Polemica su “Lady Mafia” è un inno alla criminalità o il nuovo Diabolik?

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E’ scoppiata la polemica su “Lady Mafia”, il primo fumetto, uscito in edicolom con protagonista una donna killer che uccide senza pietà per arrivare a scalare la gerarchia criminale e diventare la boss più temuta sul territorio. Si chiama Veronica De Donato, è una ragazza del sud cresciuta al nord a cui i clan hanno sterminato la famiglia e il suo unico obiettivo è quello di tornare a Foggia e vendicarsi. E’ uscito ieri in edicola e già la critica lo ha accolto a suoni di fanfara definendolo “il Diabolik in gonnella”, ma le associazioni che da sempre lottano contro la criminalità organizzata come l’associazione Libera per il  coordinamento per la cultura della legalità, ha trovato scandalosa l’uscita di un fumetto che inneggi alla mafia, con una protagonista che mira solo a diventare la più potente e rispettata boss della Puglia in uan regione appunto in cui il problema della criminalità è da sempre una piaga sociale contro la quale lottare ogni giorno. Il fumetto è stato boccaito anche dalla Commissione parlamentare antimafia. “Si sfrutta il “fascino” della mafia per un’attività commerciale che di educativo non ha nulla” attacca Libera. “Invitiamo la casa editrice a sospendere la pubblicazione: nel paese di Lea Garofalo e di tante donne che hanno scelto, a prezzo della vita, il coraggio della denuncia, Lady Mafia rappresenta un insulto alle vittime”. “È offensiva verso tutti coloro che non hanno cercato vendetta ma giustizia attraverso lo Stato” insiste Davide Mattiello della Commissione antimafia. “Un giudizio dato senza aver letto il fumetto, in base al titolo” si difende il creatore Pietro Favorito, proprietario della casa editrice Cuore Noir che pubblica la serie. “Ho riflettuto prima di sceglierlo, ma rappresenta una dichiarazione d’intenti: Lady Mafia incarna il male, e dà ribrezzo a chi si avvicina perché fa vedere a quale degenerazione si può arrivare quando la legge non garantisce la giustizia. Anche Diabolik, quando uscì, fu molto contrastato. Ma io nella storia denuncio brutalità come lo stalking, la violenza sulle donne, l’omofobia “

Voi che ne pensate?

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Blitz dei carabinieri e uno dei latitanti si suicida!

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Avevano scoperto, nelle campagne di Lentini, il covo dove Calogero Mignacca, 41 anni, e il fratello Vincenzino, 45 anni, si nascondevano e avevano progettato il blitz. I carabinieri del Gis questa mattina sono andati preparati, ma la sorpresa c’è stata quando il più anziano dei due latitanti si è suicidato davanti alle forze dell’ordine puntandosi la pistola alla tempia e facendo fuoco.  I due avevano sulle spalle sentenze definitive per omicidi, rapine ed estorsioni e dovevano scontare l’ergastolo.

Come in un film è arrivata anche la frase di Angelino Alfano, che si è complimentato con il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli, per l’intervento dei Gis che ha portato all’individuazione di due latitanti inseriti nell’elenco dei più “pericolosi”. “Si tratta di un altro grande successo della squadra Stato – ha affermato il ministro Alfano – che punta al controllo, in termini di sicurezza, del territorio, intensificando la lotta al crimine organizzato. Ma in questa occasione, se esprimo soddisfazione per l’arresto di uno dei due latitanti – ha concluso Alfano – provo profondo dispiacere per il gesto di disperazione compiuto dall’altro che si è tolto la vita”.

Bombe a Napoli contro i famigliari di un boss

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Avvertimenti, bombe per contro il palazzo dei famigliari del boss Pasquale Pesce in piena notte. Torna così la paura a Pianura, Napoli, dove i clan stanno alzando il tiro. Questa notte sono scoppiate infatti due ordigni rudimentali caricati con oggetti metallici i cui danni sono stati limitati ma che gli inquirenti non hanno dubbi a definire un segnale forte della guerra tra clan che torna. E così ieri sera, intorno alle 20.30, forse in risposta, in via Colantonio Di Fiore le pistole sono tornate a sparare e hanno mirato alle verande di un noto pregiudicato.

