Polemica su “Lady Mafia” è un inno alla criminalità o il nuovo Diabolik?

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E’ scoppiata la polemica su “Lady Mafia”, il primo fumetto, uscito in edicolom con protagonista una donna killer che uccide senza pietà per arrivare a scalare la gerarchia criminale e diventare la boss più temuta sul territorio. Si chiama Veronica De Donato, è una ragazza del sud cresciuta al nord a cui i clan hanno sterminato la famiglia e il suo unico obiettivo è quello di tornare a Foggia e vendicarsi. E’ uscito ieri in edicola e già la critica lo ha accolto a suoni di fanfara definendolo “il Diabolik in gonnella”, ma le associazioni che da sempre lottano contro la criminalità organizzata come l’associazione Libera per il  coordinamento per la cultura della legalità, ha trovato scandalosa l’uscita di un fumetto che inneggi alla mafia, con una protagonista che mira solo a diventare la più potente e rispettata boss della Puglia in uan regione appunto in cui il problema della criminalità è da sempre una piaga sociale contro la quale lottare ogni giorno. Il fumetto è stato boccaito anche dalla Commissione parlamentare antimafia. “Si sfrutta il “fascino” della mafia per un’attività commerciale che di educativo non ha nulla” attacca Libera. “Invitiamo la casa editrice a sospendere la pubblicazione: nel paese di Lea Garofalo e di tante donne che hanno scelto, a prezzo della vita, il coraggio della denuncia, Lady Mafia rappresenta un insulto alle vittime”. “È offensiva verso tutti coloro che non hanno cercato vendetta ma giustizia attraverso lo Stato” insiste Davide Mattiello della Commissione antimafia. “Un giudizio dato senza aver letto il fumetto, in base al titolo” si difende il creatore Pietro Favorito, proprietario della casa editrice Cuore Noir che pubblica la serie. “Ho riflettuto prima di sceglierlo, ma rappresenta una dichiarazione d’intenti: Lady Mafia incarna il male, e dà ribrezzo a chi si avvicina perché fa vedere a quale degenerazione si può arrivare quando la legge non garantisce la giustizia. Anche Diabolik, quando uscì, fu molto contrastato. Ma io nella storia denuncio brutalità come lo stalking, la violenza sulle donne, l’omofobia “

Voi che ne pensate?

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Al mercato di Palermo il prezzo lo fa la mafia

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Il nuovo business di Cosa Nostra è il mercato ortofrutticolo di Palermo. Qui i boss del clan Galatolo stabiliscono i prezzi di frutta e verdura attraverso alcuni insospettabili imprenditori che gestivano gli stand. Sono state le rivelazioni di alcuni pentiti a permettere alla Direzione investigativa antimafia di poter mettere i sigilli alle società dei cinque imprenditori ritenuti vicini a Cosa Nostra. Ma il business non si fermava a frutta e verdura, ma avanzava anche in altri servizi come il facchinaggio e il parcheggio dei mezzi, attraverso una cooperativa, la “Carovana Santa Rosalia”. L’organizzazione mafiosa avrebbe imposto anche le proprie cassette di legno a tutti i rivenditori.

Blitz congiunto polizia-Fbi: 26 arresti. Si voleva creare un ponte per la droga

new-bridge-tuttacronacaSi chiama New Bridge l’operazione condotta da polizia e Fbi che ha portato, in diverse regioni italiane e negli Stati Uniti, a 26 tra arresti e fermi nei confronti di soggetti legati alla ‘ndrangheta e a famiglie mafiose americane e responsabili di un traffico internazionale di droga. Sono invece oltre 40 le persone indagate. A finire in manette, tra gli altri, Francesco Ursino, considerato a capo dell’omonima cosca di Gioiosa Ionica e figlio del boss Antonio (già in carcere), e Giovanni Morabito, nipote del boss Giuseppe detto “u’ tiradrittu”, storico padrino della cosca egemone nella zona ionico-reggina, anch’egli detenuto. Gli investigatori ritengono che l’obiettivo dell’organizzazione fosse quello di aprire un collegamento tra la Calabria e gli Stati Uniti, per consentire alle ‘ndrine e alle famiglie mafiose americane di creare un nuovo canale per il traffico di droga tra le due sponde dell’oceano, puntando a conquistare, nel tempo, il posto occupato per anni dai clan di Cosa Nostra. Come spiega TgCom, gli arresti e i fermi sono stati eseguiti dagli uomini della Squadra mobile di Reggio Calabria e del Servizio centrale operativo della polizia di Stato nelle province di Reggio Calabria, Napoli, Caserta, Torino, Benevento, Catanzaro e a New York negli Stati Uniti. L’inchiesta, denominata “New Bridge” (nel 2008 l’operazione “Old Bridge” svelò le connessioni nel traffico di droga tra le famiglie mafiose siciliane e quelle di oltreoceano) e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, è nata due anni fa grazie alla collaborazione tra la polizia italiana e le autorità americane, resa possibile dal protocollo tra Italia e Stati Uniti in base al quale è previsto lo scambio di investigatori esperti nella lotta alle organizzazioni mafiose. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati oltre otto chili di droga a New York e Reggio Calabria.

Italia = mafia! Anche Praga sfrutta lo stereotipo

al-capone-pizzeria-praga-tuttacronacaLa scorsa estate il deputato regionale del Pd Fabrizio Ferrandelli aveva scoperto, a Copenaghen, il ristorante Mama Rosa, dove abbinano la Sicilia con Cosa Nostra sfruttando i soliti stereotipi mafiosi. Prima ancora dilagava lo scandalo di Don Panino, ristorante viennese che utilizza i nomi dei boss di Cosa Nostra, ma soprattutto delle vittime della lotta alla mafia, per dare il nome ai suoi panini. In Italia continuiamo a lottare contro la mafia, omaggiamo e ricordiamo i nostri eroi, organizziamo anche feste in occasione di ricorrenze importanti come il 15° anniversario dell’arresto di Totò Riina. Perchè il Belpaese è anche molto altro. Perchè c’è chi crede e lotta per una Nazione migliore, in grado di risollevarsi, dove la legalità la faccia da padrone e ci siano prospettive per il futuro. Eppure anche le nostre eccellenze vengono ricollegate alle pagine più oscure, al lato nero. E la nostra cucina, giustamente famosa in tutto il mondo, diventa un modo facile per sfruttare un “marchio” diffamatorio e stereotipato. L’ennesimo esempio arriva da Praga. Qui non solo ci si può imbattere nel ristorante e music club La Mafia, c’è anche una pizzeria Al Capone. Dov’è possibile consumare un intero pasto che “omaggia” questa figura. Gnocchi, insalata e l’immancabile pizza. E non manca il dessert. Un altro Paese dell’Unione Europea che dimostra di non conoscere i “Paesi amici”. Un altro esempio di come il razzismo scorra sotterraneo e diventi un modo per farsi pubblicità. E che gioca facile. Quanti saranno i locali che, per promuovere la propria presunta italianità, oltre a Rialto, Vesuvio e BelPaese, utilizzano nomi come Mafia, Camorra o altri facili riferimenti? Quando, magari con un po’ di nostalgia di casa perchè apparteniamo al gruppo “cervelli in fuga”, potremo gustarci un piatto italiano in un locale con un nome che davvero ci ricordi l’orgoglio di appartenere a questa Nazione? Quando ci sentiremo a “casa” in Europa?

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Una poesia di Peppino Impastato usata in uno spot: la famiglia insorge

Peppino-Impastato-tuttacronacaLe parole di Peppino Impastato, militante antimafia assassinato da Cosa nostra il 9 maggio 1978, sono state utilizzate in uno spot della “Glassing” per pubblicizzare una nuova linea di occhiali. Giovanni, il fratello di Impastato, ha commentato: “Quel video è offensivo”. E ancora: “Peppino non può essere utilizzato per una pubblicità, come testimonial che invita ad acquistare qualcosa. Lui era contro il consumismo”. La famiglia Impastato ha già dato mandato all’avvocato Vincenzo Gervasi di chiedere il ritiro dello spot. Ma la pubblicità ha fatto insorgere anche il popolo della rete e nei social network si moltiplicano i messaggi in difesa della memoria di Impastato. Lo spot, tuttavia, continua a essere trasmesso sui principali network televisivi, con un attore che, in 31 secondi, recita: “Se si insegnasse la bellezza alla gente la si fornirebbe di un’arma contro la paura, l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi ci si abitua, ogni cosa pare che debba essere così da sempre e per sempre”. E ancora: “Insegnamo la bellezza alla gente. Così non avremo più abitudine, rassegnazione, ma curiosità, stupore”. Appare quindi la scritta “Da un’esortazione alla bellezza di Peppino Impastato” mentre una voce lancia lo slogan della “Glassing”: “Non è importante quello che vedi, ma come lo vedi”.

