In Sardegna si corre ai ripari, ma era una strage evitabile?

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Profonda riflessione nelle parole di Erasmo D’Angelis, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti che in un’intervista all’emittente televisiva Rtv38 ha affermato:

“Nell’anno del 50esimo anniversario della strage del Vajont, a pochi giorni dall’anniversario delle grandi alluvioni del 4 novembre 1966 che sommersero un terzo dell’Italia e devastarono Firenze, dopo tante promesse e annunci, trovo sconcertante e ai limiti dell’autolesionismo per il Governo che le bozze della Legge di Stabilità predisposte dal Ministero dell’Economia e Finanze stanzino per la tutela del suolo nell’81,9% dei 6.633 Comuni in dissesto e a rischio frane e alluvioni, dove vivono 5,8 milioni di italiani (9,6% della popolazione nazionale) con un totale 1,2 milioni di edifici, decine di migliaia di industrie e un patrimonio storico e culturale inesistabile, la miseria di 30 milioni di euro per il 2014, 50 milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016. Cioè per l’opera pubblica considerata più urgente, in tre anni dedichiamo 180 milioni! Un nulla. E’ un errore clamoroso e incomprensibile e spero sia stata solo la svista di qualche superburocrate sforbiciatore del tutto avulso dalla realtà, e spero intervenga il presidente Letta a correggere quelle cifre che sono un insulto per i tanti italiani e i territori alluvionati che da noi aspettano risposte concrete”.

Il Sottosegretario D’Angelis ha poi aggiunto:

“Ci sono tutte le condizioni per far partire un programma serio e coraggioso di investimenti  come hanno proposto il ministro Orlando, chiedendo 900 milioni l’anno, e all’unanimità la commissione Ambiente della Camera presieduta da Ermete Realacci con 500 milioni l’anno. E’ strategico assegnare risorse per la difesa del suolo, togliendole dal Patto di stabilità, anche per un motivo economico e di risparmio per le casse dello Stato: 1 euro speso in prevenzione determina un risparmio di 100 euro in riparazione dei danni, e noi dobbiamo smetterla di pagare, come facciamo dal 1945, un assegno di oltre 5 miliardi l’anno solo per gestire le emergenze senza mai prevenirle! Un concetto economico semplice – conclude il Sottosegretario – che troppi furbi e i burocrati contabili di Roma e Bruxelles non vogliono capire, e per quanto ci riguarda faremo di tutto per farli tornare nel mondo reale”.

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Il Premier ricorda la tragedia del Vajont: mai più cittadini di serie A e B

vajont-letta-tuttacronacaIn occasione del 50° anniversario della tragedia del Vajont, il Premier Letta si è recato nel Bellunese, in visita ai luoghi della memoria, come il cimitero monumentale di Fortogna, vicino a Longarone, dove si trovano le lapidi delle 1910 vittime della tragedia. “Dobbiamo cambiare la filosofia dell’emergenza. Non è possibile che nel nostro Paese ci siano emergenze in cui i cittadini siano di serie A e di serie B a seconda del peso politico dei territori. I nostri cittadini sono tutti di serie A.” E visto che abbiamo il dovere di guardare alla Storia per imparare, ha aggiunto: “Nella legge di stabilità ci sarà una norma che stanzierà quei 50 milioni di euro che sono frutto della vendita degli aerei di Stato per la Protezione civile. E’ questo uno degli aspetti sui quali dobbiamo spingere”. Enrico Letta ha anche citato il Presidente Napolitano, che il 9 ottobre aveva ricordato come il Vajont non fu una classica fatalità, ma la conseguenza di drammatiche colpe umane, di cui non vanno taciute le responsabilità, aggiungendo che “è così che le Istituzioni si devono comportare oggi 50 anni dopo il Vajont. Perchè delle contraddizioni devono farsi carico”. E ancora: ”E’ importante celebrare i 50 anni del Vajont soprattutto per le importanti contraddizioni che questa storia ci ha consegnato: Mancanza dello Stato, mancanze pesanti del nostro sistema e, Oggi, una nuova attenzione rispetto al territorio e alla sicurezza dei cittadini”. Ma le parole del Premier ricalcano anche quelle di Franco Gabrielli: “Bisogna lavorare – ha aggiunto – perche’ il tema del dissesto idrogeologico trovi risposte, perchè le trovi la montagna, perchè le trovi il nostro territorio reso meno fragile con regole giuste ed un uso del suolo diverso rispetto al passato”. Rispondendo ai cronisti sulle istanze di autogoverno provenienti dai territori in montagna, il premier ha detto che “il tema dell’autogoverno e della specificità della montagna lo considero essenziale, ed è una delle questioni dell’agenda”.

