Giovannini: “I giovani devono accettare anche i lavori manuali”

Giovani-e-lavoro-tuttacronacaE’ Enrico Giovannini, ministro del Lavoro, a spiegare che i giovani devono accettare anche i lavori manuali. “Ai giovani ricordo che la formazione è fondamentale – afferma parlando in alcune trasmissioni televisive -: chi studia di più ha più possibilità di trovare un lavoro”. Però, aggiunge, “occorre che i giovani accettino tutte le esperienze di lavoro, forse la prima esperienza non sarà al livello di quanto studiato ma bisogna accettare anche i lavori manuali, come l’artigianato”. Nessuna paura, da parte del ministro, che i giovani partano alla volta dell’Europa per cercare un impiego: “Andare a cercare lavoro nell’Unione europea è naturale – dice – ma ci sono molte possibilità anche in Italia. Ogni trimestre oltre 500 mila persone sono assunte a tempo indeterminato”. A inizio ottobre, lo stesso ministro aveva bollato i giovani italiani come “inoccupabili”. Aveva infatti detto: “L’Italia- esce con le ossa rotte dai dati dell’Ocse: dati che ci mostrano come gli italiani siano poco ‘occupabili’, perché molti di loro non hanno le conoscenze minime per vivere nel mondo in cui viviamo e non costituiscono capitale umano su cui investire per il futuro”.

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Un esempio di globalizzazione? La Nutella!

danbo_nutella_tuttacronacaE’ lo stesso Ocse, nel recente report Mapping Global Value Chains di Koen Backer e Sébastien Mirodout, a dire che la Nutella è un esempio di globalizzazione. Secondo i ricercatori dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Nutella è un paradigma della catena di valore nell’agrifood. Venduta in 75 Paesi e prodotta in 350mila tonnellate ogni anno, la crema di cacao e nocciole, nata sulla base della Pasta Giandujot piemontese, è una “multinazionale” alimentare che fa uso di ingredienti che arrivano da Paesi sviluppati ed emergenti di almeno 3 continenti. L’azienda è italiana ma ha 5 fabbriche in Europa, una in Russia, una in Nordamerica, due in Sudamerica e una in Australia.La ricetta segreta, inoltre, richiede alcuni ingredienti che vengono reperiti su scala sia locale, come il latte scremato o gli stessi barattoli, sia globale: le nocciole arrivano dalla Turchia, l’olio di palma dalla Malesia, il cacao dalla Nigeria, lo zucchero sia dal Brasile che dall’Europa, la vanillina dalla Francia. Ancora, spiega il report, gli impianti di produzione sono localizzati vicino ai mercati di sbocco dove la domande di Nutella è più alta. Questo spiega perché non ci sono stabilimenti in Asia, dove la crema di gianduia non è molto apprezzata. In compenso in quelle zone vanno per la maggiore i Ferrero Rocher, il che spiega la presenza di una fabbrica dedicata a questo tipo di praline in India.

La Fornero si difende e l’Ocse la boccia… I pensionati in crisi!

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Pensionati al tempo della crisi, ma soprattutto pensionati in crisi! Chi aveva pianificato una vecchiaia tranquilla si è visto strappare via le proprie certezze, ma a dirlo queta volta non sono gli italiani ma l’Ocse che ha lanciato l’allarme sulle pensioni. In particolare l’Ocse ha rilevato come i pensionati italiani siano tra i più tartassati di tasse e, nella media europea, siano tra coloro che hanno assegni decisamente bassi. Così l’Ocse ha lanciato le sue perplessità e bocciato di fatto la riforma Fornero, che la stessa ex ministro qualche giorno fa aveva invece difeso:  “potrà essere un problema per le generazioni future e i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti, (questi) sono più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia” e che chiede revisioni sull’introduzione del metodo contributivo e sull’assenza di pensioni sociali.

Ma la Stabilità cosa ha saputo fare per i pensionati?

Svanita  anche la proposta di sostituire la cassa integrazione in deroga andando in pensione a 62 anni, in anticipo rispetto all’attuale soglia dei 66 anni, gli unici interventi sulle pensioni contenuti nella Legge di Stabilità riguardano il contributo sulle pensioni d’oro che, partirà dal 6% per la parte eccedente quattordici volte il trattamento minimo Inps, cioè per gli assegni superiori ai 90.000 l’anno circa, e salirà fino al 18%, per la parte eccedente trenta volte il trattamento minimo Inps, cioè oltre 193.000 euro circa all’anno; e la stretta confermata anche per il prossimo anno per gli importi superiori a sei volte il trattamento minimo (oggi 2.886 euro) poiché i beneficiari non si vedranno attribuire alcun beneficio.