 

Pane e camorra, la denuncia dei verdi e di Unipan

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Denuncia inquietante da parte dei Verdi, con il coordinatore Francesco Emilio Borrelli, e del presidente Unipan, ovvero l’Unione panificatori Campani, Mimmo Filosa che hanno fatto emergere la difficile situazione dell’alimentare nel territorio napoletano:

“La camorra dall’inizio della crisi economica ha messo nuovamente e prepotentemente le mani sul mercato alimentare del napoletano e casertano. In particolare stanno proliferando forni abusivi di pane ovunque. Solo tra Napoli e provincia ce ne sono oramai oltre 1500 ed il numero è in crescita – continuano Borrelli e Filosa – Forni in condizioni igienico-sanitarie pericolosissime, che realizzano un prodotto anche tossico: usano gusci di nocciole trattati con agenti chimici e quindi nocivi, se non legni trattati con vernici e solventi tossici. Il problema più grave e che oltre alla filiera totalmente illegale che parte dal forno abusivo e arriva alla vendita illegale per strada spesso ancora nei cofani delle macchine o con bancarelle improvvisate il pane della camorra è arrivato nei supermercati e nei salumieri legali. D’altronde i clan hanno capito che in un momento economicamente drammatico come quello attuale i cittadini possono rinunciare a tutto ma non al cibo. Per questo invochiamo un intervento drastico da parte dello Stato con la istituzione di un tavolo permanente in Prefettura tra Asl, comuni e forze dell’ordine e l’ applicazione della legge regionale sulla tracciabilità del pane”.

Nei prossimi giorni sarà presentato un dossier sui nuovi forni abusivi curato da Verdi e Unipan per mostrare la grave situazione nel Napoletano.

“Cosa nostra” sui set cinematografici, registi in fuga dalla Sicilia

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Persone che non sono in grado di far nulla, che rallentano il lavoro dei professionisti e che fanno innalzare il costo delle produzioni, ma se qualcuno come quell'”attrezzista venuto da Roma” prova a dire che quei collaboratori non sono graditi sul set in quanto incapaci di svolgere il lavoro ecco che a Palermo il furgone degli attrezzi viene svaligiato. “Loro” sono quelli che decidono dove far mangiare la troupe, dove alloggiarla e che acqua si deve bere sul set. “Loro” decidono le comparse, “Loro” decidono dove affittare i mezzi, o si fa come vogliono “Loro” o si rischia!

Nonostante un anno fa abbia fatto scalpore la clamorosa estorsione alla casa cinematografica Magnolia, quarantuno esponenti del clan della Noce sono stati arrestati, la mafia non ha smesso di allungare la sua ombra sul mondo del cinema mentre il numero delle produzioni in Sicilia è in calo: se in Piemonte la Film commission ha finanziato 51 opere, l’Isola l’anno scorso si è fermata a 10.

“Le produzioni cinematografiche hanno ormai abbandonato la Sicilia a causa di attività illecite perpetrate da alcune famiglie mafiose”, denuncia in una lettera un direttore di produzione di Cinisi, Vincenzo Cusumano, che ha scritto al presidente della Regione Rosario Crocetta. La sua lettera è stata firmata da una decina di artisti, da Leo Gullotta a Tony Sperandeo, da Luigi Burruano a Ernesto Maria Ponte. “Chiunque arrivi in Sicilia deve scendere a compromessi  –  denuncia Cusumano che ha lavorato tra gli altri con registi come Marco Tullio Giordana, Ricky Tognazzi e Renato Di Maria  –  tutti lo sanno e nessuno ne parla, mentre la nostra regione rischia di uscire definitivamente dai circuiti cinematografici”.