Disastro del Vajont, nel 50° anniversario della tragedia, il video inedito

vajont-video-inedito-tuttacronacaErano le 22.39 del 9 ottobre 1963 quando un’onda dell’altezza di 300 metri, provocata da una frana del monte Toc precipitata nel bacino idrico della diga del Vajont, spazzò via il paese di Longarone, nel Bellunese. In occasione del 50° anniversario di quella strage Massimo Da Vià ha postato in Facebook un filmato ancora inedito di quei giorni. A far le riprese il padre Zoilo, residente in un paese poco distante. Nel gilmato si possono osservare le prime ore del giorno successivo all’esondazione, il 10 ottobre, quando all’alba giunsero i soccorsi. Quello che appare è una landa desolata, una vallata ricoperta di fango su cui si aggirano le prime squadre di soccorso che scavano in cerca di sopravvissuti. Tra di loro, come fantasmi, scivolano i superstiti, spersi in quella terra che era la loro ma non riescono più a riconoscere, immersi nel dolore della perdita. Da Vià ha scritto il seguente commento al video: “La mattina presto di un 10 ottobre di 50 anni fa mio padre prese una cinepresa super8 dal negozio e, in lambretta con un suo amico, da Domegge, raggiunsero Longarone. Nella notte era successo qualcosa, c’era stato un grande tuono e rumore di sirene ed elicotteri… forse le prime immagini, o tra le prime o chissenefrega… Vorremmo fossero le ultime”.

Giorgio Napolitano: il disastro del Vajont “conseguenza di precise colpe umane”

Longarone_vajont-tuttacronaca50 anni fa un’enorme frana sul monte Toc, sopra Longarone, nel Bellunese, precipitata nell’invaso artificiale della diga del Vajont fece fuoriuscire un’ondata d’acqua che, riversandosi a valle, spazzò via case e spezzò la vita a 1910 persone. Alcuni giorni fa Francesca Chiarelli, figlia di un noto notaio del paese distrutto quella tragica notte, ricordava la battaglia del padre per far conoscere la verità che lui conosceva: sarebbe stata la stessa SADE, all’epoca proprietaria della diga, a provocare la frana, non avendo previsto quello che sarebbe accaduto. Oggi, nel giorno dell’anniversario della tragedia che già all’epoca era stata prevista dai geologi perchè la zona era ritenuta inadatta alla costruzione, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha diffuso un messaggio per ricordare come il disastro non fu una fatalità, ma un errore umano. Tra chi parlava di questo rischio, anche la giornalista Tina Merlin.

“La memoria – scrive Napolitano – del disastro che il 9 ottobre 1963 sconvolse l’area del Vajont suscita sempre una profonda emozione per l’immane tragedia che segnò le popolazioni con inconsolabili lutti e dure sofferenze. Il ricordo delle quasi duemila vittime e della devastazione di un territorio stravolto nel suo assetto naturale e sociale induce, a cinquant’anni di distanza, a ribadire che quell’evento non fu una tragica, inevitabile fatalità, ma drammatica conseguenza di precise colpe umane, che vanno denunciate e di cui non possono sottacersi le responsabilità”. E riprende: “È con questo spirito che il Parlamento italiano ha scelto la data del 9 ottobre quale ‘Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo, riaffermando così che è dovere fondamentale delle istituzioni pubbliche operare, con l’attivo coinvolgimento della comunità scientifica e degli operatori privati, per la tutela, la cura e la valorizzazione del territorio, cui va affiancata una costante e puntuale azione di vigilanza e di controllo”. E ancora: “Nella ricorrenza del cinquantesimo anniversario del disastro, desidero rendere omaggio alla memoria di quanti hanno perso la vita, alla tenacia di coloro che ne hanno mantenuto fermo il ricordo e che si sono impegnati nella ricostruzione delle comunità così terribilmente ferite e rinnovare, a nome dell’intera nazione, sentimenti di partecipe vicinanza a chi ancora soffre”, scrive ancora il capo dello Stato. “Desidero, inoltre, esprimere – conclude – profonda riconoscenza a quanti, in condizioni di grave rischio personale, si sono prodigati, con abnegazione, nell’assicurare tempestivi soccorsi ed assistenza, valido esempio per coloro che, nelle circostanze più dolorose, rappresentano tuttora un’insostituibile risorsa di solidarietà per il paese”.

