ORRORE E SHOCK: 55 resti di bambini, seviziati e uccisi

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Non è l’ultima produzione di Hollywood purtroppo, ma l’horror stavolta viene da un riformatorio in Florida, la Arthur G. Dozier School for Boys di Mariana, dove alcuni ricercatori avrebbero ritrovato i resti di 55 bambini e adolescenti, morti fra il 1920 e il 1950. La notizia del ritrovamento fornita dal Wall Street Journal fa davvero rabbrividire: sevizie e maltrattamenti operate sistematicamente sui minori fino alla morte. Quello che doveva essere un’istituzione che curava i minori in difficoltà è diventata per molti di essi un vero e proprio incubo. Su questo riformatorio, aperto nel 1900 e chiuso nel 2011, è in corso un’indagine per maltrattamenti, percosse, stupri su bambini anche costretti ai lavori forzati, ma i responsabili dell’istituto hanno sempre negato ogni coinvolgimento. E le autorità non sono state sinora in grado di provare che le morti sono attribuibili al personale.

 

L’oceano di scorie nucleari, l’agghiacciante racconto di un marinaio

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I media in lingua inglese sono stati assaltati dopo il racconto pubblicato da un n marinaio, Ivan Macfadyen, che ha ripetuto la traversata del Pacifico effettuata dieci anni fa. Allora fra l’Australia e il Giappone bastava buttare la lenza per procurare pranzo e cena succulenti. Stavolta in tutto due sole prede. Dal Giappone alla California, poi, l’oceano è diventato un deserto assoluto formato da acqua e rottami. Uno dei pochissimi esseri viventi incontrati dal Giappone alla California era una balena che sembrava in fin di vita per un grosso tumore sul capo. Niente uccelli marini, solo vento e detriti che sbattono sulla chiglia e quei detriti sono ancora le conseguenze del tragico tsunami che colpì nel 2011 il Giappone e che provocò il disastro nucleare di Fukushima. Il Wall Street Journal, che sulla vicenda ha avviato un’inchiesta, reputa ci siano dai 29 ai 60 siti di sversamento di scorie non esattamente definite. A cosa sono dovuti? A quella pratica, operata più di 40 anni fa, di gettare nelle acque dell’oceano le scorie radioattive. Gli Stati Uniti si trovano ancora oggi a doverne affrontare le conseguenze come testimoniano la presenza di decine di migliaia di barili carichi di rifiuti nucleari nei fondali delle sue coste. Questi sono i rifiuti degli esperimenti che venivano realizzati per creare le armi atomiche e per sostenere la Guerra Fredda.

Una legge della California del 1983 ordinava test annuali sui pesci per tenere sotto controllo l’impatto sulla fauna; ebbene nell’unico effettuato risultò che i pesci pescati fino a 100 chilometri dal maggiore sito di deposito scorie al largo della California, presentavano tracce di Americio, un elemento metallico radioattivo derivato dal plutonio. Inoltre, sui fondali nei pressi dei barili carichi di rifiuti, il livello di plutonio era 1000 volte maggiore di quello normale. Dal marzo 1999 è diventato operativo Il Wipp (Waste Isolation Pilot Plant), questo il nome della discarica atomica; si trova a Carlsbad, nello Stato del New Mexico, in una miniera di sale a 700 metri sotto terra . L’impianto, capace di accogliere 175.600 metri cubi di rifiuti transuranici, il cui intero trasferimento potrà essere completato prima del 2034. La messa in sicurezza del deposito sarà completata nel 2039. Solo tra più di un secolo, nel 2134, cesseranno, infine, i controlli attivi.

Un vero e proprio oceano di rifiuti, stando quindi a quanto i media e il marinaio hanno raccontato, i cui danni non si cancellano certo in pochi anni. Ma non è solo l’Oceano a essere inquinato basti pensare al rapporto in Francia che è uscito su Il Fatto Quotidiano il 13 luglio 2012:

Una montagna di rifiuti incombe sulla Francia. Per la precisione scorie radioattive. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Andra, l’agenzia pubblica francese, che gestisce questo tipo di rifiuti nel Paese che più in Europa ha puntato sull’atomo. Alla fine del 2010 (sono i dati più recenti), i depositi ad hoc per questi materiali contenevano già 1,3 milioni di metri cubi di scorie radioattive. Ed è un quantitativo destinato a raddoppiare da qui al 2030, se la produzione di energia nucleare continuerà allo stesso ritmo.