Come riporta La Repubblica:

“Questo è un grido di dolore e di allarme”, dice Leo Gullotta. I dati non sono confortanti: se nel 2008 in 257 hanno presentato domanda di finanziamento alla Film commission siciliana, nel 2012 le istanze sono state 190. Colpa  –  dicono attori e produttori  –  sia della disorganizzazione che della malavita. “La mafia  –  racconta un addetto ai lavori  –  impone comparse e operai, ma anche le ditte dalla quali rifornirsi per acquistare i materiali che servono ad allestire i set. In cambio assicura il quieto vivere per tutta la durata delle riprese”. Uno scenario drammatico svelato dall’inchiesta che un anno fa ha portato all’arresto di 41 affiliati al clan della Noce che avevano imposto il pizzo anche ai produttori di Magnolia fiction, che nel 2010 stavano girando a Palermo la serie televisiva “Il segreto dell’acqua”, con Riccardo Scamarcio nelle vesti di un vicequestore. In manette sono finiti pure i figli di Enzo Castagna, Tommaso e Gaetano, da trent’anni procacciatore di comparse a Palermo. I due fratelli erano diventati “capogruppo di set”.

La Regione sa che il racket strozza le produzioni e ha varato un protocollo di legalità, intitolandolo a Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Chi riceve soldi dalla Film commission si impegna a rendere trasparente ogni subappalto  –  dice l’assessore al Turismo Michela Stancheris  –  pena la revoca del finanziamento”. Per Antonio Piazza, regista di “Salvo” applaudito a Cannes, bisogna scegliere con cura i collaboratori sul territorio: “Nel nostro caso  –  racconta dal Brasile dove sta per uscire il film  –  pur avendo girato in una borgata, l’Arenella, non abbiamo avuto alcuna difficoltà. Ma sono tante le produzioni che hanno paura di venire in Sicilia”. Il regista Giuseppe Tornatore al festival di Taormina aveva già lanciato l’allarme denunciando che la Regione ha perso il treno del cinema: “Le poche produzioni che arrivano nell’Isola stanno qui alcune settimane e vanno via. Perché spesso sono costrette a pagare il pizzo”.

La Film commission, che ha sei dipendenti, serve solo da salvadanaio e peraltro ormai è in grado di distribuire solo spiccioli: se nel 2008 per i finanziamenti c’erano 5 milioni, nel 2012 non sono arrivati a 2. “La Film commission è inutile se non concede servizi  –  denuncia Cusumano  –  le poche produzioni che arrivano in Sicilia non la contattano nemmeno e sono costrette ad affidarsi al territorio con il grosso rischio di illegalità che conosciamo”. Il presidente della Film commission, Pietro Di Miceli, promette il rilancio: “Rendiamola una struttura operativa”.

Arrestato a Dubai, l’ex deputato condannato per mafia

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L’ex deputato Amedeo Matacena, difeso da Franco Coppi (difensore di Silvio Berlusconi per il processo Mediaset) e dall’ex Guardasigilli Alfredo Biondi era stato condannato in via definitiva a giugno scorso. La pena inflittagli era di  a 5 anni e 4 mesi, più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex deputato infatti, secondo quanto accertato dai giudici, favorì la cosca Rosmini. Subito dopo la sentenza si rese irreperibile. Non era rintracciabile né a Roma, né a Reggio Calabria e neppure a Montecarlo dove ha la residenza. Perché poi un politico italiano dovrebbe avere la residenza a Montecarlo? Sicuramente non è l’unico caso, ma almeno pretendere che chi sta al Parlamento o al Governo abbia la residenza in Italia, a meno che non si tratti di un deputato che sia eletto dagli italiani all’estero sembrerebbe il minimo da richiedere.

Dopo la grande fuga… ora è stato arrestato a Dubai!

