
Dove stiamo andando? Cosa significa oggi nel 2013 fare informazione? Possono sembrare domande retoriche e ritrite da anni di domande a cui non abbiamo saputo dare la giusta risposta, ma se al centro del dibattito c’è un bambino di 11 anni forse è il momento di affrontare seriamente il problema. L’intervista shock al figlio di Preiti, l’uomo che ieri ha ferito due carabinieri davanti a Palazzo Chigi, è stato superare il limite, ma non solo per il cattivo gusto del gesto, ma soprattutto per l’invasione nella privacy di un bimbo, con genitori separati, di appena 11 anni costretto a dover parlare di suo padre, dei suoi sentimenti, del suo dramma davanti alle telecamere.
Twitter insorge contro SkyTg24 e Studio Aperto e diversi utenti chiedono la sospensione della messa in onda. E finalmente arriva da parte di Sarah Varetto la sospirata sospensione.
“Appena sono iniziate le polemiche abbiamo deciso di interrompere subito la diffusione del video”, ha spiegato la Varetto, direttore di SkyTg24. “Non lo faremo più passare in televisione e lo abbiamo tolto anche da internet. Questo perché abbiamo il massimo rispetto per il bambino e per la sua famiglia. Detto questo abbiamo mandato in onda il bambino con tutte le cautele possibili: c’era il permesso della madre e non era riconoscibile in volto, aveva anche la voce alterata”.
Anche il presidente dell’Ordine Enzo Iacopino, dal suo profilo Facebook, ha condannato l’intervista: “Per registrare questa dichiarazione sorprendente (!), si piantona la casa di un ragazzo di 11 anni. Lo si intervista, forse convinti di aver fatto uno scoop. Ne viene fuori, invece, solo un modo di fare informazione che sento estraneo al mio cuore, ancor prima che alle regole elementari della professione”, si legge.
Un altro appello era arrivato anche dalla democratica Paola Concia che su Twitter ha chiesto
“Sull’intervista al figlio di #preiti dico ai #giornalisti con il cuore in mano: fermatevi! #SparatoriaChigi”
Il problema è nella morbosità che fa notizia, nei reality che forse hanno messo in tv sentimenti portandoli all’amplificazione massima e gli spettatori che cercano quotidianamente quelle emozioni che vengono riprodotte anche sull’attualità, nella quotidianità dove quella sfera emotiva è ben più fragile (a volte ancora in fase di sviluppo) e andrebbe preservata e non esposta sopratutto per rispetto di quei ragazzi che stanno vivendo un dramma personale e familiare. Possiamo iniziare a pensare un giornalismo non scandalistico che voglia raccontare le notizie senza ricercare lo scoop? Possiamo immaginare un informazione pluralista, ma che sappia darsi un etica? Possiamo aspirare a parlare dei drammi con “delicatezza” quella stessa che avremmo per i nostri cari, quella che non spinga un 11enne a dover rispondere ai microfoni: “Ma secondo te cosa gli ha detto la testa a tuo padre?”.
Poi ci meravigliamo se al centro di Padova scrivono sui muri “luigi preiti sei uno di noi, pagherete caro” ? Ce la prendiamo con Grillo che inneggia alla rivolta? Se i giornalisti non ponessero ogni dettaglio in primo piano (anche quelli che rilevanza per la collettività non ne hanno) probabilmente educheremmo la popolazione a un informazione meno becera e scandalistica e più partecipata e dialogata.
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