Anche nel mondo del calcio Italia=mafia? La contestazione a Cellino

tifosi-leeds-tuttacronacaIl club inglese del Leeds United sta per passare definitivamente nelle mani del presidente del Cagliari Massimo Cellino e che i tifosi non fossero entusiasti era chiaro. Ma sabato pomeriggio hanno lanciato un messaggio particolarmente forte: a Londra, in occasione della partita contro il Queens Park Rangers, si sono infatti presentati vestiti da mafiosi. Spiega Il Fatto Quotidiano:

Camicia e borsalino neri, cravatta bianca, pantaloni e giacca gialla è l’insolito modo con il quale hanno sfilato per le vie di Londra verso le tribune del Loftus Road, lo stadio del QPR. Una rappresentazione stereotipata del boss italiano messa in scena per protestare contro l’acquisto del 75 per cento delle quote del club da parte di Cellino, condannato nel 2001 per falso in bilancio a 1 anno e 3 mesi (sospesi con la condizionale).

Tale pena, tuttavia, non rappresenta per la Football League un ostacolo per l’imprenditore sardo: può comunque acquistare il club, visto che risale a oltre dieci anni fa. Lo fu tuttavia in passato, visto che lo stesso Cellino non potè sedersi sulla poltrona del Wes Ham.

Ma se per le regole della seconda lega inglese, dieci anni senza “peccati” bastano, non la pensano allo stesso modo i tifosi del Leeds, uno dei club più gloriosi del calcio inglese, che proprio non ci stanno ad avere come presidente chi in passato ha avuto problemi con la giustizia. E così ora, quando salvo colpi di scena l’ok definitivo della Fl dovrebbe essere questione di due settimane al massimo, hanno messo in piazza uno dei grandi classici della peggior italianità vista dall’estero. Si tratta solo dell’ultima protesta contro l’arrivo dell’imprenditore sardo alla guida del Leeds. Nell’ultimo giorno di calciomercato, quando Cellino decise l’esonero dell’allenatore Brian McDermott, i tifosi tentarono di bloccarlo all’interno dello stadio Ellan Road per evitare il completamento della trattativa.

Ostruzionismo duro e puro con il via libera definitivo della lega inglese ormai alle porte. Alcuni giorni fa un portavoce della Football League ha dichiarato che ormai una notevole quantità d’informazioni richieste sono state fornite dalla GFH, la banca del Bahrein proprietaria del Leeds, e dalla Eleonora Sport, la società attraverso cui Cellino controllerà il club. Ma ci sono ancora delle questioni aperte che richiedono maggiori approfondimenti e “c’è anche la prospettiva realistica che non ci saranno ulteriori domande derivanti da queste osservazioni a cui saranno tenuti a rispondere”. Il prossimo incontro sull’affare Leeds-Cellino è previsto per il 13 marzo “a meno che tutte le questioni rimanenti possano essere risolte in modo soddisfacente prima di questa data”, ha concluso il portavoce. Il lasciapassare per la tribuna d’onore di Ellan Road è ormai prossimo, quindi. Per il benestare dei tifosi, Cellino pare invece che debba attendere ancora molto.

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Polemica su “Lady Mafia” è un inno alla criminalità o il nuovo Diabolik?

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E’ scoppiata la polemica su “Lady Mafia”, il primo fumetto, uscito in edicolom con protagonista una donna killer che uccide senza pietà per arrivare a scalare la gerarchia criminale e diventare la boss più temuta sul territorio. Si chiama Veronica De Donato, è una ragazza del sud cresciuta al nord a cui i clan hanno sterminato la famiglia e il suo unico obiettivo è quello di tornare a Foggia e vendicarsi. E’ uscito ieri in edicola e già la critica lo ha accolto a suoni di fanfara definendolo “il Diabolik in gonnella”, ma le associazioni che da sempre lottano contro la criminalità organizzata come l’associazione Libera per il  coordinamento per la cultura della legalità, ha trovato scandalosa l’uscita di un fumetto che inneggi alla mafia, con una protagonista che mira solo a diventare la più potente e rispettata boss della Puglia in uan regione appunto in cui il problema della criminalità è da sempre una piaga sociale contro la quale lottare ogni giorno. Il fumetto è stato boccaito anche dalla Commissione parlamentare antimafia. “Si sfrutta il “fascino” della mafia per un’attività commerciale che di educativo non ha nulla” attacca Libera. “Invitiamo la casa editrice a sospendere la pubblicazione: nel paese di Lea Garofalo e di tante donne che hanno scelto, a prezzo della vita, il coraggio della denuncia, Lady Mafia rappresenta un insulto alle vittime”. “È offensiva verso tutti coloro che non hanno cercato vendetta ma giustizia attraverso lo Stato” insiste Davide Mattiello della Commissione antimafia. “Un giudizio dato senza aver letto il fumetto, in base al titolo” si difende il creatore Pietro Favorito, proprietario della casa editrice Cuore Noir che pubblica la serie. “Ho riflettuto prima di sceglierlo, ma rappresenta una dichiarazione d’intenti: Lady Mafia incarna il male, e dà ribrezzo a chi si avvicina perché fa vedere a quale degenerazione si può arrivare quando la legge non garantisce la giustizia. Anche Diabolik, quando uscì, fu molto contrastato. Ma io nella storia denuncio brutalità come lo stalking, la violenza sulle donne, l’omofobia “

Voi che ne pensate?

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Il libro “Yara, orrori e depistaggi” in libreria, ma non a Bergamo

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E’ uscito i primi di febbraio il libro “Yara, orrori e depistaggi” di Salvo Bella, giornalista siciliano da sempre impegnato sul fronte della mafia, ed edito da Edicom. Nella città di Bergamo fra l’altro il libro era proposto con condizioni di favore, tuttavia nessun rivenditore ha accettato di esporre sui propri scaffali questo libro a eccezione de Il Libraccio di Curno, all’interno del  Centro commerciale Le Vele. Come mai nessuno lo ha voluto? L’autore ha rilasciato un’intervista al Giornale di Bergamo in cui spiega, secondo la sua opinione, quali sono stati i motivi :

“Proprio a Caltanissetta, con l’allora capo della mobile La Barbera, l’ex questore di Bergamo è coinvolto nel processo sui depistaggi per il delitto del giudice Borsellino – dice Bella, riferendosi alle false confessioni di un pentito che si era auto-accusato – depistaggi che per vent’anni nascosero la verità, che accollarono un omicidio a chi non l’aveva commesso  e che sollevano ora squarci inquietanti sui rapporti tra Stato e mafia. Non appena Yara sparì e per i tre mesi successivi – continua Bella – il questore continuò ad affermare in tv e sui giornali che avrebbe riportato a casa la ragazzina, viva, però sappiamo che invece era morta da tempo, probabilmente dalle ore immediatamente successive al rapimento. E’ innegabile che le indagini siano state indirizzate su una falsa pista, cercando una persona vivente, non un cadavere. Questo è solo un esempio e nel libro raccontiamo questi dati di fatto, con nomi e cognomi di uomini delle forze dell’ordine”. Circa l’atteggiamento delle librerie bergamasche, Salvo Bella racconta un aneddoto: “Quando negli anni Novanta pubblicai il libro “Il Padrono” su Michele Greco detto O’ Papa, non lo volle nessuna libreria di Palermo. Altri due libri in preparazione sul giallo di Yara Gambirasio che stavano vedendo la luce nel 2011 non furono in passato pubblicati. La parrocchia di Brembate di Sopra stava preparando un volume con l’aiuto del parroco don Corinno Scotti, che rinunciò all’iniziativa su espressa richiesta della famiglia. Nello stesso anno l’infermiere Alessandro Castellani di Castiglion Fiorentino in provincia di Arezzo non diede alle stampe un suo libro perché subito dopo l’annuncio fu addirittura sospettato, perché conosceva alcuni particolari non noti della vita di Yara”.

Il libro di Salvo Bella è l’unico uscito finora sull’uccisione di Yara. La notizia  del suo “blocco” è apparsa sul sito http://www.intopic.it, nel quale si legge che “la famiglia Gambirasio ha costretto la casa editrice a ritirarlo dal mercato”, ma la notizia è smentita dalla casa editrice Gruppo Edicom, che oggi ha diffuso una nota: “Il giornalista Salvo Bella ha compiuto un’analisi approfondita sul fallimento delle indagini e chiama in causa personaggi di apparati dello Stato che avrebbero commesso dei depistaggi. La particolarità del contenuto ha diffuso atteggiamenti reverenziali e posizioni di autocensura per non dispiacere dei potenti tirati in ballo con nomi e cognomi, cercando in tal modo di mettere tutto a tacere. Nella Bergamasca molte librerie hanno rifiutato il libro, ma la famiglia Gambirasio non c’entra e semmai avrebbe potuto adoperarsi per diffonderlo anziché per bloccarlo: né noi né l’autore del libro abbiamo avuto con loro, direttamente o indirettamente, alcun contatto”.

Sgarbi ha ascoltato le telefonate Napolitano – Mancino!

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Vittorio Sgarbi afferma di aver ascoltato le telefonate tra Napolitano e Mancino, anche se non parla direttamente della presunta trattativa Stato- mafia, fa invece riferimento agli insulti che, secondo il critico d’arte, sarebbero piovuti addosso ad Antonio Ingroia. Sgarbi ha rilasciato un’intervista a Radio 24 nella trasmissione “La Zanzara” in cui ha affermato:

“Sono uno dei pochi che ha potuto ascoltare le telefonate tra Napolitano e Mancino. Mancino dice a Napolitano: ‘sai, vorrei che fosse Grasso ad occuparsi di me e non Ingroia’. A quel punto il Capo dello Stato risponde: ‘caro Nicola, Ingroia è una testa di ca**o, uno str***o’. Per questo non ha voluto che fossero rese note. Non c’entra niente con la trattativa”.

Come e quando le avrebbe sentite Sgarbi non lo dice. Sta di fatto che subito dopo aver spiattellato in radio il presunto contenuto il critico fa una mezza retromarcia:

“Il presidente della Repubblica  non può permettersi di essere come me, quelle telefonate non nascondono nulla ma non sono potabili dal punto di vista del galateo politico. E comunque Napolitano ha diritto alla riservatezza”.

Al mercato di Palermo il prezzo lo fa la mafia

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Il nuovo business di Cosa Nostra è il mercato ortofrutticolo di Palermo. Qui i boss del clan Galatolo stabiliscono i prezzi di frutta e verdura attraverso alcuni insospettabili imprenditori che gestivano gli stand. Sono state le rivelazioni di alcuni pentiti a permettere alla Direzione investigativa antimafia di poter mettere i sigilli alle società dei cinque imprenditori ritenuti vicini a Cosa Nostra. Ma il business non si fermava a frutta e verdura, ma avanzava anche in altri servizi come il facchinaggio e il parcheggio dei mezzi, attraverso una cooperativa, la “Carovana Santa Rosalia”. L’organizzazione mafiosa avrebbe imposto anche le proprie cassette di legno a tutti i rivenditori.