Dirottato l’aereo del boss mafioso causa maltempo

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E’ stato dirottato, a causa del maltempo, su un’altra regione, anche il volo proveniente dalla Spagna, che sarebbe dovuto atterrare nella Capitale, con a bordo il boss Vincenzo Triassi, ritenuto legato al clan agrigentino dei Cuntrera-Caruana. Triassi, è stato estradato in relazione a un ordine di cattura del 26 luglio scorso nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sfociata in oltre 50 arresti per traffico di stupefacenti, usura ed estorsioni compiuti per diversi anni sul litorale romano con l’aggravante di tipo mafioso.

Le vacanze del boss: arrestato mentre era in ferie con la compagna

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Michele Di Nardo, 34 anni, ritenuto l’attuale capo del clan camorristico dei Mallardo, ricercato dal 2012 in tutta Europa, è stato catturato dai carabinieri, mentre era seduto in un bar a Palinuro, in provincia di Salerno.  Di Nardo, in vacanza con la sua compagna, era inserito nella lista dei latitanti pericolosi ed era ricercato dalle forze dell’ordine per due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse nell’aprile 2012 e nello scorso luglio per associazione di tipo mafioso ed estorsione.

La mafia a tavola e cibo in mano ai clan, Legambiente lancia l’allarme.

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Il nostro cibo sta subendo un attacco? Legambiente lancia l’allarme in occasione di “festambiente”, a Rispescia, Grosseto. Sarebbero circa 11 i reati al giorno che si consumano e oltre 3.000 denunce o arresti. Basta vedere il valore dei beni sequestrati che supera i 672 milioni di euro  per un giro d’affari gestito da 27 clan criminali. A tavola, “è seduto il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, a Matteo Messina Denaro”. D’altra parte numerosi libri sono stati scritti sul fenomeno e molti articoli hanno da tempo riportato la notizia. Quello che spaventa è che il fenomeno non si argina, anno dopo anno arriva una nuova denuncia, ma il giro di affari continua.

Una focacceria contro la mafia che dilaga a Roma

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Ne parla il New York Times (forse argomento scomodo da trattare per i giornali italiani?) di uno dei simboli che ha Roma è nato per la lotta alla mafia e per arginare il “controllo” del territorio. , L’Antica Focacceria San Francesco, aperta nel 2012, rappresenta un simbolo contro il dilagare sempre più allarmante di Cosa Nostra nella capitale. Alcuni mesi fa era stato Giorgio Santacroce, presidente della Corte d’Appello romana, a denunciare come “le organizzazioni criminali mafiose avessero acquisito, anche a prezzi fuori mercato, immobili, società ed esercizi commerciali nei quali impiegano risorse economiche di provenienza delittuosa”.

L’ l’Antica Focacceria San Francesco, di proprietà dell’imprenditore Vincenzo Conticello, è nota proprio per il suo proprietario che nel 2006 divenne protagonista delle cronache locali e nazionali per essersi rifiutato di pagare il pizzo e denunciando i propri estorsori, affermando che a Palermo più del 75% dei negozi pagavano per non incorrere in ritorsioni. Conticello ora è costretto a vivere sotto scorta.  

Fu anche vittima di numerose intimidazioni: le macchine dei suoi clienti venivano danneggiate, la merce rubata, ma Conticello non si è arreso. Le sue continue segnalazioni alla polizia hanno dato avvio all’indagine che ha permesso, quattro mesi e mezzo più tardi, di arrestare il boss che gestiva le attività di estorsione a Palermo. Più tardi denunciò di aver subito richieste di pizzo anche a Roma.

Lui si rifiuta categoricamente di pagare le organizzazioni criminali e coraggiosamente acquista il caffè e i suoi prodotti soltanto da imprenditori antimafia, ovvero altri colleghi che si sono rifiutati di piegarsi alla mafia. “E’ possibile acquistare i prodotti di Libera Terra  – afferma – anche nel centro di Roma, alla ‘Bottega dei Sapori e dei Saperi della Legalità’, un negozio dedicato alla memoria di Pio La Torre, il parlamentare siciliano ucciso dalla mafia nel 1982″.

