necessario attendere per scoprire la reale tenuta del Governo e gli sviluppi di possibili elezioni.

40 anni fa arrivavano i baby-pensionati e iniziava ad allargarsi il rapporto debito/Pil

baby-pensioni-tuttacronacaEra il 29 dicembre 1973 e il Governo emanava il Dpr 1902, con i suoi provvedimenti che introducevano la riforma delle baby-pensioni, una  forma di previdenza erogata dallo Stato per i dipendenti pubblici ai quali è stata offerta la possibilità di andare in pensione in un’età inferiore ai 40-50 anni. Ossia, dopo aver versato appena 14 anni di contributi per quel che riguarda le donne e 20 per gli uomini. La legge ha dato l’avvio a diverse polemiche visto che alcuni sondaggi hanno rilevato come, negli ultimi 40 anni, abbia comportato per lo Stato italiano un costo per oltre 150 miliardi di euro, causando a sua volta notevoli vantaggi per il baby-pensionato. In un articolo su Blasting.News, a firma Domenico Ferlita, si legge:

Andando in pensione all’età di 35 anni infatti il pensionato percepisce il trattamento previdenziale per il triplo degli anni di contribuzione e di conseguenza incassa il triplo del totale dei contributi effettivamente versati, considerando che l’aspettativa di vita di un baby-pensionato è di 85 anni. Secondo un rapporto di Confartigianato del 2011, in Italia sono circa 531.752 le persone andate in pensione nel fiore degli anni, ricevendo un assegno mensile di circa 1500 euro lordi al mese. Il 76,8 % sono dipendenti del settore pubblico, contro la minima percentuale del 23,2 % costituita da lavoratori del settore privato. Nessuno mai è stato in grado di modificare tale norma che andava ad allargare sempre di più il rapporto debito pubblico/Pil oggi giunto al 128 %. Solo nel 1992 ci fu una svolta decisiva ma poco utile per quanto riguarda le cosiddette baby-pensioni. Infatti, con il decreto legislativo 503 del 30/12/1992, fu abolita la possibilità di percepire prematuramente la pensione ma come conseguenza, lo Stato dovette affrontare una spesa per la previdenza pubblica pari allo 0,4 % del Pil nazionale annuo.

Anno nuovo… nuovi requisiti per andare in pensione

pensione-nuovi-requisiti-tuttacronacaCon l’arrivo del nuovo anno scattano i nuovi requisiti per per il pensionamento di vecchiaia delle donne previsti dalla riforma Fornero e, come spiega L’Ansa, le lavoratrici dipendenti del settore privato potranno ritirarsi solo dopo aver compiuto i 63 anni e 9 mesi, vale a dire 18 mesi più tardi rispetto ai requisiti previsti per il 2013 (62 anni e tre mesi). I nuovi requisiti porteranno gradualmente alla parificazione delle età di vecchiaia all’inizio del 2018 (66 anni e tre mesi ai quali aggiungere l’adeguamento alla speranza di vita). In presenza  di almeno 20 anni di contributi (se si hanno contributi accreditati prima del 1996. Se si è cominciato a versare dopo il 1996 e’ richiesto anche un importo di pensione di almeno 1,5 volte la soglia minima), questi sono, in sintesi, i requisiti:

– DONNE DIPENDENTI SETTORE PRIVATO: potranno andare in pensione di vecchiaia le donne con almeno 63 anni e 9 mesi di età. Dal 2016 (fino al 31 dicembre 2017) scatterà un ulteriore scalino e saranno necessari 65 anni e tre mesi ai quali aggiungere l’aumento legato alla speranza di vita. Potranno quindi andare in pensione ancora quest’anno con 62 anni e 3 mesi le lavoratrici nate prima del 30 settembre 1951 mentre se si è nate a ottobre dello stesso anno l’uscita dal lavoro sara’ rimandata almeno fino a luglio del 2015.