Tragedia del Vajont: oggi le celebrazioni per il 50° anniversario

vajont-anniversario-tuttacronacaEra il 9 ottobre del 1963 quando, alle 22.39, la vita degli abitanti della zona in cui sorgeva la diga del Vajont cambiò per sempre. Almeno per chi sopravvisse. L’onda, che raggiunse i 300 metri d’altezza, travolse 1910 vite umane, distruggendo quello che incontrava lungo il suo percorso e devastando il paese di Longarone. Tutto per una frana staccatasi dal monte Toc, di fronte ad Erto e Casso, e precipitata nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont, che provocò l’onda che scavalcò la diga e travolse il paese sottostante. Oggi, proprio nel paese Bellunese più colpito, si terranno le celebrazioni per il 50° anniversario. All’evento parteciperà anche Pietro Grasso, che, come ha spiegato ieri, porterà le scuse dello Stato. “Il Vajont fu una strage che si poteva e si doveva evitare. Non è stata evitata perché sulla moralità, sul valore della vita, sulla legalità, è prevalsa la logica senza cuore degli ‘affari sono affari”’. Grasso deporrà una corona nel cimitero monumentale di Fortogna. Alle 9.45 il presidente del Senato parteciperà alla commemorazione civile al Palazzetto dello Sport di Longarone. ”Siamo soddisfatti che il presidente del Senato – ha detto il sindaco di Longarone Roberto Padrin, lanciando il monito che ‘altri Vajont si potrebbero verificare in Italia a causa delle speculazioni’ – abbia voluto essere presente in un momento così importante dedicato al ricordo, alla memoria e al silenzio”.

Aggiornamento ore 11:22

Grasso ha deposto una corona d’alloro in memoria, accanto a lui il presidente della Regione Veneto Luca Zaia. Il presidente del Senato ha detto: “Ricordare quanto accaduto significa essere consapevoli che nessun interesse, nessuna convenienza, nessuna scorciatoia può concedersi di incidere ‘sulla pelle viva’ di una popolazione”.  E continua: “Dove 50 anni fa tutto era fango e ghiaia, oggi c’è la più grande zona industriale della provincia di Belluno e il quarto polo fieristico del Veneto. È enorme la mia ammirazione verso le popolazioni di questa valle per la forza e la determinazione che hanno dimostrato, per la pazienza e la perseveranza con le quali hanno saputo rinascere dal fango”. E ha concluso: “Il Vajont è anche la storia di uno straordinario esempio di solidarietà e virtù civiche, da molti considerato alla base della nascita del sistema della protezione civile. E’ la storia di tutti quelli che accorsero con tempestività: Alpini, Vigili del Fuoco, Forze dell’ordine, volontari da tutta l’Italia. Persone che, con abnegazione, generosità e impegno hanno offerto la propria opera nel momento del dolore e dell’orrore. Persone che, in qualche modo ancora oggi portano il segno di quell’esperienza”.

I nostri 7 giorni: tra fragilità di quello che ci circonda e voglia di stupirci

7giorni-tuttacronaca“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, scriveva Ungaretti nel 1918. E forse è proprio così che ci si sente, in quella trincea chiamata politica dove si combatte a suon di ultimatum e minacce. Con parole-bomba come Giunta e decadenza. Solo che quando il gioco si fa duro si cambia gioco, s’inizia un balletto chiamato “fiducia-sfiducia” dal quale si esce esausti. E quando la stanchezza è tanta subentrano il nervosismo e la tensione. Solo che quelli che sentono di star per cadere non sono solo i “soldati”, ma tutti noi. Gettati a terra da tutti questi meccanismi di chi pensa alla poltrona prima che a tutto il resto. Le foglie siamo stati noi italiani questa settimana, fatte volteggiare da una lotta interna al Pdl che ha portato a sfaldarsi anche il partito che si è sempre fatto forza della sua unità. Perchè se il faro si spegne, che direzione si segue? I nostri sette giorni sono stati all’insegna del voto di fiducia al governo Letta, con Berlusconi che continuava a dare indicazioni diverse prima e con Alfano che si è ribellato poi. Dopo di che è arrivata la Giunta, con un verdetto che ci si aspettava ma che ha fatto ugualmente discutere. Ma l’autunno non sono solo foglie che cadono, è anche il maltempo, il freddo, è quella pioggia che allaga e spazza via quello che trova lungo il cammino. Il ciclone Penelope si è abbattuto sull’Italia con la sua potenza creando disagi, ma nulla in confronto a quanto è accaduto a Lampedusa. La tragedia si è affacciata sulle nostre coste sotto forma di un barcone di migranti affondato, una tomba subacquea che giace sul fondo mentre i pochi superstiti cercano un futuro migliore e si piange per tutti coloro che non ne avranno più uno. E mentre in Italia si cerca di sopravvivere a quest’ennesimo disastro, l’Europa ci attacca proprio sul tema dell’immigrazione, sempre così sentito nel nostro Paese. E anche in questo caso, nessuna luce a indicare la strada della soluzione. Stiamo al palo, come in attesa che il nostro faro possa tornare a illuminarsi…