Questa è la riforma pensionistica di cui l’Italia ha bisogno?

 

Precario oggi, povero domani: il rapporto dell’Ocse

agenzie-lavoro-tuttacronacaE’ l’Ocse a sostenere che i poveri di domani potrebbero essere i giovani precari di oggi, questo a causa del metodo contributivo e dell’assenza di pensioni sociali. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ritiene infatti che “L’adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un problema” per le generazioni future, e “i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia”. Lo si legge nel rapporto ‘Pensions at a Glance 2013′. Sempre secondo l’Ocse, i contributi previdenziali in Italia sono al top dell’area dei Paesi aderenti all’organizzazione. I contributi previdenziali in Italia infatti nel 2012 sono al 33% del totale lordo della retribuzione, complessivamente pari al 9% del Pil e al 21,1% del totale delle tasse. La media Ocse è del 19,6%, pari al 5,2% del Pil e al 15,8% del totale delle tasse. “Lavorare più a lungo potrebbe aiutare a compensare parte delle riduzioni”, si legge nel rapporto, “ma, in generale, ogni anno di contributi produce benefici inferiori rispetto al periodo precedente tali riforme”, sebbene “la maggior parte dei paesi abbia protetto dai tagli i redditi piu’ bassi”. Ma, al contrario, i salari che vengono percepiti nel nostro Paese sono al di sotto della media Ocse. In media in Italia nel 2012 un lavoratore percepisce 28.900 euro, pari a 38.100 dolari, al di sotto dei 42.700 dollari medi dell’Ocse, sui quali pesano i 94.900 dollari degli svizzeri, i 91 mila dollari dei norvegesi, i 76.400 dollari degli australiani, i 59 mila dollari dei tedeschi e i 58.300 dollari degli inglesi, superiore ai 47.600 dollari degli statunitensi. Ai livelli più bassi i messicani con 7.300 dollari e i 12.500 dollari degli ungheresi.

Allarme tasse, è il Wall Street Journal a puntare il dito contro l’Italia

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Lo dice a chiare note il Wall Street Journal: “Le tasse in Italia distruggono la ripresa” e poi aggiunge ”Con una economia che stenta a ripartire ed una disoccupazione a livelli record, il peso delle tasse in Italia potrebbe distruggere le prospettive di ripresa”. Questo è quanto stamattina ha pubblicato in un editoriale dedicato al modello fiscale italian il Wall Street Journal. Il giornale Usa sottolinea che proprio “l’enorme peso delle tasse” su aziende e lavoratori è una delle principali cause per la scarsa crescita dell’Italia negli ultimi dieci anni, addirittura “la più bassa tra i 34 Paesi dell’area Ocse“.

Il quotidiano a stelle e strisce, spiega poi che “l’esborso per le pensioni di anzianità rappresenta circa il 13% del Pil, ossia un terzo più alto rispetto alla Germania e il doppio rispetto agli Usa, secondo i dati Ocse“. “L’assurdità è che un lavoratore italiano costa più di uno spagnolo, ma ha uno stipendio più basso”, dice al giornale Riccardo Illy. Secondo Paolo Manasse, professore di economia all’università di Bologna, il governo dovrebbe tagliare altri 30 miliardi di euro di tasse sul lavoro per essere in linea con la media Ocse. “L’Italia ha davanti a sé un compito spaventoso”, dice al Wsj Manasse.

Il carico fiscale totale per l’impresa nel nostro Paese si conferma il più alto d’Europa, pari al 65,8% dei profitti commerciali, e l’Italia scende di 7 posizioni rispetto all’anno scorso nella classifica mondiale del carico fiscale, posizionandosi al 138esimo posto, rispetto a 189 economie prese in esame.

Dove sta la ripresa? Con il contagocce?

2014, si abbassano le stime di ripresa? Per l’Ocse in Italia sarà 0,6%

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Dopo aver abbassato l’indice da 0,5% a 0,4%, le nuove stime vedono una crescita dello 0,6%. Sottile miglioramento ma comunque inferiore a tutte la altre maggiori previsioni (+0,7 per Istat e la Commissione Ue, +1,1% secondo il governo).

