L’America si sta interrogando e il caso di Marlise Munoz sta prepotentemente riportando alla ribalta il vecchio dibattito tra “pro life” e accanimento terapeutico. Nel caso in specie una donna incinta di 14 settimane, dichiarata morta viene tenuta in vita per tentare di salvare il feto. Le possibilità sono bassissime e inoltre la famiglia ha chiesto espressamente di spegnere le macchine anche perché quel feto, che ora ha 22 settimane, è idrocefalo e presenta anche altre gravi malformazioni. Pro life o “esperimento ai limiti dell’umanità”? Pro life o accanimento terapeutico? I medici hanno impugnato il Texas Advance Directives Act,che consente agli ospedali di interrompere le misure di sostegno alla vita nonostante il parere contrario dei familiari, se queste misure sono ritenute inutili. Solo che la stessa norma, in Texas, prevede l‘obbligo di provare a portare a termine la gravidanza, nel caso la paziente sia incinta.
Questo caso a fatto ritornare alla memoria un’altro atroce episodio: quello della 13enne Jahi McMath. La ragazzina dichiarata morta cerebralmente, il cui cadavere è stato restituito ai genitori che però lo hanno consegnato a un ospedale che ha deciso di attaccarle le macchine per l’assistenza artificiale. Il risultato è che il corpo della ragazzina si sta decomponendo all’interno, producendo secrezioni, proprio come se fosse un cadavere. Ma per tutti gli americani pro-life ad oltranza quel che resta e non si decompone deve continuare ad essere attaccato alle macchine. Pro life?