Su Ustica depistaggio accertato, Cassazione dà ragione agli eredi dell’Itavia

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Despistaggio. Ora lo dice la Cassazione e apre la strada a un nuovo  processo civile per valutare la responsabilità dei ministeri della Difesa e dei Trasporti nel fallimento della compagnia aerea Itavia. Accolto quindi il ricorso degli eredi, in particolare di Luisa Davanzali, erede di Aldo, patron della compagnia aerea Itavia, fallita sei mesi dopo il disastro.  Si “consacra” così la tesi “del missile sparato da aereo ignoto”, quale causa dell’abbattimento del DC9 Itavia caduto al largo di Ustica il 27 giugno 1980. Ai Davanzali la Corte di appello di Roma aveva sbarrato la strada alla richiesta di risarcimento danni allo Stato, nonostante i depistaggi. Per la Cassazione il verdetto d’appello “erra” ad escludere “l’eventuale efficacia di quella attività di depistaggio” e l’effetto sul dissesto.

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Pausa pranzo… con terremoto! Tre scosse al Centro Italia

terremoto-centro-tuttacronacaSono tre le scosse di terremoto che sono state registrate oggi al Centro Italia e che hanno interessato il Lazio e la costa marchigiana. Un primo evento, di magnitudo 2.2, si è verificato alle 12:40 a una profondità di 10.2 km. L’epicentro è stato localizzato nel distretto sismico dei Monti Reatini, tra i comuni di Accumoli, Amatrice e Cittareale, in provincia di Rieti. Alle ore 13:20 l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha poi registrato una scossa di magnitudo 2.2 nel distretto sismico della Costa Marchigiana Settentrionale. L’evento in mare è stato localizzato a poca distanza dalle spiaggie di Falconara Marittima, in provincia di Ancona. Infine, un terremoto di magnitudo 2.2 è avvenuto alle 13:34 nel distretto sismico della Valle del Salto. Stando ai rilevamenti dell’Ingv, l’evento è avvenuto a una profondità di 14.9 km e ha interessato la provincia di Rieti. I comuni più prossimi all’epicentro sono Ascrea, Belmonte in Sabina, Castel di Tora, Colle di Tora, Longone Sabino, Monteleone Sabino, Paganico Sabino, Poggio Moiano, Poggio San Lorenzo, Pozzaglia Sabina, Rocca Sinibalda, Torricella in Sabina e Varco Sabino.

Terremoto a largo di Palermo, alle 20,22

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Una scossa di terremoto al largo è stata avvertita dalla popolazione a Palermo alle 20.22. Il sisma ha avuto una magnitudo di 3.3 e profondità di 10 km a metà distanza circa tra il capoluogo e l’isola di Ustica. Non si registrano danni a persone o cose.

Quel mistero dietro la morte di padre e figlio: ora spunta Ustica

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La tecnologia a casa Bellucci non era mai entrata. Nessun cellulare, niente internet e neppure un fax. Solo un telefono al quale nessuno rispondeva mai. Padre e figlio vivevano in due case coloniche ed erano molto riservati. Ora che è morto, si scopre che Lucio Bellucci, 90 anni, ex controllore di volo, quando aveva 57 anni sarebbe stato in servizio al radar di Fiumicino la notte del 27 giugno dell’80 quando dai cieli di Ustica scomparve il DC9. Il figlio lo aveva rivelato tempo fa a un conoscente.

I corpi sono stati scoperti giovedì e ora nessuno potrà più avere conferme o smentite.  