6 anni e 8 mesi all’ex governatore della Sicilia, condannato per mafia

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Condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e assolto per ilr eato di voto di scambio questa la sentenza con la quale Raffaele Lombardo è stato riconosciuto colpevole dal gup di Catania Marina Rizza che ha anche rinviato a giudizio suo fratello Angelo Lombardo, ex deputato nazionale del Movimento per le autonomie. Una condanna pesante anche se rispetto ai 10 anni che aveva chiesto l’accusa, Lombardo ha avuto un notevole sconto di pena.

I nostri 7 giorni… andando di corsa!

7giorni-tuttacronacaDi corsa, in cerca di notizie diverse, interessanti, che diano un po’ di sollievo e magari strappino un sorriso. E sembra sempre più difficile perchè le “cose sbagliate” continuino ad accumularsi. Come ha detto Marco Travaglio: “L’intero cestino è marcio“. E non è chiaro se nel suo editoriale si riferisse solo a L’Aquila con il suo scandalo tangenti e il sindaco che si è dimesso o all’intero panorama politico. Del resto sempre più confuso. Abbiamo provato anche a catapultarci fuori dall’Italia, a provare a guardare il nostro Paese con uno sguardo diverso, da straniero, ed è difficile da capire quello che accade. Se non incomprensibile. Un segretario, Renzi, che sembra giocare al gatto e al topo con il premier, Letta, che è del suo stesso partito. Un ex senatore, ora decaduto, Berlusconi, che con una condanna da scontare mira ad essere eletto in Europa e ottenere quell’immunità. Un tribunale che, dopo anni, stabilisce che le elezioni per la Regione Piemonte vanno rifatte. Nulla di cui stupirsi del resto, per noi italiani, se la giustizia decide che la nostra legge elettorale è incostituzionale e quindi siamo governati in modo illegittimo ma il Capo dello Stato, che dagli “illegittimi” è stato eletto, dichiara il contrario. La certezza, ormai, è che non ci sono certezze, men che meno per il futuro. E non nel senso che vi dava Lorenzo il Magnifico. E’ proprio che non si vede futuro nè via d’uscita e questo perchè non si vede impegno al riguardo. Viene voglia di scappare? Correre lontano? Entrare nella schiera dei cervelli in fuga? Sì, certo. Via. Di corsa. Ma è un strada in discesa o… ?

7giorniE’ vero, non si vede futuro in Italia anche perchè mancano i punti di riferimento. Uno su tutti: la pensione diventa sempre più un’utopia. Se ne parla, si fanno supposizioni, ma alla fine sembra ormai l’oggetto del desiderio di tanti che non hanno altro a cui aggrapparsi. Anche a favore dei giovani che tentano invano di entrare nel mondo del lavoro. (Altra grande utopia del Belpaese) Mentre la disoccupazione cresce inesorabilmente (ma lo spread cala e Letta esulta, nonostante siano diverse le risposte che ci si aspetta da lui) si guarda all’estero quindi. Eppure… poi ci si spaventa per quell’ondata di gelo che stringe in una morsa mortale l’America ma ci si domanda pure come potremmo mai essere accolti noi italiani una volta varcati i confini nazionali. Perchè anche questa settimana è spuntato un altro, l’ennesimo, ristorante europeo che abbina l’italianità alla mafia. Si trova a Praga e si chiama Al Capone. Se questo è il biglietto da visita di una delle nostre eccellenze, la cucina, come potremmo venire apostrofati noi? Perdere la speranza e lasciare crollare il nostro umore così com’è crollata la palazzina a Matera? No! In fin dei conti ci sono anche segnali positivi che ci arrivano. Come il fatto che ora le voci a favore dei marò arrivano proprio dall’Unione Europea, che propone di fare quel passo che l’Italia non ha mai osato proporre. Per questo corriamo e andiamo avanti: perchè sappiamo che c’è sempre qualcosa che riesce a stupirci e a stamparci in volto un’espressione simile a quella di una bimba che vede per la prima volta il fratello gemello del papà. “Oibò!”, viene da esclamare. un po’ come quando la polizia conferma l’avvistamento di un ufo o un pilota di linea racconta il suo “incontro – quasi scontro – ravvicinato”. Continuiamo a muoverci perchè vogliamo continuare a stupirci, nella speranza di scoprire ricette nuove invece che riscaldare la solita, noiosa, minestra. In fin dei conti… a qualcosa bisogna pur credere e quindi tanto vale farlo nell’impossibile… tipo camminare sull’acqua!

GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK!

Italia = mafia! Anche Praga sfrutta lo stereotipo

al-capone-pizzeria-praga-tuttacronacaLa scorsa estate il deputato regionale del Pd Fabrizio Ferrandelli aveva scoperto, a Copenaghen, il ristorante Mama Rosa, dove abbinano la Sicilia con Cosa Nostra sfruttando i soliti stereotipi mafiosi. Prima ancora dilagava lo scandalo di Don Panino, ristorante viennese che utilizza i nomi dei boss di Cosa Nostra, ma soprattutto delle vittime della lotta alla mafia, per dare il nome ai suoi panini. In Italia continuiamo a lottare contro la mafia, omaggiamo e ricordiamo i nostri eroi, organizziamo anche feste in occasione di ricorrenze importanti come il 15° anniversario dell’arresto di Totò Riina. Perchè il Belpaese è anche molto altro. Perchè c’è chi crede e lotta per una Nazione migliore, in grado di risollevarsi, dove la legalità la faccia da padrone e ci siano prospettive per il futuro. Eppure anche le nostre eccellenze vengono ricollegate alle pagine più oscure, al lato nero. E la nostra cucina, giustamente famosa in tutto il mondo, diventa un modo facile per sfruttare un “marchio” diffamatorio e stereotipato. L’ennesimo esempio arriva da Praga. Qui non solo ci si può imbattere nel ristorante e music club La Mafia, c’è anche una pizzeria Al Capone. Dov’è possibile consumare un intero pasto che “omaggia” questa figura. Gnocchi, insalata e l’immancabile pizza. E non manca il dessert. Un altro Paese dell’Unione Europea che dimostra di non conoscere i “Paesi amici”. Un altro esempio di come il razzismo scorra sotterraneo e diventi un modo per farsi pubblicità. E che gioca facile. Quanti saranno i locali che, per promuovere la propria presunta italianità, oltre a Rialto, Vesuvio e BelPaese, utilizzano nomi come Mafia, Camorra o altri facili riferimenti? Quando, magari con un po’ di nostalgia di casa perchè apparteniamo al gruppo “cervelli in fuga”, potremo gustarci un piatto italiano in un locale con un nome che davvero ci ricordi l’orgoglio di appartenere a questa Nazione? Quando ci sentiremo a “casa” in Europa?

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Maxiblitz antimafia: duro colpo ai Messina Denaro

dia-tuttacronacaImponente operazione congiunta di polizia di stato, carabinieri, guardia di finanza e della Dia nella provincia di Trapani, per l’esecuzione di una trentina di ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Palermo che riguardano esponenti di spicco del clan di Matteo Messina Denaro, considerato numero uno di Cosa nostra. Le manette sono scattate  per associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, intestazione fittizia di beni ed estorsione. In carcere, tra gli altri, sono finiti la sorella del boss, Patrizia, il cugino Francesco ‘Ciccio’ Guttadauro e il nipote Mario Matteo. Il provvedimento colpisce, in particolare, le famiglie mafiose di Castelvetrano e di Campobello di Mazara, che da anni esercitavano un controllo tipicamente mafioso sulle attività economiche ed imprenditoriali del trapanese, con ingenti interessi nel settore dell’edilizia. Erano in particolare Francesco Guttadauro, nipote del boss, e la sorella Anna Patrizia Messina Denaro, a controllare, precisa una nota diffusa, “un articolato circuito imprenditoriale, che assicurava di fatto il controllo quasi monopolistico nel settore dell’edilizia e relativo indotto”, oltre a un vasto giro di estorsioni, come ha precisato la polizia. Tra i familiari arrestati, anche i cugini del boss Giovanni Filardo, Cimarosa Lorenzo e Mario Messina Denaro. “Le indagini hanno confermato il ruolo dirigenziale tuttora rivestito dal latitante Matteo Messina Denaro all’interno del mandamento e nella provincia mafiosa, accertandone la funzione di direzione tra le varie articolazioni dell’organizzazione e di collegamento con le altre strutture provinciali di Cosa Nostra”. Gli affari, però, venivano gestiti in gran parte direttamente dai parenti e, in particolare, “con riferimento all’attività di sostegno economico al circuito familiare del latitante, sono emersi la contiguità e il ruolo di responsabilità decisionale raggiunto in seno al sodalizio mafioso da Patrizia Messina Denaro e da Francesco Guttadauro”. Ancora nella nota, si legge che gli affari dell’edilizia venivano gestiti “mediante la realizzazione di importanti commesse, tra cui opere di completamento di aree industriali, parchi eolici, strade pubbliche e ristoranti. L’organizzazione era, infatti, in grado di monitorare costantemente le opere di maggiore rilevanza del territorio, intervenendo nella loro esecuzione con una fitta rete di società controllate in modo diretto o indiretto da imprenditori mafiosi ed elementi di spicco del sodalizio”. A fianco di queste attività “è stata inoltre accertata la diffusa pressione estorsiva esercitata sul territorio anche ai danni di imprese concorrenti e perfino di privati cittadini che avevano ereditato una rilevante somma di denaro”. Tra le persone arrestate anche alcuni “insospettabili”, con due ingegneri del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria finiti in manette a Palermo. Uno di loro è figlio di un giudice. Secondo le indagini, avrebbero intascato mazzette per favorire una ditta legata alle cosche. Non solo, si è anche scoperto che, temendo di essere pedinato, un mafioso di Campobello di Mazara ogni tanto chiedeva aiuto ad una vigilessa di Paderno Dugnano, nel Milanese. L’agente della polizia locale controllava le targhe che le venivano segnalate come “sospette”. Nel quadro delle complessive attività, la Guardia di Finanza sta procedendo al sequestro preventivo di complessi aziendali riconducibili al latitante intestati a prestanome, costituiti da società operanti nel settore dell’edilizia, per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro.

Video shock, la telecamera riprende un tentato omicidio di stampo mafioso

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Un video che non lascia dubbi quello del commerciante che cerca in tutti i modi di opporsi al pizzo. L’uomo per non pagare la mafia arriva anche ad affermare di aver denunciato tutto alla polizia. Naturalmente si trattava di un bluff, ma cercava in tutti i modi di ribellarsi al racket. Il raid punitivo è stato filmato  dalle telecamere di sorveglianza istallate nell’esercizio. Un vero e proprio tentato omicidio avvenuto davanti all’obiettivo di una telecamera. Massimiliano Di Majo, 26 anni, ha colpito il negoziante 13 volte con un mazzuolo, un grosso martello utilizzato dai muratori, lasciandolo per terra con numerose ferite al volto e in testa. Di Majo si è accanito anche contro il genero del commerciante, rimasto due giorni in coma. L’operazione della squadra mobile ha portato all’arresto di otto persone. Tra loro anche anche un «emergente» che gli investigatori indicano come il nuovo capomafia della Noce, Giuseppe Castelluccio, di 37 anni. Con lui sono finiti in carcere anche Carlo Russo, di 53 anni, Giovanni Buscemi, di 45, e Marco Neri, di 39. L’accusa per tutti è di associazione mafiosa.