Maxiblitz antimafia: duro colpo ai Messina Denaro

dia-tuttacronacaImponente operazione congiunta di polizia di stato, carabinieri, guardia di finanza e della Dia nella provincia di Trapani, per l’esecuzione di una trentina di ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Palermo che riguardano esponenti di spicco del clan di Matteo Messina Denaro, considerato numero uno di Cosa nostra. Le manette sono scattate  per associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, intestazione fittizia di beni ed estorsione. In carcere, tra gli altri, sono finiti la sorella del boss, Patrizia, il cugino Francesco ‘Ciccio’ Guttadauro e il nipote Mario Matteo. Il provvedimento colpisce, in particolare, le famiglie mafiose di Castelvetrano e di Campobello di Mazara, che da anni esercitavano un controllo tipicamente mafioso sulle attività economiche ed imprenditoriali del trapanese, con ingenti interessi nel settore dell’edilizia. Erano in particolare Francesco Guttadauro, nipote del boss, e la sorella Anna Patrizia Messina Denaro, a controllare, precisa una nota diffusa, “un articolato circuito imprenditoriale, che assicurava di fatto il controllo quasi monopolistico nel settore dell’edilizia e relativo indotto”, oltre a un vasto giro di estorsioni, come ha precisato la polizia. Tra i familiari arrestati, anche i cugini del boss Giovanni Filardo, Cimarosa Lorenzo e Mario Messina Denaro. “Le indagini hanno confermato il ruolo dirigenziale tuttora rivestito dal latitante Matteo Messina Denaro all’interno del mandamento e nella provincia mafiosa, accertandone la funzione di direzione tra le varie articolazioni dell’organizzazione e di collegamento con le altre strutture provinciali di Cosa Nostra”. Gli affari, però, venivano gestiti in gran parte direttamente dai parenti e, in particolare, “con riferimento all’attività di sostegno economico al circuito familiare del latitante, sono emersi la contiguità e il ruolo di responsabilità decisionale raggiunto in seno al sodalizio mafioso da Patrizia Messina Denaro e da Francesco Guttadauro”. Ancora nella nota, si legge che gli affari dell’edilizia venivano gestiti “mediante la realizzazione di importanti commesse, tra cui opere di completamento di aree industriali, parchi eolici, strade pubbliche e ristoranti. L’organizzazione era, infatti, in grado di monitorare costantemente le opere di maggiore rilevanza del territorio, intervenendo nella loro esecuzione con una fitta rete di società controllate in modo diretto o indiretto da imprenditori mafiosi ed elementi di spicco del sodalizio”. A fianco di queste attività “è stata inoltre accertata la diffusa pressione estorsiva esercitata sul territorio anche ai danni di imprese concorrenti e perfino di privati cittadini che avevano ereditato una rilevante somma di denaro”. Tra le persone arrestate anche alcuni “insospettabili”, con due ingegneri del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria finiti in manette a Palermo. Uno di loro è figlio di un giudice. Secondo le indagini, avrebbero intascato mazzette per favorire una ditta legata alle cosche. Non solo, si è anche scoperto che, temendo di essere pedinato, un mafioso di Campobello di Mazara ogni tanto chiedeva aiuto ad una vigilessa di Paderno Dugnano, nel Milanese. L’agente della polizia locale controllava le targhe che le venivano segnalate come “sospette”. Nel quadro delle complessive attività, la Guardia di Finanza sta procedendo al sequestro preventivo di complessi aziendali riconducibili al latitante intestati a prestanome, costituiti da società operanti nel settore dell’edilizia, per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro.

Boss dato in pasto ai maiali, così uccide Cosa Nostra

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Si chiamava Francesco Raccosta ed era  il killer che aveva ammazzato il boss Domenico Bonarrigo  che insieme ai Mazzagatti e Polimeni, da anni sono in guerra con i Ferraro-Raccosta nella faida di Oppido Mamertina che ha origini nel 1950. per questo Simone Pepe, intercettato dai carabinieri, si vantava con un amico di aver dato in pasto ai maiali Raccosta dopo averlo massacrato a sprangate. Pepe raccontava “… E’ stata una soddisfazione sentirlo strillare… mamma mia come strillava, io non ho preso un cazzo … loro dicono che rimane qualche cosa… io alla fine non ho visto niente… per me non è rimasto niente.. Ho detto no, come mangia sto maiale!”

Blitz dei carabinieri e uno dei latitanti si suicida!

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Avevano scoperto, nelle campagne di Lentini, il covo dove Calogero Mignacca, 41 anni, e il fratello Vincenzino, 45 anni, si nascondevano e avevano progettato il blitz. I carabinieri del Gis questa mattina sono andati preparati, ma la sorpresa c’è stata quando il più anziano dei due latitanti si è suicidato davanti alle forze dell’ordine puntandosi la pistola alla tempia e facendo fuoco.  I due avevano sulle spalle sentenze definitive per omicidi, rapine ed estorsioni e dovevano scontare l’ergastolo.

Come in un film è arrivata anche la frase di Angelino Alfano, che si è complimentato con il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli, per l’intervento dei Gis che ha portato all’individuazione di due latitanti inseriti nell’elenco dei più “pericolosi”. “Si tratta di un altro grande successo della squadra Stato – ha affermato il ministro Alfano – che punta al controllo, in termini di sicurezza, del territorio, intensificando la lotta al crimine organizzato. Ma in questa occasione, se esprimo soddisfazione per l’arresto di uno dei due latitanti – ha concluso Alfano – provo profondo dispiacere per il gesto di disperazione compiuto dall’altro che si è tolto la vita”.

Bombe a Napoli contro i famigliari di un boss

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Avvertimenti, bombe per contro il palazzo dei famigliari del boss Pasquale Pesce in piena notte. Torna così la paura a Pianura, Napoli, dove i clan stanno alzando il tiro. Questa notte sono scoppiate infatti due ordigni rudimentali caricati con oggetti metallici i cui danni sono stati limitati ma che gli inquirenti non hanno dubbi a definire un segnale forte della guerra tra clan che torna. E così ieri sera, intorno alle 20.30, forse in risposta, in via Colantonio Di Fiore le pistole sono tornate a sparare e hanno mirato alle verande di un noto pregiudicato.

 

La nipote di Berlusconi, Alessia vittima dei Mangano?

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Sembra che nell’ordinanza che ha portato in carcere la figlia e il genero di Vittorio Mangano, compaia anche il nome della nipote di Berlusconi, Alessia.

Come spiega il settimanale l’Espresso:

Alessia Berlusconi è la primogenita di Paolo, l’editore del «Giornale», e nipote di Silvio, il leader di Forza Italia. La manager lombarda, che ha un ruolo di vertice nelle società del padre, non è indagata, anzi è collocata dalla polizia sul lato opposto della barricata giudiziaria: è citata nel documento come partner d’affari di un imprenditore che sarebbe stato ricattato e taglieggiato dai nuovi rappresentanti di Cosa Nostra a Milano, con pretese tanto pesanti da mandare in fallimento anche l’impresa editoriale che aveva gestito proprio insieme ad Alessia Berlusconi.

 I magistrati – spiega il settimanale – tra le estorsioni contestate alla gang che sarebbe stata creata da Guido Porto, Cinzia Mangano e suo cognato Enrico Di Grusa, elencano quella nei confronti del titolare del gruppo Sofimel, Mario Viale, che controllava una decina di società nel settore dell’editoria, marketing e gadget. Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 l’imprenditore si è trovato indebitato con le cooperative dei presunti mafiosi. E in pochi mesi è stato costretto, personalmente da Guido Porto, a svendere la sua casa, in via Turati 3 (nel palazzo dove ha sede anche il Milan), e poi liquidare tutte le sue aziende. Tra le società mandate in rovina da questa «mafia economica», secondo l’Espresso, la squadra mobile evidenzia anche la «International Media srl», che pubblicava riviste per ragazzi: Alessia Berlusconi è indicata tra i consiglieri d’amministrazione rimasti in carica, insieme a Viale, fino all’agosto 2008.

Pane e camorra, la denuncia dei verdi e di Unipan

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Denuncia inquietante da parte dei Verdi, con il coordinatore Francesco Emilio Borrelli, e del presidente Unipan, ovvero l’Unione panificatori Campani, Mimmo Filosa che hanno fatto emergere la difficile situazione dell’alimentare nel territorio napoletano:

“La camorra dall’inizio della crisi economica ha messo nuovamente e prepotentemente le mani sul mercato alimentare del napoletano e casertano. In particolare stanno proliferando forni abusivi di pane ovunque. Solo tra Napoli e provincia ce ne sono oramai oltre 1500 ed il numero è in crescita – continuano Borrelli e Filosa – Forni in condizioni igienico-sanitarie pericolosissime, che realizzano un prodotto anche tossico: usano gusci di nocciole trattati con agenti chimici e quindi nocivi, se non legni trattati con vernici e solventi tossici. Il problema più grave e che oltre alla filiera totalmente illegale che parte dal forno abusivo e arriva alla vendita illegale per strada spesso ancora nei cofani delle macchine o con bancarelle improvvisate il pane della camorra è arrivato nei supermercati e nei salumieri legali. D’altronde i clan hanno capito che in un momento economicamente drammatico come quello attuale i cittadini possono rinunciare a tutto ma non al cibo. Per questo invochiamo un intervento drastico da parte dello Stato con la istituzione di un tavolo permanente in Prefettura tra Asl, comuni e forze dell’ordine e l’ applicazione della legge regionale sulla tracciabilità del pane”.

Nei prossimi giorni sarà presentato un dossier sui nuovi forni abusivi curato da Verdi e Unipan per mostrare la grave situazione nel Napoletano.

