Restituita la scorta al Capitano Ultimo

capitano-ultimo-tuttacronacaNuovo cambio di decisione: oggi sarebbe dovuto essere il primo giorno senza scorta di Capitano Ultimo, il colonnello Sergio Di Caprio, l’ufficiale dei carabinieri, che assieme ai suoi uomini il 13 gennaio del 1993 ha arrestato Totò Riina, è stato condannato a morte da Cosa nostra. La notizia era circolata alcuni giorni fa, denunciata da Panorama e ricevuta con sdegno dai cittadini. Ieri sera, invece, lo stesso Comitato Provinciale per la Sicurezza che il 9 gennaio scorso aveva revocato la tutela all’eroe antimafia, è tornato sui suoi passi. Proprio in questi giorni il Capo dei Capi, dal carcere di Opera, ha pronunciato parole di minaccia per i magistrati e per le forze dell’Ordine. Marcia indietro, quindi, da parte del prefetto di Roma Pecoraro che nella riunione di ieri sera ha riconsiderato le posizioni assunte dalla struttura da lui presieduta. La decisione era stata commentata anche dalla figlia di Carlo Alberto Dalla Chiesa, Rita, che aveva stigmatizzato la decisione di annullare la tutela per un investigatore odiato da Cosa Nostra come De Caprio: “Difendendo Capitano Ultimo è un po’ come se difendessi mio padre – ha detto – perché anche a lui stanno facendo quello che fecero con mio padre: cercare di isolarlo non permettendogli neanche di fare carriera e di diventare generale. E’ un uomo libero, libero come mio padre: togliergli la protezione significa condannarlo a morte”. Nella giornata di mercoledì anche il senatore Aldo Di Biagio aveva detto la sua, presentando un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno affinché sollecitasse un intervento di rettifica della decisione del Comitato. Mancano tuttavia le risposte per quel che riguarda l’impossibilità di Capitano Ultimo di avere avanzamenti di grado. Anche in questo caso una notizia resa nota da Panorama che aveva scritto che l’ufficiale non è stato ammesso alla Commissione d’avanzamento per la promozione a generale, come avvenuto per i suoi compagni di corso. Secondo i vertici del Comando Generale, l’eroe antimafia non aveva i titoli necessari per essere valutato, poiché non ha mai retto il Comando Provinciale per il periodo di due anni, condizione necessaria ed imprescindibile per passare di grado. Lo stesso regolamento dell’Arma, però, prevede che certi investigatori, preziosi per la lotta alla criminalità, possano ugualmente essere valutati se – sempre per un periodo di due anni con il grado di colonnello – ricoprono un incarico all’interno del Ros, il reparto dell’Arma dedicato alla lotta alle mafie.

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Solo in Italia! Tolta la scorta al Capitano Ultimo

capitano-ultimo-tuttacronacaIl 15 gennaio 1993 il colonnello Sergio De Caprio, l’ufficiale dei carabinieri noto come Capitano Ultimo, arrestava, assieme ai suoi uomini, il boss della mafia Totò Riina. Ora, stando a quanto pubblicato da Panorama nel numero che uscirà questa settimana, all’eroe antimafia è stata tolta la scorta su decisione del Comitato per la sicurezza presieduto dal prefetto di Roma. Dal 24 gennaio quindi “il Capitano Ultimo si muoverà a bordo di un motorino per evitare di diventare un facile bersaglio”. E questo nonostante Riina, dal carcere, minacci, ordini e decida esecuzioni di servitori dello Stato. L’uomo condannato a morte da Cosa Nostra per avere messo le manette al Capo dei Capi, dopo 24 anni di latitanza, quindi, da venerdì prossimo dovrà rinunciare alla protezione. La notizia esce proprio a pochi giorni dalla pubblicazione delle conversazioni di Riina con un boss della Sacra Corona Unita. In quelle stesse intercettazioni, le parole pronunciate da Riina dimostrano come il boss sia ancora saldamente al vertice di Cosa Nostra. Non è la prima volta che il Capitano Ultimo, del quale non si conosce neanche il volto, resta senza protezione. Già nel 2009 la tutela armata gli fu sospesa per un errore, e lui, per evitare di diventare un facile bersaglio decise di muoversi in motorino nel traffico della Capitale, poi, dopo qualche giorno la scorta gli fu ripristinata. Ora questa nuova decisione non mancherà di creare polemiche. Arriva inoltre a pochi giorni dalla pubblicazione della notizia secondo cui l’erede di Carlo Alberto Dalla Chiesa non potrà essere promosso a causa di un cavillo nel regolamento dell’Arma che ne ha bloccato il passaggio di grado a generale.

