Zeman si appella alle ripartenze di Schillaci: “regalacene un’altra”

zeman-schillaci-tuttacronacaLa Gazzetta dello Sport, che ieri aveva dato spazio alla drammatica storia di Maurizio Schillaci, cugino di quel Totò nazionale che tanto aveva fatto esultare i tifosi italiani. Una storia di successo che s’infrange contro un infortunio di gioco. Dopo di che, il precipizio: la droga, la mancanza di un lavoro e di una casa. E, in fondo, quella fiammella ancora viva e la voglia di ripartire. E proprio alle sue famose ripartenze fa riferimento Zdenek Zeman. Oggi, tra le colonne della Rosea, si legge uno scritto dell’allenatore che ricorda il suo ex giocatore, parla del calcio e delle sue similitudini con la vita e ricorda che “non è mai troppo tardi”.

Ci sono storie che toccano il cuore. E che fanno male. Storie che portano inevitabilmente “tutti gli altri” a parlare, giudicare, commuoversi, partecipare. Quella di Maurizio Schillaci diventa notizia oggi nei passaggi più drammatici, che più fanno effetto, ma ha radici più lontane, passaggi più complessi. E io ho troppo rispetto per unirmi a un coro o per condividere ricordi e momenti vissuti con lui così personali.

Perché Maurizio l’ho avuto negli Allievi, poi in Primavera, poi a Licata, Foggia (ma solo pochi giorni), Messina… L’ho visto crescere in quegli anni in cui il calcio, soprattutto al Sud, aveva ancora la poesia di campi arrangiati e di rapporti umani e Maurizio era idolo dei suoi tifosi e leader per i compagni. Così lascio per me l’uomo e vi racconto “solo” il giocatore.

Un grande talento. Tecnicamente un fenomeno. Per mezzi, colpi e intelligenza calcistica avrebbe potuto giocare in Serie A senza difficoltà e farlo a grandi livelli. Nel mio 4-3-3 giocava sulla fascia, e aveva tutto quel che serve per quel ruolo: corsa, progressione, tecnica, senso del gol, altruismo. Maurizio è sempre stato un generoso con tutti, per questo i compagni gli volevano bene. Lui aiutava tutti. E dispiace oggi saperlo solo.

Se era più forte del più famoso cugino Totò? In passato l’ho detto, ma non c’è sempre bisogno di un paragone, di un più o un meno, di un titolo a effetto. Certe carriere non sempre ti regalano quanto avresti meritato. Vale anche per la vita, purtroppo. Che non inizia e finisce solo in un campo di calcio. Lì Maurizio la sua partita la giocava veloce e leggera, con fantasia e colpi di genio, col cuore e con la testa. E non finiva mai in fuorigioco. Così mentre me lo rivedo su quella fascia, quello che gli auguro oggi è di riuscire in un’altra ripartenza, una di quelle in cui era bravissimo e nessuno riusciva a stargli dietro. Non è mai troppo tardi.
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