
Fu davvero gesto umanitario? Martedì in Aula la Cancellieri respingerà ogni accusa, ma la bufera si è innescata. Il discorso tenderà a smontare ogni ipotesi di favoritismo nel caso Ligresti da parte del Guardasigilli e a sostegno della sua tesi il ministro citerà altre decine di casi che già sono stati ampiamente confermati dai dirigenti del Dap. Ma ciò che potrebbe suonare stonato sono le parole del vice del Dipartimento amministrazione penitenziaria Cascini che ha dichiarato: “Io non ho fatto proprio nulla. Ho solo detto a Cancellieri ‘ministro stia tranquilla’ la Ligresti è seguitissima. Lei come altri detenuti a rischio, pure per Lavitola ci siamo allertati”. Quindi se era seguitissima, come d’altra parte lo erano altri carcerati, tra cui Lavitola, quali rischi correva?
E se tra i casi, anonimi per ragioni di privacy, l’Avvenire cita “la lettera scritta da R., campano 48enne allocato in una casa lavoro dell’Emilia Romagna in procinto di essere trasferito a Favignana, nel Trapanese, difficilmente raggiungibile dai familiari, che risiedono in Campania. Per evitarlo, il detenuto attua uno sciopero della fame, rifiuta di assumere medicine e scrive al ministro. A metà agosto R. viene trasferito in una casa lavoro in Abruzzo, più vicina alla sua famiglia”. Ce ne sono altri dove invece sembra proprio che il gesto umanitario non ci sia stato… e che quindi i numeri siano rovesciati a sfavore di chi resta inascoltato. E se è vero che i casi sono moltissimi, quasi impossibile arrivare ovunque, sono però le stesse associazioni di detenuti, cioè coloro che quotidianamente sono a contatto con i detenuti e che conoscono da vicino questa realtà a parlare con durezza nel caso Ligresti di un “favoritismo inaccettabile”
Come dice Il Fatto Quotidiano: La cronaca rivela però che i gesti umanitari mancati sono la regola, l’interessamento “sollecitato” un’eccezione: non più tardi di quattro giorni fa un 81enne è morto nel carcere di Ferrara dopo uno sciopero della fame. L’uomo, di origini calabresi, era recluso nella sezione sicurezza, separato dagli altri detenuti. “Forse non aveva il numero del ministro”, è la battuta che gira tra volontari e secondini dell’Arginone. Carlo Mazzero, direttore della casa circondariale di Massa Marittima intervenendo a Linea Notte (Rai3) è stato tranciante sul caso Ligresti: “Con 67mila detenuti e 40mila posti abbiamo molti casi di grandissima difficoltà, di vera e propria disperazione, di cui ci facciamo carico. E il telefono, diciamo così, per loro non squilla”.
Favero (Ristretti Orizzonti): “Non avrei parlato di gesto umanitario”. Da Padova, Ferrara, Milano le reazioni di chi lavora tutti i giorni a contatto con i carcerati variano dall’incredulità allo sdegno e fino alla rabbia. “Altro che gesto umanitario. Questa storia dimostra ancora una volta che se non hai certi natali puoi morire di stenti in una cella”. Usa parole durissime Ornella Favero, direttore di “Ristretti Orizzonti”, il giornale della Casa di reclusione di Padova e dell’Istituto di pena femminile della Giudecca. “Fossi stata nel ministro non avrei parlato di un gesto umanitario, né liquidato le pressioni sul Dap come un doveroso interessamento per minimizzare le implicazioni della vicenda. Piuttosto avrei ammesso l’evidenza e per salvare una parvenza di dignità avrei aggiunto “vorrei farlo per ogni detenuto””.
Il caso del detenuto bibliotecario da Padova a Cremona. Nessun favoritismo, certo. Per il detenuto comune. Ornella Favero lo può testimoniare direttamente. Racconta le difficoltà riscontrate da “Ristretti Orizzonti” su un caso che si è risolto solo pochi mesi fa, a luglio, e che chiama in causa proprio il ministro Cancellieri. “Tre mesi fa si è chiusa l’incredibile vicenda di un detenuto che è anche il nostro bibliotecario, Stefano Carnoli. Da Padova è stato trasferito d’ufficio a Cremona perché il magistrato di Sorveglianza aveva accolto il suo reclamo contro ilsovraffollamento ai sensi delle indicazioni della Corte Europea per i diritti umani (stabilisce i 3 metri quadrati come spazio minimo per una persona in cella, ndr)”. Per “rispettare” questo diritto ecco il trasferimento d’ufficio, deciso dal Ministero, in un carcere dove i centimetri erano rispettati, con la brusca interruzione però di un percorso di rieducazione che a Padova andava avanti da tre anni e a Cremona sarebbe stato impossibile. La vicenda ha un epilogo positivo, ma non grazie all’interessamento umanitario della Cancellieri. “Quando a Cremona è stato chiaro che non c’era alcun percorso di riabilitazione possibile si è messa in moto una campagna di sensibilizzazione su vasta scala. La Cancellieri ha risposto che doveva rimanere a Cremona ma che “avrebbe vigilato”. Nel caso dello sconosciuto Carneroli sono stati l’associazione e i giornali. “A fine luglio il Dap decide di fare marcia indietro, optando per una valutazione di ordine realmente umanitario e non burocratica. Ma su sollecitazione di Adriano Sofri e di Corrado Augias che hanno pubblicato le lettere e fatto proprio il suo appello”.
Il numero dei suicidi in carcere cresciuto del 300%. Si dice “basito” del comportamento del Ministro Achille Saletti, presidente dell’associazione Saman che nelle carceri svolge attività di aiuto soprattutto alla popolazione di tossicodipendenti. “Quello che è capitato a Giulia Ligresti succede a migliaia di detenuti senza nome che non ricevo alcun trattamento di favore. E il nodo è proprio questo: se è lodevole che il ministro si interessi alle condizioni di un carcerato lo è molto meno che lo faccia nei confronti di uno solo, anche perché la Cancellieri sa che il numero di suicidi in carcere è cresciuto del 300% negli ultimi 10 anni e solo dall’inizio dell’anno se ne contano una quarantina. E non mi risultano telefonate dirette a perorare un trattamento migliore o una qualche soluzione personale”.
Il caso Musumeci: “Siamo carne viva immagazzinata”. A volte, invece, non c’è ragione umanitaria che tenga. “La storia di Carmelo Musumeci – ragiona la Favaro – è emblematica. Il suo è un caso che dovrebbe smuovere le coscienze e invece dimostra che senza santi in Paradiso non vai proprio da nessuna parte”. Condannato all’ergastolo per omicidio è detenuto dietro le sbarre del Due Palazzi in regime “ostativo” da 20 anni: nonostante abbia fatto passi enormi (si è laureato in giurisprudenza, ha scritto una proposta di legge contro l’ergastolo, collabora con la rivista Ristretti Orizzonti) gli è inibito ogni beneficio penitenziario: zero permessi, semilibertà o affidamento ai servizi sociali sono chimere. Ha scritto a Napolitano proprio nei giorni in cui l’attenzione del Presidente era rivolta alla condanna a un anno dell’ex premier Berlusconi. “Siamo come carne viva immagazzinata in una cella e destinata a morire”, scriveva. Ma nessuna telefonata è arrivata dal Quirinale o dal Ministero della Giustizia. Anche lui, evidentemente, non aveva i numeri.
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