Il figlio Paolo sarebbe morto, almeno stando ai primi dati che sono emersi, prima (non dopo come si era ipotizzato in un primo momento) del padre, colto probabilmente da un infarto fulminante. L’anziano padre sarebbe morto dopo tre giorni di stenti. L’uomo era cieco e quasi immobilizzato ed è stato ritrovato vicino all’uscio dove era arrivato dopo notevoli difficoltà per cercare di chiedere aiuto, ma purtroppo nessuno lo ha udito. L’allarme è scattato quando la badante dei vicini ha riferito ai carabinieri di pattuglia nella zona che era preoccupata perché non aveva più visto Paolo. L’uomo si occupava della colonia felina regolarmente denunciata, ma da diversi giorni non lo aveva più visto.
La Procura di Macerata intanto ha disposto l’autopsia sui corpi. Intanto si sta cercando di rintracciare qualche parente.  I due erano particolarmente amanti degli animali tanto che il sindaco Giuseppe Mancinelli ha detto ” I sei cani sono stati affidati al canile di Tolentino, mentre oggi ho dato disposizione agli operai di dare da mangiare ai gatti, una quarantina di esemplari che dovranno essere anche visti sotto l’aspetto sanitario”. Per le gatte in particolare è prevista la sterilizzazione prima del reimmissione nella colonia. Inoltre in casa del padre vivevano, poi, un riccio in gabbia, due tortore e un altro cane meticcio piuttosto ribelle che gli operatori hanno avuto difficoltà a catturare, forse anche spaventato dal via vai delle persone nell’abitazione.

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Secondo i primi accertamenti la famiglia Bellucci viveva con la pensione di Lucio e avrebbe giacenze alla Poste e in banca, oltre ad avere due appezzamenti di terreno, tra cui un bosco di 2/3mila metri, e tre corpi di abitazione nelle campagne di Penna, dove i Bellucci erano arrivati venti anni fa comprando il podere di proprietà di un romano.

Lucio era originario di Napoli, la moglie Savina Milizzi, morta un anno fa e sepolta a Penna in un loculo acquistato dalla famiglia, era originaria di Milano ed era stata attrice in alcuni film negli anni d’oro del cinema italiano.

Paolo, era nato a Roma e con i genitori si era trasferito a Penna ed era entrato in contrasto con i vicini per questioni di confini e proprietà, spesso lo si vedeva aggirarsi con cannocchiale e macchina fotografica a immortalare presunte irregolarità, quasi un ossessione. E a mettere tutto nero su bianco con denunce molto dettagliate che rivelavano una profonda conoscenza della legge e delle questioni legali, con battaglie legale che erano arrivate in Cassazione.

Scossa di terremoto a Ustica

terremoto-ustica-tuttacronacaL’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Ingv, ha registrato una scossa di terremoto di magnitudo 2.7 poco dopo mezzanotte al largo dell’isola siciliana di Ustica (Palermo). Il sisma ha avuto ipocentro a 10 km di profondità ed epicentro oltre i 20 km dalla terra ferma. Non sono stati registrati danni a persone o cose.

Ustica… il Mig23 libico cadde la notte della strage

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Il maresciallo Giulio Linguanti ha 76 anni e nel 1980 era forza al reparto del Sios Aeronautica nell’aeroporto di Bari. La sua memoria è limpida così come è logico il suo pensiero:

“Quando sarà, io me ne voglio andare con la coscienza a posto. Perché se lassù incontrerò anche uno solo di quegli ottantuno poveretti che stavano sull’aereo, non voglio che mi sputi in faccia”.

Nel 1982 Giovanni Spadolini parlò su Ustica:

“Risolvete il giallo del Mig23 e avrete trovato la chiave per scoprire la verità su Ustica”

E quella verità forse potrebbe conoscerla proprio Linguanti che per un mese, per ben due volte, organizzò sulle montagne della Sila il recupero del Mig23 libico. Lì i vermi lunghi cinque centimetri avevano fatto il nido nel cadavere già putrefatto del pilota, non precipitò il giorno del suo ritrovamento ufficiale (18 luglio) ma almeno tre settimane prima. Probabilmente il 27 giugno, la stessa sera dell’abbattimento del DC9 Itavia.