E il problema francese non può non riguardare l’Italia visto che le due nazioni confinano e la diffusione delle scorie, se non correttamente trattate, può essere devastante.  Durante la campagna Hollande aveva ammeso di voler gettare le basi per portare la quota di elettricità prodotta grazie al nucleare dal 75% attuale al 50% all’orizzonte del 2025, ma sembra che tale promessa al momento non ha trovato un riscontro valido nei fatti.

“La stella della sinistra italiana”

matteo-renzi-tuttacronacaIl Wall Street Journal guarda all’Italia e dedica un articolo a Matteo Renzi, la “stella della sinistra italiana che ascende nelle primarie”. Il primo cittadino di Firenze, scrive il quotidiano finanziario, “è destinato a prendere il centro del palcoscenico della politica italiana”. La sua ascesa “potrebbe causare nuovi problemi al governo Letta”, al quale il nuovo leader del Pd chiede di “accelerare il passo delle riforme”. Il Wsj, dopo avere riassunto alcuni dei punti chiave del programma proposto da Renzi, ricorda che il sindaco di Firenze ha guadagnato consenso “in un momento di disgusto generalizzato per la classe politica” che ha dimostrato “scarsa capacità” nel dare risposta ai gravi problemi degli italiani. Ancora, il quotidiano scrive che il “traballante” governo Letta “non può permettersi di ignorare Renzi”, perché pur avendo “guadagnato un po’ di forza” dall’uscita dalla maggioranza di Silvio Berlusconi, il premier “ha una maggioranza risicata in Parlamento e dipende dal sostegno del Partito democratico”.

Ma il WSJ non è stato l’unico giornale straniero a parlare dell’ascesa del sindaco di Firenze, la notizia è rimbalzata in molte prime pagine:

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La stabilità di Letta raccoglie critiche nel mondo? “si rischia il cimitero”

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Secondo il Wall Street Journal la stabilità di Letta rischia  di portare l’Italia a una stabilità simile a quella del cimitero. Almeno questa è l’ipotesi ventilata dall’articolo in cui si legge anche che L’Italia “ha fatto più progressi di ogni altro nel ripianare il proprio bilancio” ha bisogno di riforme, che l’attuale governo non riesce a portare avanti perché “appare paralizzato”.

Il Paese si trova di fronte a tre scenari: il primo è quello di un governo “senza catene” in grado di lanciare le riforme; il secondo è che il successo di Matteo Renzi alle primarie del Pd costringa il governo Letta “ad accettare nuove elezioni per arrivare ad un governo di maggioranza” che possa agire con maggiore autonomia; il terzo è che Renzi non riesca a “soppiantare” Letta, che ha “il sostegno parlamentare del proprio partito e del capo dello Stato Giorgio Napolitano“, e che i due vengano trascinati “nella loro amara rivalità” portando a un nuovo stallo politico che ostacoli le riforme”. In questo quadro, scrive il Wsj, “non sorprende che molti italiani temano che la stabilità che offre Letta si scopra essere quella di un cimitero”.

Meno di una settimana fa, il Wall Street Journal aveva duramente criticato l’enorme pressione fiscale italiana a causa della quale la fatidica ripresa diventa una chimera irragiungibile. L’Italia si distingue in Europa per la sua dipendenza dalle tasse sul lavoro, pagate da imprese e dipendenti, per finanziare il sistema pensionistico, scriveva il quotidiano a stelle e strisce, spiegando che “l’esborso per le pensioni di anzianità rappresenta circa il 13% del Pil, ossia un terzo più alto rispetto alla Germania e il doppio rispetto agli Usa, secondo i dati Ocse”. “L’assurdità è che un lavoratore italiano costa più di uno spagnolo ma ha uno stipendio più basso”.

Ecco la fotografia del nostro Paese all’estero? L’Italia è una tomba?

 

Allarme tasse, è il Wall Street Journal a puntare il dito contro l’Italia

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Lo dice a chiare note il Wall Street Journal: “Le tasse in Italia distruggono la ripresa” e poi aggiunge ”Con una economia che stenta a ripartire ed una disoccupazione a livelli record, il peso delle tasse in Italia potrebbe distruggere le prospettive di ripresa”. Questo è quanto stamattina ha pubblicato in un editoriale dedicato al modello fiscale italian il Wall Street Journal. Il giornale Usa sottolinea che proprio “l’enorme peso delle tasse” su aziende e lavoratori è una delle principali cause per la scarsa crescita dell’Italia negli ultimi dieci anni, addirittura “la più bassa tra i 34 Paesi dell’area Ocse“.