E dall’Ocse arriva anche una sostanziale conferma del monito lanciato la scorsa settimana da Bruxelles, quando la Commissione ha evidenziato molte critiche sulla bozza di legge di stabilità inviata a ottobre. Rilievi che riguardavano soprattutto possibili rallentamenti nel cammino di riduzione del debito incoraggiato invece dall’Unione Europea. Un passo falso che, se confermato, non consentirebbe al nostro Paese di potere usufruire dei tre miliardi della clausola per investimenti. Ora anche l’Ocse conferma questo allarme segnalando che l’indebitamento, anche a causa della debolezza dell’economia, appare orientato a salire dal 145,7% del Pil nel 2013 al 146,7% del Pil l’anno successivo, per poi ripiegare al 146,1% del Pil nel 2015.

Niente occupazione. In Italia nonostante la debolissima ripresa economica, secondo l’organizzazione di Parigi la disoccupazione “è destinata a restare alta, in quanto è probabile che l’impatto della crescita della domanda si traduca inizialmente in un aumento dell’orario di lavoro medio delle persone già occupate”. L’organizzazione di Parigi prevede che il tasso di disoccupazione italiano salga nel 2014 al 12,4% dall’attuale 12,1%, per poi tornare al 12,1% nel 2015.

I nostri 7 giorni: giochi di contrasti

7giorni-tuttacronacaPer fortuna c’è la Nazionale. Che ci ricorda una storia comune e ci vede schierati tutti sulla stessa metà del campo. Per fortuna ci sono gli undici di Prandelli a farci gioire tutti all’unisono. Per il resto? Divisione. E’ stata una settimana all’insegna dei fronti opposti questa. E se per placare quelli all’interno del Pdl serve che Berlusconi dica “basta parlare con la stampa”, per placare quelli di un’intera nazione, almeno per 90 minuti, c’è bisogno di ricordarsi il significato di  far squadra per non soccombere (magari anche con l’aiuto di un pizzico di fortuna!) Per il resto c’è chi s’indigna e chi s’indigna con gli indignati. E’ il caso di Torino, dove chi lotta contro il razzismo reagisce con violenza contro chi predica la bontà della legge Bossi-Fini. Perchè questa settimana è stata anche quella delle tante parole sull’immigrazione, della richiesta dell’abrogazione del reato di immigrazione clandestina e delle tante bare da riempire, del dramma dei morti di Lampedusa a cui si somma quello dei bambini morti e di quelli che una famiglia non l’hanno più. Ma sono stati anche i giorni in cui coloro che hanno permesso l’aumento dell’Iva non rinunciano al finanziamento pubblico dei partiti e vengono attaccatti in parlamento dai chi, tra le fila avversarie, li chiama “ladri”. E ancora, i sette giorni in cui è arrivato il secco no a Stamina e i manifestanti si sono riuniti in una veglia ed hanno crocefisso uno dei loro. Perchè se si può non ascoltare, è più difficile non vedere. Quello che non possono fare le parole, può fare un’immagine così evocativa. E scontri ci sono stati, e sono tutt’ora accesi, tra chi rifiuta i funerali al boia nazista Priebke e chi afferma che Che Guevara è stato peggio di lui. Ma per capire bene la frattura che si sta creando, forse basterebbe solo un nome: quello di Ignazio Marino. Perchè se ci possono essere fazioni e convinzioni, il primo cittadino di Roma che “litiga” con i vigili, con le stesse persone che giorno dopo giorno lo scortavano a suon di pedalate, qualcosa sembra essersi rotto nel profondo. Non è più una società spezzata, ma una stessa identità. Quel che manca, in questo gioco di contrasti in bianco e nero, è una scia di colore che possa creare un ponte, di dialogo.