– DONNE AUTONOME E GESTIONE SEPARATA: nel 2014 le lavoratrici autonome potranno andare in pensione con almeno 64 anni e 9 mesi, con un anno in più rispetto a quanto previsto per il 2013. Per il 2016 e il 2017 saranno necessari almeno 65 anni e 9 mesi, requisito al quale andrà aggiunta la speranza di vita.

– UOMINI SETTORE PRIVATO: nel 2014 vanno in pensione con gli stessi requisiti del 2013 (66 anni e tre mesi). I requisiti cambiano nel 2016 con l’adeguamento alla speranza di vita.

– SETTORE PUBBLICO, UOMINI E DONNE: restano i requisiti previsti per il 2013. Si va in pensione ancora nel 2014 e fino al 2015 con 66 anni e tre mesi di età. Il requisito andrà adattato alla speranza di vita nel 2016.

– PENSIONE ANTICIPATA: nel 2014 gli uomini potranno andare in pensione in anticipo rispetto all’età di vecchiaia se hanno almeno 42 anni e 6 mesi di contributi versati, un mese in più di quanto previsto nel 2013. Per le donne saranno necessari almeno 41 anni e 6 mesi di contributi (un mese in più di quanto previsto nel 2013). Anche i requisiti per la pensione anticipata andranno adeguati dal 2016 all’aumento della speranza di vita.

Pensioni: la novità in vista per il 2014

pensione_tuttacronacaIl prossimo anno le pensioni aumenteranno, anche se di poco: si va dalle 6 alle 20 euro al mese per i trattamenti fino a circa 2.000 euro lordi mensili. Quello che prevede infatti il meccanismo messo a punto dal governo con la legge di Stabilità è una rivalutazione piena solo per le pensioni lorde che non superano tre volte il trattamento minimo di 495,4 euro al mese; per tutte le altre la rivalutazione sarà parziale (al 95% per chi prende 1.981,7 al mese). Stando ai calcoli che propone il Messaggero, per esemplificare, una pensione da 500 euro di quest’anno salirà a 506 nel 2014, con un incremento di 6 euro mensili. Per arrivare a un aumento a doppia cifra bisogna prendere almeno 900 euro al mese: in questo caso il trattamento l’anno prossimo sarà di 910,8 euro al mese (+10,8 euro mensili). Ancora, chi percepisce oggi 1.800 euro al mese godrà di un aumento più consistente: +20,52 euro. A questo punto la curva degli aumenti comincerà a flettere, tanto che dai 3.000 euro in su l’aumento sarà per tutti di 14,27 euro. Inoltre la nuova Legge impone un tetto al cumulo di stipendio e pensione: 300 mila euro al massimo.

Ancora pensioni nel mirino: il vizio di “prendersela” con i pensionati

pensioni-tuttacronacaIn Italia quando ci sono dei problemi con la finanza pubblica si torna a parlare delle pensioni e non hanno fatto eccezione neanche due nuovi emendamenti alla legge di Stabilità appena presentati. L’obiettivo è di introdurre un limite di reddito entro il quale sia possibile cumulare la pensione e un eventuale reddito da lavoro dipendente o autonomo. Ancora una volta, lo Stato romperebbe il patto con i cittadini. Le modalità le spiega il Corriere:

