Un altro locale nel mondo che celebra la malavita: Arte de Mafia

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Non bastavano le polemiche sul locale viennese “Don Panino”, dove il menu prevede piatti come Don Falcone e Don Peppino, oltre a una varietà di ricette ispirate ai boss mafiosi, in Argentina, a Palermo, c’è un locale dov’è possibile assaggiare “gli squisiti sapori della mafia”. Il posto è “Arte de Mafia”, ristorante italiano a Buenos Aires.

Il brand mafioso serve quindi per attirare clienti, celebrando i peggiori boss della storia, con piatti dedicati ai capi di Cosa Nostra (Provenzano, tra gli altri), ‘Ndrangheta e Camorra. Diversamente da “Don Panino”, qui i simboli dell’antimafia non vengono accomunati, nel menu, ai boss della malvita, ma è identica la spettacolarizzazione del fascino criminale. Un lettore de LiveSicilia pone al riguardo un interessante interrogativo: “Siamo certi che l’Argentina non protesterebbe con l’Italia se da noi un locale celebrasse, per dire, il dittatore Videla?”.

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E’ morto l’ultimo dei dittatori ancora in vita: l’argentino Jeorge Videla

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E’ morto a 87 anni l’ex dittatore argentino Jorge Videla, incarcerato in una prigione  nei pressi di Buenos Aires dopo la condanna, arrivata nel 2010, a due ergastoli per la sanguinosa e sistematica repressione dei dissidenti argentini durante la sua presidenza, negli anni compresi tra il 1976 ed il 1981. La morte dell’ex generale dell’esercito, che era stato a capo della giunta militare argentina dopo aver preso il potere con un golpe ai danni di Isabel Peron, seconda moglie del presidente, è stata confermata dal direttore del Servicio Penitenciario Federal, Vìctor Hortel. Il decesso è avvenuto per cause naturali nel centro penitenziario Marco Paz ed  i media locali hanno dato la notizia con titoli del tenore “E’ deceduto Videla, responsabile del genocidio”. Al suo nome è infatti riconducibile il periodo più oscuro della storia argentina: la vicenda dei “desaparecidos” e la tragedia della scomparsa dei neonati. A tutt’ora las abuelas (le nonne) de Plaza de Mayo chiedono di sapere che fine hanno fatto i loro nipoti, nati durante la prigionia delle loro figlie o nuore. Jorge Rafael Videla “Era l’ultimo dei dittatori ancora in vita ed era stato il leader della giunta militare responsabile del golpe, il 24 marzo del 1976, contro Isabel Peron, la vedova di Juan Domingo Peron”, ricorda un quotidiano locale. Mente della dittatura, violò sistematicamente i diritti umani e tra i suoi crimini si ricordano l’assassinio e la tortura di 30.000 persone. Sempre sotto il suo governo ci furono anche i forti contrasti con il Cile, che per poco non sfociarono in guerra.

L’insediamento della giunta da lui guidata portò alla sospensione delle libertà civili e sindacali e all’arresto, tortura, omicidio di persone sospettate di appartenere a organizzazioni studentesche, sindacali, politiche o che si ritenesse potessero svolgere una qualsiasi attività che interferisse con la politica della dittatura militare. Furono gli anni delle falcon verdi e dei centri di detenzione clandestina dove si perpetuavano abusi, violenze e torture. Furono gli anni in cui il Rio de la Plata si riempì di corpi, sedati e legati, lanciati dal cielo durante i famigerati voli della morte. Videla fu poi deposto il 29 marzo 1981 da un nuovo colpo di Stato capeggiato dal generale Viola, che si autonominò presidente a vita e proseguì la strategia basata sul terrore: durante il suo regime avvenne l’ultima strage perpetrata dal capitano Alfredo Astiz in cui trovarono la morte circa 5.000 prigionieri detenuti in un campo di prigionia. Viola a sua volta fu deposto, il 22 dicembre dello stesso anno, dal generale Galtieri che diede le dimissioni il 18 giugno 1982 a seguito della sconfitta nella Guerra de las Malvinas (guerra delle Falkland), non prima di aver represso, nel frattempo, 5 manifestazioni e di aver condannato a morte altre 9.000 persone.