Pasta, marmellate, vino, olio: tutti i prodotti venduti sono stati coltivati ​​sui terreni confiscati alle mafie in tutta Italia, dalla Sicilia al Piemonte. ”So che molti preferiscono pagare il pizzo”, ha spiegato Conticello al Nyt, sottolineando come, accettando, si diventi “schiavi della criminalità”: “Rifiutarsi di pagare il pizzo dovrebbe essere un gesto normale”, incalza.

Speriamo che diventi davvero un esempio oltre che un simbolo per altri imprenditori che vogliano denunciare i propri estorsori, anche se, in un paese su cui giace l’ombra di probabile accordo Stato- mafia, e di un governo che non mette, in tempo di crisi, tra le sue priorità la lotta alle organizzazioni criminali, che potrebbero far recuperare risorse, sembra davvero utopico sperare in un ravvedimento, ma i miracoli possono sempre accadere! 

Crisi per Cosa nostra… arriva la speding review mafiosa!

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Aria di crisi anche per Cosa nostra. I primi tagli sono scattati sugli stipendi mensili corrisposti ai familiari dei mafiosi detenuti. Ed è subito scoppiata la protesta: sono le donne a chiedere conto dell’ultima spending review del crimine, che non colpisce gli stipendi dei capimafia, ma quelli dei picciotti, ovvero i soldati delle cosche. Ecco l’ultimo racconto che emerge dal ventre di Cosa nostra palermitana: a raccoglierlo sono state le microspie della sezione criminalità organizzata della squadra mobile, che con la Procura antimafia ha condotto un’indagine sul clan della Noce, uno dei quartieri del centro città. Questa mattina, sei persone sono finite in manette: fra loro c’è l’ultimo capomafia nominato sul campo, è Renzo Lo Nigro, 41 anni. Era entrato in carica a ottobre, all’indomani di un altro blitz della polizia, che aveva decapitato il clan della Noce, con 41 arresti. Ma Cosa nostra è come un’azienda, ha una fortissima capacità di ricambio del management. Così, Lo Nigro non aveva perso tempo, prendendo subito la gestione del racket fra i negozi del centro città. Per fortuna, il blitz di ottobre non è stato vano. Le indagini coordinate dai sostituti procuratori Francesco Del Bene, Lia Sava e Gianluca De Leo hanno davvero messo in ginocchio l’azienda Cosa nostra, ridando soprattutto fiducia ai commercianti palermitani. Qualcuno si è anche opposto alle nuove richieste di pizzo. Ecco perché poi Lo Nigro si è trovato a dover fare tagli sulla gestione dei fondi in cassa. Ed è scoppiata la protesta di alcune donne di mafia.
“Deve campare a me, deve campare a mio marito  –  diceva la moglie di un boss arrestato nell’ultimo blitz a un’amica, anche lei nelle stesse condizioni  –  deve campare i miei figli. Novembre, dicembre, gennaio, e poi non si è visto più nessuno. Non è giusto che abbandoni mio marito”. Non era solo un sfogo questo. La donna contava di fare arrivare le lamentele al nuovo vertice mafioso rappresentato da Renzo Lo Nigro.
Con Lo Nigro sono stati arrestati due suoi stretti collaboratori, Girolamo Albanese e Mario Di Cristina. Altri tre sono accusati di un traffico di droga: Vincenzo Cosenza, Alessandro Longo, Giorgio Stassi. Un quarto è ricercato. Cosa nostra ha ormai deciso di gestire direttamente il traffico di droga, non più delegando ai trafficanti di professione. Il nuovo business è la cocaina, che non è più la droga dei ricchi, ma ha un mercato di spaccio vario. I boss della Noce la vendevano a 55-60 euro a grammo.

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