 Nell’intervista rilasciata dal maresciallo all’Huffington Post ripercorre quella ricognizione sulla Sila:

“Arrivai sulla Sila la notte del 18 luglio, insieme a un altro sottufficiale di Bari. È caduto un aereo libico e a Roma vogliono sapere, ci dissero. Era tardi, andammo a dormire in una caserma dei carabinieri. La mattina dopo, mentre preparavo la macchina per raggiungere Castelsilano, arrivò un appuntato che aveva appena partecipato alla sepoltura del pilota del Mig23. Era stravolto, ci mancava poco che vomitasse. Puzza che non ci si può stare vicino, diceva. Strano, pensai. Io ne ho visti di morti. E anche se fa caldo, dopo appena un giorno nessun cadavere è ridotto a quel modo”.

Si schiantò su un costone di roccia a strapiombo, l’aereo militare libico e per raggiungerlo il Linguanti camminò per   chilometri in mezzo a un bosco.

“Da lontano pareva un camion ribaltato, con le ruote in aria. Era grosso e praticamente intatto. Tanto che quando dopo un mese lo portarono via, dovettero spezzare le ali. Altra cosa strana, perché un caccia che va dritto per dritto contro un muro di roccia normalmente finisce in pezzi. Poi vidi dei buchi sulla coda, fori di cannoncino. Tornando in macchina verso il paese, lo dissi al colonnello Somaini. Li ha visti anche lei? Lui girò la testa vago, guardò il cielo e fece: mah, chissà da che parte è arrivato ‘st’aereo… E capii subito che di quella faccenda dei fori era meglio non parlare”.

Prima di quell’estate, i libici Linguanti li aveva già visti volare e pure atterrare in tranquillità sul territorio italiano.

“Una volta ci ritrovammo una intera squadriglia di elicotteri di Gheddafi sull’aeroporto di Bari. Mandammo gli equipaggi in mensa e scattammo più foto che potevamo”.

Non fu un episodio isolato.

Secondo il maresciallo i piloti di Gheddafi si addestravano a Galatina alla scuola di volo dell’Aeronautica. I mig atterravano spesso, ma c’era il divieto di diffondere questa notizia, perché al tempo Gheddafi era un nemico italiano, ma soprattutto il numero uno dei nemici sia per francesi che per americani. L’Italia che ufficialmente era distante dalla Libia in realtà aveva molti interessi economici e più di una volta salvò la vita al comandante libico, forse anche la notte della strage di Ustica.

Il Linguanti ricorda ancora:

“C’erano rottami sparsi ovunque. Anche se appena arrivammo la cloche era già sparita, e chissà chi e quando se l’era portata via”.

Chi la portò via? Non era facile scendere da quel punto tanto che il Genio fece uno sterrato per facilitare poi le operazioni.

Ma gli americani che ruolo ebbero? Racconta ancora l’Huff:

Altra storia quella dell’Americano spedito di corsa a ispezionare il relitto, che alcuni ritengono fosse il responsabile di una squadriglia di Mig “donati” da Sadat agli Stati Uniti dopo l’abbandono del padrinato sovietico. E altri pensano fosse il capostazione della Cia a Roma: Duane “Dewey” Clarridge, l’uomo che durante lo scandalo Iran-Contras (armi a Teheran in cambio di denaro per i controrivoluzionari in Nicaragua) stava per mandare a casa Reagan con un impeachment e fu graziato da George Bush senior il giorno prima di lasciare la Casa Bianca, l’uomo che secondo il Washington Post non lavorava per gli interessi degli Stati Uniti ma “solo per quelli della Cia”. In una intervista che gli avevo fatto a bruciapelo, Clarridge aveva messo in crisi la versione del governo italiano sulla caduta del Mig23 sostenendo di aver mandato i suoi uomini sulla Sila il 14 luglio, quattro giorni prima del ritrovamento ufficiale. Lo confermò anche a Priore, durante una rogatoria a Washington, ma ritrattò tutto nel processo contro i generali dell’Aeronautica accusati per depistaggio e poi assolti. Mostro a Linguanti la foto di Clarridge sull’Iphone. “È lui. L’ho portato io a vedere l’aereo. È rimasto un paio d’ore. Gli avevo organizzato anche un panino e una bottiglia d’acqua. Ha solo bevuto, il panino me lo sono mangiato io alla sua salute”.