“Corleone non dimentica”, Riina minaccia il pm

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Minacce da Totò Riina che dal carcere è tornato a lanciare avvisi al pm palermitano Nino Di Matteo. Le intercettazioni rivelano la volontà del capomafia di eliminare il magistrato che indaga sulla trattativa Stato-mafia.

“Questo Di Matteo non ce lo possiamo dimenticare. Corleone non dimentica”. Così Totò Riina, il 14 novembre, si è rivolto al boss della Sacra Corona Unita con cui condivide l’ora d’aria. Il giorno precedente era stata pubblicata la notizia di altre sue esternazioni minacciose nei confronti del magistrato e dell’intenzione di trasferire il pm, per motivi di sicurezza, proprio a seguito delle intimidazioni del boss, in una località segreta. Al mafioso pugliese che gli chiedeva come avrebbe fatto ad eliminarlo se l’avessero portato in una località riservata, Riina avrebbe risposto: “Tanto sempre al processo deve venire”.

Le conversazioni dei due capimafia – sia quella relativa alle notizie pubblicate il 13 novembre, sia quella successiva del 14 – erano intercettate e dovrebbero essere depositate agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia in corso davanti alla corte d’assise di Palermo.

Torna l’incubo? “La mafia potrebbe riprendere le stragi”, così Alfano

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Torna l’incubo? Alfano non esclude che la mafia potrebbe riprendere la strategia del terrore e tornare a mettere bombe sul territorio nazionale. Il ministro dell’Interno ha affermato:

“Non possiamo escludere la tentazione di una ripresa della strategia stragista dopo tanti anni di silenzio, ma lo stato sarà pronto a reagire”.

E poi a conclusione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica che si è tenuto oggi a Palermo ha concluso:

“Abbiamo deciso un ulteriore rafforzamento dei dispositivi di sicurezza personale dei magistrati esposti e messo a loro disposizione ogni risorsa necessaria”. In particolare, Alfano ha fatto riferimento ai magistrati che coordinano l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. “Sono stati oggetto di numerose minacce – e  ha, poi, spiegato – per questo io oggi sono venuto a dire che lo Stato è dalla loro parte e metterà ogni mezzo a disposizione per la loro protezione”.

Alfano ha poi fatto cenno ai magistrati che si occupano delle misure di prevenzione, anche loro “particolare bersaglio di intimidazioni. Abbiamo nei loro confronti una particolare attenzione: vengono sfidati dalla mafia per i risultati raggiunti”.

A Reggio Calabria sciolto il comune: contiguità con la mafia

Reggio_Calabria-tuttacronacaIl Tar del Lazio ha confermato lo scioglimento del Comune di Reggio Calabria per contiguità mafiose dopo che la I sezione, presieduta da Calogero Piscitello,  ha respinto il ricorso proposto dall’ex amministrazione comunale. Tale ricorso vedeva come primo firmatario l’ex sindaco di Reggio Calabria, Demetrio Arena ed era stato presentato per contestare il provvedimento del 10 ottobre 2012 che disponeva lo scioglimento del Consiglio comunale per 18 mesi e la nomina di una Commissione straordinaria per la gestione provvisoria dell’Ente. In quella data, l’allora ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, spiegò che si trovavano all’atto per episodi che riguardano gli amministratori come mancati “controlli per gli appalti e la gestione dei beni confiscati alla mafia”. All’epoca il Comune era amministrato dal centrodestra.

Papa Francesco piace alla gente ma non alla ‘ndrangheta

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“Papa Francesco sta facendo innervosire la mafia finanziaria […]. Se i boss potessero fargli uno sgambetto, non esiterebbero. E di certo ci stanno già riflettendo”, l’allarme è stato lanciato dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri in un’intervista a Il Fatto Quotidiano “Questo Papa – spiega al quotidiano – è sulla strada giusta. Ha da subito lanciato segnali importanti: indossa il crocifisso in ferro, rema contro il lusso. È coerente, credibile. E punta a fare pulizia totale”. Questo può dare molto filo da torcere alla mafia finanziaria che da tempo investe e ricicla denaro anche, secondo quanto afferma il procuratore, nutrendosi “delle connivenze con la Chiesa”. “Chi finora si è nutrito del potere e della ricchezza che derivano direttamente dalla Chiesa è nervoso, agitato. Papa Bergoglio sta spostando centri di potere economico in Vaticano. Se i boss potessero fargli uno sgambetto, non esiterebbero”.

Come riporta l’Huffington Post citando sempre Il Fatto Quotidiano:

Secondo il procuratore aggiunto di Reggio, il Papa può essere davvero in pericolo. “Non so se la criminalità organizzata sia nella condizione di fare qualcosa – precisa – ma di certo ci sta riflettendo. Può essere pericoloso”. Gratteri, che dal 1989 vive sotto scorta, ha scritto insieme allo storico Antonio Nicaso un libro intitolato “Acqua Santissima” in cui racconta i profondissimi legami che esistono tra mafia e Chiesa. Nella sua esperienza sa come i preti vadano “di continuo a casa dei boss a bere il caffè, regalando loro forza e legittimazione popolare”.

Blitz dei carabinieri e uno dei latitanti si suicida!

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Avevano scoperto, nelle campagne di Lentini, il covo dove Calogero Mignacca, 41 anni, e il fratello Vincenzino, 45 anni, si nascondevano e avevano progettato il blitz. I carabinieri del Gis questa mattina sono andati preparati, ma la sorpresa c’è stata quando il più anziano dei due latitanti si è suicidato davanti alle forze dell’ordine puntandosi la pistola alla tempia e facendo fuoco.  I due avevano sulle spalle sentenze definitive per omicidi, rapine ed estorsioni e dovevano scontare l’ergastolo.

Come in un film è arrivata anche la frase di Angelino Alfano, che si è complimentato con il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli, per l’intervento dei Gis che ha portato all’individuazione di due latitanti inseriti nell’elenco dei più “pericolosi”. “Si tratta di un altro grande successo della squadra Stato – ha affermato il ministro Alfano – che punta al controllo, in termini di sicurezza, del territorio, intensificando la lotta al crimine organizzato. Ma in questa occasione, se esprimo soddisfazione per l’arresto di uno dei due latitanti – ha concluso Alfano – provo profondo dispiacere per il gesto di disperazione compiuto dall’altro che si è tolto la vita”.

Nicola Cosentino torna in libertà

cosentino-libero-tuttacronacaNicola Cosentino, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, reimpiego di capitali illeciti e corruzione in un procedimento al tribunale di S. Maria Capua Vetere, il 15 marzo era entrato nel carcere di Secondigliano, a Napoli, salvo poi essere sottoposto agli arresti domiciliari a Venafro (Isernia) il 26 luglio. Ora i giudici della prima sezione penale dello stesso tribunale hanno revocato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dell’ex sottosegretario all’Economia che torna dunque un libero cittadino e come tale afronterà i processi.

“Tra Cosa nostra e i politici c’è sempre stata connivenza”: il pentito al processo

stato-mafia-tuttacronacaDurante la sua deposizione al processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Francesco Onorato ha raccontato che “Dopo il maxi-processo una serie di politici vennero contattati da Cosa nostra: tra loro anche Salvo Lima che non si presentò all’appuntamento”. A Riina, non piacque l’atteggiamento dell’eurodeputato Dc che era nella lista dei politici da eliminare. Ha poi spiegato: “I politici a Riina prima gli hanno fatto fare le cose, poi l’hanno mollato. Prima ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa i signori Craxi e Andreotti che si sentivano il fiato addosso. Poi nel momento in cui l’opinione pubblica è scesa in piazza i politici si sono andati a nascondere. Per questo Riina ha ragione ad accusare lo Stato”. E ha aggiunto: “Riina per questo comportamento era arrabbiato e avrebbe ucciso tutti i politici”. Il pentito ha parlato di una vera e propria lista con personaggi delle istituzioni che, dopo il maxiprocesso, Riina avrebbe voluto eliminare. “C’erano Vizzini e Mannino, di cui prima in Cosa nostra si parlava bene, i cugini Salvo, Salvo Lima – ha proseguito – Per Vizzini avevamo cominciato i pedinamenti”. E ha concluso: “Riina ha ragione a dire che lo Stato manovrava Cosa nostra. Lui sta pagando il conto, lo Stato no. Tra Cosa nostra e i politici c’è stata sempre connivenza”.  Il pentito ha anche raccontato in maniera dettagliata l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima, avvenuto il 12 marzo 1992, per il quale è condannato con sentenza definitiva. Ha anche spiegato che, dopo che l’attentato al giudice Falcone all’Addura era fallito, loro stessi hanno “messo in giro la voce che la bomba se l’era messa lui per indebolirlo, per farlo passare per bugiardo”. E ha quindi aggiunto: “Salvatore Biondino mi disse che si trattava di una pressione fatta dai politici per fare passare Falcone per uno di poco conto”. Il collaboratore ha anche descritto la sua militanza in Cosa nostra: “Fare parte del gruppo di fuoco della commissione di Cosa nostra era come fare parte della Nazionale di calcio. Ci entravano persone con capacità particolari. Da componente del gruppo di fuoco ho fatto tra l’altro l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima, quello del collaboratore del Sisde Emanuele Piazza, ho partecipato al fallito attentato dell’Addaura”. Onorato, che all’inizio della deposizione ha detto di sentirsi “abbandonato e lasciato solo dallo Stato”, dovrà testimoniare proprio sull’omicidio Lima ritenuto dai pm l’atto iniziale della minaccia mafiosa che avrebbe indotto lo Stato a trattare.

Processo Stato-Mafia: Napolitano pronto a deporre ma “limiti di conoscenza”

napolitano-giorgio-tuttacronacaLa Corte d’Assise di Palermo ha ammesso, lo scorso 17 ottobre, lla richiesta della Procura di citare a deporre come testimone il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, pur con alcuni limiti, che dovrà essere sentito sui colloqui tra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e l’ex consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio. La Corte ha stabilito che la testimonianza del presidente dovrà avvenire “nei soli limiti della conoscenza del teste che potrebbero esulare dalla funzioni presidenziali e dalla riservatezza del ruolo”, come disposto dalla Corte costituzionale nella sentenza in cui aveva accolto la richiesta di Napolitano di distruggere le intercettazioni delle sue conversazioni telefoniche con Mancino. Lo stesso Napolitano ha inviato una lettera al presidente della Corte nel quale si dice pronto a deporre sottolineando che “sarebbe ben lieto di dare un utile contributo all’accertamento della verità processuale, indipendentemente dalle riserve sulla costituzionalità dell’art. 205, comma 1, del codice di procedura penale espresse dai suoi predecessori”. “Il presidente – precisa il Colle – ha nello stesso tempo esposto i limiti delle sue reali conoscenze in relazione” alla vicenda. Per quel che riguarda le intercettazione, non se ne parlerà durante il processo.

