18enne ucciso ad Ercolano: morto per difendere il nipote del boss

omicidio-ercolano-tuttacronacaGaetano Lavini è morto a causa di una coltellata inflittagli ieri pomeriggio in traversa Mercato ad Ercolano. Da quanto emerge dalle indagini che i carabinieri stanno conducendo, il 18enne ha perso la vita per difendere il nipote del boss Giovanni Birra dalla spedizione punitiva partita dalla zona di influenza del clan Ascione. Nel frattempo è stato identificato anche il suo assassino, allo stato irreperibile, un maggiorenne ma giovanissimo come la sua vittima.  Stando a quanto ricostruito dai militari, Lavini ha tentato di difendere il diciassettenne rimasto lievemente ferito dalla spedizione punitiva e in quel frangente ha rimediato il fendente mortale. A quanto pare il nipote del boss Birra nelle settimane scorse aveva avuto un diverbio con coetanei legati al clan avversario a quello della sua famiglia e ieri pomeriggio la gang lo ha affrontato sotto casa allo scopo di fargliela pagare: Lavini ha cercato di difenderlo ed ha avuto la peggio.

Polemica su “Lady Mafia” è un inno alla criminalità o il nuovo Diabolik?

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E’ scoppiata la polemica su “Lady Mafia”, il primo fumetto, uscito in edicolom con protagonista una donna killer che uccide senza pietà per arrivare a scalare la gerarchia criminale e diventare la boss più temuta sul territorio. Si chiama Veronica De Donato, è una ragazza del sud cresciuta al nord a cui i clan hanno sterminato la famiglia e il suo unico obiettivo è quello di tornare a Foggia e vendicarsi. E’ uscito ieri in edicola e già la critica lo ha accolto a suoni di fanfara definendolo “il Diabolik in gonnella”, ma le associazioni che da sempre lottano contro la criminalità organizzata come l’associazione Libera per il  coordinamento per la cultura della legalità, ha trovato scandalosa l’uscita di un fumetto che inneggi alla mafia, con una protagonista che mira solo a diventare la più potente e rispettata boss della Puglia in uan regione appunto in cui il problema della criminalità è da sempre una piaga sociale contro la quale lottare ogni giorno. Il fumetto è stato boccaito anche dalla Commissione parlamentare antimafia. “Si sfrutta il “fascino” della mafia per un’attività commerciale che di educativo non ha nulla” attacca Libera. “Invitiamo la casa editrice a sospendere la pubblicazione: nel paese di Lea Garofalo e di tante donne che hanno scelto, a prezzo della vita, il coraggio della denuncia, Lady Mafia rappresenta un insulto alle vittime”. “È offensiva verso tutti coloro che non hanno cercato vendetta ma giustizia attraverso lo Stato” insiste Davide Mattiello della Commissione antimafia. “Un giudizio dato senza aver letto il fumetto, in base al titolo” si difende il creatore Pietro Favorito, proprietario della casa editrice Cuore Noir che pubblica la serie. “Ho riflettuto prima di sceglierlo, ma rappresenta una dichiarazione d’intenti: Lady Mafia incarna il male, e dà ribrezzo a chi si avvicina perché fa vedere a quale degenerazione si può arrivare quando la legge non garantisce la giustizia. Anche Diabolik, quando uscì, fu molto contrastato. Ma io nella storia denuncio brutalità come lo stalking, la violenza sulle donne, l’omofobia “

Voi che ne pensate?

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“Così il clan controlla le pensioni”: le rivelazioni shock di un pentito

napoli-pensioni-camorra-tuttacronacaE’ il Mattino che fa notare come la storia dei falsi invalidi a Napoli sembri un pozzo senza fondo, con l’attenzione degli inquirenti che, dopo Chiaia, si è spostata nella quarta municipalità di Napoli, già toccata un anno fa da arresti e indagini. Oggi è inoltre spuntato, agli atti dell’inchiesta sul can Contini, il verbale d’accusa di Alfredo Sartori, noto alla giustizia dai tempi di un’inchiesta sulle truffe ai danni della Telecom. Scrive il Mattino: “Non siamo a Chiaia, dove pure sono stati realizzati arresti e sequestri (grazie a un accordo tra un politico locale e alcuni soggetti in odore di camorra), ma a piazza Nazionale. Zona contesa tra clan Contini e Mazzarella. Il «medico», il «professore», l’informatico: «Ecco gli uomini del sistema». E spunta il caso della stanza 27 – un ufficio della municipalità del centro – dove ci sarebbe un via vai di soggetti legati alla camorra.”

