Dura appena tre minuti il filmato delle Pussy Riot dal titolo “Putin vi insegnerà ad amare” che è rapidamente diventato virale in rete. Il video documenta la breve permanenza del gruppo punk femminista a Sochi, la città russa che sta ospitando i giochi invernali. Le Pussy Riot appaiono con il loro ben noto passamontagna colorato in testa mentre stazionano davanti a simboli dell’Olimpiade mescolate con immagini delle percosse subite dai cosacchi mentre le ragazze tentavano di esibirsi nel vicinanze delle strutture dedicate alle gare olimpiche. Il testo vuole essere un attacco al leader russo Putin, a cui si contestano le spese folli per l’organizzazione dei giochi – 50 miliardi di dollari – le ingenti misure di sicurezza e soprattutto la discriminazione nei confronti degli omosessuali: “Hanno preso l’orgoglio gay e l’hanno buttato nel cesso”, urlano le cantanti. Le cantanti, sempre con il loro brano, chiedono che vengano liberati tutti i prigionieri politici del “caso Bolotnaya”, vale a dire i manifestanti arrestati il 6 maggio 2012 durante una protesta organizzata alla vigilia dell’inaugurazione del terzo mandato di Putin. Proprio oggi – 21 febbraio 2014 – il tribunale distrettuale di Zamoskvoretsky, a Mosca, ha dichiarato colpevoli di “disordini di massa” otto degli attivisti arrestati due anni fa. Le loro condanne saranno lette lunedì prossimo. Appena ieri sul New York Times scriveva una delle Pussy Riot, Maria Alyokhina: “A causa del loro dissenso, molte persone oneste sono in carcere, imputate nel caso Bolotnaya. Sono le persone accorse a Mosca il 6 maggio 2012 per protestare contro i brogli avvenuti nel corso delle elezioni presidenziali. Hanno solo urlato “Putin vieni fuori!” e sono state malmenate dalla polizia, arrestate e messe sotto processo. Questa storia è più importante delle Olimpiadi, poiché dice tutto su come sia davvero, oggi, la Russia”.