Il quotidiano a stelle e strisce, spiega poi che “l’esborso per le pensioni di anzianità rappresenta circa il 13% del Pil, ossia un terzo più alto rispetto alla Germania e il doppio rispetto agli Usa, secondo i dati Ocse“. “L’assurdità è che un lavoratore italiano costa più di uno spagnolo, ma ha uno stipendio più basso”, dice al giornale Riccardo Illy. Secondo Paolo Manasse, professore di economia all’università di Bologna, il governo dovrebbe tagliare altri 30 miliardi di euro di tasse sul lavoro per essere in linea con la media Ocse. “L’Italia ha davanti a sé un compito spaventoso”, dice al Wsj Manasse.

Il carico fiscale totale per l’impresa nel nostro Paese si conferma il più alto d’Europa, pari al 65,8% dei profitti commerciali, e l’Italia scende di 7 posizioni rispetto all’anno scorso nella classifica mondiale del carico fiscale, posizionandosi al 138esimo posto, rispetto a 189 economie prese in esame.

Dove sta la ripresa? Con il contagocce?

Effetto crisi: sempre più italiane al lavoro

donne-lavorano-tuttacronacaE’ il Wall Street Journal a parlarci di come sta cambiando il panorama lavorativo in Italia dove, anche a causa della crisi economica che fa perdere il lavoro a molti uomini, sono sempre di più le donne che riescono a trovare un lavoro e mantengono così la famiglia. Il fenomeno, conosciuto come “mancession”, mostra come non solo più donne riescano a mantenere il proprio posto, ma decine di migliaia di donne si stanno riaffacciando al mondo del lavoro. Tra gli esempi offerti dal WSJ, la storia della 30enne Anna Durante, che aveva lasciato il lavoro alla nascita della sua primogenita ma che quando il marito è stato licenziato da un laboratorio di parrucchieri ha ripreso in mano il titolo di studio da infermiera e ora lavora per una cooperativa che assiste disabili a Casoria, vicino Napoli, mentre il marito è tutt’ora disoccupato. “Per le mie figlie sono sia mamma sia papà. Faccio tutto”, ha spiegato al giornale. Non è l’unico esempio, sono decine di migliaia i casi di donne che riprendono i posti abbandonati anni fa. La crisi, almeno in Italia, sta contribuendo ad alzare la media impiegatizia delle donne, un dato al momento tra i più bassi di tutto l’Occidente. E la cosa, ovviamente, avrà riflessi anche sul lungo periodo. In Italia, soprattutto al sud, si fa spesso i conti con l’influenza culturale che vuole le donne destinate a prendersi cura della casa e della prole mentre gli uomini sono dediti al mantenimento della famiglia. Ma la crisi ha ribaltato i ruoli in molti casi. Come spiega la 35enne napoletana Isabella Esposito, madre di due bambini: “All’inizio era come se il mondo si fosse capovolto. Mio marito perse il suo lavoro da guardia giurata ed io sono tornata a lavorare in un salone di bellezza. Non avevo alcuna alternativa”. In Italia la percentuale di donne lavoratrici è del 50 per cento, contro una media europea rilevata da Eurostat del 62 per cento. Tale percentuale in Svezia è del 76,8 mentre in Germania è del 71,5 per cento. Ma le donne devono fare i conti con la maternità, anche a causa di questa mentalità che contribuisce ad impedire l’emancipazione femminile: il nove per cento è stato licenziato solo perché aspettava un bambino mentre fino al 2012, da quando è diventata illegale, venivano fatte firmare delle dimensioni in bianco. Le donne italiane poi godono di una scarsa attenzione da parte dei mariti o dei compagni per quanto riguarda il lavoro casalingo. Mediamente la differenza nell’impegno da parte dei due sessi è di 3,7 ore maggiore per le donne, contro una media calcolata dall’Ocse di 2,3 ore. Sempre l’Ocse ci propone un altro dato che parla della percentuale di bambini sotto i tre anni che frequentano l’asilo nido. In Italia sono il 24 per cento contro una media del 33%. Ma quello che viene a modificarsi nel mondo del lavoro, come spiega un’economista della Banca d’Italia, Magda Bianco, è che le donne stanno guadagnando sempre più potere. I settori maggiormente in espansione sono quelli legati al servizio civile, alla sanità ed ai servizi alla famiglia, ovvero quelli che hanno resistito maggiormente alla crisi, mentre sono in calo i servizi di pulizia. Già il governo Monti aveva incoraggiato l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro attraverso voucher che garantissero alle madri un contributo mensile per il sostegno dei figli anziché il congedo parentale. oltre ad aumentare l’età pensionabile per le donne, passato dai 62 del 2012 ai 66 del 2018, fatto che ha portato ad un’aumento della domanda d’impiego da parte delle over 50. Non va poi dimenticato che sono sempre più le donne che cercano un impegno full time mentre sono un terzo le donne lavoratrici che fanno solo mezza giornata, ritenuto un compromesso tra impiego e famiglia. Il desiderio di un impegno full time deriva spesso anche dalle difficoltà economiche familiari, come spiega il caso della 39enne romana Fabrizia Mancini, madre di tre figli, che due anni fa è tornata a lavorare part time nell’agenzia pubblicitaria dov’era impiegata prima della nascita del terzo figlio. Oggi però deve fare tutta la giornata perché il marito non riceve più lo stipendio dalla sua azienda, ora in crisi. E sarà appunto la crisi a salvare le donne anche in luoghi di comando. E’ stato sempre il governo Monti a introdurre una norma che impone che un terzo dei consigli delle aziende pubbliche sia composto da donne, con una scadenza fissata nel 2015. Molto resta ancora da fare, ma si tratta di un importante primo passo.