Italia = mafia! Anche Praga sfrutta lo stereotipo

al-capone-pizzeria-praga-tuttacronacaLa scorsa estate il deputato regionale del Pd Fabrizio Ferrandelli aveva scoperto, a Copenaghen, il ristorante Mama Rosa, dove abbinano la Sicilia con Cosa Nostra sfruttando i soliti stereotipi mafiosi. Prima ancora dilagava lo scandalo di Don Panino, ristorante viennese che utilizza i nomi dei boss di Cosa Nostra, ma soprattutto delle vittime della lotta alla mafia, per dare il nome ai suoi panini. In Italia continuiamo a lottare contro la mafia, omaggiamo e ricordiamo i nostri eroi, organizziamo anche feste in occasione di ricorrenze importanti come il 15° anniversario dell’arresto di Totò Riina. Perchè il Belpaese è anche molto altro. Perchè c’è chi crede e lotta per una Nazione migliore, in grado di risollevarsi, dove la legalità la faccia da padrone e ci siano prospettive per il futuro. Eppure anche le nostre eccellenze vengono ricollegate alle pagine più oscure, al lato nero. E la nostra cucina, giustamente famosa in tutto il mondo, diventa un modo facile per sfruttare un “marchio” diffamatorio e stereotipato. L’ennesimo esempio arriva da Praga. Qui non solo ci si può imbattere nel ristorante e music club La Mafia, c’è anche una pizzeria Al Capone. Dov’è possibile consumare un intero pasto che “omaggia” questa figura. Gnocchi, insalata e l’immancabile pizza. E non manca il dessert. Un altro Paese dell’Unione Europea che dimostra di non conoscere i “Paesi amici”. Un altro esempio di come il razzismo scorra sotterraneo e diventi un modo per farsi pubblicità. E che gioca facile. Quanti saranno i locali che, per promuovere la propria presunta italianità, oltre a Rialto, Vesuvio e BelPaese, utilizzano nomi come Mafia, Camorra o altri facili riferimenti? Quando, magari con un po’ di nostalgia di casa perchè apparteniamo al gruppo “cervelli in fuga”, potremo gustarci un piatto italiano in un locale con un nome che davvero ci ricordi l’orgoglio di appartenere a questa Nazione? Quando ci sentiremo a “casa” in Europa?

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Una festa per l’anniversario della cattura di Riina

capitano-ultimo-tuttacronacaIl 15 gennaio 1993 il colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo, e i suoi uomini bloccavano in mezzo alla strada il boss dei boss, il corleonese Totò Totò u’ curto e Salvatore Biondino, Capo del mandamento di San Lorenzo di Palermo. Ora, 21 anni dopo, si organizza una festa in onore di questo anniversario e nella Casa Famiglia “Capitano Ultimo” questi eroi antimafia si troveranno assieme agli ospiti del centro che ospita ragazzi disagiati che vengono rieducati alla legalità. Spiega Capitano Ultimo: “E’ una festa aperta alla gente perbene, agli umili, agli oppressi, a chi crede che con il proprio contributo si possa migliorare la convivenza civile. E’ la festa dell’Italia Comunità, dell’Italia Nazione, dell’Italia Patria Nostra ma l’ingresso è vietato all’Italia Sovrastruttura, all’Italia di Potere”. Ha inoltre sottolineato che tra gli ospiti ci saranno anche tanti esponenti delle forze di polizia che continuano questa battaglia di legalità nell’ombra e per un pezzo di pane. E non mancheranno neanche “i paracadutisti, poeti di strada, stornellatori romaneschi, volontari diversamente abili e mendicanti, fieri nemici di Riina e dei suoi complici”. L’appuntamento è per il 12 gennaio, a Roma, in via Tenuta della Mistica, zona Prenestina, dalle 11 di mattina alle 15.