L’ombra di Indesit e i rifiuti tossici smaltiti dai Casalesi

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L’informativa che gettava ombre nel 1996 a carico della Indesit e dei rifiuti tossici  che sarebbero stati gettati nella Terra dei Fuochi è firmata dalla Criminalpol. Il processo era quello a carico di   Cipriani Chianese, il referente del clan per le “questioni ambientali”. In questo documento, reso pubblico dal settimanale L’Espresso, riporta i verbali di un interrogatorio a Carmine Schiavone e intercettazioni tra manager Indesit e Chianese risalenti al biennio 1994-1996. La Indesit, “con certezza”, si legge in una riga nell’ultima relazione della commissione parlamentare sui rifiuti del febbraio 2013, è stata l’unica azienda individuata “come produttore dei rifiuti avvantaggiato dall’opera del cartello criminale” dei casalesi.

Accuse che Indesit ha respinto al mittente. “Indesit Company non è mai stata coinvolta in attività illecite riguardanti lo smaltimento dei rifiuti né mai le sono stati contestati illeciti o irregolarità dalle autorità competenti, incluse quelle di cui si fa menzione negli atti parlamentari”, ha fatto sapere l’azienda, precisando che “tutto il ciclo di smaltimento segue le più severe normative ed è sottoposto a certificazione di qualità. Le azioni di Indesit sono state sempre improntate al massimo rispetto per l’ambiente e alla sua salvaguardia”.

Le autorità però parlano chiaro: “È possibile accertare un rapporto commerciale tra l’indagato Chianese e l’azienda per ciò che concerne il ritiro, il trasporto e lo smaltimento egli scarti del ciclo produttivo. L’attività di recupero rifiuti è infatti svolta dall’associazione di imprese Chianese-Giordano che forte del beneplacito dei vertici amministrativi della Indesit opera con proprie regole e sostanzialmente fuori dai vincoli di legge”.  I manager del gruppo Merloni parlavano con i referenti dei casalesi di fanghi da eliminare, vernici, bolle di accompagnamento.

Blitz dei carabinieri e uno dei latitanti si suicida!

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Avevano scoperto, nelle campagne di Lentini, il covo dove Calogero Mignacca, 41 anni, e il fratello Vincenzino, 45 anni, si nascondevano e avevano progettato il blitz. I carabinieri del Gis questa mattina sono andati preparati, ma la sorpresa c’è stata quando il più anziano dei due latitanti si è suicidato davanti alle forze dell’ordine puntandosi la pistola alla tempia e facendo fuoco.  I due avevano sulle spalle sentenze definitive per omicidi, rapine ed estorsioni e dovevano scontare l’ergastolo.

Come in un film è arrivata anche la frase di Angelino Alfano, che si è complimentato con il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli, per l’intervento dei Gis che ha portato all’individuazione di due latitanti inseriti nell’elenco dei più “pericolosi”. “Si tratta di un altro grande successo della squadra Stato – ha affermato il ministro Alfano – che punta al controllo, in termini di sicurezza, del territorio, intensificando la lotta al crimine organizzato. Ma in questa occasione, se esprimo soddisfazione per l’arresto di uno dei due latitanti – ha concluso Alfano – provo profondo dispiacere per il gesto di disperazione compiuto dall’altro che si è tolto la vita”.

Bombe a Napoli contro i famigliari di un boss

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Avvertimenti, bombe per contro il palazzo dei famigliari del boss Pasquale Pesce in piena notte. Torna così la paura a Pianura, Napoli, dove i clan stanno alzando il tiro. Questa notte sono scoppiate infatti due ordigni rudimentali caricati con oggetti metallici i cui danni sono stati limitati ma che gli inquirenti non hanno dubbi a definire un segnale forte della guerra tra clan che torna. E così ieri sera, intorno alle 20.30, forse in risposta, in via Colantonio Di Fiore le pistole sono tornate a sparare e hanno mirato alle verande di un noto pregiudicato.