Financial Times contro Letta: “il passo falso”, forse però è una “caduta libera”

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Il Financial Times lancia critiche taglienti al Premier italiano Enrico Letta per l’operazione Alitalia e con l’editoriale dal titolo “Il passo falso di Letta” accusa il Governo italiano di far riemergere il protezionismo economico in Italia. Ma il Financial Times non è l’unico a puntare il dito contro Letta, c’è infatti anche il Wall Street Journal, secondo il quale la vicenda Alitalia “incarna il fallimento della politica industriale” nel nostro paese.

E così l’esecutivo diventa nervoso! Ma più che “un passo falso” quello di Letta sembra una “caduta libera”. Una serie di dichiarazioni contraddittorie che sgombrano il campo dal “protezionismo” ma parlano anche di “accompagnare al meglio Alitalia  verso l’integrazione con un partner straniero”. Quindi l’Alitalia sarebbe condannata, ma il Governo fa l’ultimo regalo e mette soldi pubblici per far diventare la linea aerea straniera? No, assolutamente… Alitalia sarà italiana con uno sguardo all’estero, una spruzzatina di “rotacismo” e tanto giallo di Poste Italiane! Insomma un minestrone che non convince molto all’estero.

Tanto che  il Finacial Times non sente ragioni e continua a citare anche le vicende di Telecom Italia e Finmeccanica e si arriva ad asserire che ” Con l’ingresso/salvataggio delle Poste – secondo il quotidiano della City – “si ripete lo stesso errore commesso nel 2008, organizzando una soluzione che manterrà  la compagnia in mani italiane”.

Ma “la logica dietro a questa operazione è confusa”, “sarebbe meglio vendere la società a un operatore straniero”, tra cui Air France ovviamente. Ma soprattutto, secondo il Ft, questo risorgere del protezionismo industriale “getta un’ombra sulla sincerità  di Enrico Letta. Il presidente del Consiglio ha detto di voler attrarre investimenti esteri. La strategia su Alitalia manda un messaggio contraddittorio. Dire di essere aperti è facile. Ma quello che conta – conclude il Ft – è esserlo veramente quando una compagnia straniera bussa alla porta”.

E come afferma l’Huffington Post riprendendo le parole del Financial Times:

Nel criticare la scelta dell’esecutivo, il quotidiano economico ricorda quel che è accaduto cinque anni fa. “L’azienda stava andando in bancarotta, quando l’allora primo ministro Silvio Berlusconi si oppose fermamente a un’offerta di acquisizione da parte di Air France-KLM, insistendo sul fatto che la compagnia doveva rimanere italiana”. Di qui la decisione di vendere il vettore a un gruppo di imprenditori italiani, “la maggior parte dei quali – sottolinea il Ft – non aveva alcuna esperienza nel settore dell’aviazione”. Il resto è storia. “Il tentativo di rimettere la compagnia in buona salute fallì, e ora Alitalia si trova di nuovo sull’orlo della bancarotta”.

E il governo italiano – di fronte a questo refrain – cosa fa? Sceglie, secondo il Ft, di “ripetere lo stesso errore commesso nel 2008”, facendo spuntare dal cilindro “una soluzione che farebbe restare la compagnia in mani italiane”: l’operazione Poste Italiane, “società di proprietà  del governo” il cui core business – a rigor di logica – non ha nulla a che spartire con l’aviazione.

