E’ mancato improvvisamente Nicola Rondolino, stroncato da un infarto domenica mentre si trovava nella sua abitazione torinese. I funerali avranno luogo domani mattina nella sua Torino, nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù. Nato il 20 luglio 1968, dal padre Gianni, illustre storico della settima arte, aveva ereditato una grande passione per il cinema, mentre dal fratello Fabrizio, giornalista e polemista, la verve che tutti gli riconoscevano. Ha iniziato l’avventura nella settima arte, dopo una laurea in Storia e Critica del Cinema, lavorando come assistente alla produzione e alla regia con, tra gli altri, Mimmo Calopresti (La seconda volta), Gianluca Tavarelli (Un amore, Qui non è il paradiso), Guido Chiesa (Il partigiano Johnny), Carlo Mazzacurati (L’estate di Davide), Sergio Castellitto (Libero Burro), Lina Wertmüller (Ferdinando e Carolina), Francesco Calogero (Cinque giorni di tempesta, Metronotte). La sua prima regia risale al 1996, con il cortometraggio Chiuso per lutto. Nel 1999 vince il premio alla miglior regia al Festival Cinema in diretta di Saint Vincent con il corto collettivo Tommygun, mentre nel 2001 esordisce nel lungometraggio con Tre punto sei. Dal 2003 gira insieme a Davide Tosco alcuni video e documentari, tra cui Due, Camminando e Sei di Falchera. Negli stessi anni, dal 1999 al 2002, lavora al Torino Film Festival, selezionando film e curando la sezione dedicata al cinema giapponese. Nel 2009 collabora alla scrittura e alle riprese del documentario di Laura Halivovic Io, la mia famiglia Rom e Woody Allen, vincitore di numerosi premi in festival nazionali e internazionali. Dal 2006 lavora come regista della seconda unità ne La terza madre di Dario Argento, ne Il giuramento di Ippocrate di Lucio Pellegrini e in alcune fiction televisive come Ris Roma di Fabio Tagliavia, Le cose che restano di Gianluca Tavarelli e L’ombra del destino di Pier Belloni. In televisione ha ricoperto vari ruoli: aiuto regista, regista della seconda unità, anche attore: ne I liceali, per esempio, era un ruvido portiere d’albergo.
“Torino è la mia città!, come cantavano i Rough, gruppo punk torinese degli anni Ottanta. Nel bene e nel male, con il suo reticolo di vie dritte e piazze ad angolo retto, al cospetto di montagne innevate, tra i rintocchi notturni sul porfido bagnato, negli anfratti nascosti dietro le facciate settecentesche, nei retrobottega, nei cortili delle case di ringhiera, nelle gallerie sotterranee che si snodano sotto tutta la città, tra le fabbriche abbandonate e i palazzi di periferia, nei bar di quartiere e nei giardinetti malfamati.
La Mole Antonelliana l’han costruita apposta,
mi dondolo nel vuoto, mi butto giù di testa,
la Mole Antonelliana l’han costruita apposta,
ma prima di buttarmi aspetto una risposta,
cantavano i Fratelli di Soledad.
La cosa più bella di Torino, secondo me, è che non è mai soltanto quella che sembra, se chi la vive ha la curiosità di girare l’angolo, entrare nel portone e scendere le scale, giù giù fino a scoprire i luoghi più nascosti e dimenticati. Torino è come una città di un racconto di Lovecraft, perché, a dispetto di ogni possibile restyling, alimenterà sempre nelle proprie viscere una follia imprevedibile e vitale, che dai recessi dell’ombra continuerà a ridersela e a farsi beffe di tutto quanto, pronta a sgusciare fuori e a librarsi nella luce del sole.”
-Nicola Rondolino-
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