 

Pane e camorra, la denuncia dei verdi e di Unipan

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Denuncia inquietante da parte dei Verdi, con il coordinatore Francesco Emilio Borrelli, e del presidente Unipan, ovvero l’Unione panificatori Campani, Mimmo Filosa che hanno fatto emergere la difficile situazione dell’alimentare nel territorio napoletano:

“La camorra dall’inizio della crisi economica ha messo nuovamente e prepotentemente le mani sul mercato alimentare del napoletano e casertano. In particolare stanno proliferando forni abusivi di pane ovunque. Solo tra Napoli e provincia ce ne sono oramai oltre 1500 ed il numero è in crescita – continuano Borrelli e Filosa – Forni in condizioni igienico-sanitarie pericolosissime, che realizzano un prodotto anche tossico: usano gusci di nocciole trattati con agenti chimici e quindi nocivi, se non legni trattati con vernici e solventi tossici. Il problema più grave e che oltre alla filiera totalmente illegale che parte dal forno abusivo e arriva alla vendita illegale per strada spesso ancora nei cofani delle macchine o con bancarelle improvvisate il pane della camorra è arrivato nei supermercati e nei salumieri legali. D’altronde i clan hanno capito che in un momento economicamente drammatico come quello attuale i cittadini possono rinunciare a tutto ma non al cibo. Per questo invochiamo un intervento drastico da parte dello Stato con la istituzione di un tavolo permanente in Prefettura tra Asl, comuni e forze dell’ordine e l’ applicazione della legge regionale sulla tracciabilità del pane”.

Nei prossimi giorni sarà presentato un dossier sui nuovi forni abusivi curato da Verdi e Unipan per mostrare la grave situazione nel Napoletano.

“Cosa nostra” sui set cinematografici, registi in fuga dalla Sicilia

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Persone che non sono in grado di far nulla, che rallentano il lavoro dei professionisti e che fanno innalzare il costo delle produzioni, ma se qualcuno come quell'”attrezzista venuto da Roma” prova a dire che quei collaboratori non sono graditi sul set in quanto incapaci di svolgere il lavoro ecco che a Palermo il furgone degli attrezzi viene svaligiato. “Loro” sono quelli che decidono dove far mangiare la troupe, dove alloggiarla e che acqua si deve bere sul set. “Loro” decidono le comparse, “Loro” decidono dove affittare i mezzi, o si fa come vogliono “Loro” o si rischia!

Nonostante un anno fa abbia fatto scalpore la clamorosa estorsione alla casa cinematografica Magnolia, quarantuno esponenti del clan della Noce sono stati arrestati, la mafia non ha smesso di allungare la sua ombra sul mondo del cinema mentre il numero delle produzioni in Sicilia è in calo: se in Piemonte la Film commission ha finanziato 51 opere, l’Isola l’anno scorso si è fermata a 10.

“Le produzioni cinematografiche hanno ormai abbandonato la Sicilia a causa di attività illecite perpetrate da alcune famiglie mafiose”, denuncia in una lettera un direttore di produzione di Cinisi, Vincenzo Cusumano, che ha scritto al presidente della Regione Rosario Crocetta. La sua lettera è stata firmata da una decina di artisti, da Leo Gullotta a Tony Sperandeo, da Luigi Burruano a Ernesto Maria Ponte. “Chiunque arrivi in Sicilia deve scendere a compromessi  –  denuncia Cusumano che ha lavorato tra gli altri con registi come Marco Tullio Giordana, Ricky Tognazzi e Renato Di Maria  –  tutti lo sanno e nessuno ne parla, mentre la nostra regione rischia di uscire definitivamente dai circuiti cinematografici”.

Come riporta La Repubblica:

“Questo è un grido di dolore e di allarme”, dice Leo Gullotta. I dati non sono confortanti: se nel 2008 in 257 hanno presentato domanda di finanziamento alla Film commission siciliana, nel 2012 le istanze sono state 190. Colpa  –  dicono attori e produttori  –  sia della disorganizzazione che della malavita. “La mafia  –  racconta un addetto ai lavori  –  impone comparse e operai, ma anche le ditte dalla quali rifornirsi per acquistare i materiali che servono ad allestire i set. In cambio assicura il quieto vivere per tutta la durata delle riprese”. Uno scenario drammatico svelato dall’inchiesta che un anno fa ha portato all’arresto di 41 affiliati al clan della Noce che avevano imposto il pizzo anche ai produttori di Magnolia fiction, che nel 2010 stavano girando a Palermo la serie televisiva “Il segreto dell’acqua”, con Riccardo Scamarcio nelle vesti di un vicequestore. In manette sono finiti pure i figli di Enzo Castagna, Tommaso e Gaetano, da trent’anni procacciatore di comparse a Palermo. I due fratelli erano diventati “capogruppo di set”.