Operazione “Inganno”: arrestati l’attivista Rosy Canale e l’ex sindaco di San Luca

rosy-canale-tuttacronacaUn simbolo dell’antimafia calabrese è crollato: si tratta di Rosy Canale, fondatrice del movimento “Donne di San Luca”, scrittrice di libri sulla ‘ndrangheta e vittima delle cosche mafiose della Locride. Ad arrestarla, i carabinieri di Reggio Calabria mentre i magistrati le contestano le accuse di truffa e peculato. Come spiega Il Fatto:

con il suo movimento e la fondazione “Enel Cuore”, aveva ottenuto l’affidamento di uno stabile confiscato alla cosca Pelle di San Luca e un finanziamento di 160mila euro per allestire la sede dell’associazione antimafia. Quel denaro, in realtà, solo in minima parte è stato utilizzato per inaugurare la struttura che non ha mai funzionato. Piuttosto che compare gli arredamenti e avviare il movimento, Rosy Canale avrebbe intascato i soldi elargiti dalla prefettura e dalla presidenza del Consiglio Regionale della Calabria. Soldi pubblici che sono stati utilizzati per motivi privati.

Tra le spese della donna, infatti, i carabinieri hanno scoperto che ci sono anche una Smart e una Fiat 500 utilizzate “esclusivamente per motivi personali”. E così è stato anche per i 40mila euro che la prefettura le aveva assegnato per il progetto “Le Botteghe artigianali”, che doveva servire a promuovere l’attività manifatturiera del sapone. Piuttosto che valorizzare e finanziare l’impegno delle donne di San Luca che avevano aderito al movimento, Rosy Canale acquistava direttamente il sapone da rivendere con il logo della sua associazione. Assieme all’esponente dell’antimafia calabrese, è stato arrestato l’ex sindaco Sebastiano Giorgi, che ha guidato il Comune di San Luca fino a giugno quando il governo ha disposto lo scioglimento dell’amministrazione per infiltrazioni mafiose (guarda).

Sarebbe stato eletto con i voti della ‘ndrangheta e avrebbe favorito le cosche. Alle ditte mafiose, infatti, Giorgi avrebbe assegnato gli appalti per la metanizzazione del territorio e tutta una serie di lavori pubblici che dovevano essere eseguiti con urgenza. Anche lui, pochi giorni dopo lo scioglimento del Comune, aveva dichiarato di essere contro la mafia e aveva contestato la decisione del governo di inviare i commissari prefetizzi a San Luca. Con l’operazione “Inganno”, quindi, si pone un problema “antimafia” che, in Calabria, è diventato quasi un business gestito da associazione più attente alla partita iva che al reale contrasto alla ‘ndrangheta.