Alla stroncatura del Financial Times si accompagna quella del Wall Street Journal, che non è molto più morbido nel giudicare la scelta dell’esecutivo, né nel definire Alitalia come “il simbolo nazionale che generazioni di politici hanno cercato di proteggere”. Un simbolo – attacca il Wsj – il cui ritorno all’insolvenza incarna il fallimento della politica industriale in Italia”.

“La prolungata recessione economica – sottolinea il quotidiano economico Usa – ha esacerbato la mancanza di competitività di molte aziende” italiane, “già svantaggiate da un enorme peso fiscale, complicatissime leggi sul lavoro, alti costi energetici e ingerenze politiche. E così la base industriale del paese si sta erodendo man mano che settori una volta brillanti, come l’acciaio, l’auto o la componentistica, tagliano posti e spostano le produzioni all’estero. Alitalia – conclude il Wsj – ne è l’esempio più eclatante”.

Enrico Letta sta perdendo smalto a livello internazionale? E’ in caduta libera?

L’Italia un “vaso rotto”? Il Pil continua a calare… record negativo!

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Secondo trimestre del 2013 ennesimo dato negativo ed è l’ottavo consecutivo. L’Istat comunicando il dato ricora che un’analoga situazione non si è mai verificata dall’inizio delle serie storiche, a partire cioè dal primo trimestre 1990. L’istituto di statistica evidenza anche come tutti i settori economici che contribuiscono al Pil siano col segno meno: in particolare vanno giù agricoltura, industria e servizi. Il calo è del -2% su base annua.

Ma poi si dovrebbe “gioire” se si vede la produzione industriale di giugno che fa segnale un +0,3.  Rispetto a giugno 2012, il dato (corretto per gli effetti di calendario) resta negativo, -2,1%

Ci sarà davvero la ripresa? Quello che lascia perplessi è che tutti i settori fanno segnare un calo, non vi è quindi un comparto che possa spingere l’indotto a risollevarsi. Non tirano i servizi, né l’industria… ma anche l’agricoltura che poteva essere davvero il nuovo motore, ammesso che si riconvertisse al biologico e al km 0, sembra non avere le risorse necessarie per rinnovarsi. Il quadro appare quindi quantomeno stazionario in quelle nicchie economiche che ancora non sono in calo, ma che non riescono, data la scarsa disponibilità di risorse e i prestiti bloccati dalle banche, ad alzare la testa. Mai come ora servirebbe avere il coraggio di investire, ma chi vuole rischiare i capitali in un quadro internazionale depresso e un clima politico italiano in bilico?

Pil in calo e la stampa estera critica gli stipendi troppo alti

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Il Pil è in calo… anzi è in ormai in fondo a un precipizio! E cosa accade? C’è chi come il  Wall Street Journal critica i salari: “stipendi troppo alti in Italia e Francia hanno eroso la competitività dei loro prodotti sui mercati globali”.

Ma analizzando i dati del Pil secondo quanto ha dichiarato l’Istat  “il calo congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nei comparti dell’industria e dei servizi e di un aumento nel settore dell’agricoltura”. Cosa è successo ancora una volta al nostro Pil?

L’industria e il terziario non tirano più. Bisogna trovare nuove nicchie di mercato. Non possiamo essere competitivi su una merce dozzinale o sulla bassa qualità, dovremo invece esserlo nei cosiddetti beni di lusso… su quei prodotti che da sempre sono le nostre eccellenze. Perché l’agricoltura, ad esempio il bio, sta facendo segnare dati positivi? Perché le richieste dei consumatori stanno cambiando mentre le industrie e il terziario sono settori in cui non si è più investito e continuano a produrre merce ad alto costo che non è più competitiva sul mercato invaso dal low budget asiatico. Il nostro Pil quindi risente oltre che della crisi finanziaria di un problema strutturale legato a processi produttivi troppo rigidi che continuano a immettere prodotti obsoleti. Il terziario che doveva essere l’asso nella manica dell’Italia è diventato un boomerang quando è andato in crisi di idee… i servizi anche qui non vanno più incontro ai cittadini… sembra che offerta e domanda abbiano preso due rette parallele che non si incontreranno mai!