La Regione sa che il racket strozza le produzioni e ha varato un protocollo di legalità, intitolandolo a Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Chi riceve soldi dalla Film commission si impegna a rendere trasparente ogni subappalto  –  dice l’assessore al Turismo Michela Stancheris  –  pena la revoca del finanziamento”. Per Antonio Piazza, regista di “Salvo” applaudito a Cannes, bisogna scegliere con cura i collaboratori sul territorio: “Nel nostro caso  –  racconta dal Brasile dove sta per uscire il film  –  pur avendo girato in una borgata, l’Arenella, non abbiamo avuto alcuna difficoltà. Ma sono tante le produzioni che hanno paura di venire in Sicilia”. Il regista Giuseppe Tornatore al festival di Taormina aveva già lanciato l’allarme denunciando che la Regione ha perso il treno del cinema: “Le poche produzioni che arrivano nell’Isola stanno qui alcune settimane e vanno via. Perché spesso sono costrette a pagare il pizzo”.

La Film commission, che ha sei dipendenti, serve solo da salvadanaio e peraltro ormai è in grado di distribuire solo spiccioli: se nel 2008 per i finanziamenti c’erano 5 milioni, nel 2012 non sono arrivati a 2. “La Film commission è inutile se non concede servizi  –  denuncia Cusumano  –  le poche produzioni che arrivano in Sicilia non la contattano nemmeno e sono costrette ad affidarsi al territorio con il grosso rischio di illegalità che conosciamo”. Il presidente della Film commission, Pietro Di Miceli, promette il rilancio: “Rendiamola una struttura operativa”.

La figlia del boss latitante Messina Denaro si ribella

matteo_messina_denaro-figlia-tuttacronacaIeri su Il Messaggero compariva un articolo che riportava che Lucia Riina, figlia del boss mafioso Totò Riina, durante un’intervista alla televisione svizzera Rts diceva: “Io sono onorata di chiamarmi così – dice Lucia Riina – e felice perché è il cognome di mio padre e immagino che qualsiasi figlio che ama i suoi genitori non cambia il cognome. Corrisponde alla mia identità”. Parlava anche della propria famiglia: “Sono i miei genitori, siamo cattolici e devo dell’amore a mio padre e mia madre”. Posizioni opposte per la figlia del boss trapanese latitante Matteo Messina Denaro. Come riporta un articolo del numero di L’Espresso in edicola domani, la ragazza, che si è ribellata al clan familiare del padre e convince la madre a lasciare la casa dove ha sempre abitato, desidera vivere lontano da quel nucleo familiare. ”Quanto vorrei l’affetto di una persona e purtroppo questa persona non è presente al mio fianco e non sarà mai presente per colpa del destino”, racconta pur non facendo mai esplicito riferimento al padre, che secondo gli investigatori non avrebbe mai visto, ma nel giorno del compleanno del boss la figlia pubblica sul suo profilo Facebook un cuore rosso senza alcun commento.

Arrestato a Dubai, l’ex deputato condannato per mafia

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L’ex deputato Amedeo Matacena, difeso da Franco Coppi (difensore di Silvio Berlusconi per il processo Mediaset) e dall’ex Guardasigilli Alfredo Biondi era stato condannato in via definitiva a giugno scorso. La pena inflittagli era di  a 5 anni e 4 mesi, più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex deputato infatti, secondo quanto accertato dai giudici, favorì la cosca Rosmini. Subito dopo la sentenza si rese irreperibile. Non era rintracciabile né a Roma, né a Reggio Calabria e neppure a Montecarlo dove ha la residenza. Perché poi un politico italiano dovrebbe avere la residenza a Montecarlo? Sicuramente non è l’unico caso, ma almeno pretendere che chi sta al Parlamento o al Governo abbia la residenza in Italia, a meno che non si tratti di un deputato che sia eletto dagli italiani all’estero sembrerebbe il minimo da richiedere.

Dopo la grande fuga… ora è stato arrestato a Dubai!