Ne è convinto il procuratore aggiunto di Reggio Nicola Gratteri che, nel corso della conferenza stampa, h dichiarato: “Da tanti anni dico di stare attenti a chi si erge a paladino dell’antimafia senza avere alle spalle una storia. Non è tollerabile perché c’è gente che è morta per la lotta alla mafia. C’è gente che lucra con l’antimafia e che ci fa un mestiere. Noi dobbiamo essere vigili a queste condotte non sono solo illecite dal punto di vista penale ma anche eticamente riprovevoli. E’ una cosa bruttissima parlare di lotta alla mafia, andare a San Luca, incontrare decine di donne, magari reduci da lutti e delusioni di mille politici che a turno sono andati a promettergli la luna, fare la stessa cosa. E poi troviamo che si comprano le auto. Sono cose inaccettabili. Bisogna essere seri. Non c’è né se e né ma: bisogna essere intransigenti e non accettare nessun accomodamento. I giornalisti devono essere feroci, stanare con gli articoli queste campagne antimafia e stare attenti ad elogiarle. Se uno vuole fare antimafia non ha bisogno di sovvenzioni pubbliche”. “C’è un problema antimafia in Calabria” ha ribadito il procuratore capo Federico Cafiero De Raho secondo cui si tratta di “un problema viene di volta in volta riconosciuto e individuato. Non vorrei, però, che da questa situazione se ne tragga un insegnamento contrario: l’antimafia c’è, esiste ed è impersonificata da tantissime persone che si dedicano con tutta la propria dedizione e il loro impegno. Avere individuato una persona che si era mossa per un tornaconto personale, non deve gettare discredito su tutti coloro che si impegnano quotidianamente e rischiando in modo serio pur di dare il massimo loro contributo al miglioramento di questa terra”.

Le larghe intese non brindano per la Bindi all’Antimafia…

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Le larghe intese sicuramente non hanno da brindare con la Bindi presidente della commissione Antimafia. La deputata del Pd infatti oggi è stata eletta al ballottaggio con 25 voti, contro gli 8 di Luigi Gaetti, dell’M5S. Il Pdl alla fine ha preferito non partecipare al voto e annuncia che diserterà le riunioni della commissione di palazzo San Macuto. Un elettore del Pdl, si potrebbe anche sentire tradito pensando che il proprio partito non ha mostrato interesse e non lo mostrerà neppure in futuro in un tema così importante. Come reagirà quindi il popolo della libertà?  Per il momento le dichiarazioni sono state:

“Inaccettabile strappo del Pd pur di dare una poltrona a Rosy Bindi” ha immediatamente attaccato il senatore Pdl Maurizio Gasparri su Twitter.

I capigruppo del Pdl di Camera e Senato, Renato Brunetta e Renato Schifani, in una nota avevano annunciato che “la delegazione parlamentare del Popolo della libertà in Commissione Antimafia non parteciperà al voto odierno per l’elezione del presidente e dell’ufficio di presidenza, dal momento che il Partito democratico intende imporre un proprio candidato usando solo la forza dei numeri e senza la necessaria condivisione per una scelta così importante”.

“La delegazione del Popolo della libertà – spiegano i capigruppo – in caso di elezione di un presidente nella seduta odierna, non parteciperà ai lavori della Commissione per l’intera legislatura, denunciando con questo atto l’irresponsabilità del Pd ed affermando la necessità di avere alla presidenza di una Commissione così importante una personalità condivisa dall’insieme delle forze politiche”.

Piatti alla mafia, lo scandalo ora è a Copenaghen! Altro fango sull’Italia?

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Altro fango sull’Italia e soprattutto sulla Sicilia? Il deputato regionale del Pd Fabrizio Ferrandelli ha scoperto a Copenaghen il ristorante Mama Rosa dove abbinano la Sicilia con Cosa Nostra sfruttando i soliti stereotipi mafiosi.