Napolitano in aula nel processo Stato- mafia, ammesso anche Grasso

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Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato chiamato a deporre come testimone al processo per la trattativa Stato mafia, è stata accolta, seppur in parte e limitatamente, la richiesta avanzata nelle scorse udienze dal pm Nino Di Matteo. Il Capo dello Stato Giorgio Napolitano era stato citato dai pm per riferire in aula sulle “preoccupazioni espresse dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nella lettera del 18 giugno 2012 – si legge nella richiesta della Procura di Palermo – concernenti il timore di D’Ambrosio ‘di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi’, e cioè nel periodo tra il 1989 e il 1993”.

Ammesso come testimone anche il presidente del Senato Pietro Grasso.

Mafia al Nord… non è una scoperta, ma c’è chi ha voluto chiudere gli occhi

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E’ il primo comune del nord sciolto per mafia. E scatta a livello mediatico lo stupore e la sorpresa per Sedriano, in provincia di Milano dove ieri sera il Cdm ha deciso di commissariare: «Al fine di consentire le operazioni di risanamento delle istituzioni locali, nelle quali sono state riscontrate forme di condizionamento della vita amministrativa da parte della criminalità organizzata – spiega il comunicato diffuso da palazzo Chigi -, il Consiglio ha deliberato, su proposta del ministro dell’Interno, lo scioglimento dei Consigli comunali di Sedriano (Milano) e di Cirò (Crotone)».  

«È la prima volta in Lombardia. Ma quell’ente non è il solo su cui le criminalità organizzate hanno allungato i propri tentacoli», si legge nella nota di Florindo Oliverio, segretario generale Fp Cgil Lombardia. Il sindaco di Sedriano «è stato arrestato lo scorso anno a seguito dell’inchiesta della magistratura che ha portato all’arresto, per voto di scambio, anche dell’assessore regionale Domenico Zambetti», ricorda Oliverio e aggiunge che «alle cosche è appaltata direttamente la gestione del territorio. Ancora una volta la Lombardia si rivela “terra di Calabria”. Ancora una volta i soldi pubblici sono usati per affari privati e per foraggiare la criminalità organizzata. E per farlo si usano incarichi e consulenze, anche quando negli organici degli enti ci sono le risorse e le competenze necessarie per far funzionare nella legalità e nella trasparenza la macchina amministrativa». «Chiediamo alle istituzioni lombarde (a partire da Regione Lombardia) e alle loro associazioni (come l’Anci, l’Upi) di assumere l’impegno a combattere le infiltrazioni mafiose con atti concreti e visibili. Si potrebbe cominciare dall’azzeramento di tutti quegli incarichi e consulenze esterne che tanto costano anche economicamente alla collettività», conclude Oliverio.

Adesso finalmente non si potrà più dire che la mafia è un problema del sud… ma è un problema italiano, esportato anche all’estero e per sconfiggerlo forse servirebbe la cooperazione da parte di tutti gli stati… invece l’Italia come sempre è stata abbandonata.

Bombe a Napoli contro i famigliari di un boss

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Avvertimenti, bombe per contro il palazzo dei famigliari del boss Pasquale Pesce in piena notte. Torna così la paura a Pianura, Napoli, dove i clan stanno alzando il tiro. Questa notte sono scoppiate infatti due ordigni rudimentali caricati con oggetti metallici i cui danni sono stati limitati ma che gli inquirenti non hanno dubbi a definire un segnale forte della guerra tra clan che torna. E così ieri sera, intorno alle 20.30, forse in risposta, in via Colantonio Di Fiore le pistole sono tornate a sparare e hanno mirato alle verande di un noto pregiudicato.

 

Strage di Capaci: si apre una nuova pista

strage-capaci-tuttacronaca23 maggio 1992, autostrada A29. Il giudice Giovanni Falcone, la mogli e tre agenti della scorta perdono la vita a seguito dell’esplosione di 400 chiloglrammi di tritolo. Accusata della strage di Capaci, Cosa Nostra. Ora però si aprono nuove piste e spunta anche l’estremismo nero. Come si legge in un articolo del Fatto Quotidiano:

Lui è un dirigente di polizia in pensione con il volto deturpato da un colpo d’arma da fuoco, e per questo soprannominato “il bruciato” o “faccia di mostro”. Lei è una donna addestrata, forse nei campi paramilitari sardi utilizzati da Gladio. Entrambi sarebbero vicini ad ambienti dell’eversione nera. Il primo, Giovanni Aiello, è formalmente indagato per strage; la seconda, “la segretaria Antonella”, è in corso di identificazione da parte della procura di Caltanisetta che ha riaperto il fascicolo della strage di Capaci, puntando per la prima volta verso responsabilità oltre Cosa Nostra.

E spiega:

Agli atti è finita una nuova rivelazione del pentito Gioacchino La Barbera, “il picciotto” di Altofante che partecipò alle fasi operative della strage: durante un colloquio investigativo con il sostituto della Dna Gianfranco Donadio, ha detto che nelle riunioni preparatorie c’era “un uomo sconosciuto”, che “parlava a bassa voce”. Per la prima volta, dunque, sulla scia dell’indagine “parallela” svolta nei mesi passati da Donadio, la procura di Caltanisetta alza il livello delle indagini su Capaci dalla semplice manovalanza mafiosa e ipotizza un ruolo dei servizi segreti nell’attentato contro il giudice Falcone e la sua scorta, seguendo (con le cautele del caso, ma anche con l’avvio delle deleghe di indagine) quel filo che legherebbe mafia, servizi ed eversione nera, e che Donadio nei mesi passati ha messo al centro del suo lavoro investigativo volto a confermare – come lui stesso ha riferito al capo della Dna Franco Roberti – “la presenza di elementi appartenenti ai servizi segreti, in particolare legati all’eversione di destra, in molte parti degli accertamenti” sullo stragismo.

L’ex poliziotto in pensione non è una nuova conoscenza per la procura di Caltanisetta che lo aveva iscritto nel registro degli indagati già una prima volta nel 2010 per concorso esterno in associazione mafiosa, per poi chiedere la sua archiviazione, giunta nel dicembre 2012. L’ombra di un personaggio col volto sfigurato si allunga, infatti, da molti anni sui misteri di Palermo. Di “faccia di mostro”, aveva già parlato anche il pentito Luigi Ilardo, definendolo un “killer di Stato”, poco prima di essere ucciso nel ’96. Lo stesso Ilardo che, senza essere creduto, aveva collegato le stragi siciliane del ’92 alla strategia della tensione, facendo riferimento ad ambienti para-istituzionali che avrebbero utilizzato Cosa Nostra per attuare il piano stragista. Ma nelle nuove indagini non ci sono solo le indicazioni dei pentiti: i pm attendono l’esito delle analisi sui tre reperti – guanti, mastice e torcia – trovati subito dopo l’esplosione sopra un sacchetto di carta, a 63 metri dal cratere, ma a poca distanza dal tunnel di Capaci.

Slittano due date dello spettacolo di Giulio Cavalli: nuove minacce per lui

cavalli_minacciato-tuttacronacaNuove minacce per l’attore antimafia Giulio Cavalli: nel giardino della sua abitazione romana ieri è stata rinvenuta una pistola carica e il 36enne oggi è stato trasferito in una località protetta. Da tempo sotto scorta, l’attore doveva andare in scena oggi al Nuovo Teatro Sanità di Napoli con lo spettacolo “L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto”, rappresentazione in programma anche domani a Caserta. Cavalli, vista la situazione, ha chiesto e ottenuto dal teatro partenopeo di procrastinare le date dei due spettacoli.

Pane e camorra, la denuncia dei verdi e di Unipan

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Denuncia inquietante da parte dei Verdi, con il coordinatore Francesco Emilio Borrelli, e del presidente Unipan, ovvero l’Unione panificatori Campani, Mimmo Filosa che hanno fatto emergere la difficile situazione dell’alimentare nel territorio napoletano:

“La camorra dall’inizio della crisi economica ha messo nuovamente e prepotentemente le mani sul mercato alimentare del napoletano e casertano. In particolare stanno proliferando forni abusivi di pane ovunque. Solo tra Napoli e provincia ce ne sono oramai oltre 1500 ed il numero è in crescita – continuano Borrelli e Filosa – Forni in condizioni igienico-sanitarie pericolosissime, che realizzano un prodotto anche tossico: usano gusci di nocciole trattati con agenti chimici e quindi nocivi, se non legni trattati con vernici e solventi tossici. Il problema più grave e che oltre alla filiera totalmente illegale che parte dal forno abusivo e arriva alla vendita illegale per strada spesso ancora nei cofani delle macchine o con bancarelle improvvisate il pane della camorra è arrivato nei supermercati e nei salumieri legali. D’altronde i clan hanno capito che in un momento economicamente drammatico come quello attuale i cittadini possono rinunciare a tutto ma non al cibo. Per questo invochiamo un intervento drastico da parte dello Stato con la istituzione di un tavolo permanente in Prefettura tra Asl, comuni e forze dell’ordine e l’ applicazione della legge regionale sulla tracciabilità del pane”.

Nei prossimi giorni sarà presentato un dossier sui nuovi forni abusivi curato da Verdi e Unipan per mostrare la grave situazione nel Napoletano.

“Cosa nostra” sui set cinematografici, registi in fuga dalla Sicilia

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Persone che non sono in grado di far nulla, che rallentano il lavoro dei professionisti e che fanno innalzare il costo delle produzioni, ma se qualcuno come quell'”attrezzista venuto da Roma” prova a dire che quei collaboratori non sono graditi sul set in quanto incapaci di svolgere il lavoro ecco che a Palermo il furgone degli attrezzi viene svaligiato. “Loro” sono quelli che decidono dove far mangiare la troupe, dove alloggiarla e che acqua si deve bere sul set. “Loro” decidono le comparse, “Loro” decidono dove affittare i mezzi, o si fa come vogliono “Loro” o si rischia!

Nonostante un anno fa abbia fatto scalpore la clamorosa estorsione alla casa cinematografica Magnolia, quarantuno esponenti del clan della Noce sono stati arrestati, la mafia non ha smesso di allungare la sua ombra sul mondo del cinema mentre il numero delle produzioni in Sicilia è in calo: se in Piemonte la Film commission ha finanziato 51 opere, l’Isola l’anno scorso si è fermata a 10.

“Le produzioni cinematografiche hanno ormai abbandonato la Sicilia a causa di attività illecite perpetrate da alcune famiglie mafiose”, denuncia in una lettera un direttore di produzione di Cinisi, Vincenzo Cusumano, che ha scritto al presidente della Regione Rosario Crocetta. La sua lettera è stata firmata da una decina di artisti, da Leo Gullotta a Tony Sperandeo, da Luigi Burruano a Ernesto Maria Ponte. “Chiunque arrivi in Sicilia deve scendere a compromessi  –  denuncia Cusumano che ha lavorato tra gli altri con registi come Marco Tullio Giordana, Ricky Tognazzi e Renato Di Maria  –  tutti lo sanno e nessuno ne parla, mentre la nostra regione rischia di uscire definitivamente dai circuiti cinematografici”.