Dirottato l’aereo del boss mafioso causa maltempo

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E’ stato dirottato, a causa del maltempo, su un’altra regione, anche il volo proveniente dalla Spagna, che sarebbe dovuto atterrare nella Capitale, con a bordo il boss Vincenzo Triassi, ritenuto legato al clan agrigentino dei Cuntrera-Caruana. Triassi, è stato estradato in relazione a un ordine di cattura del 26 luglio scorso nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sfociata in oltre 50 arresti per traffico di stupefacenti, usura ed estorsioni compiuti per diversi anni sul litorale romano con l’aggravante di tipo mafioso.

Il pentito è pentito di essersi pentito! Storia di Carmine Schiavone.

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«Se potessi tornare indietro non mi pentirei. Non lo farei più perché le istituzioni ci hanno abbandonato. Quando non sono riusciti ad ammazzarmi materialmente, hanno cercato di distruggermi economicamente, moralmente», così Carmine Schiavone,  uno dei boss del clan di camorra dei Casalesi, pentito dal 1993.

Quando ha deciso di pentirsi?

«Decisi di uscirne quando vidi che uccidevano anche i bambini prima di nascere con tutti quegli sversamenti». Sversamenti sui quali Casalesi ed industrie del nord, in quegli anni, hanno fatto valanghe di soldi.

Chi era Carmine Schiavone?

«Ero uno dei capi della cupola, ma mi sono pentito davvero perché altrimenti quelle carte lì non le avrei mai scritte. Il mio guaio è stato proprio quello di essermi pentito veramente perché in Italia non c’era una giustizia, una legge, un politico che sappia capire questo. Chi me lo ha fatto fare di vivere in questo mondo di cani rognosi perché è vero che noi abbiamo sparato, ma i ministri, i carabinieri, i magistrati, i poliziotti sono più responsabili di me perché hanno permesso questo».

Perchè si pente di essersi pentito?

«Io ho sbagliato nella mia vita e ho cercato di rimediare quando la mia coscienza si è ribellata a certi soprusi commessi da altri. Tutti quanti hanno fatto facile carriera sulla mia pelle».

Quale sarà il futuro della mafia?

«La mafia non sarà mai distrutta perché ci sono troppo interessi, sia a livello economico sia a livello elettorale. L’organizzazione mafiosa non morirà mai».

Far west in Spagna, morta una bimba

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E’ stata uccisa nella sua abitazione di Siviglia la bimba di 7 anni raggiunta da un proiettile vagante in Spagna. La sparatoria aveva avuto origine fra due clan rom collegati al traffico di droga, nel quartiere Los Amarillos. Almeno una ventina di colpi avevano raggiunto le persiane della sua abitazione. Feriti in maniera lieve anche i suoi genitori.

La mafia a tavola e cibo in mano ai clan, Legambiente lancia l’allarme.

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Il nostro cibo sta subendo un attacco? Legambiente lancia l’allarme in occasione di “festambiente”, a Rispescia, Grosseto. Sarebbero circa 11 i reati al giorno che si consumano e oltre 3.000 denunce o arresti. Basta vedere il valore dei beni sequestrati che supera i 672 milioni di euro  per un giro d’affari gestito da 27 clan criminali. A tavola, “è seduto il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, a Matteo Messina Denaro”. D’altra parte numerosi libri sono stati scritti sul fenomeno e molti articoli hanno da tempo riportato la notizia. Quello che spaventa è che il fenomeno non si argina, anno dopo anno arriva una nuova denuncia, ma il giro di affari continua.

Stupro per vendetta e minacce per farla abortire… la nuova mafia?

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Una storia di violenza e di aberrazioni quella che hanno coinvolto una donna, che chiameremo V. La vendetta è stata voluta e attuata da Giosuè Sessa, 36 anni, e Davide Pescatore, 30, affiliati alla costola di Arzano del clan Moccia, che ieri mattina sono stati arrestati dai carabinieri di Arzano.

Veronica è un nome inventato, per tutelarne la privacy. La sua storia no. È stata violentata più volte nella sua abitazione. Minacciata dimorte con una pistola. Ha affrontato una gravidanza frutto delle violenze subite. E poi è stata costretta ad abortire per cancellare le prove dei ripetuti stupri. La donna litigava troppo con il suo convivente, un affiliato che sembrava intenzionato a passare a un altro clan. Due cose che non potevano essere tollerate. Le liti potevano attirare l’attenzione delle forze dell’ordine e poi l’odore del tradimento del proprio clan non è neppure pensabile. Ed ecco che scatta la vendetta.