contrasti-tuttacronacaE se quel primo tocco di colore fosse proprio l’azzurro? Perchè è vero che quando gli undici sono in campo i cuori battono all’unisono… ma fuori? Fuori c’è un altro genere di “unione”: quella del parlare delle Balotellate. Perchè forse Prandelli non può immaginare un’Italia senza di lui… ma lui non è scindibile dai suoi colpi di testa, che spesso si rivelano alquanto irritanti quando non incomprensibile. Come il rifiuto di essere preso a simbolo dell’anticamorra o lo scatto d’ira che gli fa dare una manata a una telecamera che lo disturba. Ma siamo uniti anche quando c’è l’indignazione di mezzo: quando vogliono toccare quel poco che ancora abbiamo, come quella pensione che è un diritto acquisito, o quando eliminano qualcosa che fa parte della nostra cultura, come lo studio della Storia dell’arte a scuola. Poi però, per i presentatori della Rai non mancano e anche per l’Alitalia si trovano soluzioni. Come se non ci fossero già abbastanza lacune da colmare, con l’Ocse ci ha relegato a maglia nera… Ma anche quella che sorge a sentire che la tragedia della diga del Vajont poteva essere evitata e che la frana fu in realtà pilotata. E scoprirlo proprio quest’anno, a 50 anni di distanza da quel dolore che nessuna quantità d’acqua riuscirà a sommergere. Per fortuna, però, ancora dentro di noi riusciamo a ritrovarli quei colori, capita quando ridiamo di cuore davanti a un video che ritrae due husky che gattonano mentre seguono un bebè oppure le infinite manovre per uscire da un parcheggio. E quando sorridiamo di tenerezza nel vedere dei cuccioli (fossero anche enormi come quelli d’ippopotamo) che prendono il latte dal biberon. Perchè anche tra rabbia e riso c’è contrasto. Un attrito che crea scintille. E quello che c’è da ricordare, allora, è che in mezzo a tutto questo bianco e nero, c’è sempre il movimento, la danza, la vita…

GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK!

Scontri a Milano tra studenti e polizia: fumogeni e uova

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Sono 400 studenti appartenenti al centro sociale Cantiere si sono staccati dal corteo studentesco di Milano e hanno cercato di raggiungere la sede dell’Agenzia delle Entrate in via Manin. La polizia li ha bloccati e si sono generate tensioni con lancio di fumogeni e uova. Imbrattati anche alcuni edifici in zona.

Poco prima passando in prossimità della sede della Provincia di Milano, blindata per l’occasione, il corteo studentesco ha tentato di sfondare il cordone delle forze dell’ordine in via Donizzetti. Per due volte la testa della manifestazione ha provato a superare gli agenti, venendo sempre respinti dagli scudi. Sono partiti anche alcuni colpi di manganello. Durante i due tentativi dal corteo è iniziato anche un fitto lancio di oggetti in direzione degli agenti, tra cui un espositore di riviste in ferro.

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Dopo qualche minuto di tensione in via Donizzetti, il corteo studentesco ha desistito dall’idea di sfondare il cordone di polizia per ‘assediare’ la Provincia di Milano e si è rimesso in cammino. Al momento gli studenti stanno marciando lungo i bastioni di Porta Venezia, con l’intenzione di arrivare quanto più possibile vicino alla sede della Regione Lombardia.

La scuola in piazza: in 80 città sfilano gli studenti

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Sono gli studenti di 80 città italiane a scendere in piazza in massa per una delle prime date della mobilitazione di quest’anno lanciata dall’Unione degli Studenti. Sotto lo slogan:

“Non c’è più tempo da perdere con le politiche di austerità”

tra quegli studenti c’è chi scende e con la testa già sa che vorrebbe essere all’estero, chi ancora ci crede che davvero si possa cambiare e chi forse ci scende con talmente tanta rabbia che ogni passo è davvero uno sfogo. I dati Ocse ci collocano in basso alla classifica per l’istruzione scolastica e c’è chi afferma che alcuni disoccupati sono “inoccupabili”, poi si corregge e dice che non si riferiva agli studenti e che verranno istituiti stage di formazione e borse di studio per ovviare al problema del gap formativo. Contraddizioni in termini che certo non passano inosservati tra i ragazzi che oggi tentano di gridare il loro disagio a  una classe politica impegnata in congressi, in primarie, in amnistie, in correnti, in indulti e nella questione immigrati.