Altri dettagli agghiaccianti riguardano il giorno dell’autopsia del cadavere del pilota. Fu dato ordine al maresciallo di fare una consegna “speciale” a un colonnello che veniva da roma a bordo di un elicottero proprio per prendere in consegna alcuni resti di quel cadavere.

“Mi diedero un barattolo pieno di formalina con dentro un dito e il pene di quel poveretto e un fumogeno per segnalare all’elicottero dove sarebbe dovuto atterrare. Mi dissero che servivano per le impronte digitali e per accertare se fosse circonciso. La cosa mi faceva un po’ schifo, trovai un pezzo di carta geografica e la arrotolai intorno al barattolo, accesi il fumogeno e per poco non prendeva fuoco il campo. L’elicottero arrivò, io consegnai il barattolo e ripartirono subito”.

Di quei resti poi non si è saputo più nulla… inghiottiti dal segreto di stato.

“Dopo un mese passato in quel posto, mi fu chiaro che quell’aereo non era caduto il giorno in cui avevano detto di averlo ritrovato. Era caduto molto prima, la stessa sera della strage di Ustica, era stato colpito e tutto quello che vedevo davanti ai miei occhi era solo una messinscena. Io sono fiero di avere servito l’Aeronautica, ma mi vergogno delle bugie che sono state dette da alcuni miei superiori. Ho una coscienza e me la devo tenere pulita fino alla fine. Per me e per i miei figli. Costi quel che costi”, così afferma Giulio Linguante.

Nel processo il maresciallo fu delegittimato in ogni modo, fu fatto a pezzi dagli avvocati della difesa, ma di su di lui il giudice istruttore Priore scrisse:

“Questo teste appare uno dei rarissimi che riferiscono fatti e notizie, mostrando ottima memoria e completo distacco all’Arma di appartenenza. Delle sue dichiarazioni dovrà tenersi conto in più occasioni, dalle considerazioni sullo stato del cadavere a quelle sul relitto”.  

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Sulla strage di Ustica qualcuno mente, ma chi? C’era una portaerei!

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27 giugno 1980. Attorno alle 20.50 Domenico Gatti, comandante dell’aereo Dc9 I-Tigi decollato dall’aeroporto di Bologna e diretto a Punta Raisi, saluta, per quella che sarà l’ultima volta, i 77 passeggeri del volo e i suoi 3 colleghi. Alla vigilia del 33° anniversario della strage di Ustica, Stragi80.it, l’archivio storico-giornalistico creato dai giornalisti Daniele Biacchessi e Fabrizio Colarieti, ne ha pubblicato l’audio:

“Signore e signori, buonasera”, dice Gatti, “brevi informazioni sul volo dalla cabina di pilotaggio. Stiamo procedendo a una quota di 7500 metri e circa due minuti fa abbiamo lasciato l’isola di Ponza per volare in linea retta su Palermo, dove stimiamo di atterrare tra circa mezz’ora. Il tempo, procedendo verso sud, è in miglioramento. Per cui a Palermo è previsto tempo buono e visibilità ottima, temperatura di 22 gradi e leggero vento”.

Nessun problema quindi, dopo il ritardo di un paio d’ore con cui quel volo è iniziato poco prima. La conferma arriva anche durante la comunicazione al centro di controllo di Ciampino: “Abbiamo lasciato Ponza”, annuncia chi sta portando quell’aereo a Palermo. “Molto gentile, grazie”, gli risponde l’operatore all’altro capo della comunicazione. E Gatti aggiunge: “È assolutamente a posto”. Risponde a un addetto alla manutenzione dell’Itavia che lo contatta via charlie, la frequenza dedicata agli equipaggi, per chiedergli conto delle condizioni dell’aereo. Alle 20.58. il Dc9 entra nel punto Condor, nel tratto sopra il mare tra l’isola di Ponza e quella di Ustica. Un minuto dopo, l’aereo scompare dai radar. Nell’agosto 1999 il giudice istruttore romano Rosario Priore ha presentato il risultato della sua inchiesta: quell’aereo fu abbattuto, ha stabilito la Corte di Cassazione nel gennaio 2013, da un’azione di guerra. Ma manca ancora un tassello: la nazionalità dell’aereo militare da cui partì il missile che provocò la morte di 81 persone.

