
Si doveva parlare di Unione economica e bancaria, si sarebbe dovuto parlare di immigrazione, infatti Letta si è limitato a dire che si sono fatti passi in avanti, ma il tema di oggi del vertice Ue è e resta solo uno: il Datagate. 35 leader intercettati, milioni di dati scambiati e nel mirino ci sono entrate la Francia, la Germania e l’Italia. Lo scandalo è evidente e sotto gli occhi di tutti, il problema è che rischia di spaccare già i rapporti sempre più fragili a causa delle problematiche che si aggirano nell’Eurozona. Ci sarà la frattura tra gli stati membri? Ci saranno posizioni inconciliabili? Tutti uniti per chiedere chiarimenti, peccato poi che però invischiati nella faccenda sembrerebbero esserci tanto gli inglesi che gli italiani. Non a caso era circolata voce durante i vertici di Bruxelles di un acceso contraddittorio tra Letta e Cameron, poi smentito dal premier italiano. L’unico dato certo è che non è stata certo trovata uan soluzione e una linea comune sul Datagate. Germania e Francia volevano la risposta forte, ma l’Inghilterra non ci sta e Cameron ha contrattaccato ancora una volta, niente linea dura e niente rigida protezione dei dati personali che secondo gli inglesi sarebbe anche un ostacolo per le imprese. L’unica decisione presa è che Francia e Germania lavoreranno unite per ridefinire le attività di intelligence e le modalità con cui devono essere svolte “tra alleati”. L’iniziativa poi sarà aperta agli stati membri, ma sembra che la Gran Bretagna voglia parteciparvi, portando a muoversi entro confini soft, che non diano fastidio alla politica statunitense.
Anche per il mercato univo digitale è tutto rimandato al 2015, non è passata la linea di Francia e Italia che spingevano per il 2014, un’indicazione che era stata fra l’altro confermata dal presidente del Consiglio Ue Van Rompuy, ma che non ha trovato seguito nel vertice.
Vita dura anche per La Cancelliera, che ieri, ha dovuto di fatto rinviare l’affondo sui “contractual arrangements”, ossia sui contratti che dovrebbero sostituire le raccomandazioni Ue, dando alla Commissione più poteri nel far rispettare ai paesi membri le decisioni su conti pubblici e riforme stabilite a Bruxelles.
Resta in sospeso anche il nodo sui “public backstop”, i paracadute pubblici per le banche in difficoltà.
Come riporta l’Huffington Post:
Il problema è semplice: tutti vogliono un sistema europeo per rispondere con prontezza a eventuali future crisi bancarie (e relativi choc economici), ma non tutti hanno i soldi per farvi fronte. Chi li ha (la Germania) non vuole ritrovarsi ad allargare ulteriormente i cordoni della sua borsa. Per questo Berlino, sostenuta da Olanda, Finlandia e Svezia, vuole che le banche siano “pulite” da eventuali buchi di bilancio prima di entrare nel nuovo meccanismo di salvataggio, ossia prima di poter accedere, dopo tutta una serie di passaggi, al fondo Esm. Vuole, cioè, che si proceda subito a “una sorveglianza più di qualità” sugli istituti, per mettere a nudo eventuali scheletri nell’armadio. E che fatto questo, ogni Paese pensi a risolvere i guai delle sue banche prima di farle accedere al nuovo sistema di salvataggio.
Peccato, però, che sia la nuova sorveglianza (in mano alla Bce), sia le nuove norme sugli aiuti di Stato (che impongono perdite agli obbligazionisti) preoccupano non poco il resto dell’Unione, Francia e Italia in particolare. La rigidità imposta dalla Germania, infatti, rischia di provocare uno choc nel sistema bancario, con i privati pronti a fuggire e i singoli Stati incapaci di far fronte alle perdite con fondi propri.
E’ la preoccupazione dello stesso presidente della Bce, Mario Draghi, che ieri è giunto al vertice proprio per controbilanciare la pressione tedesca. Draghi, come Francia e Italia, è pronto a scoperchiare un possibile “vaso di pandora” (i primi test della nuova vigilanza unica partiranno il prossimo mese) ma chiede che ci sia un paracadute pubblico europeo per tranquillizzare i privati. Se non per sempre, almeno nell’immediato.
Su questo, Draghi ha ricevuto ieri una sorta di appoggio anche dalla Commissione. Ma la Markel continua a spingere per backstop a carico degli Stati.
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