“Da parte dell’attuale governo non c’è stata nessuna reale inversione di tendenza. Mentre alla scuola pubblica e al welfare vengono destinate poche briciole si sceglie di continuare a sprecare risorse per le spese militari, le politiche di respingimento dell’immigrazione, la tutela di speculatori e dei grandi patrimoni – dichiara in una nota l’Unione degli Studenti – Per questi motivi portiamo in piazza in tutta Italia le vere emergenze sociali del Paese, rivendicando il rifinanziamento totale dell’istruzione pubblica e del diritto allo studio”

“Crediamo che l’attacco al sistema di formazione pubblica sia oggi generalizzato – dichiara Alberto Campailla, portavoce nazionale di Link Coordinamento Universitario – e vogliamo ribadire ancora una volta le vere emergenze del paese. Il calo delle immatricolazioni, le troppe borse di studio negate, i costi esorbitanti della vita per gli studenti universitari fuorisede, l’assenza di politiche abitative, il mancato finanziamento delle borse di studio come l’assenza di politiche generali di welfare e diritto allo studio, sono priorità di questo paese, è per questo che non c’è più tempo”.

“Domani inoltre parteciperemo alla mobilitazione nazionale per l’applicazione della Costituzione, convinti che da lì possa partire partire una battaglia di contro-attacco per costruire giustizia sociale, estendere i diritti, liberare i saperi” – dichiara Federico Del Giudice, portavoce nazionale della Rete della Conoscenza.

A Roma il concentramento è previsto in Piazza della Repubblica, a Milano in piazza Cairoli, a Napoli in piazza Garibaldi, a Torino in piazza Albarello, a Bologna in piazza San Francesco, a Reggio Calabria in piazza De Nava, a Bari in piazza Moro, a Venezia in piazzale Roma e a Genova in piazza Caricamento.

Arrivano le “scuse” di Giovannini: non mi riferivo ai giovani

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“Quando parlavo di inoccupabili non mi riferivo ai giovani. Come dimostrano i dati Ocse, l’Italia deve recuperare il gap sul fronte degli investimenti nel capitale umano, nella formazione, borse di studio. E questo governo sta lavorando in questa direzione. Con il ministro Carrozza abbiamo stanziato 500 milioni di euro per tirocini, borse di studio e formazione mentre con il presidente della conferenza delle Regioni Vasco Errani abbiamo deciso di istituire un gruppo di lavoro perchè la formazione è di competenza regionale”, così Enrico Giovannini prima di entrare a Palazzo Chigi per il Consiglio dei ministri. Se non si riferiva ai giovani, poteva forse aver fatto un riferimento ai disoccupati? E se per i giovani facciamo i tirocini e borse di studio, cosa possiamo fare per i disoccupati? In ogni caso gli italiani (chissà quali e dove sono), secondo le parole di Giovannini restano “poco occupabili”, ma non certo i giovani!

Cultura, voce dimenticata dal Governo Letta

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La riforma Gelmini ha gettato la cultura nel vespaio delle polemiche e in provvedimenti davvero difficili da poter giustificare come la decurtazione della Storia dell’Arte dai programmi del ministero operata proprio dall’ultimo governo Berlusconi. Gli italiani sono ultimi nei paesi  industrializzati secondo i dati dell’Ocse e sono inoccupabili secondo Giovannini, ma se i precedenti amministratori hanno operato riforme “originali”, il nuovo Governo sembra non porre alcun rimedio per correggere il tiro.

Ora sta circolando in rete un appello con il quale si sta cercando di sensibilizzare il ministro Carrozza al problema dell’insegnamento della Storia dell’Arte. L’appello è firmato anche da Adriano La Regina, Salvatore Settis, Cesare de Seta e Rosi Fontana:

APPELLO AL MIN. CARROZZA  PER IL RIPRISTINO DELLA STORIA DELL’ARTE

Che l’Italia sia il Paese al mondo con la maggiore quantità di beni artistici e culturali è cosa nota.

Possiamo vantare circa 6.000 siti archeologici, 4.700 musei , 46.000 beni architettonici vincolati, 44 i siti italiani patrimonio mondiale UNESCO, per non parlare della bellezza delle nostre città e dei nostri borghi, della miriade di opere d’arte sparse in chiese, palazzi, piazze.

Ma forse ci siamo talmente abituati e assuefatti a tale abbondanza d’arte che pervade ogni angolo del nostro Bel Paese, che neanche percepiamo la gravità insita nelle carenze delle nostre politiche dei beni culturali, troppo poco incentrate su una seria promozione alla valorizzazione e tutela del patrimonio e dunque sulla sua conoscenza  attraverso una “Politica della Formazione ai Beni Culturali”.