Jorge Rafael Videla venne processato solo a dittatura terminata, nel 1985, per le responsabilità in merito alla scomparsa di circa 30.000 oppositori e nello stesso anno fu condannato all’ergastolo. Ma nel 1990, sotto pressione dei militari, fu liberato con il decreto 2741/90 concesso dall’allora ministro Menem. Venne poi nuovamente processato e, il 22 dicembre 2010, fu dichiarata la condanna all’ergastolo in un carcere non militare per la morte di 31 detenuti.

Dall’anello alla cerimonia di domani… il Papa continua a far parlare di sè!

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L’anello piscatorio di Papa Francesco non sarà d’oro ma d’argento dorato. Inoltre, Bergoglio conserverà stemma e motto che aveva da vescovo. Sono vari anche gli “aspetti di semplicità” della messa che Bergoglio celebrerà domani a piazza San Pietro per l’inaugurazione del Pontificato. Lo ha sottolineato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, dettagliando alcuni particolari della liturgia.

Il Vangelo sarà “cantato in greco”. Se normalmente viene cantato in latino e greco, per sottolineare l’unità dei cristiani di Oriente e Occidente, in questo caso si è optato per il greco “perché di latino ce n’è già molto”. Il Papa “non dà la comunione lui personalmente, ma la danno i diaconi”. Ancora, “non c’è processione delle offerte, pane e vino per la messa vengono portati dai ministranti per l’altare, ma senza solenne processione”. L’omelia sarà tenuta in italiano. Per i giornalisti dovrebbe esserci un testo distribuito in embargo, “ma abbiamo visto – ha precisato Lombardi – che il Papa ama una certa spontaneità, quindi può darsi che aggiunga altre frasi e osservazioni mentre parla”. Alla messa, peraltro, che cade nella solennità della festa di San Giuseppe, canteranno il coro della Cappella sistina e il coro dell’Istituto di musica sacra. All’offertario, mottetto composto proprio per la messa di inaugurazione da Pierluigi da Palestrina “Tu es pastor ovium”. Alla fine, il “Te deum”.

Gli “aspetti di relativa semplicità della messa – ha detto Lombardi – fanno sì che la messa non dovrebbe essere molto lunga. La celebrazione di domani può stare in due ore, forse alle 11:30 le cose sono già verso il termine”.

Il Papa domani lascerà la casa di Santa Marta per la messa di inaugurazione del Pontificato intorno alle 8:45-8:50 e poi, “in jeep o in papamobile”, farà un “lungo giro nella piazza, in mezzo alla folla nelle vie che vengono lasciate libere, prima dell’inizio della celebrazione”. Il portavoce vaticano ha detto inoltre che poi andrà alla sagrestia, vicino alla Pietà, intorno alle 9:15, e si preparerà alla celebrazione che avrà inizio verso le 9:30 cui parteciperanno anche rappresentanti ebrei e musulmani. La esatta definizione di quella di domani mattina è la “messa di inaugurazione del ministero petrino del vescovo di Roma”.

L’anello si chiama del pescatore “perché San Pietro era pescatore e Gesù lo ha fatto diventare pescatore di uomini”, ha detto Lombardi in un briefing. “Ma sull’anello che questa volta il Papa riceverà è rappresentato San Pietro con le chiavi”. L’anello è opera dell’artista italiano Enrico Manfrini. Il Papa ha scelto il modello, il cui disegno ha origine con il segretario di Paolo VI mons. Macchi, tra “due o tre possibilità che gli sono stati presentati”.

La cronaca nera e la cronaca rosa del Papa raccontata dalla sorella!