“Cosa nostra” sui set cinematografici, registi in fuga dalla Sicilia

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Persone che non sono in grado di far nulla, che rallentano il lavoro dei professionisti e che fanno innalzare il costo delle produzioni, ma se qualcuno come quell'”attrezzista venuto da Roma” prova a dire che quei collaboratori non sono graditi sul set in quanto incapaci di svolgere il lavoro ecco che a Palermo il furgone degli attrezzi viene svaligiato. “Loro” sono quelli che decidono dove far mangiare la troupe, dove alloggiarla e che acqua si deve bere sul set. “Loro” decidono le comparse, “Loro” decidono dove affittare i mezzi, o si fa come vogliono “Loro” o si rischia!

Nonostante un anno fa abbia fatto scalpore la clamorosa estorsione alla casa cinematografica Magnolia, quarantuno esponenti del clan della Noce sono stati arrestati, la mafia non ha smesso di allungare la sua ombra sul mondo del cinema mentre il numero delle produzioni in Sicilia è in calo: se in Piemonte la Film commission ha finanziato 51 opere, l’Isola l’anno scorso si è fermata a 10.

“Le produzioni cinematografiche hanno ormai abbandonato la Sicilia a causa di attività illecite perpetrate da alcune famiglie mafiose”, denuncia in una lettera un direttore di produzione di Cinisi, Vincenzo Cusumano, che ha scritto al presidente della Regione Rosario Crocetta. La sua lettera è stata firmata da una decina di artisti, da Leo Gullotta a Tony Sperandeo, da Luigi Burruano a Ernesto Maria Ponte. “Chiunque arrivi in Sicilia deve scendere a compromessi  –  denuncia Cusumano che ha lavorato tra gli altri con registi come Marco Tullio Giordana, Ricky Tognazzi e Renato Di Maria  –  tutti lo sanno e nessuno ne parla, mentre la nostra regione rischia di uscire definitivamente dai circuiti cinematografici”.

Come riporta La Repubblica:

“Questo è un grido di dolore e di allarme”, dice Leo Gullotta. I dati non sono confortanti: se nel 2008 in 257 hanno presentato domanda di finanziamento alla Film commission siciliana, nel 2012 le istanze sono state 190. Colpa  –  dicono attori e produttori  –  sia della disorganizzazione che della malavita. “La mafia  –  racconta un addetto ai lavori  –  impone comparse e operai, ma anche le ditte dalla quali rifornirsi per acquistare i materiali che servono ad allestire i set. In cambio assicura il quieto vivere per tutta la durata delle riprese”. Uno scenario drammatico svelato dall’inchiesta che un anno fa ha portato all’arresto di 41 affiliati al clan della Noce che avevano imposto il pizzo anche ai produttori di Magnolia fiction, che nel 2010 stavano girando a Palermo la serie televisiva “Il segreto dell’acqua”, con Riccardo Scamarcio nelle vesti di un vicequestore. In manette sono finiti pure i figli di Enzo Castagna, Tommaso e Gaetano, da trent’anni procacciatore di comparse a Palermo. I due fratelli erano diventati “capogruppo di set”.

La Regione sa che il racket strozza le produzioni e ha varato un protocollo di legalità, intitolandolo a Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Chi riceve soldi dalla Film commission si impegna a rendere trasparente ogni subappalto  –  dice l’assessore al Turismo Michela Stancheris  –  pena la revoca del finanziamento”. Per Antonio Piazza, regista di “Salvo” applaudito a Cannes, bisogna scegliere con cura i collaboratori sul territorio: “Nel nostro caso  –  racconta dal Brasile dove sta per uscire il film  –  pur avendo girato in una borgata, l’Arenella, non abbiamo avuto alcuna difficoltà. Ma sono tante le produzioni che hanno paura di venire in Sicilia”. Il regista Giuseppe Tornatore al festival di Taormina aveva già lanciato l’allarme denunciando che la Regione ha perso il treno del cinema: “Le poche produzioni che arrivano nell’Isola stanno qui alcune settimane e vanno via. Perché spesso sono costrette a pagare il pizzo”.

La Film commission, che ha sei dipendenti, serve solo da salvadanaio e peraltro ormai è in grado di distribuire solo spiccioli: se nel 2008 per i finanziamenti c’erano 5 milioni, nel 2012 non sono arrivati a 2. “La Film commission è inutile se non concede servizi  –  denuncia Cusumano  –  le poche produzioni che arrivano in Sicilia non la contattano nemmeno e sono costrette ad affidarsi al territorio con il grosso rischio di illegalità che conosciamo”. Il presidente della Film commission, Pietro Di Miceli, promette il rilancio: “Rendiamola una struttura operativa”.

8 arresti collegati all’ex stalliere di Arcore…

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8 arresti eccellenti collegati all’ex stalliere di Arcore, Vittorio Mangano, già condannato per omicidio e considerato collegato alla mafia siciliana e deceduto nel 2000, sono stati eseguiti oggi a Milano. Tra questi anche il genero e la figlia di Mangano, Cinzia. Mangano fu l’uomo che Marcello Dell’Utri definì “un eroe” e che Borsellino pensava fosse una sorta di ‘chiave’ del riciclaggio di denaro sporco in Lombardia. Così la Direzione distrettuale antimafia di Milano ha colpito un’organizzazione criminale di stampo mafioso attiva in Lombardia.

L’indagine ha evidenziato un cospicuo flusso di denaro che serviva per mantenere latitanti ma che veniva anche investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente, quindi, l’economia lombarda. In tempo di crisi, la criminalità organizzata investe.

 

La condanna di Dell’Utri: arrivano le motivazioni della Corte di appello

marcello-dellutri-tuttacronacaI giudici della terza sezione penale della Corte di appello di Palermo hanno presentato le motivazioni della sentenza con cui l’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri è stato condannato, il 25 marzo scorso, a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici affermano che ci fu un patto tra la mafia e Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri ne è stato il “mediatore contrattuale”. E in tale contesto, tra il 1974 e il 1992, “non si è mai sottratto al ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti”, e “ha mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento”. La Corte ha collocato la stipula di tale partto tra il 16 e il 29 maggio del 1974 quando, si legge nelle 477 pagine della motivazione, “è stato acclarato definitivamente che Dell’Utri ha partecipato a un incontro organizzato da lui stesso e (dal mafioso palermitano Gaetano) Cinà a Milano, presso il suo ufficio. Tale incontro, al quale erano presenti Dell’Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e Silvio Berlusconi, aveva preceduto l’assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, così come riferito da Francesco Di Carlo e de relato da Antonino Galliano, e aveva siglato il patto di protezione con Berlusconi”. Secondo i magistrati palermitani, quella riunione “ha costituito la genesi del rapporto sinallagmatico che ha legato l’imprenditore Berluconi e Cosa nostra con la mediazione costante e attiva dell’imputato” Dell’Utri. Ancora si legge: “In virtù di tale patto i contraenti (Cosa nostra da una parte e Silvio Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Marcello Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di denaro che quest’ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Marcello Dell’Utri che, mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio mediante l’ingresso nelle proprie casse di ingenti somme di denaro”. Sempre secondo la Corte è l’incontro del 1974 che “segna l’inizio del patto che legherà Berlusconi, Dell’Utri e Cosa nostra fino al 1992. È da questo incontro che l’imprenditore milanese, abbandonando qualsia proposito (da cui non è parso, ivero, mai sfiorato) di farsi proteggere dai rimedi istituzionali, è rientrato sotto l’ombrello della protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi mai all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione”. Mangano divenne così lo stalliere di Arcore “non tanto per la nota passione per i cavalli” ma “per garantire un presidio mafioso nella villa dell’imprenditore milanese”. La Corte non ritiene inoltre credibile Dell’Ultri quando ammette di aver indicato Mangano a Berlusconi come persona da assumere sostenendo però di non essergli amico, anzi di averne paura. Nella motivazione si legge: “La continuità della frequentazione, l’avere pranzato in diverse occasioni con lui, sono circostanze che hanno consentito di escludere che i rapporti svoltisi in un arco temporale che ha coperto quasi un ventennio nel corso del quale il Mangano è stato arrestato e prosciolto e poi nuovamente arrestato e poi ancora prosciolto, possano essere stati determinati da paura”. La Corte ha ricostruito nelle motivazioni anche i pagamenti sollecitati dai mafiosi a Berlusconi “quale prezzo per la protezione”, e che secondo i giudici iniziarono subito dopo l’incontro del 1974, con la richiesta di 100 milioni di lire formulata da Cinà, ed esaudita.

Arrestato a Dubai, l’ex deputato condannato per mafia

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L’ex deputato Amedeo Matacena, difeso da Franco Coppi (difensore di Silvio Berlusconi per il processo Mediaset) e dall’ex Guardasigilli Alfredo Biondi era stato condannato in via definitiva a giugno scorso. La pena inflittagli era di  a 5 anni e 4 mesi, più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex deputato infatti, secondo quanto accertato dai giudici, favorì la cosca Rosmini. Subito dopo la sentenza si rese irreperibile. Non era rintracciabile né a Roma, né a Reggio Calabria e neppure a Montecarlo dove ha la residenza. Perché poi un politico italiano dovrebbe avere la residenza a Montecarlo? Sicuramente non è l’unico caso, ma almeno pretendere che chi sta al Parlamento o al Governo abbia la residenza in Italia, a meno che non si tratti di un deputato che sia eletto dagli italiani all’estero sembrerebbe il minimo da richiedere.