Se prendiamo il comparto dell’alta moda, che è uno dei pochissimi settori che nonostante la crisi continua a dare segnali positivi, vedremo che la ricerca di nuovi tessuti, di nuovi tagli, di integrare culture diverse ha generato quel circolo virtuoso che si è concretizzato in un profitto. Quindi qui si è riusciti a far incontrare domanda e offerta!

Può essere quindi che il Pil risenta di due componenti, una crisi economica e una crisi di idee? Può essere che la ripresa economica deve  essere accompagnata da un attento ascolto alla domanda? Ma dove prendere i soldi per la riconversione industriale che può portare alla produzione di beni davvero redditizi? Magari dai fondi europei che l’Italia non ha mai sfruttato fino in fondo…  Serve quindi, investire su idee giovani!!!

E’ guerra? Inviato sistema missilistico in difesa di Guam.

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Gli Usa hanno deciso di intevenire nella controversa situazione tra le due Coree. Dagli Stati Uniti è in arrivo  un avanzato sistema di difesa missilistico per difendere le basi militari americane nel Pacifico.

L’obiettivo è quello di proteggere contro missili a breve e medio raggio dalla Corea del Nord. Guam è divenuta una delle maggiori basi militari americane in Asia. Il dispiegamento, a titolo «precauzionale», avverrà nelle «prossime settimane». Il primo sistema THAAD avrebbe dovuto essere dispiegato nel 2015, ma le tensioni nella penisola coreana starebbero modificando i piani. Secondo indiscrezioni, alcuni nel Pentagono avrebbero voluto dispiegare il primo sistema THAAD in Medio Oriente per difendere Israele e gli altri alleati americani dai missili iraniani. La decisione – riporta il Wall Street Journal – segnale come il Pentagono ritenga la Corea del Nord come la minaccia più grande e potenzialmente più duratura per gli Stati Uniti e i loro alleati. Gli Stati Uniti hanno due sistemi THAAD a Fort Bliss in Texas, che sono pronti a essere usati ma è essenziale – riporta il Wall Street Journal – al Pentagono si ritiene essenziale lasciarne uno di riserva per le emergenze.

ATTENZIONE: la Spagna approfitta della crisi italiana!

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Sembra proprio di sì. L’economia spagnola, la più problematica dell’eurozona insieme alla Grecia, sta beneficiando dei capitali degli investitori che preferiscono titoli di debito più affidabili, in questo momento, rispetto a quelli italiani.

Il Wall Street Journal sottolinea come l’ultima asta dei titoli di stato spagnoli abbia avuto una significativa forza simbolica. Il volume era piccolo, visto che in questa asta speciale il governo di Madrid ha emesso solo 800 milioni di euro, molti meno rispetto ai 2 miliardi stimati da alcuni analisti. Nonostante questo però la richiesta per i bond con scadenza tra il 2029 ed il 2041 è stata piuttosto consistente, e il tasso di sottoscrizione ampio. Inoltre, le rendite offerte da questi bond sovrani sono scesi. L’analista di Rabobank Lyn Graham-Taylor ha rimarcato al Wsj come il risultato debba essere considerato “solido”. Per quanto riguarda i titoli di stato italiani è successo invece l’esatto opposto. All’asta di mercoledì la domanda per i bond a lunga scadenza offerti dal nostro governo si è scontrata con una richiesta contenuta, ed anche per questo la rendita è aumentata per incontrare le sottoscrizioni degli investitori. Come rimarca il quotidiano finanziario, da alcuni tempi, sostanzialmente coincidenti con il risultato delle nostre elezioni, la Spagna ha messo nell’ombra l’Italia.

Il favore degli investitori si sta gradualmente spostando da Roma verso Madrid, come dimostrato anche dalla scelta del governo iberico di organizzare un’asta speciale al di fuori del calendario di emissioni. La Spagna si tiene questo jolly, per utilizzarlo quando le circostanze del mercato son ofavorevoli. E il punto nel quale l’asta è stata organizzata non è stato casulale, evidenzia il Wall Street Journal. Infatti in questo momento gli investitori sono in ansia per l’esito inconcludente delle trattative tra i maggiori partiti del nostro paese, incapaci di formare un governo stabile, o quantomeno funzionante nei prossimi mesi. La Spagna in questo momento rappresenta un’alternativa più rassicurante agli operatori finanziari in cerca di rendite maggiori rispetto ai titoli di stato o altri bond corporate delle maggiori multinazionali. Le obbligazioni di lungo periodo dei titoli considerati più solidi offrono rendimenti negativi, ovvero chi le contrae deve sostanzialmente pagare lo stato o la società per il “beneficio” di parcheggiare i propri soldi in tempi di crisi.

