6 mesi e poi il baratro? Il report di Mediobanca

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Restano davvero solo 6 mesi all’Italia prima di andare a bussare alla porta dell’Europa e chiedere un piano di salvataggio o è solo una visione catastrofista del report di Mediobanca securities? Secondo gli inglesi che controllano il gruppo, l’Italia sarebbe sull’orlo del baratro se non riesce a ritrovare la via della crescita attraverso quel pacchetto di riforme che era stato varato dal governo monti e che ora però sembra essere stato abbandonato o comunque relegato in un angolo. L’analista Antonio Guglielmi, non ha paura a lanciarsi in un’indagine negativa nella quale vede la possibilità di un aggravemento della crisi tale da poter portare lo Stivale a un salvataggio in extremis.

La situazione, sempre secondo questo rapporto, sarebbe peggiore rispetto al 1992, perché all’epoca l’Italia poteva contare sulla leva della svalutazione.

Cosa fare? Si ritorna sull’antico dilemma dell’abbassamento del debito pubblico e si vorrebbe varare una misura per cercare di reperire 75 miliardi senza danneggiare i consumi. Da chi prenderli? Al vaglio ci sarebbe un innalzamento delle aliquote sulle rendite finanziarie, escludendo i titoli di Stato, e un prelievo, una tantum, al 10% per coloro che hanno un patrimonio superiore ai 1,3 milioni di euro. Con tale operazione, secondo Guglielmi si arriverebbe a prelevare 43 miliardi di euro, mentre 20 miliardi potrebbero arrivare dai capitali nascosti in svizzera e altri 2 miliardi da un condono edilizio. Ne mancherebbero sempre e comunque 10… Tra l’ennesimo condono edilizio volto a rinnovare lo sfregio al nostro territorio e la tassa “sui ricchi” che sembra comunque andare a danneggiare ancora una volta solo una parte della popolazione (quella fra l’altro che può facilmente decidere di spostare i propri capitali), quello che emerge dal rapporto è la drammatica situazione del nostro Paese sempre più esposto al rischio di salvataggio e incapace di poter dare una svolta al proprio destino. E’ ancora una politica sostenibile quella di abbattere la ricchezza dei cittadini più ricchi, non per ridistribuire il reddito, ma bensì per andare a colmare il debito pubblico? C’è da chiedersi perché colpire i ricchi per impolpare le casse dello Stato e non finalizzare quel gettito a un’azione mirata per far riprendere l’economia? A oggi, sembra che la cura per l’Italia, non sia ancora stata inventata! C’è ancora tempo per la politica del “riparliamone fra qualche mese”?

Nuova manovra? Gli italiani saranno ancora tartassati in autunno?

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E’ Stefano Feltri a lanciare l’allarme dalle pagine de “Il Fatto Quotidiano” su cui ipotizza la possibilità di una nuova manovra finanziaria in autunno:

Il report rivelato dal Fatto Quotidiano, nel quale si sostiene che l’Italia rischia di dover ristrutturare il debito pubblico nei prossimi sei mesi, è stato preso molto sul serio, al ministero del Tesoro lo stanno studiando da giorni. La dimostrazione che l’analisi di Guglielmi è fondata sta nei numeri. Mentre il governo litigava su Iva e Imu, venerdì sui mercati succedeva questo: il Btp decennale emesso il 2 maggio 2003 con una cedola del 4,25 per cento e scadenza il primo agosto 2013 pagava un rendimento di 74 punti base. Cioè prestando alla Repubblica Italiana soldi per un mese circa si incassa lo 0,74 per cento di interesse. Un Bot a sei mesi emesso il 31 gennaio 2013 con scadenza il 31 luglio, quindi un giorno prima del Btp, pagava invece un rendimento di 48 punti base, cioè 26 punti in meno del Btp. Rispetto al Bot, il Btp rende il 50 per cento in più.

Cosa succederà?

Quando c’è uno squilibrio di questo tipo, il mercato di solito tende a chiudere “l’arbitraggio”, cioè vende Bot e compra Btp finché la differenza non si annulla. Se il mercato tollera l’inefficienza ci deve essere una ragione. La spiegazione è che c’è una differenza nascosta tra Btp e Bot. I Btp sono prestiti a lungo termine, i Bot a breve. Quando un Paese dichiara un default, anche parziale, e chiede di rinegoziare le condizioni sul suo debito, di solito i prestiti a lungo termine sono coinvolti mentre quelli a breve, usati dalle banche come collaterali (cioè garanzie) per le loro operazioni quotidiane, restano al sicuro.

Anche perché per discutere la ristrutturazione di un debito pubblico ci vogliono tempi lunghi, almeno un anno, e quindi i prestiti a breve nel frattempo vengono tutti rimborsati. Morale: o c’è una spiegazione di questo fenomeno che è sfuggita ad Antonio Guglielmi e al suo team di analisti, oppure il mercato sta “prezzando” il rischio di una ristrutturazione del debito pubblico italiano nei prossimi mesi. Questo non significa che il default è certo, ovviamente, ma che gli investitori si stanno cautelando chiedendo rendimenti più elevati per pareggiare il rischio. Al Tesoro ne sono consapevoli.

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