Come riporta La Repubblica:

“Questo è un grido di dolore e di allarme”, dice Leo Gullotta. I dati non sono confortanti: se nel 2008 in 257 hanno presentato domanda di finanziamento alla Film commission siciliana, nel 2012 le istanze sono state 190. Colpa  –  dicono attori e produttori  –  sia della disorganizzazione che della malavita. “La mafia  –  racconta un addetto ai lavori  –  impone comparse e operai, ma anche le ditte dalla quali rifornirsi per acquistare i materiali che servono ad allestire i set. In cambio assicura il quieto vivere per tutta la durata delle riprese”. Uno scenario drammatico svelato dall’inchiesta che un anno fa ha portato all’arresto di 41 affiliati al clan della Noce che avevano imposto il pizzo anche ai produttori di Magnolia fiction, che nel 2010 stavano girando a Palermo la serie televisiva “Il segreto dell’acqua”, con Riccardo Scamarcio nelle vesti di un vicequestore. In manette sono finiti pure i figli di Enzo Castagna, Tommaso e Gaetano, da trent’anni procacciatore di comparse a Palermo. I due fratelli erano diventati “capogruppo di set”.

La Regione sa che il racket strozza le produzioni e ha varato un protocollo di legalità, intitolandolo a Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Chi riceve soldi dalla Film commission si impegna a rendere trasparente ogni subappalto  –  dice l’assessore al Turismo Michela Stancheris  –  pena la revoca del finanziamento”. Per Antonio Piazza, regista di “Salvo” applaudito a Cannes, bisogna scegliere con cura i collaboratori sul territorio: “Nel nostro caso  –  racconta dal Brasile dove sta per uscire il film  –  pur avendo girato in una borgata, l’Arenella, non abbiamo avuto alcuna difficoltà. Ma sono tante le produzioni che hanno paura di venire in Sicilia”. Il regista Giuseppe Tornatore al festival di Taormina aveva già lanciato l’allarme denunciando che la Regione ha perso il treno del cinema: “Le poche produzioni che arrivano nell’Isola stanno qui alcune settimane e vanno via. Perché spesso sono costrette a pagare il pizzo”.

La Film commission, che ha sei dipendenti, serve solo da salvadanaio e peraltro ormai è in grado di distribuire solo spiccioli: se nel 2008 per i finanziamenti c’erano 5 milioni, nel 2012 non sono arrivati a 2. “La Film commission è inutile se non concede servizi  –  denuncia Cusumano  –  le poche produzioni che arrivano in Sicilia non la contattano nemmeno e sono costrette ad affidarsi al territorio con il grosso rischio di illegalità che conosciamo”. Il presidente della Film commission, Pietro Di Miceli, promette il rilancio: “Rendiamola una struttura operativa”.

8 arresti collegati all’ex stalliere di Arcore…

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8 arresti eccellenti collegati all’ex stalliere di Arcore, Vittorio Mangano, già condannato per omicidio e considerato collegato alla mafia siciliana e deceduto nel 2000, sono stati eseguiti oggi a Milano. Tra questi anche il genero e la figlia di Mangano, Cinzia. Mangano fu l’uomo che Marcello Dell’Utri definì “un eroe” e che Borsellino pensava fosse una sorta di ‘chiave’ del riciclaggio di denaro sporco in Lombardia. Così la Direzione distrettuale antimafia di Milano ha colpito un’organizzazione criminale di stampo mafioso attiva in Lombardia.

L’indagine ha evidenziato un cospicuo flusso di denaro che serviva per mantenere latitanti ma che veniva anche investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente, quindi, l’economia lombarda. In tempo di crisi, la criminalità organizzata investe.

 

Belpietro vince alla Corte europea dei diritti dell’uomo

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Nessun giornalista sarà più condannato alla violazione della libertà d’espressione se non per i reati di incitamento alla violenza o per diffusione di discorsi razzisti. Questo è quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza in cui dà ragione a Belpietro, condannato a 4 anni dalla Corte d’Appello di Milano.

Cosa aveva pubblicato Belpietro?

L’articolo intitolato ‘Mafia, 13 anni di scontri tra pm e carabinieri’,  che risale al novembre 2004, firmato da Raffaele Iannuzzi, era stato ritenuto diffamatorio nei confronti dei magistrati Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte.

La Corte dei diritti dell’uomo pur ritenendo giusta la condanna per diffamazione e anche il risarcimento a 110mila euro a favore di Forte e di Caselli, non ritiene invece giusta la condanna a quattro anni di prigione, anche se poi sospesa. La Corte infatti ritiene che, nonostante spetti alla giurisdizione interna fissare le pene, la prigione per un reato commesso a mezzo stampa è quasi sempre incompatibile con la libertà d’espressione dei giornalisti, garantita dall’articolo 10 della convenzione europea dei diritti umani.

10 anni regalati alla mafia!

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La mafia poteva essere sgominata 10 anni fa, ma c’è chi bloccò le indagini. Lo denuncia un ex poliziotto, Piero Ferro, che con altri colleghi era pronto a mettere la parola fine… ma fu fermato!

Valanga di polemiche per ristabilire la pena di morte

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E’ il multimiliardario leader populista, Frank Stronach, in Austria a voler rilanciare la pena di morte per i killer di professione. Poi la marcia indietro per spiegare che nell’intervista rilasciata oggi lui stava esprimendo solo un’opinione personale, non   inclusa nel programma del suo partito, Team Stronach, che si candida quest’anno per la prima volta.

«Per crimini di mafia e terrorismo dovrebbe esserci zero tolleranza in politica», ha detto Stronach aggiungendo di avere comprensione per i paesi che hanno ancora la pena capitale.

Ma molti colleghi del partito hanno precisato la loro distanza dal leader anche perché in Austria la pena di morte è stata cancellata 45 anni fa e da allora nessun politico ha mai pensato alla sua reintroduzione. L’ultima esecuzione è datata  24 Marzo 1950.

 Sarà stato un passo falso in campagna elettorale?

La condanna di Dell’Utri: arrivano le motivazioni della Corte di appello

marcello-dellutri-tuttacronacaI giudici della terza sezione penale della Corte di appello di Palermo hanno presentato le motivazioni della sentenza con cui l’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri è stato condannato, il 25 marzo scorso, a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici affermano che ci fu un patto tra la mafia e Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri ne è stato il “mediatore contrattuale”. E in tale contesto, tra il 1974 e il 1992, “non si è mai sottratto al ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti”, e “ha mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento”. La Corte ha collocato la stipula di tale partto tra il 16 e il 29 maggio del 1974 quando, si legge nelle 477 pagine della motivazione, “è stato acclarato definitivamente che Dell’Utri ha partecipato a un incontro organizzato da lui stesso e (dal mafioso palermitano Gaetano) Cinà a Milano, presso il suo ufficio. Tale incontro, al quale erano presenti Dell’Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e Silvio Berlusconi, aveva preceduto l’assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, così come riferito da Francesco Di Carlo e de relato da Antonino Galliano, e aveva siglato il patto di protezione con Berlusconi”. Secondo i magistrati palermitani, quella riunione “ha costituito la genesi del rapporto sinallagmatico che ha legato l’imprenditore Berluconi e Cosa nostra con la mediazione costante e attiva dell’imputato” Dell’Utri. Ancora si legge: “In virtù di tale patto i contraenti (Cosa nostra da una parte e Silvio Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Marcello Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di denaro che quest’ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Marcello Dell’Utri che, mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio mediante l’ingresso nelle proprie casse di ingenti somme di denaro”. Sempre secondo la Corte è l’incontro del 1974 che “segna l’inizio del patto che legherà Berlusconi, Dell’Utri e Cosa nostra fino al 1992. È da questo incontro che l’imprenditore milanese, abbandonando qualsia proposito (da cui non è parso, ivero, mai sfiorato) di farsi proteggere dai rimedi istituzionali, è rientrato sotto l’ombrello della protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi mai all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione”. Mangano divenne così lo stalliere di Arcore “non tanto per la nota passione per i cavalli” ma “per garantire un presidio mafioso nella villa dell’imprenditore milanese”. La Corte non ritiene inoltre credibile Dell’Ultri quando ammette di aver indicato Mangano a Berlusconi come persona da assumere sostenendo però di non essergli amico, anzi di averne paura. Nella motivazione si legge: “La continuità della frequentazione, l’avere pranzato in diverse occasioni con lui, sono circostanze che hanno consentito di escludere che i rapporti svoltisi in un arco temporale che ha coperto quasi un ventennio nel corso del quale il Mangano è stato arrestato e prosciolto e poi nuovamente arrestato e poi ancora prosciolto, possano essere stati determinati da paura”. La Corte ha ricostruito nelle motivazioni anche i pagamenti sollecitati dai mafiosi a Berlusconi “quale prezzo per la protezione”, e che secondo i giudici iniziarono subito dopo l’incontro del 1974, con la richiesta di 100 milioni di lire formulata da Cinà, ed esaudita.

La figlia del boss latitante Messina Denaro si ribella

matteo_messina_denaro-figlia-tuttacronacaIeri su Il Messaggero compariva un articolo che riportava che Lucia Riina, figlia del boss mafioso Totò Riina, durante un’intervista alla televisione svizzera Rts diceva: “Io sono onorata di chiamarmi così – dice Lucia Riina – e felice perché è il cognome di mio padre e immagino che qualsiasi figlio che ama i suoi genitori non cambia il cognome. Corrisponde alla mia identità”. Parlava anche della propria famiglia: “Sono i miei genitori, siamo cattolici e devo dell’amore a mio padre e mia madre”. Posizioni opposte per la figlia del boss trapanese latitante Matteo Messina Denaro. Come riporta un articolo del numero di L’Espresso in edicola domani, la ragazza, che si è ribellata al clan familiare del padre e convince la madre a lasciare la casa dove ha sempre abitato, desidera vivere lontano da quel nucleo familiare. ”Quanto vorrei l’affetto di una persona e purtroppo questa persona non è presente al mio fianco e non sarà mai presente per colpa del destino”, racconta pur non facendo mai esplicito riferimento al padre, che secondo gli investigatori non avrebbe mai visto, ma nel giorno del compleanno del boss la figlia pubblica sul suo profilo Facebook un cuore rosso senza alcun commento.

Arrestato a Dubai, l’ex deputato condannato per mafia

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L’ex deputato Amedeo Matacena, difeso da Franco Coppi (difensore di Silvio Berlusconi per il processo Mediaset) e dall’ex Guardasigilli Alfredo Biondi era stato condannato in via definitiva a giugno scorso. La pena inflittagli era di  a 5 anni e 4 mesi, più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex deputato infatti, secondo quanto accertato dai giudici, favorì la cosca Rosmini. Subito dopo la sentenza si rese irreperibile. Non era rintracciabile né a Roma, né a Reggio Calabria e neppure a Montecarlo dove ha la residenza. Perché poi un politico italiano dovrebbe avere la residenza a Montecarlo? Sicuramente non è l’unico caso, ma almeno pretendere che chi sta al Parlamento o al Governo abbia la residenza in Italia, a meno che non si tratti di un deputato che sia eletto dagli italiani all’estero sembrerebbe il minimo da richiedere.

Dopo la grande fuga… ora è stato arrestato a Dubai!