Dopo la grande fuga… ora è stato arrestato a Dubai!

Dirottato l’aereo del boss mafioso causa maltempo

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E’ stato dirottato, a causa del maltempo, su un’altra regione, anche il volo proveniente dalla Spagna, che sarebbe dovuto atterrare nella Capitale, con a bordo il boss Vincenzo Triassi, ritenuto legato al clan agrigentino dei Cuntrera-Caruana. Triassi, è stato estradato in relazione a un ordine di cattura del 26 luglio scorso nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sfociata in oltre 50 arresti per traffico di stupefacenti, usura ed estorsioni compiuti per diversi anni sul litorale romano con l’aggravante di tipo mafioso.

Le vacanze del boss: arrestato mentre era in ferie con la compagna

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Michele Di Nardo, 34 anni, ritenuto l’attuale capo del clan camorristico dei Mallardo, ricercato dal 2012 in tutta Europa, è stato catturato dai carabinieri, mentre era seduto in un bar a Palinuro, in provincia di Salerno.  Di Nardo, in vacanza con la sua compagna, era inserito nella lista dei latitanti pericolosi ed era ricercato dalle forze dell’ordine per due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse nell’aprile 2012 e nello scorso luglio per associazione di tipo mafioso ed estorsione.

Piatti alla mafia, lo scandalo ora è a Copenaghen! Altro fango sull’Italia?

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Altro fango sull’Italia e soprattutto sulla Sicilia? Il deputato regionale del Pd Fabrizio Ferrandelli ha scoperto a Copenaghen il ristorante Mama Rosa dove abbinano la Sicilia con Cosa Nostra sfruttando i soliti stereotipi mafiosi.

Da qualche giorno – spiega Ferrandelli – ero a Copenhagen con mia moglie e la piccola Bruna. Un po’ di relax con la mia famiglia, per poi tornare sabato a Palermo. Ieri sera un veloce boccone che però è andato di traverso. Sapete perché? Perché mentre anche in Danimarca arrivano gli echi di una sorta di gara, di sfida in salsa siciliana a chi è più antimafioso dell’altro, come se alla fine in palio ci fosse una medaglia, una patente, un documento valido per l’espatrio, in Europa la Sicilia è ancora stampata, immaginata, non nelle brochure turistiche ma nei menù di locali vergognosi che propongono ai turisti pizze mafiose. Insomma, da noi l’antimafia litiga e all’estero la Sicilia è sempre e solo mafia- Ieri sera io e mia moglie Claudia ci siamo trovati davanti all’ennesima vergogna: la ‘pizza mafioso’ di Copenhagen e tanto per rimanere in tema la ‘pizza Al Capone’. Specialità del ristorante Mama Rosa di Copenhagen.

Guardando sul sito del ristorante nel menù si trova infatti “pizza Al Capone”. Per trovare la “pizza mafioso” bisogna invece andare sulla sezione “Lunch Specials” sulla pagina Menu Main Courses.

Questa la foto del menu del ristorante che indica la “prelibatezza” fra le sue portate:

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Come riportato da BlogSicilia:

Risale a pochi mesi fa il caso del ristorante viennese Don Panino, che ironizzava sul proprio menu su vittime di mafia come il magistrato Giovanni Falcone e il giornalista Peppino Impastato.

“Per uno strano scherzo del destino, – continua Ferrandelli – avevo già preparato un dossier da presentare la prossima settimana in Commissione regionale Antimafia dove racconto con numeri e foto il modo distorto con il quale in tanti posti del mondo si rappresenta l’immagine della nostra Sicilia e del nostro Paese all’estero. Perché quello di Don Panino non è un caso isolato”.

Il dossier è stato predisposto dal deputato Pd grazie alle segnalazioni dell’associazione “MafiaContro” e del suo portavoce Renato Campisi che, all’iniziativa in ricordo dell’assassinio del giudice Costa, hanno consegnato a Ferrandelli una documentazione dettagliata e una lettera rivolta al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, nella quale si segnalano tanti ristoranti, e non solo all’estero, con insegne che inneggiano le gesta mafiose (Pizza Connection, Il Padrino, Don Vito Corleone, etc.).

“Ieri sera in Danimarca – ribadisce Ferrandelli – l’ennesima vergogna che allegherò al fascicolo. Sono veramente sdegnato e dobbiamo sdegnarci tutti per i tanti che hanno combattuto e combattono la mafia. Il rispetto della memoria di chi ha sacrificato la vita in nome della legalità e della libertà e il rispetto di chi, in silenzio, pratica quotidianamente la legalità e si batte contro ogni forma di criminalità devono prevalere sempre su dibattiti sterili e sulle contrapposizioni che servono solo a dividere un fronte che dovrebbe stare unito per il bene della Sicilia e dei siciliani”.

La mafia a tavola e cibo in mano ai clan, Legambiente lancia l’allarme.

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Il nostro cibo sta subendo un attacco? Legambiente lancia l’allarme in occasione di “festambiente”, a Rispescia, Grosseto. Sarebbero circa 11 i reati al giorno che si consumano e oltre 3.000 denunce o arresti. Basta vedere il valore dei beni sequestrati che supera i 672 milioni di euro  per un giro d’affari gestito da 27 clan criminali. A tavola, “è seduto il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, a Matteo Messina Denaro”. D’altra parte numerosi libri sono stati scritti sul fenomeno e molti articoli hanno da tempo riportato la notizia. Quello che spaventa è che il fenomeno non si argina, anno dopo anno arriva una nuova denuncia, ma il giro di affari continua.

Finita la latitanza del boss Rancadore… Chi era?

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Era nella black list, inserito nell’elenco dei latitanti pericolosi, Domenico Rancadore, detto “‘u profissuri”, dopo 19 anni di latitanza è stato catturato a Londra dove viveva con sua moglie di origine inglese, anche se di famiglia italiana: Annamaria Culcasi Macaluso, è figlia di un ex console italiano nella capitale inglese. La coppia ha avuto due figli, un maschio e una femmina, che oggi sono più che trentenni.

Il boss è un pluripregiudicato palermitano di 64 anni che deve scontare 7 anni di reclusione per i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione ed altri gravi delitti. Nella capitale inglese gestiva una agenzia di viaggi e conduceva una vita agiata. Rancadore ha tentato la fuga, ma è stato immediatamente fermato. Che si trovasse a Londra lo si sapeva già dal gennaio 2012 come racconta un articolo de La Repubblica a firma Salvo Palazzolo. La Procura di Palermo aveva chiesto quindi l’estradizione per il boss. La risposta è stata lapidaria: “Il reato di associazione mafiosa non è riconosciuto dall’ordinamento giuridico inglese, la richiesta di estradizione non è stata neanche presa in considerazione”. Intanto Rancadore sembra anche, sempre secondo l’articolo di Palazzolo, che percepisse regolarmente la pensione dell’Inpdap essendo stato insegnante di educazione fisica, una copertura studiata attentamente nel periodo in cui i suoi affari erano invece nell’ambito di Cosa Nostra.

Delitto Fragalà: scattate le manette per i presunti killer

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I carabinieri di Palermo hanno compiuto tre arresti: in manette sono finiti Francesco Arcuri e Salvatore Ingrassia, già detenuti per mafia ed estorsione e ritenuti affiliati a Cosa Nostra, al mandamento di Porta Nuova, e Antonino Siragusa. I tre sarebbero i presunti killerdell’avvocato Enzo Fragalà, aggredito il 23 febbraio del 2010 a colpi di bastone, a pochi metri dal suo studio e morto dopo tre giorni di coma. L’avvocato, uno dei più noti penalisti della città, era anche un ex parlamentare di An. Le piste seguite sono due: passionale e mafiosa. Stando alla collaboratrice di giustizia Monica Vitale, che aveva una relazione con un uomo d’onore, il penalista sarebbe stato ucciso perché aveva infastidito la moglie di un cliente. Ma gli investigatori non escludono, invece, che dietro al delitto ci siano scelte professionali del legale che abbiano dato fastidio a Cosa nostra.

Una focacceria contro la mafia che dilaga a Roma

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Ne parla il New York Times (forse argomento scomodo da trattare per i giornali italiani?) di uno dei simboli che ha Roma è nato per la lotta alla mafia e per arginare il “controllo” del territorio. , L’Antica Focacceria San Francesco, aperta nel 2012, rappresenta un simbolo contro il dilagare sempre più allarmante di Cosa Nostra nella capitale. Alcuni mesi fa era stato Giorgio Santacroce, presidente della Corte d’Appello romana, a denunciare come “le organizzazioni criminali mafiose avessero acquisito, anche a prezzi fuori mercato, immobili, società ed esercizi commerciali nei quali impiegano risorse economiche di provenienza delittuosa”.

L’ l’Antica Focacceria San Francesco, di proprietà dell’imprenditore Vincenzo Conticello, è nota proprio per il suo proprietario che nel 2006 divenne protagonista delle cronache locali e nazionali per essersi rifiutato di pagare il pizzo e denunciando i propri estorsori, affermando che a Palermo più del 75% dei negozi pagavano per non incorrere in ritorsioni. Conticello ora è costretto a vivere sotto scorta.  