Molti dei pensionati presi di mira hanno, probabilmente, lasciato il lavoro anche con l’idea di proseguire l’attività professionale, magari con un impegno meno gravoso. Mettendo così a servizio del mondo produttivo, e della società, la competenza e l’esperienza acquisita. La logica apparente dietro queste misure è quella di creare maggiori opportunità per i giovani, ma i divieti a una categoria difficilmente hanno effetti positivi per le altre. I pensionati che svolgono attività di consulenza difficilmente verrebbero sostituiti nella loro attività solo per ragioni anagrafiche. Se sul mercato c’è una domanda per quel tipo di competenze, evidentemente servono.
Il rischio, semmai, potrebbe essere quello di una nuova crescita del lavoro sommerso. Il divieto di cumulo è stato abolito proprio per far emergere attività lavorative che altrimenti sarebbero rimaste nascoste. Risultato: alla fine una misura simile potrebbe persino trasformarsi in un autogol con una riduzione delle entrate tributarie e contributive. Sulle attività extra, infatti, i pensionati pagano già il 43% di Irpef e il 21% di Iva e i contributi all’Inps. Senza contare che, oltre i 90 mila euro, dal 2014 ci sarà anche il contributo di solidarietà. E secondo l’ipotesi estrema, con il divieto di cumulo, in caso di reddito aggiuntivo di 150 mila euro la pensione verrebbe addirittura azzerata. Decisamente troppo. Certo questa soglia, in una fase di crisi e di potere d’acquisto calante, appare elevata. Eppure va considerata per quello che è: il risultato di un lungo periodo lavorativo e dei contributi versati per assicurarsi l’assegno previdenziale. Non un privilegio.
Perché invece si continua a voler cambiare le regole del gioco sul terreno delle pensioni? Forse non è la strada maestra: il punto è trovare modalità di tutela previdenziale dei giovani, non la stretta su chi ha maturato diritti in base alle regole. Il rischio, serio, è di confondere continuamente i piani creando finte illusioni egualitarie.

La norma, inoltre, si applicherebbe con effetto retroattivo a tutti coloro che sono andati in pensione, consapevoli di poter proseguire un’attività lavorativa. Mentre, se proprio si volesse introdurre un simile divieto, dovrebbe riguardare solo i futuri pensionati. Un vizio, quello della retroattività, molto diffuso che andrebbe evitato in un Paese civile: le difficoltà di bilancio non possono essere un lasciapassare per violare(di continuo) le regole.

La crisi che si abbatte sui pensionati: quasi uno su due non arriva a fine mese

crisi-pensionati-tuttacronacaUn’analisi realizzata dallo Spi-Cgil in collaborazione con Ipsos su consumi e potere d’acquisto dei pensionati ha rilevato che il 46,2% dei pensionati italiani fatica ad arrivare alla fine del mese e si ritrova così costretto a rimandare pagamenti, a intaccare i propri risparmi, a chiedere prestiti e aiuti ad altri. Il 24,3% invece ci arriva senza troppi problemi ma spende quasi tutto quello che prende di pensione mentre il 29,5% non solo ci arriva ma riesce anche a risparmiare qualcosa, facendo però delle rinunce. Il 37,2% dei pensionati che mettono ancora da parte qualcosa infatti ha dovuto ridurre le spese superflue e anche qualche consumo importante (il 15,2%). Lo stesso dicasi di chi arriva a fine mese senza troppi problemi: il 46,2% ha tagliato le spese superflue, il 21% consumi importanti e l’11,8% anche consumi necessari. La situazione è ben più grave per chi vive in difficoltà economiche anche gravi, che ha dovuto apportare tagli notevoli. Il 19,8% dei pensionati  ha dovuto ridurre diversi consumi necessari, il 28,4% ha ridotto abbastanza i propri consumi e anche qualcuno importante, il 31,4% ha tolto solo il superfluo. Appena il 20,4% riesce a sopravvivere in maniera dignitosa, senza bisogno di ridurre in modo significativo le spese. Carla Cantone, segretario generale dello Spi-Cgil, commenta: “I pensionati  hanno dato tanto a questo paese in termini di sacrifici e ora non ne possono proprio più. E’ per questo che chiediamo al governo di dare loro delle risposte, a partire dalla Legge di Stabilità. Sarebbe inoltre ora che si riattivasse il tavolo di confronto tra governo e sindacati, istituito dal governo Prodi e rimosso da Berlusconi e da Monti. Non è un caso che da allora la condizione dei pensionati e degli anziani non ha fatto altro che peggiorare”.