Dirottato l’aereo del boss mafioso causa maltempo

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E’ stato dirottato, a causa del maltempo, su un’altra regione, anche il volo proveniente dalla Spagna, che sarebbe dovuto atterrare nella Capitale, con a bordo il boss Vincenzo Triassi, ritenuto legato al clan agrigentino dei Cuntrera-Caruana. Triassi, è stato estradato in relazione a un ordine di cattura del 26 luglio scorso nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sfociata in oltre 50 arresti per traffico di stupefacenti, usura ed estorsioni compiuti per diversi anni sul litorale romano con l’aggravante di tipo mafioso.

Le vacanze del boss: arrestato mentre era in ferie con la compagna

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Michele Di Nardo, 34 anni, ritenuto l’attuale capo del clan camorristico dei Mallardo, ricercato dal 2012 in tutta Europa, è stato catturato dai carabinieri, mentre era seduto in un bar a Palinuro, in provincia di Salerno.  Di Nardo, in vacanza con la sua compagna, era inserito nella lista dei latitanti pericolosi ed era ricercato dalle forze dell’ordine per due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse nell’aprile 2012 e nello scorso luglio per associazione di tipo mafioso ed estorsione.

Piatti alla mafia, lo scandalo ora è a Copenaghen! Altro fango sull’Italia?

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Altro fango sull’Italia e soprattutto sulla Sicilia? Il deputato regionale del Pd Fabrizio Ferrandelli ha scoperto a Copenaghen il ristorante Mama Rosa dove abbinano la Sicilia con Cosa Nostra sfruttando i soliti stereotipi mafiosi.

Da qualche giorno – spiega Ferrandelli – ero a Copenhagen con mia moglie e la piccola Bruna. Un po’ di relax con la mia famiglia, per poi tornare sabato a Palermo. Ieri sera un veloce boccone che però è andato di traverso. Sapete perché? Perché mentre anche in Danimarca arrivano gli echi di una sorta di gara, di sfida in salsa siciliana a chi è più antimafioso dell’altro, come se alla fine in palio ci fosse una medaglia, una patente, un documento valido per l’espatrio, in Europa la Sicilia è ancora stampata, immaginata, non nelle brochure turistiche ma nei menù di locali vergognosi che propongono ai turisti pizze mafiose. Insomma, da noi l’antimafia litiga e all’estero la Sicilia è sempre e solo mafia- Ieri sera io e mia moglie Claudia ci siamo trovati davanti all’ennesima vergogna: la ‘pizza mafioso’ di Copenhagen e tanto per rimanere in tema la ‘pizza Al Capone’. Specialità del ristorante Mama Rosa di Copenhagen.

Guardando sul sito del ristorante nel menù si trova infatti “pizza Al Capone”. Per trovare la “pizza mafioso” bisogna invece andare sulla sezione “Lunch Specials” sulla pagina Menu Main Courses.

Questa la foto del menu del ristorante che indica la “prelibatezza” fra le sue portate:

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Come riportato da BlogSicilia:

Risale a pochi mesi fa il caso del ristorante viennese Don Panino, che ironizzava sul proprio menu su vittime di mafia come il magistrato Giovanni Falcone e il giornalista Peppino Impastato.

“Per uno strano scherzo del destino, – continua Ferrandelli – avevo già preparato un dossier da presentare la prossima settimana in Commissione regionale Antimafia dove racconto con numeri e foto il modo distorto con il quale in tanti posti del mondo si rappresenta l’immagine della nostra Sicilia e del nostro Paese all’estero. Perché quello di Don Panino non è un caso isolato”.

Il dossier è stato predisposto dal deputato Pd grazie alle segnalazioni dell’associazione “MafiaContro” e del suo portavoce Renato Campisi che, all’iniziativa in ricordo dell’assassinio del giudice Costa, hanno consegnato a Ferrandelli una documentazione dettagliata e una lettera rivolta al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, nella quale si segnalano tanti ristoranti, e non solo all’estero, con insegne che inneggiano le gesta mafiose (Pizza Connection, Il Padrino, Don Vito Corleone, etc.).

“Ieri sera in Danimarca – ribadisce Ferrandelli – l’ennesima vergogna che allegherò al fascicolo. Sono veramente sdegnato e dobbiamo sdegnarci tutti per i tanti che hanno combattuto e combattono la mafia. Il rispetto della memoria di chi ha sacrificato la vita in nome della legalità e della libertà e il rispetto di chi, in silenzio, pratica quotidianamente la legalità e si batte contro ogni forma di criminalità devono prevalere sempre su dibattiti sterili e sulle contrapposizioni che servono solo a dividere un fronte che dovrebbe stare unito per il bene della Sicilia e dei siciliani”.

La mafia a tavola e cibo in mano ai clan, Legambiente lancia l’allarme.

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Il nostro cibo sta subendo un attacco? Legambiente lancia l’allarme in occasione di “festambiente”, a Rispescia, Grosseto. Sarebbero circa 11 i reati al giorno che si consumano e oltre 3.000 denunce o arresti. Basta vedere il valore dei beni sequestrati che supera i 672 milioni di euro  per un giro d’affari gestito da 27 clan criminali. A tavola, “è seduto il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, a Matteo Messina Denaro”. D’altra parte numerosi libri sono stati scritti sul fenomeno e molti articoli hanno da tempo riportato la notizia. Quello che spaventa è che il fenomeno non si argina, anno dopo anno arriva una nuova denuncia, ma il giro di affari continua.

I pm: “via il 41 bis a Provenzano”. E l’Associazione dei Georgofili insorge

provenzano-tuttacronacaParere favorevole, arrivato dalle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenza, alla revoca del 41 bis per il capomafia Bernardo Provenzano. Il parere, che ora andrà al ministro della Giustizia, che decide sulle applicazioni del regime carcerario duro, era stato sollecitato dal legale del boss. Il boss, a causa delle sue condizioni di salute, non è più in grado di interloquire in modo compiuto e il fatto vanificherebbe lo scopo del 41 bis: impedire ai capi mafia di dare ordini e mantenere rapporti con i mafiosi in libertà. E’ questa constatazione che sta alla base dei pareri presentati dalle tre procure, comptetenti perchè era stata loro la proposta di applicazione del carcere duro. Intervenendo in merito alla questione, la presidente dell’Associazione dei Georgofili Giovanna Maggiani Chelli scrive in una nota: “Siamo indignati, scandalizzati e pronti ad andare in via dei Georgofili sotto il solleone a chiedere attenzione per i nostri figli ammazzati e resi invalidi”. Maggiani Chelli spiega: “Provenzano è in ospedale, è curato per tutte le sue patologie. Perchè revocargli il 41 bis? Quello di Bernardo Provenzano è un 41 bis sulla carta, quindi cosa gli revocano di fatto le procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo? Revocano quella questione di principio che mai avrebbe dovuto venire meno davanti ai morti ammazzati dalla mafia e che da troppo tempo era nell’aria. Sarà la deriva del 41 bis, questo sì che le procure di Firenze, Caltanissetta e Palermo otterranno se il ministro della Giustizia non sarà illuminato verso le vittime di mafia”. E ancora: “Troppe minacce ai magistrati, troppe brache calate davanti alla mafia, un Governo di larghe pretese, queste le cause secondo la nostra opinione, di un probabile regalo alla mafia senza precedenti. Gabriele Chelazzi si rivolterà nella tomba davanti a sì tanto scempio! La ‘presunta’ trattativa è arrivata a compimento sul sangue dei nostri morti, e sulle ferite dei nostri invalidi, chi deve si vergogni!”.

Nicola Cosentino scarcerato: va ai domiciliari

cosentino-domiciliari-tuttacronacaNicola Cosentino, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa in un procedimento in corso al tribunale di S. Maria Capua Vetere, è stato scarcerato e sarà sottoposto agli arresti domiciliari a Venafro (Isernia). A dare la notizia che l’ex deputato del Pdl ed ex sottosegretario all’Economia ha lasciato il carcere di Secondigliano, a Napoli, dove era detenuto dal 15 marzo, è stato uno dei suoi legali.

Il gip di Palermo ordina nuove indagini su Schifani

renato-shifani-indagini-mafia-tuttacronacaRespinta la richiesta di archiviazione dell’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa a carico del capogruppo del Pdl al Senato, Renato Schifani, fatta dalla procura. Il gip di Palermo Piergiorgio Morosini ha inoltre ordinato ai pm di fare nuove indagini motivando l’esigenza di ulteriori approfondimenti investigativi. Il gip ha stabilito in 120 giorni il termine entro il quale i pm dovranno compierli.

Maxi operazione antimafia sul litorale romano

polizia-mafia-arresti-tuttacronacaE’ stata una tra le operazioni antimafia più vaste mai condotte dalla polizia a Roma il blitz che ha visto impegnati circa 500 agenti che ha portato all’arresto di 51 persone. L’operazione è scattata nei confronti di un’associazione di stampo mafioso che da anni aveva il controllo delle attività illecite sul litorale della Capitale e ha portato all’individuazione di esponenti considerati dagli investigatori “i sancta sanctorum” del crimine romano e siciliano”. Colpiti i clan Fasciani, Triassi e D’Agati, che da anni si sono spartiti il malaffare soprattutto sul litorale. Due gruppi criminali, appartenenti ai clan Fasciani e Triassi, hanno intrattenuto per quasi un ventennio affari a Roma e si sono spartiti il territorio in una sorta di “pax mafiosa”, in base alle quale tutti potevano tranquillamente gestire i loro illeciti traffici. Durante l’operazione sono scattate le manette per i vertici dei due clan. Per i Fasciani arrestati il capo indiscusso Carmine e i fratelli Giuseppe e Terenzio Nazzareno, tra i Triassi, Vito e Vincenzo, appartenenti alla nota famiglia mafiosa dei Cuntrera-Caruana, che da anni si erano trasferiti ad Ostia mantenendo un legame inscindibile con Cosa Nostra siciliana. Della cupola mafiosa faceva parte anche un altro appartenente a Cosa Nostra, da anni stanziatosi ad Ostia, considerato il terzo anello del gruppo di comando dell’organizzazione. La lunga indagine condotta dalla Squadra Mobile di Roma ha consentito di fornire elementi alla Procura della Repubblica, per contestare ed individuare l’esistenza dell’associazione di stampo mafioso nella Capitale. Sono inoltre stati seguiti tutti i passaggi criminali dei vari affari delle organizzazioni: dall’ingresso di un nuovo appartenente agli accordi tra i capi per la spartizione del territorio, alle riunioni per dirimere le controversie sorte nella gestione del territorio. Ma anche la pianificazione di omicidi o tentati omicidi necessari per garantire e ripristinare la supremazia su qualsiasi attività.

15 kg di esplosivo a Palermo: la mafia si prepara a un attentato al pm Di Matteo?

ninodimatteo-attentato-mafia-tuttacronacaCirca un mese fa, un confidente legato al traffico della droga e ritenuto abbastanza attendibile dagli investigatori, avrebbe detto che a Palermo sarebbero arrivati 15 chilogrammi di esplosivo: cosa nostra starebbe infatti organizzando un attentato. Pur se il confidente non ha fatto nomi, il maggior indiziato sarebbe il pm Nino Di Matteo, al quale è stata rafforzata la scorta con l’aggiunta di tre carabinieri del Gis, il Gruppo intervento speciale. Il magistrato, con altri tre colleghi, rappresenta l’accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia ed è sotto procedimento disciplinare per aver confermato in un’intervista l’esistenza delle intercettazioni telefoniche tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.