faro-alessandriaMa questa settimana anche altri fari sono venuti a mancare, entrambi in campo cinematografico: prima un incidente stradale ha strappato la vita a Giuliano Gemma, poi è stato il regista Carlo Lizzani a dire addio, per scelta. E il dolore si somma al dolore diventando un fiume in piena che sommerge tutto, un po’ come quell’acqua che ha ricoperto Longarone 50 anni, nel disastro del Vajont. Una tragedia dietro cui c’è la mano dell’uomo (e la sua fallibilità), almeno a quanto è venuto alla luce questa settimana. Ma come sempre c’è anche un altro lato che viene alla luce. C’è quell’essenza vitale che ci fa pensare che c’è sempre un motivo per continuare ad andare avanti. Se non altro per farci ancora sorprendere. Come da un sottomarino che “sbuca fuori” a Milano, da un’insegnante di yoga che decide d’ingrassare per scoprire se è possibile amarsi anche se il proprio corpo non rispecchia i dettami della moda, da un nonno che rinnega la figlia che ha cacciato di casa il nipote gay, da un Papa che vuole cambiare la Chiesa e riportarla alla sua essenza. E poi ci sono quelle denunce che colpiscono più forte di un pugno allo stomaco perchè ci si chiede come si sia potuti arrivare a certi punti senza che nessuno sia intervenuto prima. Come nella Terra dei Fuochi. Dove i rifiuti bruciano e le persone muoiono. Ed è proprio quando si teme che non ci siano soluzioni possibili che gli italiani ritrovano se stessi e fanno squadra. Hanno iniziato i vip con il loro appelli in rete a non fare morire i comuni, proseguono tutti gli altri con un appello a vestirsi di nero per assistere alla partita della nazionale italiana al San Paolo. Perchè quello che è impossibile fare da soli, diventa fattibile in gruppo. Ed è qui che risiede la vera forza che nasce da dentro: saper riconoscere chi può percorrere la strada con noi. Forse non saremo perfetti, ma potremmo sempre fare qualcosa. A volte basta una maglia di colore nero per fare la differenza. E se osservando meglio ci rendiamo conto che è un’illusione ottica, facciamo un passo indietro, e guardiamo l’insieme!

GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK!

I nostri 7 giorni: chi vincerà la partita?

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Chi vincerà la partita? Sul tavolo la famosa palla 7 è stata lanciata, ma quale palla andrà in buca? Sarà quella del Premier a finire schiacciata dalla crisi aperta dal Pdl e chiudere l’esperienza di Enrico Letta? O sarà una palla boomerang che finirà di isolare Silvio Berlusconi e si concluderà con una scissione dei dissidenti dal Pdl? Le steccate non mancano ne è una prova anche gli auguri inviate oggi da Letta al leader del Pdl che auspicava “serenità”. Ma le steccate, anzi parliamo proprio di bacchettate sono arrivate anche alla Barilla dal web dopo la polemica contro i gay. A spingere in buca la palla di Bruno Longhi è stata invece la frase infelice pronunciata in diretta. Ma c’è anche chi è scomparso dal biliardo per qualche giorno come l’allenatore del Brescia che ha tenuto tutti con il fiato sospeso… Fortunatamente poi è riapparsa la sua palla e il fiato sospeso si è trasformato in fiato sul collo in attesa della prossima partita. Tiro pessimo anche quello di Balotelli e dei tifosi del Milan, 3 turni di squalifica al primo e la curva chiusa per i secondi. Sul tavolo poi è apparsa anche una nuova palla… quell’isola nata dal nulla dopo il terremoto e che ora minaccia l’esplosione prima di scomparire di nuovo… anche perché chi resterebbe a vedere l’oblio del mondo?  Per abbandonare la partita basterebbe la denuncia shock del disastro del Vajont o l’allarme lanciato per Fukushima. 