Fu anche vittima di numerose intimidazioni: le macchine dei suoi clienti venivano danneggiate, la merce rubata, ma Conticello non si è arreso. Le sue continue segnalazioni alla polizia hanno dato avvio all’indagine che ha permesso, quattro mesi e mezzo più tardi, di arrestare il boss che gestiva le attività di estorsione a Palermo. Più tardi denunciò di aver subito richieste di pizzo anche a Roma.

Lui si rifiuta categoricamente di pagare le organizzazioni criminali e coraggiosamente acquista il caffè e i suoi prodotti soltanto da imprenditori antimafia, ovvero altri colleghi che si sono rifiutati di piegarsi alla mafia. “E’ possibile acquistare i prodotti di Libera Terra  – afferma – anche nel centro di Roma, alla ‘Bottega dei Sapori e dei Saperi della Legalità’, un negozio dedicato alla memoria di Pio La Torre, il parlamentare siciliano ucciso dalla mafia nel 1982″.

Pasta, marmellate, vino, olio: tutti i prodotti venduti sono stati coltivati ​​sui terreni confiscati alle mafie in tutta Italia, dalla Sicilia al Piemonte. ”So che molti preferiscono pagare il pizzo”, ha spiegato Conticello al Nyt, sottolineando come, accettando, si diventi “schiavi della criminalità”: “Rifiutarsi di pagare il pizzo dovrebbe essere un gesto normale”, incalza.

Speriamo che diventi davvero un esempio oltre che un simbolo per altri imprenditori che vogliano denunciare i propri estorsori, anche se, in un paese su cui giace l’ombra di probabile accordo Stato- mafia, e di un governo che non mette, in tempo di crisi, tra le sue priorità la lotta alle organizzazioni criminali, che potrebbero far recuperare risorse, sembra davvero utopico sperare in un ravvedimento, ma i miracoli possono sempre accadere! 

Grillo: scoppia il caso vacanze scontate o speculazione?

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Il Settimana Panorama che sarà in edicola da giovedì sembra che abbia ricostruito dettagliatamente quando e come il comico Beppe Grillo, abbia usufruito di vacanze a prezzi scontati dal tour operator Valtur. Dopo le accuse ad alcuni uomini politici, tra cui erano spiccati i nomi di Angelino Alfano e Renato Schifani, ora sembrerebbe che l’attacco sia rivolto anche  al Semplice Portavoce del M5S. In particolare sembrerebbe che a Grillo vengono contestati alcuni soggiorni nelle strutture Valtur di Baia di Conte in Sardegna e al Sestriere.

Secondo Panorama dal 2002 al 2007 Grillo, i suoi familiari e amici avrebbero usufruito delle strutture con sconti fino al 70%. Da alcuni documenti in possesso di Panorama sembrerebbe poi che  Grillo non avrebbe pagato i 12mila euro del conto per un “cambio merci”, probabilmente per uno spettacolo agli ospiti del villaggio. Dove è dunque lo sconto? Il lavoro di un comico non deve essere retribuito? Le strutture non effettuano prezzi diversi per il proprio staff o mentre sono in tourneé i lavoratori dello spettacolo non hanno diritto a vitto e alloggio? Speriamo che nell’articolo si possa evincere davvero qualcosa di diverso rispetto alle anticipazioni che sembrano al momento prive di ogni fondamento?

Il caso Don Panino non si ferma più!

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Ormai il caso di Don Panino è diventato internazionale. Anche se il locale di Vienna, ora è chiuso, il sito è stato messo offline dopo le polemiche, il tam tam invece continua e  grazie all’intervento di Sonia Alfano, ora è  sotto la lente del Parlamento europeo. ” Nessuno può fare affari offendendo le vittime della mafia. Ho ricevuto tantissime comunicazione di indignazione contro il locale di Vienna. E’ un’iniziativa scandalosa, che io ripugno” così ha argomentato l’Alfano, figlia di una vittima di mafia. Anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando si è mobilitato, così come la sorella di Giovanni Falcone e il fratello di Peppino Impastato, che ha minacciato una querela da 1 milione di euro.

 L’esperto di marketing, di origini italiane ma olandese di nazionalità, ora vivrebbe in Puglia, e ha preferito non rivelare il suo vero nome. “Non volevo offendere nessuno. Un cliente mi ha chiesto di lanciare un prodotto attrattivo, ed ho ideato la campagna di Don Panino seguendo questa indicazione. Non è colpa mia se all’estero si associa all’Italia solo la mafia, la pasta, la pizza e Berlusconi. A Vienna c’è una catena di parrucchieri che si chiama capelli mafia”. L’uomo ha poi contattato i proprietari del negozio di Don Panino, chiedendogli di rimuovere i nomi degli eroi dell’antimafia, Giovanni Falcone e Peppino Impastato, dalla lista del menu. “Non volevamo offendere nessuna di queste personalità, in alcun modo”.

Bisogna ricominciare forse a insegnare il senso civico sin dalle scuole elementari se non si trova offensivo usare il nome di Giovanni Falcone per un panino che sarà: “grigliato come un wurst” o Impastato definito “Siciliano dalla bocca larga fu cotto in una bomba come un pollo nel barbecue”.

I media pugliesi indicano infatti come probabili proprietari di Don Panino Julia e Marco Marchetta, due fratelli  tornati a vivere in Italia dopo essere nati in Austria,  che ora hanno deciso di vivere nella cittadina di San Donaci. I due smentiscono di essere i proprietari, ma la società è registrata proprio nel piccolo comune salentino. Il negozio Don Panino è stato chiuso, e mentre fino alla fine di settimana scorsa era possibile ordinare i panini dello scandalo via internet, ora invece anche il sito è finito offline. Resta aperta solo una pagina Facebook, più che altro per l’indignazione di chi vuole commentare una tale vicenda.

Alcuni italiani si devono sempre far riconoscere per la mancanza di stile in giro per il mondo? Così permetteremo sempre di farci irridere all’estero come popolo, perché siamo noi i primi a “mancare di rispetto” verso gli eroi del nostro paese e a rinnegare le nostre origini irridendole. Che vergogna!

Un altro locale nel mondo che celebra la malavita: Arte de Mafia

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Non bastavano le polemiche sul locale viennese “Don Panino”, dove il menu prevede piatti come Don Falcone e Don Peppino, oltre a una varietà di ricette ispirate ai boss mafiosi, in Argentina, a Palermo, c’è un locale dov’è possibile assaggiare “gli squisiti sapori della mafia”. Il posto è “Arte de Mafia”, ristorante italiano a Buenos Aires.

Il brand mafioso serve quindi per attirare clienti, celebrando i peggiori boss della storia, con piatti dedicati ai capi di Cosa Nostra (Provenzano, tra gli altri), ‘Ndrangheta e Camorra. Diversamente da “Don Panino”, qui i simboli dell’antimafia non vengono accomunati, nel menu, ai boss della malvita, ma è identica la spettacolarizzazione del fascino criminale. Un lettore de LiveSicilia pone al riguardo un interessante interrogativo: “Siamo certi che l’Argentina non protesterebbe con l’Italia se da noi un locale celebrasse, per dire, il dittatore Videla?”.

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Quello schifo di panino viennese fatto sulle vittime della mafia

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Si chiama “Don Panino” ed è un pub di Vienna che utilizza i nomi dei boss di Cosa Nostra, ma soprattutto delle vittime della lotta alla mafia per dare il nome ai suoi panini. Alcuni parlano di “cattivo gusto”, ma il fenomeno è molto più grave. Accanto al Don Corleone troviamo anche Don Falcone e Don Peppino (Impastato). Naturalmente il piatto che spopola poi è “pasta mafia”, ancora una volta per denigrare una delle grandi eccellenze alimentari italiane in ambito internazionale? Avvicinando la parola mafia alla pasta, gli austriaci hanno calpestato i grandi imprenditori italiani, coloro che grazie alla qualità dei nostri grani e all’esperienza di una tradizione alle spalle portano questo prodotto in tutto il mondo.

Ma il razzismo e l’offesa dei viennesi contro chi ha dato la vita per la lotta alla mafia non si ferma al nome, ma continua nella descrizione di ogni Panino. Così Don Peppino pesto, olive e pollo da 4 euro e 50 è descritto come  “Siciliano dalla bocca larga fu cotto in una bomba come un pollo nel barbecue”. La descrizione più agghiacciante è quella che descrive Don Falcone “Si è guadagnato il titolo di più grande rivale della mafia di Palermo, ma purtroppo sarà grigliato come un wurst”.

Molti cittadini italiani a Vienna hanno chiesto all’ambasciata di intervenire e stanno raccogliendo firme sulla piattaforma Causes per boicottare il pub, ma per il momento il “menù dell’orrore” è ancora disponibile presso il locale.

Qualcosa di agghiacciante su cui l’Europa dovrebbe intervenire immediatamente. E’ inconcepibile che si possa tollerare un affronto del genere agli uomini che hanno dato la vita per lottare contro la mafia e ora si ritrovano in un menù tra boss mafiosi e descrizioni oscene. E in attesa dell’Europa che cosa fa il nostro ministro degli esteri di fronte a un fatto di tale gravità e di così tanta volgarità? E il nostro presidente del Consiglio? Si dovrà muovere il Presidente Napolitano, presidente del Consiglio Superiore della Magistratura per togliere questo affronto a Falcone e Impastato? Come si permette l’ignoranza dei trogloditi a infangare gli italiani senza che alcuna voce si sia ancora mossa?