Da qualche giorno – spiega Ferrandelli – ero a Copenhagen con mia moglie e la piccola Bruna. Un po’ di relax con la mia famiglia, per poi tornare sabato a Palermo. Ieri sera un veloce boccone che però è andato di traverso. Sapete perché? Perché mentre anche in Danimarca arrivano gli echi di una sorta di gara, di sfida in salsa siciliana a chi è più antimafioso dell’altro, come se alla fine in palio ci fosse una medaglia, una patente, un documento valido per l’espatrio, in Europa la Sicilia è ancora stampata, immaginata, non nelle brochure turistiche ma nei menù di locali vergognosi che propongono ai turisti pizze mafiose. Insomma, da noi l’antimafia litiga e all’estero la Sicilia è sempre e solo mafia- Ieri sera io e mia moglie Claudia ci siamo trovati davanti all’ennesima vergogna: la ‘pizza mafioso’ di Copenhagen e tanto per rimanere in tema la ‘pizza Al Capone’. Specialità del ristorante Mama Rosa di Copenhagen.

Guardando sul sito del ristorante nel menù si trova infatti “pizza Al Capone”. Per trovare la “pizza mafioso” bisogna invece andare sulla sezione “Lunch Specials” sulla pagina Menu Main Courses.

Questa la foto del menu del ristorante che indica la “prelibatezza” fra le sue portate:

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Come riportato da BlogSicilia:

Risale a pochi mesi fa il caso del ristorante viennese Don Panino, che ironizzava sul proprio menu su vittime di mafia come il magistrato Giovanni Falcone e il giornalista Peppino Impastato.

“Per uno strano scherzo del destino, – continua Ferrandelli – avevo già preparato un dossier da presentare la prossima settimana in Commissione regionale Antimafia dove racconto con numeri e foto il modo distorto con il quale in tanti posti del mondo si rappresenta l’immagine della nostra Sicilia e del nostro Paese all’estero. Perché quello di Don Panino non è un caso isolato”.

Il dossier è stato predisposto dal deputato Pd grazie alle segnalazioni dell’associazione “MafiaContro” e del suo portavoce Renato Campisi che, all’iniziativa in ricordo dell’assassinio del giudice Costa, hanno consegnato a Ferrandelli una documentazione dettagliata e una lettera rivolta al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, nella quale si segnalano tanti ristoranti, e non solo all’estero, con insegne che inneggiano le gesta mafiose (Pizza Connection, Il Padrino, Don Vito Corleone, etc.).

“Ieri sera in Danimarca – ribadisce Ferrandelli – l’ennesima vergogna che allegherò al fascicolo. Sono veramente sdegnato e dobbiamo sdegnarci tutti per i tanti che hanno combattuto e combattono la mafia. Il rispetto della memoria di chi ha sacrificato la vita in nome della legalità e della libertà e il rispetto di chi, in silenzio, pratica quotidianamente la legalità e si batte contro ogni forma di criminalità devono prevalere sempre su dibattiti sterili e sulle contrapposizioni che servono solo a dividere un fronte che dovrebbe stare unito per il bene della Sicilia e dei siciliani”.

La Roma contro la mafia!

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La Roma va a Palermo in vista della sfida di domani con i rosanero di Sannino ma non pensa solo al calcio giocato. Questa sera, nel ritiro siciliano, la squadra giallorossa ospiterà Gianluca Calì, imprenditore che sta combattendo una difficile battaglia contro la mafia. “Ringrazio voi – ha detto Calì – per l’ospitalità e la Roma per questa splendida opportunità. La Sicilia è piena di persone perbene e non possiamo essere prevaricati dalle persone disoneste”.

Crisi per Cosa nostra… arriva la speding review mafiosa!