Letta e la “promessa mantenuta”

enrico-letta_tuttacronacaL’annuncio che durante il prossimo Consiglio dei ministri arriverà il disegno di legge sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti arriva dal premier Enrico Letta che, su Twitter, spiega come siano pronti a mantenere una promessa fatta ad aprile: “Avevo promesso ad aprile abolizione finanziamento pubblico partiti entro l’anno. L’ho confermato mercoledì. Ora in Cdm manteniamo la promessa”, ha scritto.

tweet

Pensioni: l’emendamento che prevede un aumento della rivalutazione

pensioni-tuttacronaca

In un emendamento alla Manovra proposto dal relatore Maino Marchi in commissione bilancio a Montecitorio, è previsto un aumento dal 90 al 95% della rivalutazione delle pensioni con importi tra i 1.500 e i 2mila euro, ossia superiori a 3 volte e pari o inferiori a 4 volte il minimo Inps. La proposta di modifica prevede inoltre il calcolo della rivalutazione delle pensioni, anche per i trattamenti pensionistici superiori ai 3.000 euro (oltre 6 volte il trattamento minimo) , ma solo per il 2015 e 2016, mentre il prossimo anno rimarrebbero congelate. La norma attuale prevede invece il congelamento per tutto il triennio.

Non solo pensioni: anche i vitalizi nel mirino della legge di Stabilità

vitalizio-tuttacronacaUn emendamento alla legge di Stabilità presentato dal relatore Maino Marchi, del Pd, prevede che anche sui vitalizi dei parlamentari venga applicato il contributo di solidarietà, la tassazione speciale introdotta nel 2011 dal governo Monti per pensioni superiori ai 90mila euro l’anno. In caso di approvazione, saranno interessati dalla misura anche gli eletti nei consigli regionali e provinciali.

Non c’è tranquillità e tremano i pensionati dopo le parole dell’Inps!

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Non c’è tranquillità nei conti economici dell’Inps e stavolta a dirlo è il presidente Antonio Mastrapasqua che  conferma le sofferenze dell’Istituto di previdenza dopo l’accorpamento con Inpdap e Enpals. L’accorpamento con Inpdap ed Enpals ha proseguito Mastrapasqua, «ha creato uno squilibrio di bilancio». La perdita dell’Inps è imputabile essenzialmente, riassume ancora il presidente Inps, «al deficit ex Inpdap, alla forte contrazione dei contributi per blocco del turnover del pubblico impiego e al continuo aumento delle uscite per prestazioni istituzionali». Una preoccupazione, ha spiegato nel corso di una audizione alla commissione bicamerale di controllo, di cui ha fatto partecipe il governo in una lettera. «Ho scritto sia al ministro Saccomanni che al ministro Giovannini, come fatto con l’esecutivo precedente, invitandolo a fare una riflessione su questo punto essendo il bilancio Inps ormai un bilancio unico ed essendo il disavanzo patrimoniale ed economico una cosa che, vista dall’esterno, nel mondo della previdenza, può dare segnali di non totale tranquillità», ha spiegato alla Commissione parlamentare di controllo sugli enti di previdenza.

Di qui la necessità di rivedere le norme che hanno regolato l’accorpamento dell’Inps con Inpdap ed Enpals. Per Mastrapasqua occorre dunque abbandonare la pratica delle anticipazioni, «di trasferimenti statali non completamente rispondenti ai fabbisogni», e ripristinare una copertura strutturale da parte dello Stato per il pagamento delle pensioni pubbliche. Senza questo intervento normativo si potrebbero «innescare rischi di sotto finanziamento dei disavanzi previdenziali e di progressivo aggravamento delle passività».

Così lo spiega Il Sole 24 Ore:
Ecco perché «sarebbe auspicabile che fosse approfondita e valutata nelle sedi competenti l’opportunità di eventuali interventi normativi, tesi a garantire l’efficiente ed efficace implementazione della più grande operazione di razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico», dice Mastrapasqua, ricordando come all’origine del deficit ex Inpdap vi sia stata la soppressione, con la Finanziaria 2008, della norma in vigore dal 1996 che prevedeva l’apporto dello Stato a favore della gestione ex Inpdap, per garantire il pagamento dei trattamenti pensionistici statali. A fronte di questo, infatti, l’Inpdap ha fatto ricorso all’avanzo di amministrazione per la coperture del relativo deficit finanziario e soprattutto, alle anticipazioni di bilancio. Il rischio, senza un intervento dello Stato, è un «aumento delle passività».