19 luglio 1992: la strage di via D’Amelio. L’Italia ricorda il giudice Borsellino

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19 luglio 1992: in via Mariano D’Amelio Paolo Borsellino viene ucciso dalla mafia. Per lui, e la sua scorta, è stata scelta una morte uguale a quella dell’amico e collega Giovanni Falcone, ucciso a Capaci il 23 maggio dello stesso anno. Rita e Salvatore, fratelli del magistrato, in occasione del 21esimo anniversario hanno detto di voler “consegnare la memoria alle nuove generazioni”. Nessuno deve pensare che “Paolo Borsellino possa essere ricordato un solo giorno all’anno. In quel giorno di 21 anni Paolo Borsellino, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, si recò assieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove viveva sua madre. Una fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione con circa 100 kg di esplosivo a bordo detonò al passaggio del giudice, uccidento oltre al magistrato anche i cinque agenti di scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Solo antonino Vullo sopravvisse: al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.

Il magistrato Antonino Caponnetto, in un’intervista alla Rai, ha dichiarato che, secondo gli agenti della scorta, la strada era pericolosa, tanto che era stato chiesto di procedere preventivamente a una rimozione dei veicoli parcheggiati davanti alla casa. Il Comune non accolse la richiesta. La bomba che provocò la morte del giudice e della scorta era radiocomandata a distanza, ma non è mai stata definita l’organizzazione della strage. Paolo Borsellino era a conoscenza di un carico di esplosivi arrivato in città appositamente per essere utilizzato contro di lui. Oggi sono tante le manifestazioni in ricordo di quella strage, una ferita ancora aperta della Storia italiana. Nel vento sventolano agende rosse, simili a quella che utilizzava il giudice e che si era pensato di aver riconosciuto in un video d’epoca. La scientifica decise poi che si trattava solo di un parasole. Rita Borsellino ha affermato: “Dopo 21 anni di false verità e buchi neri, non posso cedere alla debolezza ma devo avere la certezza di arrivare alla verità, altrimenti non crederei più nello Stato, in quella parte dello Stato che deve poter trovare giustizia e libertà”.

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Assolto Mario Mori. Ci saranno ripercussioni nel processo Stato-mafia?

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E’ stato assolto il generale dei carabinieri Mario Mori. Secondo la corte non impedì e non ostacolò la cattura dell’ex boss mafioso Provenzano durante la lunga latitanza. Insieme a Mori è stato assolto anche il colonnello Mauro Obinu anche lui era accusato per favoreggiamento aggravato alla mafia. Entrambi sono stati assolti con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Ci saranno ripercussioni nel processo Stato-mafia? Il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi si è detto amareggiato della sentenza, ma ha anche ridimensionato la portata in relazione appunto all’altro processo:

La sentenza potrà avere una referenza sul processo per la trattativa tra Stato e mafia ma non di grandissima importanza. E’ una tappa molto importante, una tappa per cercare di ricostruire una stagione misteriosa. E’ chiaro che questo processo avrà un impatto mediatico molto forte ma sarà un impatto più di immagine che di sostanza.

Una focacceria contro la mafia che dilaga a Roma

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Ne parla il New York Times (forse argomento scomodo da trattare per i giornali italiani?) di uno dei simboli che ha Roma è nato per la lotta alla mafia e per arginare il “controllo” del territorio. , L’Antica Focacceria San Francesco, aperta nel 2012, rappresenta un simbolo contro il dilagare sempre più allarmante di Cosa Nostra nella capitale. Alcuni mesi fa era stato Giorgio Santacroce, presidente della Corte d’Appello romana, a denunciare come “le organizzazioni criminali mafiose avessero acquisito, anche a prezzi fuori mercato, immobili, società ed esercizi commerciali nei quali impiegano risorse economiche di provenienza delittuosa”.

L’ l’Antica Focacceria San Francesco, di proprietà dell’imprenditore Vincenzo Conticello, è nota proprio per il suo proprietario che nel 2006 divenne protagonista delle cronache locali e nazionali per essersi rifiutato di pagare il pizzo e denunciando i propri estorsori, affermando che a Palermo più del 75% dei negozi pagavano per non incorrere in ritorsioni. Conticello ora è costretto a vivere sotto scorta.  

Fu anche vittima di numerose intimidazioni: le macchine dei suoi clienti venivano danneggiate, la merce rubata, ma Conticello non si è arreso. Le sue continue segnalazioni alla polizia hanno dato avvio all’indagine che ha permesso, quattro mesi e mezzo più tardi, di arrestare il boss che gestiva le attività di estorsione a Palermo. Più tardi denunciò di aver subito richieste di pizzo anche a Roma.

Lui si rifiuta categoricamente di pagare le organizzazioni criminali e coraggiosamente acquista il caffè e i suoi prodotti soltanto da imprenditori antimafia, ovvero altri colleghi che si sono rifiutati di piegarsi alla mafia. “E’ possibile acquistare i prodotti di Libera Terra  – afferma – anche nel centro di Roma, alla ‘Bottega dei Sapori e dei Saperi della Legalità’, un negozio dedicato alla memoria di Pio La Torre, il parlamentare siciliano ucciso dalla mafia nel 1982″.

Pasta, marmellate, vino, olio: tutti i prodotti venduti sono stati coltivati ​​sui terreni confiscati alle mafie in tutta Italia, dalla Sicilia al Piemonte. ”So che molti preferiscono pagare il pizzo”, ha spiegato Conticello al Nyt, sottolineando come, accettando, si diventi “schiavi della criminalità”: “Rifiutarsi di pagare il pizzo dovrebbe essere un gesto normale”, incalza.

Speriamo che diventi davvero un esempio oltre che un simbolo per altri imprenditori che vogliano denunciare i propri estorsori, anche se, in un paese su cui giace l’ombra di probabile accordo Stato- mafia, e di un governo che non mette, in tempo di crisi, tra le sue priorità la lotta alle organizzazioni criminali, che potrebbero far recuperare risorse, sembra davvero utopico sperare in un ravvedimento, ma i miracoli possono sempre accadere! 

“Sono stati loro a venire da me, non io da loro”, Riina su Stato-mafia

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Per la prima volta Totò Riina avrebbe fatto chiaro riferimento alla  trattativa Stato-mafia. La rivelazione è arrivata Qualche settimana fa, mentre stava per essere trasferito dalla sua cella alla saletta delle videoconferenze. durante il trasferimento avrebbe detto agli agenti  “Sono stati loro a venire da me, non io da loro”, questa frase sarebbe un riferimento al dialogo segreto che nel giugno del 1992 venne avviato da alcuni ufficiali del Ros con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, in merito alla trattativa Stato-mafia. L’altra frase che è stata inserita  in una relazione di servizio stilata da alcuni agenti del Gom, il gruppo speciale della polizia penitenziaria che si occupa della gestione dei detenuti eccellenti sarebbe stata “Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino”, in questo modo Riina sembrerebbe confermare le parole di Massimo Ciancimino, che ha descritto gli incontri riservati del padre Vito con l’ex comandante del Ros Mario Mori. Questa mattina, la relazione è stata depositata al processo per la trattativa, che si svolge nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo. Al momento i magistrati hanno deciso di non interrogare Riina, ma hanno preferito avere la conferma ascoltando gli agenti che hanno stilato la relazione, i quali hanno confermato il contenuto.

Ingroia svela la trattativa Stato-mafia.

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Una lunga confessione quella dell’ex pubblico ministero Antonio Ingroia a Der Spiegel sulla trattativa Stato-mafia. Secondo Ingroia gli accordi, intercorsi negli anni ’90, hanno cambiato il volto delle organizzazioni criminali che da organismi violenti sono poi stati trasformati in vere e proprie lobby affaristiche. E’ dispiaciuto Ingroia di non poter più essere il pm nel procedimento che vedrà sfilare sul banco degli imputati personaggi del calibro di Riina, Provenzano e Bagarella, ma anche politici come l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino?

”Quando indagavano ho capito che la procura non potrà mai arrivare alla completa verità sui colloqui tra governo e mafia. Ci sono forze politiche che lo vogliono impedire. Anche per questo ho scelto di candidarmi per il Parlamento”, così afferma l’ex magistrato senza troppi giri di parole.

Poi continua accettuando l’attenzione sull’importanza storica di questo processo:

“Questo non si è mai verificato prima d’ora nella storia del nostro paese. Inoltre viene dibattuto in un’aula di un tribunale ciò che è sempre stato smentito o taciuto, la trattativa tra criminalità organizzata e stato”.

Ma si riuscirà a far emergere qualche nuova verità?

“Ovviamente ho grande fiducia nella pubblica accusa, un team di colleghi molto competenti. Ma senza l’appoggio dell’intero paese, senza un’opinione pubblica che desidera conoscere la verità, appoggiandoli, loro potranno fare poco”.

E poi continua:

“Ci sono movimenti, per insabbiare le cose. Io spero che il processo vengano condotto in modo ragionevole e con la necessaria attenzione. L’atmosfera è molto tesa, ma ciò non deve impedire che il procedimento si svolga in modo prudente”.

E sulle intercettazioni tra il Capo dello Stato Napolitano e Mancino, Ingroia rimarca di non esser stato contento della loro distruzione, ma di rispettare la decisione:

“Quei colloqui non avevano una rilevanza penale. Politicamente forse sì, ma come pubblico ministero questo non mi interessava”.

Ma cosa contenevano quelle intercettazioni? L’ex Pm di Palermo risponde con una risata e afferma di aver mentalmente cancellato il loro contenuto.

La rivelazione di Ingroia invece avviene sul suo mentore e maestro Paolo Borsellino:  

”Dai testimoni oculari si è scoperto che Borsellino ne fosse a conoscenza (della trattativa Stato-mafia, ndr). Il magistrato ucciso il 19 luglio del 1992 aveva saputo di contatti tra i carabinieri e il sindaco di Palermo Ciancimino, uomo di collegamento dei corleonesi. Questa circostanza è stata sempre negata, ma alcuni pentiti hanno affermato che la mafia ha deciso di uccidere Paolo Borsellino proprio perché rappresentava un ostacolo a questo accordo. Spero che questo diventi chiaro ad alcuni”.

Ma chi ebbe l’idea della trattativa? Secondo l’ex magistrato non ci sono dubbi: Bernardo Provenzano.

“L’ho interrogato alcuni mesi fa. Non sta bene, ma ha sempre capito ciò che gli veniva comunicato, ascoltando in modo attento e concentrato”.

Secondo Ingroia però ormai è troppo tardi perché si possa davvero svelare la verità sulla trattativa tra mafia e stato:

“Temo che ormai quel treno sia definitivamente partito”.

Il caso Don Panino non si ferma più!