Lo chiede anche Michele Anzaldi del Pd “Chiedo al ministro degli Esteri Emma Bonino, di convocare al più presto l’ambasciatore austriaco affinché dia chiarimenti sulla vicenda del pub di Vienna pubblicata oggi su alcuni organi di stampa, che dileggia e offende oltre ogni limite la memoria delle vittime della mafia.  Nella lista figurano addirittura personalità della statura di Giovanni Falcone e storie di gioventù spezzata come quella di Peppino Impastato, commemorato proprio pochi giorni fa nell’aula di Montecitorio, in occasione dell’anniversario della sua barbara uccisione. Scherzare e offendere per fini commerciali la memoria di pagine drammatiche del nostro Paese, tuttora purtroppo ancora vive, non è cosa che ci si sarebbe aspettati da un paese civile come l’Austria. Si tratta di un grave incidente e  l’Italia deve pretendere scuse ufficiali e il ritiro immediato di qualunque scritta che possa offendere L’Italia e i familiari delle vittime”.

Nel menù compaiono anche:

Don Costello: il possente Calabrese amava ai suoi tempi gustose specialità come la porchetta

Don Greco: nato a Roma dopo la sua aderenza al Cosa nostra, sviluppò una predilezione per le melanzane grigliate (in realtà Michele Greco nacque  Croceverde-Giardina una frazione di Palermo, morì poi a Roma. Non sanno neppure mettere il luogo di data esatto?)

Don Buscetta: l’uomo che diede una gloria ambigua a Palermo, aveva una predilezione per le verdure grigliate vegetariane, ma fatte ad arte secondo lo stile siciliano.

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Valtur regalava vacanze ai politici?

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Valtur, il noto tour operator italiano, aveva già i suoi problemi essendo finito sotto inchiesta l’ex patron dell’azienda leader del settore vacanze specializzata in villaggi turistici per famiglie. Carmelo Patti, all’epoca dei fatti, proprietario di Valtur e secondo l’inchiesta in corso prestanome di Matteo Messina Denaro, il superlatitante di Cosa Nostra, avrebbe applicato sconti esorbitanti per mete esotiche e spiagge da sogno a un esercito di parlamentari per circa 10 anni.

C’è chi suda un anno per potersi concedere con la famiglia una settimana e chi può avere una vacanza quasi gratuita in uno dei tanti paradisi terrestri? Sembra che della “generosità” di Patti abbiano, anche se tutto è da verificare, usufruito Renato Schifani, Osvaldo Napoli, Salvatore Cuffaro, Angelino Alfano, Simona Vicari e Ignazio Abrignani. Gli inquirenti stanno cercando di ricostruire le relazioni che potrebbero aver portato Valtur a essere un leader del settore proprio grazie a queste presenze influenti che potevano usufruire di vacanze da sogno a prezzi stracciati.

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A viaggiare con tariffe agevolate ci sarebbe stato anche l’attuale vicepremier e ministro dell’Interno Angelino Alfano secondo quanto riportato da L’Espresso. A nome di Alfano ci sarebbero tre fatture per resort da sogno:

La prima è relativa a Capodanno 2009 sull’isola di Mauritius: al villaggio Valtur Le Flamboyant arriva con aereo in business class e soggiorna una settimana con moglie e figli in una suite vista oceano. Paga 18.748 euro usufruendo di uno sconto di 3.600 euro. L’anno successivo festeggia il primo di gennaio alle Maldive, nel Valtur Gioia Resort di Kihaad, dove resta una settimana con famiglia in una matrimoniale Deluxe fronte mare. Il tutto per 12mila euro, pagati, con uno sconto di circa 4.800 euro. L’ultimo soggiorno, stando ai documenti esaminati da “l’Espresso”, è nell’agosto 2011, pochi giorni prima del commissariamento di Valtur. Alfano si concede una settimana in Grecia con moglie e figli, la famiglia di Fabio Bartolomeo, direttore generale di statistica del Ministero della Giustizia, e altri amici. La fattura, di 13.122 euro, risulta scontata di quasi 3.500 euro: per Alfano e per Bartolomeo è segnato uno sconto del trenta per cento.

Ma se Alfano ha pagato seppur scontati i suoi viaggi c’è invece chi viaggia gratis come Salvatore (Totò) Cuffaro. Sempre secondo il settimanale:

Cuffaro sembra essere un vero habituè della Valtur: ha viaggiato gratis per 50 giorni in località che vanno dalla Sicilia alla Sardegna, dall’Egitto alle Maldive. Una passione che comincia nel 2001, quando viene eletto al vertice della Regione Sicilia. Ad agosto, un mese dopo la vittoria elettorale, trascorre due settimane nel villaggio Baia di Conte ad Alghero con moglie e figlie. Costo: zero. In occasione della Pasqua di due anni dopo, sempre con la famiglia passa un’altra settimana a Sharm el Sheikh, in suite. E per il Capodanno 2007, senza toccare il portafoglio, si riposa alle Maldive in una villa “over water”, sospesa sul mare. Il totale elencato nelle fatture sarebbe stato di 15.388 euro, azzerato dalla generosità del patron di Valtur.

Ma ci sarebbe anche Renato Schifani con signora che hanno salutato l’arrivo del 2008 sul bianco arenile delle Maldive: per il soggiorno nel villaggio di Kihaad hanno avuto uno sconto di 6.074 euro. Per una settimana di soggiorno in villaggio con camera matrimoniale comfort vista mare, aerei, idrovolante in altissima stagione Schifani ha saldato un conto finale di 3434 euro.

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Più movimentata la comitiva che si riunisce negli ultimi giorni di agosto 2009 a Favignana. Carmelo Patti ospita una compagnia di 24 persone. L’imprenditore è con moglie, figlia e nipote. Il presidente del Senato Schifani è insieme a consorte, figlio e fidanzata. Con loro il senatore Udc Salvatore Cuffaro e la senatrice Pdl Simona Vicari, attuale sottosegretario allo Sviluppo Economico, insieme ai coniugi. Completano la squadra, fra gli altri, Basilio Germanà, ex parlamentare di Forza Italia per quattro legislature e Concetta Spataro, allora assessore Pdl al Turismo del Comune di Trapani. Tutti elencati in un’unica fattura che sfiora i 20mila euro, ma che viene azzerata da uno sconto dello stesso importo. Invece per la pasqua 2009 al Sinai Grand Village Resort di Sharm el Sheik si ritrovano ancora Patti, il presidente Schifani, i senatori Vicari e Cuffaro. Tutti in compagnia dei coniugi e sempre a costo zero, grazie a un gentile pensiero offerto dall’ex proprietà di Valtur: un buono del valore di 1.120 euro a coppia.

Sconti eccessivi, vacanze gratuite che rientrano in quel quadro dei privilegi di casta? O semplici prezzi di favore ad amici?

Ora Valtur è commissionata… le vacanze non saranno più gratis?

Associazione a delinquere ed evasione fiscale: arrestato Ciancimino

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Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito, è stato arrestato su ordine del gip di Bologna con l’accusa di associazione a delinquere ed evasione fiscale e portato al carcere Pagliarelli del capoluogo siciliano. All’uomo viene anche contestata, dai pm, l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra. E’ stata la GdF di Ferrara a svolgere le indagini che hanno portato all’emissione di 13 ordinanze di custodia cautelare, di cui nove in carcere e quattro ai domiciliari nei confronti dei componenti di un sodalizio criminoso accusato di frode fiscale nel settore della commercializzazione di metalli ferrosi. A Ciancimino sono contestati reati fiscali riferiti al periodo in cui viveva in Emilia-Romagna, con un’evasione calcolata in circa 30 milioni di euro.

Ciancimino è tra i testimoni chiave del processo sulla trattativa Stato-mafia, nel quale è anche imputato di concorso in associazione mafiosa e calunnia all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Oltre a questo, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo è anche indagato per detenzione di esplosivo. L’aggravante che gli è stata inizialmente contestata dai pm nell’inchiesta sulla maxi-evasione ipotizza suoi rapporti con la mafia calabrese e in particolare con la cosca Piromalli della Piana di Gioia Tauro.

Senza la verità, Aldo Moro continua a morire!

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35 anni fa moriva Aldo Moro. Il Capo dello Stato si è soffermato qualche minuto in raccoglimento in via Caetani, nel luogo dove  fu rinvenuto il corpo dello statista Dc e poi, forse ispirato da quei palazzi così vicini, che, una volta, erano il simbolo della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista, ha accomunato insieme tutti i Palazzi delle Istituzioni e ha affermato”Basta chiamare questi palazzi i palazzi del Potere.  Sono invece i «Palazzi della sovranità popolare… A partire da quest’anno  ho voluto che la cerimonia si dislocasse anche in altri luoghi istituzionali come il Senato e vorrei che la si smettesse di identificarli come i “Palazzi oscuri del potere”. Se il Quirinale è stato definito dal mio augusto predecessore ‘la casa degli italiani’ vorrei che questi palazzi venissero considerati i luoghi della sovranità popolare, i palazzi della democrazia»

E un po’ difficile Sig Presidente… Se infatti gli Italiani possono ancora identificarsi con il Quirinale  è impossibile, invece,   trovare traccia di qualunque sovranità popolare in quei luoghi perennemente occupati da chi lo ha fatto per inconfessabili e molto poco sconfessati motivi personali.