I magistrati sono certi al “mille per cento” che ci fosse una portaerei nel triangolo di mare tra Napoli, la Sardegna e Palermo, quella notte, e che sicuramente ha “visto”, tramite radar, e probabilmente era coinvolta nello scenario di guerra nel quale il DC9 Itavia fu abbattuto per errore. Poi si è allontanata, dopo l’esplosione, insieme al convoglio di navi d’appoggio da cui era circondata. Questo risulta dalle carte che la Nato ha inviato alle autorità, dai grafici radar che mostrano le tracce di velivoli ed elicotteri militari che originano dal mare e in mare spariscono prima, durante e dopo la strage, dalle rilevazioni dei controllori di Roma-Ciampino che quella notte videro un traffico intenso di caccia nel Basso Tirreno tra Ustica e Ponza e dalle ultime testimonianze dirette di piloti e assistenti di volo che viaggiavano sulla stessa rotta del DC9 prima dell’esplosione e interrogati negli ultimi mesi. Ma Maria Monteleone e Arminio Amelio, i magistrati della Procura di Roma che indagano sulla strage, hanno qualcosa di più concreto, coperto dal riserbo, per affermare che in quello scenario di guerra si trovasse anche una portaerei. Ora è necessario scartabellare gli archivi della Marina militare, in cerca di annotazioni o occultamenti sui movimenti, che dovevano essere registrati e capire chi mente: Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna continuano a ripetere, infatti, che nessuna delle loro navi si trovava nella zona in cui avvenne la strage. Erano gli anni in cui una forte tensione gravava sul Mediterraneo, gli stessi delle minacce di Gheddafi, all’epoca acerrimo nemico degli USA, ma il Pentagono ha sempre dichiarato che il 27 giugno 1980 la portaerei USS Saratoga (CV-60), comandata dall’ammiraglio James H. Flatley III, rimase in rada a Napoli con i radar praticamente spenti per non disturbare le frequenze televisive. In tutto questo il Deck Log, il libro mastro sull’attività di bordo della Saratoga, presentava delle anomalie sospette proprio nel giorno della strage: è stato compilato da uno stesso ufficiale per cinque turni consecutivi di quattro ore (dalle otto di mattina in poi). L’ammiraglio si giustificò spiegando che si trattava di una “bella copia” redatta a posteriori, atteggiamento non in linea con i severi regolamenti della US Navy. Sul fronte francese, le autorità affermano che sia la porte-avions Clemenceau (R 98), al comando dell’ammiraglio Jean de Laforcade, che la sua gemella Foch (R 99), comandata dall’ammiraglio Alain Coatanea, la notte del 27 giugno 1980 erano in porto o al largo della base di Tolone: molto lontane dal mare di Ustica quindi. Le affermazioni non sono facili da verificare, quello che è certo è che la Foch si trovasse a Palermo alla fine di maggio e la Clemenceau in porto a Propriano (Corsica) il 7 e 8 giugno. In compenso, l’operativo della fregata lanciamissili Duquesne, quasi sempre al seguito delle due imbarcazioni, fornisce dettagli molto interessanti: a giugno la partecipazione a una missione di squadra Rialto, seguita da un’esercitazione Dasix con i caccia de Armée de l’Air e con la Saratoga. I magistrati italiani sono riusciti comunque ad ottenere di interrogare 14 militari che la notte del 27 giugno 1980 erano in servizio nella base di Solenzara in Corsica da dove, nonostante le smentite di Parigi, alcuni caccia individuati anche dalla Nato decollarono diretti verso il Basso Tirreno. Nel 2007, fu Francesco Cossiga a fare delle rivelazioni poi messe a verbale: secondo l’ex presidente ad abbattere il DC9 con un missile aria-aria “a risonanza e non a impatto” fu un caccia decollato proprio da una portaerei dell’Armèe de mer, mentre tentava di intercettare e colpire un aereo libico con a bordo il colonnello Gheddafi. “Credo però che non si saprà mai nulla di più. La Francia sa mantenere un segreto e si è sempre rifiutata di rispondere alle nostre domande. L’altro Stato coinvolto è l’ex Unione Sovietica”, dichiarò Cossiga.