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«Mio padre scappò dall’Italia per il fascismo: vi pare possibile che mio fratello fosse complice di una dittatura militare? Sarebbe stato come tradire la sua memoria». Sono parole della sorella di Papa Francesco, Maria Elena Bergoglio. «Non so se le critiche sono un prodotto della sinistra – aggiunge – Credo siano spine che fanno parte del cammino, e Dio si incaricherà di toglierle». Durante gli anni di Videla, prosegue, Bergoglio «protesse e aiutò molti perseguitati dalla dittatura. Erano tempi cupi e serviva prudenza, ma il suo impegno per le vittime è provato». Insomma serviva prudenza? Non coraggio? Prudenza è anche compromesso!
Intervistata, la donna racconta dell’infanzia e della gioventù di papa Francesco. «Jorge Mario era per me il fratello più grande – spiega – quello che giocava a pallone, che andava all’Azione cattolica e che studiava». «Jorge decise che sarebbe entrato in seminario che ormai aveva diciannove anni, era un 21 settembre e doveva andare con gli amici ad un picnic perché in Argentina quel giorno è l’inizio della primavera. Invece andò in chiesa a parlare con il sacerdote. A quel tempo è vero che c’era una possibile fidanzata, me lo ha raccontato spesso lui stesso ma senza mai dirmi il nome. Era una ragazza del suo gruppo di amici, quelli del picnic. Quel giorno di primavera avrebbe dovuto dichiararsi a lei. Ma se continuo a raccontare finisce che mi fratello mi scomunica».

FRANCESCO I “COLLUSO” CON LA DITTATURA ARGENTINA ED ESMA!

francesco I - desaparesidos- dittatura- argentina- gesuita- tuttacronaca

Il 16 aprile del 2005 (a due giorni dall’inizio del Conclave che portò Ratzinger sul soglio pontificio) le agenzie di stampa batterono un take proprio sull’arcivescovo di Buenos Aires: “Il quotidiano messicano ‘La Cronica de Hoy’ riferisce che contro Bergoglio è stata presentata una denuncia per presunta complicità nel sequestro di due missionari gesuiti il 23 maggio del 1976, durante la dittatura. La denuncia è stata presentata dall’avvocato e portavoce delle organizzazioni di difesa dei diritti umani in Argentina, Marcelo Parilli, che ha chiesto al giudice Norberto Oyarbide di indagare sul ruolo di Bergoglio nella sparizione dei due religiosi a opera della marina militare”.

Oltre al lancio di agenzia uscì ma anche un libro su Bergoglio intitolato “L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina”. L’autore era il giornalista Horacio Verbitsky, uno dei massimi esperti del movimento argentino per la difesa dei diritti umani. Come ricostruisce Verbitsky, Bergoglio veniva accusato di collusione con la dittatura di Videla. Verbitsky spiega che nei primi anni ’70 nel ruolo di Superiore provinciale della Compagnia di Gesù in Argentina, il giovane gesuita ebbe contatti con numerosissimi sacerdoti.

Nel febbraio del ’76, un mese prima del colpo di stato argentino, Bergoglio chiese a due dei gesuiti impegnati nelle comunità di abbandonare il loro lavoro nelle baraccopoli e di andarsene da Buenos Aires. I due sacerdoti Orlando Yorio e Francisco Jalics si rifiutarono di eseguire l’ordine di Bergoglio per non abbandonare i poveri della capitale argentina. (E ora prende il nome di Francesco I?)

Sempre secondo la ricostruzione di  Verbitsky Bergoglio espulse allora i due sacerdoti dalla Compagnia di Gesù e poi fece pressioni all’allora arcivescovo di Buenos Aires per toglier loro l’autorizzazione a celebrare messa. Subito dopo il golpe militare del 24 marzo 1976 i due sacerdoti furono rapiti. Fu Bergoglio a segnalarli al regime come dei “sovversivi” oppure aveva provato ad allontanarli per proteggerli?

I due religiosi “rapiti” furono reclusi nella famigerata Scuola di meccanica della marina (Esma), torturati e poi rilasciati.

Anche un precedente libro intitolato “Chiesa e dittatura” di Emilio Mignone (1976)  descriveva Bergoglio come un esempio della “sinistra complicità ecclesiastica con i militari che si incaricarono di compiere lo sporco compito di lavare il cortile interno della Chiesa con la accondiscendenza dei prelati”.

Nel novembre del 2010 è un articolo comparso su “El Mundo” a legare di nuovo Bergoglio alla dittatura. L’arcivescovo di Buenos Aires fu infatti chiamato a testimoniare nel processo a 18 torturatori dell’ESMA, il centro di sterminio della Marina, dove circa 5.000 persone erano state uccise sotto la dittatura.  Il prelato aveva chiesto di poter inviare una memoria scritta, ma i giudici hanno insistito per sentirlo di persona. L’udienza si è svolta nell’arcidiocesi ed è stata chiusa alla stampa e al pubblico.

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