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Aria di crisi anche per Cosa nostra. I primi tagli sono scattati sugli stipendi mensili corrisposti ai familiari dei mafiosi detenuti. Ed è subito scoppiata la protesta: sono le donne a chiedere conto dell’ultima spending review del crimine, che non colpisce gli stipendi dei capimafia, ma quelli dei picciotti, ovvero i soldati delle cosche. Ecco l’ultimo racconto che emerge dal ventre di Cosa nostra palermitana: a raccoglierlo sono state le microspie della sezione criminalità organizzata della squadra mobile, che con la Procura antimafia ha condotto un’indagine sul clan della Noce, uno dei quartieri del centro città. Questa mattina, sei persone sono finite in manette: fra loro c’è l’ultimo capomafia nominato sul campo, è Renzo Lo Nigro, 41 anni. Era entrato in carica a ottobre, all’indomani di un altro blitz della polizia, che aveva decapitato il clan della Noce, con 41 arresti. Ma Cosa nostra è come un’azienda, ha una fortissima capacità di ricambio del management. Così, Lo Nigro non aveva perso tempo, prendendo subito la gestione del racket fra i negozi del centro città. Per fortuna, il blitz di ottobre non è stato vano. Le indagini coordinate dai sostituti procuratori Francesco Del Bene, Lia Sava e Gianluca De Leo hanno davvero messo in ginocchio l’azienda Cosa nostra, ridando soprattutto fiducia ai commercianti palermitani. Qualcuno si è anche opposto alle nuove richieste di pizzo. Ecco perché poi Lo Nigro si è trovato a dover fare tagli sulla gestione dei fondi in cassa. Ed è scoppiata la protesta di alcune donne di mafia.
“Deve campare a me, deve campare a mio marito  –  diceva la moglie di un boss arrestato nell’ultimo blitz a un’amica, anche lei nelle stesse condizioni  –  deve campare i miei figli. Novembre, dicembre, gennaio, e poi non si è visto più nessuno. Non è giusto che abbandoni mio marito”. Non era solo un sfogo questo. La donna contava di fare arrivare le lamentele al nuovo vertice mafioso rappresentato da Renzo Lo Nigro.
Con Lo Nigro sono stati arrestati due suoi stretti collaboratori, Girolamo Albanese e Mario Di Cristina. Altri tre sono accusati di un traffico di droga: Vincenzo Cosenza, Alessandro Longo, Giorgio Stassi. Un quarto è ricercato. Cosa nostra ha ormai deciso di gestire direttamente il traffico di droga, non più delegando ai trafficanti di professione. Il nuovo business è la cocaina, che non è più la droga dei ricchi, ma ha un mercato di spaccio vario. I boss della Noce la vendevano a 55-60 euro a grammo.

BERLUSCONI INDAGATO A NAPOLI: CORRUZIONE!!!

silvio berlusconi -indagato - napoli - corruzione
Il leader del Pdl, Silvio Berlusconi, è indagato dalla Procura di Napoli per corruzione e finanziamento illecito ai partiti. L’indagine, condotta anche da magistrati della Dda, riguarda la presunta erogazione di una somma di denaro, pari a tre milioni di euro, al senatore Sergio De Gregorio in relazione al suo passaggio al Popolo delle Libertà.
Sulla vicenda, oltre ai pm della Dda Francesco Curcio, Alessandro Milita e Fabrizio Vanorio, indagano i magistrati Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, titolari dell’inchiesta sul faccendiere Valter Lavitola che lo scorso anno portò al coinvolgimento del senatore De Gregorio. L’inchiesta di Napoli su Silvio Berlusconi è infatti condotta da un pool di magistrati di due sezioni della Procura del capoluogo campano, quella sui reati contro la pubblica amministrazione e la Direzione distrettuale antimafia.

Ingroia riceve minacce di morte come a Falcone e Borsellino!

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Una lettera agghiacciante contenente minacce di morte vere e proprie è stata recapitata all’Espresso e alla sede del Pdci.
Si chiede il ritiro dalla politica di Antonio Ingroia, definito, nel testo della lettera, come un “comunista di m****”.
“Si tratta – commenta Orazio Licandro, coordinatore della segreteria del Pdci, candidato alla Camera con Rivoluzione Civile – di un atto di stampo mafioso-fascista, teso a colpire una figura limpida della lotta alla mafia, della legalità e della buona politica come Antonio Ingroia. Questo sistema dell’informazione sta contribuendo a creare un clima pericoloso intorno alla lista“.

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