
Erano stati annunciati dal premier Letta in persona i funerali di Stato per le vittime di Lampedusa e invece oggi il sindaco dell’isola siciliana, Giusi Nicolini, denuncia che le salme si stanno seppellendo senza nessun funerale. Sembrerebbe l’ennesimo annuncio alla presenza delle istituzioni internazionali che poi non ha trovato seguito nei fatti. Eppure quel 9 ottobre tutti si erano stupiti della decisione del Premier di voler organizzare a spese dello stato la sepoltura con tutti gli onori dei migranti che avevano perso la vita nel drammatico naufragio. Se davvero l’Italia ha bisogno di stabilità politica per fermare la speculazione sui mercati, è pur vero che c’è bisogno anche di coerenza. Non c’è nulla di peggio che assistere ai proclami che poi restano solo parole senza fatti… In questo modo si lede l’immagine del nostro Paese e si fanno riaffiorare i fantasmi di un ventennio di parole che hanno poi portato l’Italia sull’orlo del baratro. Che bisogno c’era di annunciare i funerali di stato? L’ennesima umiliazione per i migranti?
Ieri il sindaco di Lampedusa, ha twittato:
A questo messaggio è seguito il silenzio. Lo stesso silenzio lamentato dalla stessa sindaco che aveva anche asserito: “A Lampedusa il governo è sparito”. Solo il Viminale alla fine si fa coraggio e risponde: “Non siamo noi a disporre i funerali solenni”, compito che spetta secondo il protocollo all’Ufficio del cerimoniale: “Dovevamo però portare via le 373 bare dall’isola per questione di igiene pubblica”. E sempre per motivi sanitari saranno interrate al più presto con soltanto un numero identificativo.
Dove troveranno sepoltura?
Alcuni nei cimiteri dell’Agrigentino e altri in Comuni siciliani disposti ad accoglierli, anche temporaneamente. 80 salme sono già state tumulate nel cimitero Piana Gatta di Agrigento, altre 70 sono state disseminate nei camposanti della provincia e sepolte, riportano i quotidiani locali, con una breve preghiera cattolica. Lontani dai parenti, in prevalenza cristiano-ortodossi e musulmani.
Come scrive l’Huffington Post:
“È inaudito. Quell’annuncio dei funerali di Stato ha creato soltanto confusione”, commenta parecchio indignato don Mosé Zerai, sacerdote presso il Vaticano e fondatore dell’agenzia Habeshia ormai diventato un punto di riferimento per gli eritrei in esilio in Italia, al punto che spesso è lui a ricevere gli Sos dai barconi carichi di suoi connazionali che tentano di attraversare il Mediterraneo. Ed è lui, in queste settimane, a ricevere e smistare le continue telefonate dei famigliari dei naufraghi che dalle città europee e americane, ma anche dall’Eritrea, chiedono notizie sui loro defunti. “Come comunità eritrea siamo veramente stupiti dal modo nel quale il governo italiano sta gestendo questa situazione”.
Il primo pensiero di don Zerai va ai cadaveri senza funerale: “Un’offesa alle vittime e ai loro famigliari. Poiché ci aspettavamo esequie solenni, abbiamo consigliato ai parenti in lutto di non organizzare funerali privati ma di attendere. E invece ora hanno disseminato le bare in molti posti della Sicilia, rendendo difficilissimo il compito di coloro che devono ancora identificare i loro morti. A chi dovranno rivolgersi questi poveretti per poter capire su quale bara devono piangere?”.
Il sacerdote eritreo dice di avere spedito una lettera a Enrico Letta e Emma Bonino, senza ricevere risposta alle sue domande. E questa mattina verrà ricevuto dalla Commissione esteri della Camera nella speranza di capire cosa succederà nei prossimi giorni. L’idea del religioso è quella di impegnare le istituzioni italiane a farsi carico del trasporto delle salme in Eritrea, a prescindere dal fatto che alla fine molte non avranno un nome, tranne quei corpi che i famigliari esuli vorranno seppellire nella nuova patria.