La donna viene stuprata almeno per 10 volte e lui subisce inerme quella violenza. Ma quella punizione inizia a girare, se ne inizia a parlare. Forse sono i nuovi metodi della mafia… ma ci sono ancora gli “uomini d’onore” quelli vecchia maniera che tali comportamenti non li tollerano. E poi si era superato il limite, uomini che fanno paura… ma stavolta l’aberrazione era più forte della paura e così grazie a un carabiniere che parla con tutti e che ascolta le mille voci, si decide di verificare se quella storia, che appare davvero incredibile possa avere un fondo di verità.  Purtroppo stavolta la realtà era ben più violenta del racconto. V. viene convocata in caserma, è terrorizzata e non vuole parlare, ma alla fine arrivano le prime ammissioni e i carabinieri ricostruiscono l’accaduto.

E’ marzo dell’anno scorso e Giosuè Sessa, accompagnato da Davide Pescatore bussano alla sua porta. Lei non apre, e i due spalancano la porta a spallate. Davide Pescatore le pianta la pistola in faccia. Giosuè Sessa, invece, le ordina lasciare in pace il suo convivente, di non fare più chiassate e di non andare dai carabinieri. Pena la morte. Poi la stupra. Per sfregio. Per farle capire che non vale nulla. Che la sua esistenza e nelle mani del clan e che serve solo per soddisfare gli uomini. Da lì una serie di violenze che non smettono neppure quando la donna scopre di essere incinta. Neppure quando li supplica di non violentarla più, di farlo almeno per quella vita innocente.  E’ proprio quando i suoi aguzzini scoprono che è incinta che invece si scatenano violenze ancora più brutali. Viene di nuovo minacciata di morte se non abortisce immediatamente. E lei ormai succube, lo fa. Il clan però non si ferma neppure alle minacce, iniziano a diffamarla. A dire che quella donna è una “poco di buono” e immediatamente la isolano all’interno del clan stesso. Il clan poi ordina al quartiere di ignorare V., nessuno si deve avvicinare, nessuno ci deve parlare. E lei arrivata dalla Sicilia ad Arzano per amore, si era trovata improvvisamente da sola e senza nessuno punto di appoggio. Una situazione creata ad arte e che ha consentito ai due arrestati di continuare per un anno le violenze fisiche e sessuali.
Ora  le violenze e le aberrazioni sono cessate, ma potrà mai V. tornare a una vita normale? Potrà di nuovo sognare un’esistenza felice? Questa è la nuova mafia?