Ma molte sono ancora le zone d’ombra: alcuni caccia di nazionalità belga si trovavano sulla base di Solenzara, ma il Belgio ha opposto un rifiuto alle domande dei magistrati per “motivi di sicurezza nazionale”. Mentre la Libia, nel caos dopo la fine del regime di Gheddafi, non ha mai ufficialmente risposto alle richieste delle nostre autorità. Silenzio anche da parte del maggiore Abdel Salam Jalloud, per 24 anni braccio destro del colonnello e poi passato all’opposizione a pochi giorni dalla sua esecuzione. Il maggiore ora vive nel nostro Paese, protetto dai nostri servizi segreti, ma non ha risposto alle domande poste dai magistrati. Anzi, al termine dell’incontro si sarebbe persino rifiutato di firmare il verbale.

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Ustica nuove rivelazioni, parla una hostess scampata al disastro

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Sembra incredibile che nel 2013 ancora non si sia fatta chiarezza su uno dei segreti di stato più contestati della storia della Repubblica italiana. Ora una hostess, ex dipendente dell’Itavia, racconta a Tgcom24 come è scampata al disastro di Ustica, il 27 giugno 1980. “Sentivo qualcosa che mi diceva di tornare a casa – testimonia a Top Secret, il programma-inchiesta a cura di Claudio Brachino – e così è stato, ho inventato una scusa, ho detto che stavo poco bene e non sono salita su quel volo. Quella bugia mi ha salvato la vita”. Poi, in un intervista al giornalista Giampiero Marrazzo, direttore responsabile del quotidiano Avanti spiega: “Ho pensato di far sentire la mia verità, perché per me è un peso importante”.

Ma la verità più agghiacciante è il racconto che la donna fa del giorno prima del disastro. Dalla sua memoria emergono dettagli veramente allarmanti. Il 26 giugno 1980, appena 24 ore prima che il Dc-9 fosse disintegrato, la hostess si trovava sul volo  Bologna-Palermo e ricorda che la chiamò il primo ufficiale pilota per vedere quello che stavano sorvolando: “Guardai dal finestrino della cabina di pilotaggio e vidi una nave enorme, seppi poi, proprio dal pilota, che si trattava di una portaerei. Mi disse che poteva trattarsi di una portaerei americana, ma forse era solo una sua intuizione”. “Il pilota – prosegue la hostess – quasi scherzando, mi disse: meno male che ci siamo noi, piloti veterani, altrimenti ci silurano”. Un altro testimone, un pilota di un volo di linea Alitalia, il 2 aprile ha dichiarato di aver sorvolato i cieli di Ustica e di aver notato “pochi minuti dopo il decollo dall’aeroporto di Palermo, una flottiglia di navi, una che sembrava una portaerei e almeno altre tre-quattro imbarcazioni”.

Se le tesi della hostess fossero confermate è chiaro che il disastro di Ustica avrebbe ora una lettura più chiara e si farebbe luce sui veri colpevoli della strage. 
 

 

Il sancta sanctorum dei segreti di Stato al M5S? Possibile!