Ad attendere la soluzione del mistero sulla celebrazione funebre promessa da palazzo Chigi non sono soltanto genitori, sorelle, fratelli e cugini dei morti di Lampedusa, molti dei quali residenti negli Stati Uniti, in Canada e in Europa, ma anche vescovi e sacerdoti di fede ortodossa – la fede religiosa più diffusa in Eritrea, insieme all’Islam – che dall’America e dalla stessa Eritrea sono pronti a concelebrare quel funerale importante.
Comunque sia, il destino di quei feretri rimane incerto. L’ambasciata eritrea si è offerta di rimpatriare le salme identificate con certezza come eritree, e in questo scenario si inscrivono altre due stranezze che ben raccontano la confusione del governo. Da giorni infatti passeggiano per Lampedusa due funzionari dell’ambasciata eritrea in Italia, ufficialmente sull’isola per dare conforto e aiuto ai parenti dei morti in mare, nonostante quei morti siano fuggiti proprio dal pugno di ferro del regime di Asmara e una legge imponga ai famigliari degli esuli il pagamento di una multa salata come punizione.
Secondo fonti del Comune, i diplomatici avrebbero addirittura chiesto di entrare nel centro di accoglienza dove vivono ammassati i superstiti del naufragio del 3 ottobre e, non avendo ricevuto il via libera, tentano di avvicinarli lungo le strade di Lampedusa chiedendone nome e cognome, oppure scattando loro delle foto. Dati che molto facilmente finiranno negli elenchi del governo eritreo.
Il 14 ottobre è poi arrivato, senza che la sindaca ne fosse informata, l’ambasciatore eritreo Zemede Tekle Woldetatios. In mancanza di un protocollo né un avviso da parte del ministero degli Esteri o dalla Prefettura, però, la sindaca Giusi Nicolini non ha potuto incontrarlo. E così Woldetatios è dovuto andarsene non senza aver ripetuto ai giornalisti la disponibilità di Asmara a riprendersi i feretri.
Con questo obiettivo il rappresentante eritreo in Italia assicurava, in una nota non firmata e divulgata il 9 ottobre, di aver avviato un canale diplomatico con il nostro Paese. Se è dunque la Farnesina a ricevere le richieste dell’Eritrea, rimane insoluto il quesito su quale autorità italiana dovrebbe proteggere i futuri richiedenti asilo di Lampedusa da un governo dittatoriale che potrebbe decidere di perseguitarli, quando è lo stesso esecutivo italiano a ricevere i sostenitori del regime eritreo.
È il caso dell’incontro avvenuto ieri mattina tra la ministra Cécile Kyenge e quello che nel comunicato stampa del ministero per l’Integrazione viene definito “il presidente della comunità eritrea in Italia”, Derres Araia, simpatizzante del regime di Isaias Afewerki, presente alle iniziative dell’ambasciatore Zemede Tekle Woldetatios e dunque politicamente nemico degli eritrei che viaggiavano stipati in quel barcone colato a picco al largo dell’isola dei Conigli. Al punto da aver scritto in un tweet che “in Eritrea non esistono oppositori” e che l’emigrazione dei suoi connazionali è dovuta “all’ostruzionismo di Wasghinton-EU” (sic).
“L’ultima telefonata dallo Stato è arrivata sabato scorso da Giorgio Napolitano”, assicurano ora al Comune di Lampedusa. Nicolini aveva chiesto una unità di crisi che affiancasse la giunta della piccola isola nell’immane lavoro burocratico relativo all’accoglienza dei parenti delle vittime, all’identificazione e alle visite ufficiali. Quella richiesta è andata a vuoto, e l’impressione è quello di un continuo “scaricabarile” da una istituzione all’altra. O, come suggella don Mosé, “una presa in giro”.
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