Saviano tra coca, disciplina mafiosa e la difesa della felicità

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In occasione della pubblicazione sel zuo nuovo libro, Zero Zero Zero, Roberto Saviano rilascia un’intervista al quotidiano tedesco Die Welt in cui descrive un paradosso tutto italiano: nel Paese senza regole, la criminalità organizzata è quella che vanta la maggior propensione al sacrificio e al rispetto dei codici di comportamento. In essa è riscontrabile una disciplina che crea una parziale fascinazione sullo scrittore. “La criminalità organizzata ne esercita una certa quantità, lo devo confessare. Ma sarebbe un errore soccombere a questa forza di attrazione. I mafiosi costruiscono un’immagine di uomini d’onore, che vivono secondo un codice, detengono molti soldi e non hanno alcuna paura della morte. Questo mito va smontato: devo mostrare quanto siano ridicoli, le loro paure, la loro esistenza miserabile. Credo davvero che le cose si possano cambiare, se vengono scritte. Questa è la mia ossessione”. La vita della criminalità italiana, insomma, è costellata di rinunce, soprattutto se confrontata con la mafia messicana, dove lusso e feste sono un tratto distintivo dei grandi capi del cartello della cocaina. “I boss italiani sono gli ultimi calvinisti dell’Occidente. Vivono la maggior parte del loro tempo in un buco sottoterra, e per il loro successo rinunciano ad ogni lusso”. Ma un paradosso è anche il rapporto tra i suoi due libri: con Gomorra, che ha confessato non riscriverebbe se avesse il potere di tornare indietro nel tempo, che, dopo averlo obbligato ad una vita sotto scorta, gli ha permesso di scrivere la nuova opera. “Non vale la pena scrivere un libro che ti distrugge la vita. E’ importare raccontare la verità sulla mafia, e non avere paura né essere costretti al silenzio. Ma è altrettanto importante difendere il proprio percorso verso la felicità. Ora non so più come ritrovarlo, visto che vivo completamente isolato dagli altri uomini”. Ma l’isolamento l’ha portato a compiere un passo oltre: “Grazie alla scorta sono però riuscito ad incontrare molti inquirenti, ed ho avuto accessi ad atti e testimonianze che mi hanno permesso di studiare la dinamica del cartello delle droghe. “Suona paradossale, ma più vivo protetto, maggiore è la mia vicinanza a ciò che accade nel mondo della criminalità, anche se non posso più permettermi di camminare per strada”. Saviano non risparmia neanche, dopo tutte le bastonate inflitte dalla Germania all’Italia, una piccola bacchetata ai tedeschi. “La Germania sottovaluta il traffico di droga in modo drammatico, alla polizia mancano gli strumenti giuridici per poterlo contrastare in modo efficace. In Germania la mafia è al sicuro in modo davvero assurdo”. Per concludere, l’autore si schiera con la legalizzazione della cocaina, che rappresenta il più importante business per le mafie globali:  “La coca rappresenta un mercato da 400 miliardi di dollari di fatturato annuo. Una legalizzazione darebbe agli stati la possibilità di contrastare la droga, con campagne come quella condotta contro il fumo, e togliere alla criminalità organizzata la sua maggior fonte di guadagno”. Capitalismo allo stato pure insomma, che semplifica con un esempio: “Nessun altro affare dà maggior lucro. I suoi profitti sono enormi. Si prenda questo esempio. Chi all’inizio del 2010 ha investito nell’Apple 1000 euro, ora ne possiede 1600 grazie alla crescita delle sue azioni. Chi invece nel 2012 ha investito 1000 euro nella cocaina, ora ne possiede 182 mila. Cento volte di più rispetto alle azioni che sono andate meglio negli ultimi anni”.

E se la verità di Yara fosse nel libro di Saviano?

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«Quello che Saviano ha scritto nel suo libro è tutto falso: lo querelo. E mi verrebbe voglia di affidare a lui le chiavi della mia ditta, che con impegno e sacrificio io e i miei dipendenti stiamo cercando di portare avanti».  Queste le parole di Patrizio Locatelli, titolare della Lopav-Pima nota impresa specializzata in pavimentazioni. Suo padre però è Pasquale Claudio Locatelli, originario di Almenno San Bartolomeo, uno dei più attivi narcotrafficanti internazionali degli anni ’90, in arte «Mario di Madrid», noto anche come «Diabolik», ed è proprio a quest’uomo che Saviano dedica un intero capitolo del libro-inchiesta sulla cocaina, intitolato “Zero Zero Zero”. Saviano nelle sue pagine accenna anche ai figli Pasquale, Patrizio e Massimiliano, che furono arrestati nel 2010.

Ma come si inserirebbe il delitto di Yara in questo contesto?

Chi aveva in passato ha provato a legare il delitto di Yara con la criminalità organizzata è stato querelato. In particolare quelle testate giornalistiche che accennavano a legami  fra la Lopav e Fulvio Gambirasio, il papà di Yara.

E se Saviano sostiene che Fulvio Gambirasio abbia testimoniato in un processo contro Pasquale Locatelli, è lo stesso papà di Yara che ha suo tempo smentì categoricamente questa testimonianza. Ma di recente lo stesso Patrizio Locatelli conferma che è inesatto ciò che è scritto nel libro Zero Zero Zero:   Io e Fulvio – conferma Patrizio Locatelli – ci conosciamo da molto tempo, siamo compaesani. Dopo essere uscito dal carcere, l’ho incontrato casualmente e gli ho fatto le condoglianze. Lui mi ha abbracciato, dicendo di essere dispiaciuto che i media mi avessero coinvolto, a torto, nella vicenda di Yara. Tutto il resto sono fantasie».

Calciatore brasiliano sequestrato e torturato dai narcos!