Quelle pensioni d’oro che valgono quasi quanto tutte quelle povere

pensioni-tuttacronacaLe polemiche sulle cosiddette pensioni d’oro, ossia quelle che fanno percepire oltre 3mila euro al mese, non si placano e ora arriva un nuovo dato dell’Istat destinano a rinfocolarle. Nel 2011 il 5,2% dei pensionati nella fascia più “ricca”, pari a 861mila persone, hanno assorbito 45 miliardi di euro l’anno, il 17% della spesa totale, poco meno di quanto sborsato (51 miliardi, 19,2%) per i 7,3 milioni, il 44% dei pensionati, sotto i mille euro. In pratica meno di un milione di persone “valgono” quasi come oltre sette milioni, questo per quanto riguarda la spesa pensionistica. Ma le pensioni d’oro presentano un forte divario anche all’interno della stessa categoria, un gli uomini che rappresentano il 76.5%. Se si fa il confronto con l’anno precedente, sempre in base alle ultime tavole pubblicate dall’Istat a fine ottobre, si scopre che nel 2011, anche se il numero dei pensionati in Italia è diminuito di 38mila unità, il gruppo che percepisce più di tre milaeuro mensili è salito di 85mila (+10,9%), con un aumento della spesa di 4,6 miliardi di euro. Inoltre va segnalata che, a livello generale, c’è una tendenza al passaggio verso classi d’importo maggiore, spiegabile sia con la perequazione annuale, sia con il fatto che il valore medio delle nuove pensioni è maggiore di quello delle cessate: sempre nel 2011 si è verificata anche una diminuzione dei pensionati sotto i mille euro (di quasi 250 mila teste, -3,3%). Si sta comunque parlando di pensionati e non di pensioni e va ricordato, inoltre, che una stessa persone può essere titolare di più trattamenti (pensioni di vecchiaia, invalidità, sociali e altro). La distribuzione dei pensionati per classe d’importo risente infatti della possibilità di cumulo di uno o più trattamenti sullo stesso beneficiario. Sempre nel 2011 risulta che quasi un quarto dei pensionati è destinatario di un doppio assegno. E se anche con il blocco dell’indicizzazione e con gli altri cambiamenti che hanno toccato il mondo delle pensioni dalla fine del 2011 qualcosa oggi è cambiato, resta il fatto che questi sono dati consolidati, a dimostrazione che la situazione attuale è frutto di una politica precedente.

Pensionati sul piede di guerra? La Fornero non si tocca.

pensionati-tuttacronaca

Incassata la fiducia, il Governo Letta, al servizio dei cittadini, parla per bocca di Enrico Giovannini,  intervenuto oggi in Commissione Lavoro alla Camera, e dichiara incompatibili con i conti pubblici le modifiche alla riforma delle pensioni. In definitiva la Fornero non si tocca. Nessuna controriforma: “Tali proposte sulla flessibilizzazione dell’eta pensionabile “avrebbero il prevedibile effetto di aumentare il consistente il numero di pensioni dal 2014, determinando un onere di diversi miliardi di euro l’anno”.

Quindi i cittadini non possono godersi i loro diritti acquisiti perché graverebbero troppo sullo Stato. Eppure quei contributi loro li hanno versati, ma ora non possono goderne.

Giovannini annuncia solo  modifiche sulla rivalutazione dei trattamenti pensionistici, bloccata da Monti nel 2011 per gli importi superiori a tre volte il minimo (circa 1500 euro lordi). Dal 2014 il governo prevede che il blocco rimanga per gli importi sei volte il minimo (circa 3000 euro al mese). La rivalutazione sarà piena fino a tre volte il minimo, al 90% fra tre e cinque volte il minimo e il 75% fra cinque e sei volte.

E il potere d’acquisto dei pensionati si affievolisce!

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