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Per fortuna che poi qualche curioso arriva e infila il naso negli affari altrui, trova qualche notizia divertente  e ci regala un attimo di allegria proprio quando vorremmo mollare tutto, spegnere la tv e ritirarci su un monte. Magari meglio su un Colle, ma che non sia quello del Campidoglio, già occupato da Marino che sta cercando di appellarsi al governo che non c’è per salvare la città Eterna dalla bancarotta. Per fortuna che almeno una parte di cittadini, i tifosi giallorossi, si consolano nel vedere la Roma in vetta alla classifica. Per fortuna quindi che le buone notizie arrivano anche quando non te le aspetti, come quando nel bel mezzo di una partita si scatena una rissa e si risolve con un bacio, come quando il gol capolavoro, Tevez lo dedica a Ciudad Oculta, il quartiere amato dal Papa… e forse sarà stato per questo gesto inaspettato che la statua della Madonna si sarà illuminata e Padre Pio è apparso su un albero a Napoli?

Chissà chi ha in mano la partita? Chissà chi farà la prossima mossa? Chissà se alla fine ci saranno vincitori o solo vinti? In ogni modo l’importante è giocarsela fino in fondo… poi comunque vada sarà un successo e vinca il migliore!

GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK!

Denuncia shock: il disastro del Vajont dovuto a una frana pilotata

Longarone_vajont-verità-tuttacronacaEra il 1963 e nell’ufficio di Longarone (Belluno) dell’allora notaio Isidoro Chiarelli si trovavano, per firmare un atto relativo all’acquisto di un terreno, i dirigenti della SADE, Società Adriatica Di Elettricità, proprietaria della diga del Vajont e l’Enel. Tra quelle quattro mura, le parole che il notaio udì furono più o meno queste: “Facciamolo il 9 ottobre, verso le 9-10 di sera, saranno tutti davanti alla tivù e non ci disturberanno, non se ne accorgeranno nemmeno. Avvisare la popolazione? Per carità. Non creiamo allarmismi. Abbiamo fatto le prove a Nove, le onde saranno alte al massimo 30 metri, non accadrà niente e comunque per quei quattro montanari in giro per i boschi non è il caso di preoccuparsi troppo”. Dopo di che, un avvertimento: “Lei ha un segreto professionale da rispettare, altrimenti se ne pentirà”. Sono passati 50 anni, l’onda raggiunse 300 metri d’altezza e travolse 1910 vite umane, distruggendo quello che incontrava lungo il suo percorso e devastando il paese di Longarone. Una strage che si pensava causata da una frana staccatasi dal monte Toc, di fronte ad Erto e Casso, e precipitata nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont, provocando un’onda che scavalcò la diga e travolse il paese sottostante.

Ora, come spiega il Gazzettino, la figlia del notaio scomparso nel 2004, Francesca, racconta una verità che, all’epoca, aggiunge la sorella Silvia, docente universitaria a Padova, “costò alla famiglia l’isolamento dalla Belluno che conta. Ma nostro padre, anche se per quasi due anni non lavorò più, schivato da tutti, non smise mai di farsi testimone di quelle parole. Per questo ebbe molti problemi, pressioni e minacce. Il suo grande cruccio fu quello di non essere mai creduto, nemmeno nella sua veste ‘certificante’ di notaio”. L’onda, in quella tragica notte del 9 ottobre, arrivò alle 22.39, appena 39 minuti più tardi rispetto l’orario indicato dai dirigenti SADE. “La sera del disastro programmato mio padre ci fece stare pronti. Eravamo vestiti di tutto punto, pronti a scappare”. In paese, la maggior parte della popolozione era a casa, guardava la partita in televisione. Secondo la SADE, questa sarebbe stata la loro garanzia di tranquillità per eseguire la manovra di far scendere quella frana che pesava come un macigno sul valore dell’opera, destinata ad essere venduta all’Enel. Stando agli studi effettuati a Nove, l’onda doveva avere un’altezza di una trentina di metri: non avrebbe mai potuto provocare simili danni. Francesce di tutto questo ne parla ora, quasi 50 anni dopo, perchè  “Mio padre ci provò in tutti i modi, ma non ebbe ascolto. Parlarne oggi, in cui l’attenzione mediatica è forte, per l’imminente cinquantesimo, non può che rendere onore al coraggio di nostro padre. E poi basta parlare di disgrazia: nostro padre lo chiamava eccidio”.

La vita contro la morte. C’è un’orchidea tutta nuova sul Vajont!

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