E a testimonianza del  sospetto “che tutto cambia  per  non  cambiare nulla” sono giunte le parole del Presidente del Senato che, nel suo intervento, dopo aver giustamente sottolineato l’impegno dello Stato a contrastare ogni forma di eventuale terrorismo, ha aggiunto “Moro divenne la vittima simbolo di un sistema, fu la tragedia non solo della perdita di un alto rappresentante delle Istituzioni ma di tutto il Paese” e poi “Io, quale rappresentante delle istituzioni, mi sento oggi responsabile di un sistema giudiziario che non seppe trovare in tempo quelle verità che avrebbero reso giustizia. La verità oggi è nota e gli assassini sono rei confessi. Mai più succeda che la giustizia sia negata»

Ma come fa l’ex Magistrato, oggi 2° carica dello Stato a non esprimere neanche una parola di chiara condanna a quel “sistema”  aggrovigliato e complesso che fu il responsabile, nel suo lungo  sonno della ragione  della creazione dei mostri  e poi tranquillamente  affermare “La verità oggi è nota e gli assassini sono rei confessi?” In questo stile omissivo e di silenzio nei confronti della verità non si può ricompattare l’Italia… Come si fa ad  dire che  giustizia è stata fatta?  Davvero ci si vuole ancora far credere che i colpevoli siano stati soltanto quel gruppo di  dubbi ideologi, forse manovrati o  forse solo isterici aspiranti  a un  analogo contropotere,  visto che da quello ufficiale ne erano esclusi.?

Molto si è parlato  di Moro come del più autorevole esponente politico  che stava lavorando a un governo di “solidarietà nazionale”  con il  PCI,  a cui si dava accesso   nella maggioranza…   Non abbastanza, invece, sono state sottolineate, o forse strada facendo ce le siamo dimenticate, le resistenze, quelle si piene di terrore,  delle componenti internazionali… L’Unione Sovietica aveva seri motivi di preoccupazione perché rischiava, nel coinvolgimento del P.C. al governo, di perdere  l’opposizione all’America da parte del più forte Partito Comunista dell’Occidente… L’America, dal canto suo, guardava con all’allarme l’ingresso nell’ufficialità di personaggi legati a filo doppio al Partito Comunista Sovietico che, da quel momento avrebbero avuto accesso alle più segrete strategie della NATO contro il blocco Orientale…

Molti forse hanno pensato che togliere Moro di torno, avrebbe significato anche allontanare lo spettro dei Comunisti, una volta così lontani e ora così vicini… Avevano provato a estromettere Moro con l’infamia, la più classica delle modalità democristiane e lo avevano accusato di essere lui il destinatario delle tangenti dell’Affare Lockheed, per l’acquisto degli aerei militari F 130… E’ lui, dicevano gli untori, Antilope Cobbler, il nome in codice dell’alto personaggio corrotto… Non è forse lecito il sospetto,da parte dell'”ignorante”uomo della strada che, il tiro contro Moro, si sia alzato dopo che erano falliti i tentativi “con le buone maniere”?

E, a proposito di dettagli su quello spaventoso sequestro, di chi era la voce tedesca di qualcuno che stava in mezzo ai rapitori? Davvero presidente Grasso i colpevoli  sono tutti rei confessi e soprattutto completamente ritrovati? O forse qualcuno è andato perduto?

Della trattativa per liberare Moro si fa persino fatica a parlarne… Come mai uno Stato che ha trattato con quelli di Cosa Nostra – e su questo ci sono pochi dubbi in proposito –  ha opposto una chiusura totale al sia pur esile tentativo di aprire una trattativa?

Signor Presidente della Repubblica, indubbiamente Lei fa quello che può e noi tutti la ringraziamo  per le corone e i ricordi di  Aldo Moro, ma la  vera commemorazione  per lo statista è solo la verità  e poichè questo non sarà possibile, quelli che lei ha citato, per gli italiani sono destinati a rimanere solo “Gli oscuri palazzi del Potere.”

La Louis Vuitton Cup nel mirino della mafia.

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I lavori del porto di Trapani se li sono assicurate le aziende di Cosa Nostra, attraverso il gruppo imprenditoriale Morici, legato al boss mafioso Francesco Pace. Nel giro d’affari c’era anche il senatore D’Alì e imprese partecipanti, che dovevano favorire il gruppo Morici nell’aggiudicazione della gara e nell’utilizzazione di materiali non conformi.
Secondo gli inquirenti “il potere di infiltrazione dei Morici, nella gestione delle opere pubbliche, emerge anche dalle acquisizioni investigative relative alla frode nelle pubbliche forniture per l’appalto di riqualificazione della litoranea Nord di Trapani”. Tramite registrazioni video, la polizia ha accertato la violazione del capitolato d’appalto nell’esecuzione di lavori. Infatti i Morici, per risparmiare denaro, non hanno attuato le procedure tecniche indicate, tanto che, a causa di infiltrazioni di acqua, recentemente la litoranea ha ceduto e sulla strada si è perta una voragine.

Il re del vento… la più grande confisca di beni mafiosi 1mld e 300mln!

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Un miliardo e trecento milioni di beni confiscati – e che quindi diventano proprietà dello Stato – all’imprenditore considerato il “re dell’eolico”. Vito Nicastri, 57 anni, di Alcamo (Trapani) sarebbe un uomo vicino alla primula rossa dei latitanti: Matteo Messina Denaro. E per questo che la Direzione investigativa antimafia sta mettendo i sigilli alle sue proprietà. L’operazione, la più cospicua mai effettuata in Italia, “colpisce al cuore l’aria grigia di Cosa Nostra”. Gli investigatori sono entrati in azione questa mattina all’alba in Sicilia, Lombardia, Lazio e la Calabria. Nicastri, leader nel settore della produzione di energia fotovoltaica ed eolica,  si sarebbe “relazionato costantemente con esponenti di Cosa nostra”.

Le indagini economico-finanziarie avrebbero permesso, secondo l’accusa, di stabilire che la posizione di vertice nel settore dell’energia alternativa da parte dell’imprenditore sia stata acquisita grazie alla “contiguità consapevole e costante agli interessi della criminalità organizzata”. Nicastri secondo la Direzione investigativa antimafia “attraverso una tumultuosa dinamica degli affari ha intrattenuto rapporti anche con società lussemburghesi, danesi e spagnole”. Per gli inquirenti “tale vicinanza ai più noti esponenti mafiosi, ha favorito la sua trasformazione da elettricista a imprenditore specializzato nello sviluppo di impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili, facendogli assumere una posizione di rilievo nelle regioni del Meridione”. Nicastri è proprietaro di 43 società. Secondo le indagini condotte dalla Dia di Palermo l’imprenditore sarebbe stato vicino  non solo a Messina Denaro nel trapanese, ma anche a Salvatore e Sandro Lo Piccolo, entrambi in carcere, nel palermitano.

Il provvedimento di confisca contiene anche l’applicazione della misura di prevenzione personale nei confronti di Nicastri la sorveglianza speciale con obbligo di dimora nel comune di residenza (Alcamo), per la durata di tre anni, sostenuta anche dalla Procura della Repubblica di Trapani e dalla Dda di Palermo. Il Tribunale di Trapani ha disposto la confisca della totalità delle quote sociali e dei beni aziendali delle società, nonché dei beni mobili, immobili e delle disponibilità bancarie riconducibili a Nicastri ed al suo nucleo familiare: 43 tra società e partecipazioni societarie; 98 beni immobili (palazzine, ville, magazzini e terreni); 7 beni mobili registrati (autovetture, motocicli ed imbarcazioni); 66 disponibilità finanziarie (rapporti di conto corrente, polizze ramo vita, depositi titoli, carte di credito, carte prepagate e fondi di investimento).

Ritirato il “palazzo di Jabba” di Star Wars

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La Lego, storica azienda danese di giocattoli, ha deciso di ritirare dalla produzione il “Palazzo di Jabba”, dopo le proteste sollevate dalla comunità islamica austriaca che riteneva offensivo il prodotto. La polemica era nata a gennaio, dopo che un padre austriaco di fede islamica aveva scoperto come sua sorella avesse regalato il prodotto al figlio. Il gioco, rivolto a bambini di età compresa tra i 9 e i 14 anni, era stato così accusato di essere anti-islamico. Il personaggio protagonita del giocattolo, “Jabba the Hutt” viveva nella sua tana intergalattica, una cupola orientale dotata di razzi e mitragliatrici molto simile a una moschea. E si mostrava anche la Principessa Leia in catene, come sua schiava personale.

La Lego non aveva acconsentito al ritiro del gioco perché riteneva di aver immesso sul mercato solo la riproduzione del palazzo del film, quindi nessuna allusione all’Islam.

Poi, la società costruttrice del gioco ha cambiato idea: a partire dal 2014, il prodotto verrà ritirato. La decisione è arrivata dopo un incontro a Monaco di Baviera tra i leader della comunità turca e alcuni dirigenti della Lego.

Conte apre le porte all’Inter?