Don panino-austriaco-tuttacronaca

Ormai il caso di Don Panino è diventato internazionale. Anche se il locale di Vienna, ora è chiuso, il sito è stato messo offline dopo le polemiche, il tam tam invece continua e  grazie all’intervento di Sonia Alfano, ora è  sotto la lente del Parlamento europeo. ” Nessuno può fare affari offendendo le vittime della mafia. Ho ricevuto tantissime comunicazione di indignazione contro il locale di Vienna. E’ un’iniziativa scandalosa, che io ripugno” così ha argomentato l’Alfano, figlia di una vittima di mafia. Anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando si è mobilitato, così come la sorella di Giovanni Falcone e il fratello di Peppino Impastato, che ha minacciato una querela da 1 milione di euro.

 L’esperto di marketing, di origini italiane ma olandese di nazionalità, ora vivrebbe in Puglia, e ha preferito non rivelare il suo vero nome. “Non volevo offendere nessuno. Un cliente mi ha chiesto di lanciare un prodotto attrattivo, ed ho ideato la campagna di Don Panino seguendo questa indicazione. Non è colpa mia se all’estero si associa all’Italia solo la mafia, la pasta, la pizza e Berlusconi. A Vienna c’è una catena di parrucchieri che si chiama capelli mafia”. L’uomo ha poi contattato i proprietari del negozio di Don Panino, chiedendogli di rimuovere i nomi degli eroi dell’antimafia, Giovanni Falcone e Peppino Impastato, dalla lista del menu. “Non volevamo offendere nessuna di queste personalità, in alcun modo”.

Bisogna ricominciare forse a insegnare il senso civico sin dalle scuole elementari se non si trova offensivo usare il nome di Giovanni Falcone per un panino che sarà: “grigliato come un wurst” o Impastato definito “Siciliano dalla bocca larga fu cotto in una bomba come un pollo nel barbecue”.

I media pugliesi indicano infatti come probabili proprietari di Don Panino Julia e Marco Marchetta, due fratelli  tornati a vivere in Italia dopo essere nati in Austria,  che ora hanno deciso di vivere nella cittadina di San Donaci. I due smentiscono di essere i proprietari, ma la società è registrata proprio nel piccolo comune salentino. Il negozio Don Panino è stato chiuso, e mentre fino alla fine di settimana scorsa era possibile ordinare i panini dello scandalo via internet, ora invece anche il sito è finito offline. Resta aperta solo una pagina Facebook, più che altro per l’indignazione di chi vuole commentare una tale vicenda.

Alcuni italiani si devono sempre far riconoscere per la mancanza di stile in giro per il mondo? Così permetteremo sempre di farci irridere all’estero come popolo, perché siamo noi i primi a “mancare di rispetto” verso gli eroi del nostro paese e a rinnegare le nostre origini irridendole. Che vergogna!

Un altro locale nel mondo che celebra la malavita: Arte de Mafia

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Non bastavano le polemiche sul locale viennese “Don Panino”, dove il menu prevede piatti come Don Falcone e Don Peppino, oltre a una varietà di ricette ispirate ai boss mafiosi, in Argentina, a Palermo, c’è un locale dov’è possibile assaggiare “gli squisiti sapori della mafia”. Il posto è “Arte de Mafia”, ristorante italiano a Buenos Aires.

Il brand mafioso serve quindi per attirare clienti, celebrando i peggiori boss della storia, con piatti dedicati ai capi di Cosa Nostra (Provenzano, tra gli altri), ‘Ndrangheta e Camorra. Diversamente da “Don Panino”, qui i simboli dell’antimafia non vengono accomunati, nel menu, ai boss della malvita, ma è identica la spettacolarizzazione del fascino criminale. Un lettore de LiveSicilia pone al riguardo un interessante interrogativo: “Siamo certi che l’Argentina non protesterebbe con l’Italia se da noi un locale celebrasse, per dire, il dittatore Videla?”.

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Stupro per vendetta e minacce per farla abortire… la nuova mafia?

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Una storia di violenza e di aberrazioni quella che hanno coinvolto una donna, che chiameremo V. La vendetta è stata voluta e attuata da Giosuè Sessa, 36 anni, e Davide Pescatore, 30, affiliati alla costola di Arzano del clan Moccia, che ieri mattina sono stati arrestati dai carabinieri di Arzano.

Veronica è un nome inventato, per tutelarne la privacy. La sua storia no. È stata violentata più volte nella sua abitazione. Minacciata dimorte con una pistola. Ha affrontato una gravidanza frutto delle violenze subite. E poi è stata costretta ad abortire per cancellare le prove dei ripetuti stupri. La donna litigava troppo con il suo convivente, un affiliato che sembrava intenzionato a passare a un altro clan. Due cose che non potevano essere tollerate. Le liti potevano attirare l’attenzione delle forze dell’ordine e poi l’odore del tradimento del proprio clan non è neppure pensabile. Ed ecco che scatta la vendetta.

La donna viene stuprata almeno per 10 volte e lui subisce inerme quella violenza. Ma quella punizione inizia a girare, se ne inizia a parlare. Forse sono i nuovi metodi della mafia… ma ci sono ancora gli “uomini d’onore” quelli vecchia maniera che tali comportamenti non li tollerano. E poi si era superato il limite, uomini che fanno paura… ma stavolta l’aberrazione era più forte della paura e così grazie a un carabiniere che parla con tutti e che ascolta le mille voci, si decide di verificare se quella storia, che appare davvero incredibile possa avere un fondo di verità.  Purtroppo stavolta la realtà era ben più violenta del racconto. V. viene convocata in caserma, è terrorizzata e non vuole parlare, ma alla fine arrivano le prime ammissioni e i carabinieri ricostruiscono l’accaduto.

E’ marzo dell’anno scorso e Giosuè Sessa, accompagnato da Davide Pescatore bussano alla sua porta. Lei non apre, e i due spalancano la porta a spallate. Davide Pescatore le pianta la pistola in faccia. Giosuè Sessa, invece, le ordina lasciare in pace il suo convivente, di non fare più chiassate e di non andare dai carabinieri. Pena la morte. Poi la stupra. Per sfregio. Per farle capire che non vale nulla. Che la sua esistenza e nelle mani del clan e che serve solo per soddisfare gli uomini. Da lì una serie di violenze che non smettono neppure quando la donna scopre di essere incinta. Neppure quando li supplica di non violentarla più, di farlo almeno per quella vita innocente.  E’ proprio quando i suoi aguzzini scoprono che è incinta che invece si scatenano violenze ancora più brutali. Viene di nuovo minacciata di morte se non abortisce immediatamente. E lei ormai succube, lo fa. Il clan però non si ferma neppure alle minacce, iniziano a diffamarla. A dire che quella donna è una “poco di buono” e immediatamente la isolano all’interno del clan stesso. Il clan poi ordina al quartiere di ignorare V., nessuno si deve avvicinare, nessuno ci deve parlare. E lei arrivata dalla Sicilia ad Arzano per amore, si era trovata improvvisamente da sola e senza nessuno punto di appoggio. Una situazione creata ad arte e che ha consentito ai due arrestati di continuare per un anno le violenze fisiche e sessuali.
Ora  le violenze e le aberrazioni sono cessate, ma potrà mai V. tornare a una vita normale? Potrà di nuovo sognare un’esistenza felice? Questa è la nuova mafia?

Quello schifo di panino viennese fatto sulle vittime della mafia

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Si chiama “Don Panino” ed è un pub di Vienna che utilizza i nomi dei boss di Cosa Nostra, ma soprattutto delle vittime della lotta alla mafia per dare il nome ai suoi panini. Alcuni parlano di “cattivo gusto”, ma il fenomeno è molto più grave. Accanto al Don Corleone troviamo anche Don Falcone e Don Peppino (Impastato). Naturalmente il piatto che spopola poi è “pasta mafia”, ancora una volta per denigrare una delle grandi eccellenze alimentari italiane in ambito internazionale? Avvicinando la parola mafia alla pasta, gli austriaci hanno calpestato i grandi imprenditori italiani, coloro che grazie alla qualità dei nostri grani e all’esperienza di una tradizione alle spalle portano questo prodotto in tutto il mondo.

Ma il razzismo e l’offesa dei viennesi contro chi ha dato la vita per la lotta alla mafia non si ferma al nome, ma continua nella descrizione di ogni Panino. Così Don Peppino pesto, olive e pollo da 4 euro e 50 è descritto come  “Siciliano dalla bocca larga fu cotto in una bomba come un pollo nel barbecue”. La descrizione più agghiacciante è quella che descrive Don Falcone “Si è guadagnato il titolo di più grande rivale della mafia di Palermo, ma purtroppo sarà grigliato come un wurst”.

Molti cittadini italiani a Vienna hanno chiesto all’ambasciata di intervenire e stanno raccogliendo firme sulla piattaforma Causes per boicottare il pub, ma per il momento il “menù dell’orrore” è ancora disponibile presso il locale.

Qualcosa di agghiacciante su cui l’Europa dovrebbe intervenire immediatamente. E’ inconcepibile che si possa tollerare un affronto del genere agli uomini che hanno dato la vita per lottare contro la mafia e ora si ritrovano in un menù tra boss mafiosi e descrizioni oscene. E in attesa dell’Europa che cosa fa il nostro ministro degli esteri di fronte a un fatto di tale gravità e di così tanta volgarità? E il nostro presidente del Consiglio? Si dovrà muovere il Presidente Napolitano, presidente del Consiglio Superiore della Magistratura per togliere questo affronto a Falcone e Impastato? Come si permette l’ignoranza dei trogloditi a infangare gli italiani senza che alcuna voce si sia ancora mossa?

Lo chiede anche Michele Anzaldi del Pd “Chiedo al ministro degli Esteri Emma Bonino, di convocare al più presto l’ambasciatore austriaco affinché dia chiarimenti sulla vicenda del pub di Vienna pubblicata oggi su alcuni organi di stampa, che dileggia e offende oltre ogni limite la memoria delle vittime della mafia.  Nella lista figurano addirittura personalità della statura di Giovanni Falcone e storie di gioventù spezzata come quella di Peppino Impastato, commemorato proprio pochi giorni fa nell’aula di Montecitorio, in occasione dell’anniversario della sua barbara uccisione. Scherzare e offendere per fini commerciali la memoria di pagine drammatiche del nostro Paese, tuttora purtroppo ancora vive, non è cosa che ci si sarebbe aspettati da un paese civile come l’Austria. Si tratta di un grave incidente e  l’Italia deve pretendere scuse ufficiali e il ritiro immediato di qualunque scritta che possa offendere L’Italia e i familiari delle vittime”.

Nel menù compaiono anche:

Don Costello: il possente Calabrese amava ai suoi tempi gustose specialità come la porchetta

Don Greco: nato a Roma dopo la sua aderenza al Cosa nostra, sviluppò una predilezione per le melanzane grigliate (in realtà Michele Greco nacque  Croceverde-Giardina una frazione di Palermo, morì poi a Roma. Non sanno neppure mettere il luogo di data esatto?)

Don Buscetta: l’uomo che diede una gloria ambigua a Palermo, aveva una predilezione per le verdure grigliate vegetariane, ma fatte ad arte secondo lo stile siciliano.

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