La Spagna in questo momento è messa peggio, a livello economico, rispetto all’Italia. La recessione dura da più tempo, la disoccupazione è assai più elevata, il deficit più ampio. Madrid però in questo momento sembra un “tesoro” di stabilità rispetto a Roma, nonostante gli scandali di corruzione che hanno colpito il Pp del premier Rajoy. Il leader della Spagna conta su una solida maggioranza al Congresso iberico, mentre in Italia nessuno sa ancora chi governerà. Questo influenza molto le strategie degli investitori, come mostra l’andamento delle rendite dei titoli di stato di questi due paesi. A febbraio la differenza tra i bond decennali era superiori agli 80 punti base, mentre negli ultimi giorni il gap iberico si è ridotto sensibilmente, sfiorando un sostanziale pareggio. Se il trend continuerà, a breve la Spagna ci dovrebbe superare. Anche un altro numero è impressionate. Con l’asta speciale la Spagna ha coperto il 30,6 del suo fabbisogno finanziario per il 2013. Anche la media della scadenza dei bond iberici lascia respirare tranquilla Madrid: a fine febbraio era di 6,39 anni, ora è scesa a 6,35.

Hotel a moduli targato Ikea, il primo entro l’anno a Milano!

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Aprirà entro la fine dell’anno a Milano il primo hotel nato dall’inedita alleanza fra Marriott e Ikea. La joint venture prevede la realizzazione di una nuova catena di hotel, in tutto 50 alberghi economici, che nei prossimi cinque anni dovrebbero sorgere in Europa. Lo riporta il Wall Street Journal, sottolineando che l’alleanza dovrebbe essere annunciata oggi. La filosofia della catena alberghiera sarà la stessa che ha garantito il successo dei mobili Ikea: prodotti economici ma con un bel design, insomma «cheap-but-cool». E gli hotel punteranno proprio ad offrire un’accoglienza di stile e calorosa, ma a prezzi contenuti. Target di riferimento chi viaggia per affari e i turisti «low cost» che però non rinunciano a un certo tipo di comfort. Harald Mueller, dirigente Ikea e responsabile del progetto, ha spiegato al quotidiano svedese Svenska Dagbladet il piano e ne ha descritto la strategia: «Stiamo cercando da tempo immobili in tutta Europa. Elimineremo tutto ciò che è superfluo, come ad esempio i ristoranti, al posto dei quali metteremo una buona colazione, Internet ad alta velocità e una reception efficiente senza formalità da adempiere quando si lascia l’albergo».

La catena si chiamerà Moxy e Ikea vi investità 500 milioni di dollari. Stando al progetto, gli hotel saranno aperti vicino a centri dirigenziali, aeroporti, stazioni ferroviarie e della metropolitana. Di 150-300 camere, avranno come principale target quello dei giovani.
Gli hotel non avranno mobili o il design tipico di Ikea che, invece, propone nuove tecniche di costruzione per contenere i costi, quali ad esempio l’utilizzo di moduli prefabbricati da assemblare, questi sì, proprio come i noti mobili svedesi.

Attacco hackers: Cina si discolpa e spunta la pista dell’est Europa

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Non sarebbe partito dalla Cina, ma forse dall’est Europa l’attacco degli hackers contro Twitter, Facebook e Apple. Dopo che la Cina ha negato qualsiasi suo coinvolgimento nella vicenda ed escluso che una cellula segreta dell’esercito cinese avesse messo a punto l’attacco informatico agli Usa, il dito si sposta verso l’Est Europa. Geng Yansheng, ha dichiarato che le forze armate cinesi non hanno mai appoggiato alcun attacco informatico, aggiungendo anzi che le leggi cinesi vietano qualsiasi attività che possa violare la sicurezza informatica. La denuncia contro Pechino è arrivata dalla società americana di sicurezza informatica Mandiant che, in 75 pagine, ha spiegato come i membri dell’Unità 61398 – corpo scelto dell’esercito cinese con sede a Shanghai – abbiano rubato dati e creato problemi ad industrie di ogni genere. Il portavoce del ministero cinese ha puntualizzato che il rapporto di Mandiant è da considerarsi privo di fondamento in quanto conclude che l’attacco informatico è venuto dalla Cina solo attraverso la scoperta del collegamento con indirizzi Ip in Cina.  “Per prima cosa – ha detto Yansheng – è noto a tutti che l’usurpazione degli indirizzi Ip altrui sia un metodo che viene utilizzato per condurre attacchi informatici. Accade ogni giorno. In secondo luogo non vi è stata alcuna definizione chiara e coerente su che cosa si intenda per attacchi informatici. Infine l’attacco cibernetico è transnazionale, anonimo e ingannevole e la sua vera fonte è spesso difficile da identificare”.

