Il presidente della Corte Suprema indiana, Altamas Kabir, ha sostenuto che l’ambasciatore italiano, Daniele Mancini, ha “automaticamente perso il diritto all’immunità” diplomatica quando ha presentato insieme ai marò una dichiarazione giurata. Il magistrato ha concluso dicendo di aver “perso ogni fiducia nel signor Mancini”.
Praticamente Massimiliano Latorre e Salvatore Girone “non hanno ancora violato le nostre direttive”, ha aggiunto il presidente della Corte. Kabir ha quindi affermato che “bisogna attendere il 22 marzo (giorno di scadenza del permesso concesso ai marò) per esprimersi “ascoltando anche l’opinione del governo centrale che è parte di questa vicenda”.
Il difensore dei due marò italiani e dell’ambasciatore Mancini, Mukul Rohatgi, ha ricordato alla Corte suprema indiana che – in base alla Convenzione di Vienna – la persona dell’ambasciatore è inviolabile e che quindi “nessuna autorità indiana può imporre restrizioni sui suoi movimenti”.
La Corte Suprema di New Dehli ha aggiornato al 2 aprile l’udienza sul caso dei marò. In aula c’era il team legale dell’ambasciata d’Italia ma non l’ambasciatore Daniele Mancini, per il quale è stato esteso il divieto di espatrio. Gli italiani sono rappresentati dall’avvocato indiano Mukul Rohatgi.
Effettivamente “esiste un conflitto di giurisdizioni” sulla questione dei marò che “deve essere esaminato”. Lo ha detto a New Delhi il portavoce del ministero degli Esteri indiano, Syed Akbaruddin. Per il momento, ha aggiunto, “noi ci atteniamo alle direttive che ci provengono dalla Corte Suprema”. Ad una domanda riguardante il fatto che l’ambasciatore Daniele Mancini, essendo anche accreditato in Nepal, potrebbe dover viaggiare in quel Paese, Akbaruddin è stato molto prudente. “Ci muoviamo in un terreno molto delicato”, ha detto.