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Una di quelle storie che non si vorrebbero mai raccontare, ma su cui è importante che l’opinione pubblica rifletta. Il centrocampista del Vasco da Gama, Bernardo Vieira de Souza,  stato sequestrato e torturato da un gruppo di narcotrafficanti dentro una ‘favela’ di Rio de Janeiro. Martedì scorso Bernardo è stato aggredito da alcuni membri del ‘Complexo da Marè’. Il motivo sarebbe la sua relazione con Dayana Rodrigues, una delle ‘fidanzate’ del boss della droga locale.  Dopo essere stati sorpresi nella baraccopoli ‘Salsa e Merengue’, i due sono stati portati in un’abitazione isolata dove è iniziato il loro incubo: dapprima sono stati spogliati e poi legati con del nastro adesivo, torturati con scosse elettriche e picchiati selvaggiamente. La ragazza è stata anche ferita alle gambe da due colpi di arma da fuoco.
Secondo quanto scrive O Globo, i narcos avrebbero voluto uccidere Bernardo ma poi si sarebbero limitati alle torture in quanto l’assassinio del giocatore del Vasco avrebbe provocato eccessivo clamore e quindi anche l’occupazione della ‘favela’ da parte del battaglione UPP della polizia carioca, noto per la durezza dei suoi metodi.

La violenza è simbolo della povertà che continua ad attanagliare Rio de Janeiro e nonostante i miglioramenti che lentamente sembrano diffondersi si vive ancora in un clima di brutalità e criminalità in cui vige la legge del più forte. Le responsabilità naturalmente sono sulle spalle di una politica che per anni si è disinteressata al traffico di droga e che, spesso, si è collusa con gli stessi criminali. Per i giovani, gli emarginati e i disoccupati resta ancora l’unica fonte di reddito, da difendere con la forza. Una “dittatura ombra”, un secondo potere che riesce a mietere vittime e trova terreno fertile nel crescente malcontento delle classi più deboli.

A farne le spese ora è stato un giocatore, ma ieri o domani è l’uomo qualunque, il capo di un’altra banda, una ragazza o un disperato alla ricerca di qualche soldo per la propria famiglia… E’ la guerra del terrore tra chi ha davanti a se solo la criminalità e chi deve difendersi da essa.

Quando inizieremo a intervenire nel profondo del problema sradicando la povertà e riportando la “scelta” di una vita legale anche tra le classi più povere?

 

Uno sguardo alla… mozzarella in carrozza

La ricetta puoi trovarla QUI!

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Roberto Saviano e Zero Zero Zero

Saviano e il caporalato

Roberto Saviano e Gomorra

Gente che racconta Scampia e non solo… Roberto Saviano!

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Uno sguardo a Scampia… libertà!

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Uno sguardo a Scampia… 4 chiacchiere!

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Uno sguardo a… SCAMPIA, Napoli!

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I clan manovrano le proteste a Napoli?

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Risponde duramente il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, alle proteste che questa mattina hanno sconvolto la città di Napoli. “Da cittadino e da napoletano provo una grande amarezza perché abbiamo assistito ad una sospensione del pieno diritto a manifestare che deve essere garantito ad ogni cittadino, a causa dell’infiltrazione di delinquenza comune e camorra”.

Cosa sta succedendo a Napoli?

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Agguati, cosche che si fronteggiano e nuove strategie che nascono. Questo è l’ultimo quadro che sta disegnando la camorra a Napoli in questi giorni. Dopo una notte di fuoco e fiamme che ha investito la città della scienza, e a tutt’ora non è del tutto domato, arriva questa mattina la notizia di uan vera e propria esecuzione avvenuta in strada sotto l’occhio dei passanti.

Un uomo di 68 anni, Francesco Chierchia, ritenuto dalla polizia affiliato al clan Gionta, è stato ucciso in un agguato davanti a un bar di Torre Annunziata (Napoli). Chierchia era in auto, una Fiat Idea, quando alcune persone gli si sono avvicinate sparandogli al viso. Sul fatto indaga la polizia.

1999 Strage di San Basilio a Vittoria: 5 arresti, facevano parte del commando.

 

 

Solo in Italia si arrestano le persone dopo anni. Dal 1999 al 2013… Può esserci giustizia?

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De Magistris: basta botti sosteniamo le iniziative anti-camorra

Appello del sindaco di Napoli a non spendere denaro nei fuochi d’artificio ma piuttosto nel sostenere iniziative che ripuliscano la città dalle organizzazioni criminali!

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