A proposito di quest’ultimo aspetto, è ormai tempo di cambiare rotta. Con una tale preziosissima eredità, è pensabile che i nostri ragazzi non studino adeguatamente il mondo in cui vivono e, soprattutto, in cui dovranno muoversi da adulti?

In un Paese come  il nostro ci si aspetterebbe che uno dei pilastri della formazione scolastica sia lo studio della Storia dell’arte, cioè della storia della principale risorsa che abbiamo la fortuna di aver ereditato. Invece forse non è stato sufficientemente evidenziato come proprio tale disciplina sia stata pesantemente decurtata dall’offerta formativa in diversi indirizzi delle scuole superiori dalla Riforma dell’ex Ministro Gelmini.

E’ fondamentale, soprattutto in una fase così complessa ed economicamente fragile come quella che l’Italia sta attraversando, attuare tempestivamente scelte che si muovano nella direzione opposta a quanto fatto negli ultimi anni. Intervenire con una Riforma dell’Istruzione che potenzi questo ambito di studio produrrebbe degli enormi benefici, a più livelli: civico-formativo ed economico-occupazionale (che corrispondono poi ai punti critici della nostra società).

Nel Paese dei Beni Culturali per eccellenza, continuare ad impedire ai ragazzi di maturare una adeguata conoscenza del proprio patrimonio artistico, significa infatti ostacolare non solo una formazione culturale degna di questo nome, ma anche lo sviluppo di quel senso civico che tutti noi auspichiamo e che si sviluppa a partire dalla conoscenza e dal conseguente rispetto per quell’insieme di valori territoriali, ambientali, storici e artistici che chiamiamo Cultura. Se non si apprende la storia dei luoghi e dei monumenti che ci circondano, come si potrà  maturare il valore del rispetto per gli spazi comuni?

Si pensi poi all’innegabile potere che ha, a livello formativo, la sensibilizzazione alla bellezza e al valore dei nostri beni artistici: un adolescente che cresca educato in questa direzione, sarà un individuo meno soggetto al degrado che sempre più dilaga nelle nostre città.

Incredibilmente importanti, poi, sono le potenzialità che una approfondita formazione al nostro patrimonio artistico e archeologico avrebbe a livello occupazionale.

In Italia dovremmo poter vivere e lavorare principalmente di questo, mentre siamo al paradosso che i milioni di turisti che ogni anno vengono a visitare le nostre città e i nostri musei tornano a casa con un bagaglio di conoscenze relative alle nostre bellezze artistiche in proporzione molto maggiore rispetto alla cognizione che ne ha mediamente un italiano, il quale vive una intera esistenza in quel contesto senza aver avuto la possibilità di studiarne adeguatamente la storia e comprendere appieno valore. Se si continua a trascurare questo ambito per noi così vitale, come si finirà? Bisogna forse aspettare di veder deteriorati altri antichi beni, la cui precaria tutela in tempi recenti ha fatto tremare molti italiani al crollo di strutture millenarie come quelle di Pompei, per arrivare a comprendere finalmente che la più grande potenzialità economica e la più “pulita” industria italiana è proprio quella legata ai beni culturali?

Sono le domande che si pongono gli insegnanti di Storia dell’arte delle scuole superiori, firmatari di un appello rivolto al Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, e sottoscritto da grandi nomi del mondo della cultura e dell’arte, in cui si chiede di potenziare lo studio di questa meravigliosa e per noi vitale materia scolastica. Sarebbe un primo, fondamentale, mattone nella costruzione dell’Italia di domani.

Il governo Letta risponderà alla voglia di cultura che si innalza nel Paese o saremo per sempre condannati a essere inoccupabili e ignoranti?

Da “choosy” a “inoccupabili” ecco come si giustifica la politica italiana

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“L’Italia esce con le ossa rotte dai dati dell’Ocse diffusi ieri: dati che ci mostrano come gli italiani siano poco ‘occupabili’, perché molti di loro non hanno le conoscenze minime per vivere nel mondo in cui viviamo e non costituiscono capitale umano su cui investire per il futuro”.

Così, il ministro del Lavoro Enrico Giovannini ha gettato nel fango gli italiani e ha affermato che lo Stivale è una terra di “inoccupabili” intervenendo a un convengo sul Senato sui 10 anni della legge Biagi.

“Quelle cifre – ha aggiunto – ci mostrano quanto siamo indietro in termini di capitale umano e di occupabilità. La responsabilità di questa situazione – ha concluso – è di tutti”.