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Alla vigilia della partita con l’Inter, Antonio Conte non si preclude alcun futuro e lascia aperte le strade anche per altre squadre italiane.

«Sono l’allenatore della Juve e il suo primo tifoso – ha detto il tecnico bianconero nella conferenza stampa di stamane a Vinovo – ma sono soprattutto un professionista, ma il giorno in cui dovessi lavorare per l’Inter, come per il Milan o la Roma o la Lazio ne diventerei allo stesso modo il primo tifoso e farei di tutto per vincere. Forse qualcuno questo non l’ha capito, oppure fa gioco insistere sul mio tifo per la Juve per rendermi ancora più odioso agli altri. Ma deve essere chiaro che io sono un professionista»

Anche Ingroia esulta per la condanna di Dell’Utri!

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Sul sito di rivoluzione civile si legge: “Condanna Dell’Utri conferma fondatezza accuse, ventennio berlusconiano è vulnus democrazia”

“La condanna di Marcello Dell’Utri a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa conferma la fondatezza delle accuse nei confronti del suo ruolo di mediatore tra la mafia e Silvio Berlusconi. Il ventennio berlusconiano rappresenta un vulnus della democrazia che è necessario superare riaffermando i principi costituzionali, a partire dal più importante: tutti i cittadini devono essere uguali di fronte alla legge. Giustizia è stata fatta, è tempo di dire basta alle impunità”.

Catene che si spezzano a favore della legalità e catene che si stringono intorno ai polsi di Dell’Utri. Sembra proprio che si sia iniziato a rompere un legame tra politica, corruzione, associazione mafiosa e impunità. Un vincolo al quale scappa e continua a scappare uno dei maggiori imputati del nostro paese, con trucchi e tranelli procedurali che ormai sono diventati così palesi da minare la sua immagine pubblica. Qualche generazione vedrà il protagonista crollare sotto la sentenza di un qualche giudizio? Solo il tempo ce lo potrà dire… noi continuiamo a sperare!

Condannato dell’Utri! 7 anni in appello.

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La Corte d’appello di Palermo ha condannato l’ex senatore Pdl Marcello Dell’Utri imputato di concorso esterno in associazione mafiosa confermando la pena di 7 anni.

Secondo l’accusa, per oltre 30 anni l’ex manager di Publitalia avrebbe avuto rapporti con personaggi di spicco di Cosa nostra facendo anche da “mediatore” di una sorta di accordo protettivo stretto tra Silvio Berlusconi e le cosche. Un patto costato fiumi di denaro all’ex premier che, pagando, avrebbe tenuto al sicuro sé e i suoi familiari dalle minacce mafiose.

La bibita killer!

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Le bibite  zuccherate a base di soda, le bevande sportive o energy drink e i succhi di frutta dolci sono responsabili ogni anno nel mondo della morte di 180.000 persone, 500 al giorno. A stimarlo è una ricerca presenta dall’Harvard School of Public Health di Boston alla conferenza annuale dell’American Heart Association dedicata alla nutrizione e alle malattie metaboliche. “Questa tipologia di prodotti consumati in tutto il mondo contribuiscono all’eccesso di peso, una delle cause dell’aumento del rischio di sviluppare patologie croniche come il diabete, le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro”, spiegano i ricercatori della Harvard School of Public Health di Boston.

Lo studio, esaminando precedenti ricerche, ha collegato l’assunzione di bevande zuccherate a 133.000 decessi per diabete, 44.000 per malattie cardiovascolari e 6.000 per le neoplasie. Il 78% di queste morti sono avvenute in Paesi dove la popolazione ha redditi medio-bassi, piuttosto che in quelli più ricchi. “La nostra ricerca – avvertono gli scienziati – mostra che negli Stati Uniti, circa 25.000 decessi nel 2010 sono collegati a questo tipo di bevande zuccherate”. L’American Heart Association raccomanda di consumare non più di 450 calorie a settimana provenienti dalle bevande zuccherate, sulla base però di una dieta di 2.000 calorie.

I ricercatori hanno calcolato i quantitativi di zucchero e dolcificanti assunti dalla popolazione mondiale grazie alle bibite. Raggruppando i risultati per età e sesso, ma anche effetti sull’obesità e il diabete, e decessi correlati. Ebbene su nove regioni del pianeta nel 2010 la zona America Latina-Caraibi ha registrato il maggior numero di morti per diabete (38.000) legato proprio al consumo di bevande zuccherate. Mentre l’Asia ha il maggior numero di decessi per patologie cardiovascolari (11.000). Tra i 15 Paesi più popolosi del mondo, il Messico ha il più alto consumo pro-capite di bevande zuccherate e il tasso più alto di decessi: 318 morti per milione di adulti legate all’assunzione di bevande dolci. Mentre il Giappone, uno dei Paesi con il più basso consumo pro-capite di bevande zuccherate del mondo, ha anche fatto registrare il più basso tasso di mortalità associato con il consumo di queste bibite: circa 10 decessi per milione di adulti.

Un problema quello delle bevande zuccherate che risulta dannoso soprattutto per i bambini. Fra i ragazzini che le consumano, le bibite di questo tipo sono la prima causa di un apporto calorico troppo alto. A dirlo uno studio della University of North Carolina di Chapel Hill pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine. Inoltre, il consumo di bibite come la soda dolcificata, i drink alla frutta e gli energy drink, e’ associato anche con un piu’ alto consumo di cibi poco sani. Gli scienziati hanno esaminato i dati provenienti dal 2003-2010 What We Eat in America e daiNational Health and Nutrition Examination Surveys: i ricercatori hanno esaminato campioni provenienti da 10.955 bambini fra i 2 e gli 8 anni. Le bibite zuccherate sono le principali cause del maggior apporto calorico fra i bambini di 1-5 anni e quelli fra 6 e 11 anni.
Negli Stati Uniti il consumo di bevande zuccherate è molto diffusa. E’ recente l’ultima notizia nel braccio di ferro fra autorità e produttori sul consumo di questi prodotti. Pochi giorni fa è stato infatti bloccato a poche ore dalla sua entrata in vigore, lo stop alla vendita di bibite ad alto contenuto zuccherino in contenitori più grandi di 16 once (poco meno di mezzo litro) nella città di New York. A deciderlo è stato il giudice della corte suprema a Manhattan Milton Tingling  Junior, che ha revocato il divieto voluto dal sindaco della città Michael Bloomberg. Il primo cittadino ha annunciato che presenterà ricorso.

Crisi per Cosa nostra… arriva la speding review mafiosa!

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Aria di crisi anche per Cosa nostra. I primi tagli sono scattati sugli stipendi mensili corrisposti ai familiari dei mafiosi detenuti. Ed è subito scoppiata la protesta: sono le donne a chiedere conto dell’ultima spending review del crimine, che non colpisce gli stipendi dei capimafia, ma quelli dei picciotti, ovvero i soldati delle cosche. Ecco l’ultimo racconto che emerge dal ventre di Cosa nostra palermitana: a raccoglierlo sono state le microspie della sezione criminalità organizzata della squadra mobile, che con la Procura antimafia ha condotto un’indagine sul clan della Noce, uno dei quartieri del centro città. Questa mattina, sei persone sono finite in manette: fra loro c’è l’ultimo capomafia nominato sul campo, è Renzo Lo Nigro, 41 anni. Era entrato in carica a ottobre, all’indomani di un altro blitz della polizia, che aveva decapitato il clan della Noce, con 41 arresti. Ma Cosa nostra è come un’azienda, ha una fortissima capacità di ricambio del management. Così, Lo Nigro non aveva perso tempo, prendendo subito la gestione del racket fra i negozi del centro città. Per fortuna, il blitz di ottobre non è stato vano. Le indagini coordinate dai sostituti procuratori Francesco Del Bene, Lia Sava e Gianluca De Leo hanno davvero messo in ginocchio l’azienda Cosa nostra, ridando soprattutto fiducia ai commercianti palermitani. Qualcuno si è anche opposto alle nuove richieste di pizzo. Ecco perché poi Lo Nigro si è trovato a dover fare tagli sulla gestione dei fondi in cassa. Ed è scoppiata la protesta di alcune donne di mafia.
“Deve campare a me, deve campare a mio marito  –  diceva la moglie di un boss arrestato nell’ultimo blitz a un’amica, anche lei nelle stesse condizioni  –  deve campare i miei figli. Novembre, dicembre, gennaio, e poi non si è visto più nessuno. Non è giusto che abbandoni mio marito”. Non era solo un sfogo questo. La donna contava di fare arrivare le lamentele al nuovo vertice mafioso rappresentato da Renzo Lo Nigro.
Con Lo Nigro sono stati arrestati due suoi stretti collaboratori, Girolamo Albanese e Mario Di Cristina. Altri tre sono accusati di un traffico di droga: Vincenzo Cosenza, Alessandro Longo, Giorgio Stassi. Un quarto è ricercato. Cosa nostra ha ormai deciso di gestire direttamente il traffico di droga, non più delegando ai trafficanti di professione. Il nuovo business è la cocaina, che non è più la droga dei ricchi, ma ha un mercato di spaccio vario. I boss della Noce la vendevano a 55-60 euro a grammo.

Arresti criminalità organizzata: 20 a Caserta e 4 a Lamezia Terme

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“Cosa nostra ha perso peso”, lo dice Pisanu

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