300 ore trascorse al computer in orario di lavoro. Tempo durante il quale ha giocato online sbizzarrendosi con solitari, giochi vari e affini. Un simile passatempo, nel 2007, era costato il lavoro a F.C., licenziato dalla K24 Pharmaceuticals di Roma. L’azienda, in seguito, ha dovuto reintegrarlo perchè così deciso dalla Corte d’Appello al quale il “lavoratore” aveva presentato ricorso. Ora, però, la Cassazione ha annullato la sentenza d’Appello invitando la Corte a pronunciarsi nuovamente. Questo perchè l’Appello aveva accolto la tesi del dipendente, che parlava di “motivazioni troppo generiche”. Nel dettaglio il datore di lavoro non era in grado di dire esattamente quando e quante partite abusive erano state fatte sul posto di lavoro. Pensiero però non condiviso dalla Cassazione. Come spiega il Messaggero:
In particolare, la Suprema Corte ha fatto notare che «l’addebito mosso al lavoratore di utilizzare il computer in dotazione ai fini di gioco non può essere ritenuto logicamente generico per la sola circostanza della mancata indicazione delle singole partite giocate abusivamente dal lavoratore».
È, dunque, «illogica – ha sottolineato la Cassazione – la motivazione della sentenza impugnata che lamenta indicazione specifica delle singole partite giocate, essendo il lavoratore posto in grado di approntare le proprie difese anche con la generica contestazione di utilizzare in continuazione, e non in episodi specifici isolati, il computer aziendale» per motivi ludici. Il lavoratore subirà un nuovo esame davanti alla Corte d’appello di Roma che «provvederà ad una diversa decisione non considerando generica la lettera di contestazione da cui poi è conseguito il licenziamento».