Apple in ogni modo rassicura che il numero di Mac dei suoi dipendenti colpiti dall’attacco è “limitato” e. non vi sono nemmeno le prove che “dati riguardanti Apple siano stati rubati”. Sul sito AllThingD del Wall Street Journal, la Apple “è in contatto con le forze dell’ordine nel tentativo di trovare la fonte della violazione al sistema”. Il gruppo di Cupertino ha anche aggiunto che renderà disponibile online un software per i Mac, dove è installato Java, che impedisca ai clienti di essere colpiti da attacchi informatici simili.

Il Papa si toglie qualche sassolino dalla scarpa?

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La cupola di Michelangelo è il cielo che veglia sul Papa dimissionario che celebra il rito delle ceneri. Queste le parole che risuonano come monito a tutta la Curia: “Il volto della Chiesa è a volte deturpato da divisioni e colpe” contro la sua stessa unità. Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo. La dimensione comunitaria – ha spiegato il Papa – è un elemento essenziale nella fede e nella vita cristiana. Cristo è venuto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Il ‘Noi’ della Chiesa è la comunità in cui Gesù ci riunisce insieme: la fede è necessariamente ecclesiale. E questo è importante ricordarlo e viverlo in questo tempo della quaresima: ognuno sia consapevole che il cammino penitenziale non lo affronta da solo, ma insieme con tanti fratelli e sorelle, nella Chiesa”.

Basta individualismi  e rivalità e più unità, questo il desiderio di un Papa che lascia… e forse non solo per l’età!

Il dilemma di Benedetto XVI!

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Herbie Brennan, nel 1978, in un racconto, ipotizzava che un Papa, Benedetto XVI, sarebbe stato l’unico in grado di fermare il feroce dittatore Victor Ling nella sua ascesa al potere nella nazione di Anderstraad. Il Papa, nel racconto, sarebbe stato preso da una visione mistica che lo incitava ad attaccare Ling. Il Pontefice, però, ha uno scrupolo di coscienza e chiede il parere di un medico che deve stabilire se Benedetto XVI è sano o no di mente. Il racconto fu pubblicato nel ’77 negli Stati Uniti, nel ’78 in Italia, (collana “Urania”) anno di elezione di Giovanni Paolo II.

 

Dimissioni del Papa? L’America le vede così!

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Tra gallerie fotografiche, articoli ed editoriali i quotidiani Usa sono pieni di notizie su Benedetto XVI. Soprattutto l’attenzione si posa sulle luci e ombre del Papato di Joseph Ratzinger e sul suo successore.

”Il Papato dopo Benedetto”, e’ il titolo dell’analisi del Wall Street Journal, secondo il quale Ratzinger lascia ”una ricca eredita’ di fede ma anche una fallimentare burocrazia vaticana”. Per il Wsj un papa ”intellettualmente forte come Benedetto puo’ stabilire nobili obiettivi e articolarli con forza ed eloquenza, ma tutto cio’ diventa inutile se il Vaticano e’ incapace di portare a termine le intenzioni del pontefice, perfino indebolendole”.

E in un altro articolo il Wsj si sofferma sui candidati alla successione, citando il cardinale Angelo Scola tra i favoriti, ”figura d’alto profilo nella Chiesa e anche con esperienza nel dialogo interreligioso”.

”Un mandato turbolento per uno studioso tranquillo” e’ invece il titolo del New York Times, secondo il quale durante il papato di Benedetto XVI la Santa Sede ”e’ carambolata da una crisi all’altra”. E per questo ”sia i supporter che i detrattori” di Ratzinger, ”hanno salutato pressoche’ universalmente il passo come un momento di grazia, apparendo quasi alleviati nel vedere la fine di un viaggio molto turbolento”.

Il Washington Post, in un’analisi, si sofferma invece sul futuro pontefice e titola ”Quanto sara’ moderno il nuovo papa”, citando anche lui tra i papabili il cardinale Scola, poi il canadese Marc Ouellet, il ghanese Turkson e l’arcivescovo di New York Timothy Dolan. Di certo, sottolinea il Wp, ”la piu’ alta priorita”’ del nuovo pontefice ”dovra’ essere rendere i cattolici nuovamente evangelizzatori”.

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