Di tutti? O della classe politica che ha per un ventennio governato l’Italia?

Quando verrà un politico che valorizzerà i propri elettori? Che saprà “accarezzare” il popolo e non gettargli in faccia i fallimenti che invece sono attribuibili solo a una classe politica corrotta e incapace che per troppi anni ha governato l’Italia facendola regredire e creando tensioni sociali? Chi avrà il coraggio di guardare gli italiani in faccia e dire “ho sbagliato”, invece di addossare fantomatiche colpe ai cittadini vessati da tasse e accise?

Stroncati i sogni di ripresa? Pil italiano a -1,8

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L’Italia è l’unico Paese del G7, cioè tra le sette nazioni più industrializzate, a far registrare un Pil negativo per l’anno in corso. Sono quindi stroncati i sogni di ripresa tanto annunciati da Enrico Letta? E’ vero che mancano pochi mesi alla fine del 2013, ma è pur vero che l’Ocse, ha confermato la  stima di una contrazione del Pil italiano dell’1,8%. L’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in un aggiornamento di interim delle sue previsioni economiche, ha affermato che l’area euro come insieme non è più in recessione.  A livello mondiale, sempre secondo l’Ocse, soprattutto nelle “grandi economie emergenti, la crescita ha rallentato”, mentre “l’attività si sta espandendo a ritmi incoraggianti in Nord America, Giappone e Regno Unito, mentre l’area euro come insieme non è più in recessione”, afferma l’Ocse. Per gli Usa quest’anno è previsto un più 1,7 per cento del Pil, in Germania un più 0,7 per cento, in Francia un più 0,3 per cento e in Gb un più 1,5 per cento.

L’Ocse comunque avverte che il miglioramento della crescita nei paesi avanzati, per quanto gradito “non è ancora consolidato” mentre “permangono rischi rilevanti”. Bisogna continuare a sostenere la domanda, anche con politiche monetaria straordinarie, mentre le riforme strutturali volte a rimuovere gli impedimenti alla crescita e alla creazione di lavoro restano “vitali”, conclude l’ente parigino con un comunicato.

L’Ocse boccia la scuola italiana

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Tempo di maturità, ma è la scuola italiana a non passare l’esame dell’Ocse. L’Italia è stata bocciata e bollata come un paese che non valorizza l’istruzione: numero basso di laureati e un corpo docente tra i più anziani. Questi i dati rilevati da organizzazione che riunisce i 34 Paesi più industrializzati del mondo che ha appena stilato il rapporto “Education at Glance” nel quale rileva che solo il 15% nel 2011 dell’intera popolazione italiana (tra i 25 e 64 anni) ha conseguito un’educazione di livello universitario. La media Ocse invece è del 32%.

 

Mangiare è ormai un bene di lusso?

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Secondo gli esperti della Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite (FAO) e dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) nei prossimi 10 anni ci sarà un aumento per i generi alimentari che arriverà anche al 40%. Perché il cibo aumenta? Secondo la Fao e l’Ocse l’aumento sarebbe determinato dalla domanda dei redditi più elevati e dalla difficoltà di crescita delle scorte. Ma con redditi elevati la quota rivolta ai beni alimentari in proporzione diminuisce e si va ad attestare solo su cibi di lusso e non sui cibi di consumo quotidiano. Sembra quindi anomala questa analisi se poi si confronta con la soluzione auspicata dagli stessi esperti che auspicano investimenti in agricoltura. Il dato più importante che emerge  è la conseguente diminuzione della produttività che, nei prossimi anni, arriverà al 20% a causa del degrado dei suoli e della minore disponibilità di terreni. Forse non si sono fatte politiche agricole mirate? Forse l’Europa a suddiviso in maniera discriminante le quote latte? Forse abbiamo diminuito troppo i terreni agricoli a vantaggio dell’industria inquinante? Senza dubbio alcuni errori nel passato sono stati commessi e ora se ne pagano le conseguenze… arriveremo in tempo per un inversione di marcia?

Smentita all’ OCSE. Grilli: nessuna manovra. Il bilancio è in pareggio.

L’Ocse stima che le riforme avranno un impatto di 4 punti in percentuale sul Pil italiano in 10 anni

 

Per Monti siamo riusciti ad evitare il disastro.

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