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Forse è una bella favola, forse è un’utopia, forse è solo una leggenda metropolitana… Ma potremmo davvero mettere le mani sui “segreti di stato”? verrà il giorno in cui potremo dare una risposta a

Portella della Ginestra, alla bomba senza artificieri di Piazza Fontana, alla strage di Brescia, a quella della stazione di Bologna, alla strage dell’Italicus, all’omicidio di Aldo Moro, a quello di Mauro De Mauro, alla morte di Ilaria Alpi e di Mauro Rostagno. A Pier Paolo Pasolini massacrato di botte da mani oscure e all’aereo del presidente dell’Eni Enrico Mattei. E poi a un altro aereo, quello caduto su Ustica senza un perché. All’ombra di Stay Behind dietro la strage di Alcamo Marina, agli apparati, ai servizi e ai boss che confezionano il botto in via d’Amelio, all’agenda rossa di Paolo Borsellino e alla scomparsa di Emanuela Orlandi, alla strage degli innocenti in via dei Georgofili. E poi a quella di Brindisi, alla scomparsa troppo presto dalle pagine dei quotidiani. Dipanare il filo rosso delle stragi irrisolte di questo Paese fa quasi impressione. Fa impressione soprattutto perché i botti senza colpevoli che hanno insanguinato la storia italiana sono molto più diffusi di quelli che hanno poi trovato ricostruzioni credibili nelle aule di tribunale.

Uno dei problemi di questo Paese è che non c’è ad oggi una narrazione condivisa della Storia italiana. A ben pensarci di storie d’Italia ne esistono più di una: una ufficiale, una ufficiosa e presunta, ed un’altra – la più importante – fatta di dubbi, domande e oscuri interrogativi. Tutte questioni alle quali hanno provato a dare una risposta inchieste giornalistiche e storiche. Ma quando si tratta di trovare il bollo di autenticità in un’aula di giustizia quei dubbi rimangono fermi e cristallizzati. Solo per fare un esempio, ci sono voluti 50 anni esatti perché un giudice terzo mettesse nero su bianco che l’aereo di Enrico Mattei non era caduto per un incidente ma era stato sabotato.

Eppure in questo Paese un sancta sanctorum delle verità occultate potrebbe anche esserci. Sono gliarchivi dei servizi, che troppo spesso hanno giocato molteplici e controversi ruoli sullo sfondo delle stragi. La procura di Palermo, indagando sulla scomparsa del giornalista dell’Ora Mauro De Mauro, chiese ai servizi di produrre i fascicoli delle operazioni messe in atto dal Sid (l’allora servizio informativo della difesa) nel periodo della scomparsa del cronista. “Il Servizio informazioni della Difesa ha comunicato di non aver svolto alcuna indagine sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro” fecero sapere gli 007 su carta intestata del Ministero della Difesa. Eppure più di un testimone aveva raccontato di come l’allora capo del Sid Vito Miceli si fosse precipitato a Palermo nel novembre del 1970 per ordinare di insabbiare le indagini sulla scomparsa di De Mauro. Forse di quelle operazioni non esistono fascicoli o prove scritte. Forse non esistono più. O forse semplicemente non verranno mai fornite ad una procura.

Adesso però si parla di una possibile presidenza del Copasir al Movimento Cinque Stelle. Un’ipotesi che sembra atterrire alcuni commentatori di indubbia autorevolezza. “Ma come? I grillini a guardia della sicurezza della Repubblica?”  Forse in questo modo scopriremo davvero il volto dell’Italia celato dai troppi segreti di stato!

Dopo la sentenza su Ustica c’è anche chi vuole il risarcimento oltre l’indennizzo

 

L’avvocato Antony De Lisi  ”I ministeri dei Trasporti e della Difesa dopo la sentenza della corte di appello che mi riconosceva un indennizzo di circa 180 mila euro per la morte di mia sorella Elvira e di mia nipote Alessandra non volevano pagare. Ho dovuto pignorare le somme che avevano nella banca d’Italia. La Cassazione con la sentenza di ieri ha riconosciuto il mio diritto ad avere anche il risarcimento”.tumblr_mhdq1oFJcb1qzpmjjo1_500

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