Riina shock: “Meno male che si è messo Falcone alla guida o si salvava”

Capaci-intercettazioni-riina-tuttacronacaAncora intercettazioni delle conversazioni nel carcere di Opera tra Totò Riina e il boss Alberto Lorusso. I dialoghi captati riguardano la strage di Capaci, dove persero la vita il giudice Giovanni Falcone e gli uomini della sua scorta. “Meno male che lui si è voluto mettere là al posto dell’autista, se no si salvava, disgraziato. Una trovata migliore l’ha potuta trovare lui solo”. Quel giorno il giudice, tornato da Roma in aereo, aveva deciso di guidare l’auto blindata chiedendo al suo autista, Giuseppe Costanza di mettersi al volante. Falcone si mise così alla guida con accanto la moglie Francesca Morvillo. Prosegue Riina, parlando dei minuti successivi all’esplosione: “Mentre era al telegiornale… sono feriti lui e la moglie. Minc**a feriti! Poi nel mentre il telegiornale: è morto Falcone. Ti metti là minuto per minuto, no? Ci siamo! Ci siamo! Ci siamo!”. E prosegue: “Minc**a ho detto ma guarda che bordello.La moglie è viva, è viva. Dopo dieci minuti dice l’hanno ammazzata pure. Mia moglie dice: ma cosa è successo, ma che disgrazie, mischineddu, mischineddu… (poverino ndr) c’era una macchina, un aereo, lo hanno bombardato. Poi cercano l’aereo che non si è potuto trovare più…Poi subito allerta per la seconda”. “La seconda” per gli investigatori sarebbe la strage in cui morì Paolo Borsellino. Il boss parla anche del tritolo utilizzato: “Minc**a con quello ce ne sono voluti qualche 300 chili, con quello 500 chili. Non abbiamo risparmiato niente, devo dire la verità”. Poi raccontando di nuovo dell’attentato di Capaci. “Sembrava una zona di guerra appunto per questo loro non la possono digerire”. Ancora, durante l’ora d’aria Riina smentisce le parole del pentito Giovanni Brusca che ha raccontato agli inquirenti di avere saputo dal padrino di Corleone della consegna allo Stato del “papello”, l’elenco delle richieste della mafia per fare cessare le stragi. “Ma questo papello non si trova – dice – non c’è”. “Sono andati a fare le indagini sui miei figli, sulle mie sorelle, su mia moglie”, racconta alludendo alle indagini calligrafiche fatte dalla polizia per trovare l’autore del foglio consegnato ai pm da Massimo Ciancimino. Gli accertamenti fatti non hanno consentito agli investigatori di risalire alla paternità dello scritto. Insulti piovono anche su Massimo Ciancimino, “disonorato” e “folle di catene” (pazzo da legare ndr). Sollecitato da Lorusso dice che il figlio dell’ex sindaco mafioso collaborerebbe per riavere i soldi confiscati.

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“Barbarella è potentosa come suo padre”: parla Riina

totò-riina-intercettazioni-tuttacronacaSi continua a parlare delle intercettazioni captate dalle cimici della Dia depositate agli atti del processo per la trattativa Stato-mafia. Il 18 settembre Totò Riina e Alberto Lorusso, boss della mafia pugliese, hanno discusso di Berlusconi e della figlia Barbara, di Nicole Minetti, Ruby, del governo passando anche per la candidatura di Martelli nel 1987. Riina e Lorusso, in quella data, si chiedono se Berlusconi, ancora leader del Pdl e alleato di Letta, voglia fare cadere l’esecutivo. “Stasera c’è la votazione – dice Lorusso – Il Governo lui non lo farà cadere, non gli conviene fare cadere il Governo”: E Riina:  “No, no. Cornuti sono chi sale al Governo. Lo sai com’è”.  A questo punto Lorusso parla della possibile candidatura di Berlusconi in Lettonia: “Forse si candida là”. E Riina: “Va là a ‘cafuddare'”. Gli inquirenti hanno tradotto questo termine «nel senso di fare sesso». È Lorusso a spiegare che “Berlusconi è conosciuto dappertutto, sono vent’anni che tutte le televisioni parlano di lui. In tutto il mondo parlano di lui”.  Poi i due citano anche Nicole Minetti: “L’ha fatta assessore a 12.000 euro al mese, perchè faceva l’assessore? Perché sapeva parlare la lingua inglese”. E Riina ride. Fino a parlare anche di Mubarak e di Ruby Rubacuori, definita “nipote di Mubarak”. “Che figlio di … – dice Riina – le vede che figlio…”. E continua a ridere.La candidatura di Claudio Martelli con il Psi nel 1987 è tra gli argomenti affrontati dal boss mafioso Totò Riina con il suo vicino di cella, il boss pugliese Alberto Lorusso. Sono stati diversi i pentiti, tra cui Francesco Onorato, ad avere raccontato che Martelli avrebbe ricevuto i voti della mafia. Una circostanza che l’ex ministro della Giustizia ha sempre smentito. Ma i due, in un’altra data, il 31 ottobre, parlano anche di Andretti: “quell è stato una persona seria, a livello mondiale. Figlio di put…, che persona seria, eh? Chiesa e casa, casa e chiesa. Questo qua era un burattinaio, che cavolo di burattinaio…”. E ancora parlano della figlia di Berlusconi e della sua love story con il milanista Pato: “Min… Barbarella, Barbaretta, sta Barbarella è potentosa come suo padre, perchè si è messa sotto quello lì… Lui era un potente giocatore e non ha potuto giocare più, lui dice che vuole venire di nuovo”.

Le intercettazioni del boss: Riina parla di Berlusconi

riina-tuttacronacaUna chiacchierata tra il boss mafioso Totò Riina e il suo vicino di cella Alberto Lo Russo intercettata dagli uomini della Dia. Oggi arrivano nuovi particolari. Dopo aver parlato del pm Di Matteo e della partecipazione al processo sulla trattativa Stato-Mafia di Napolitano, Riina ha parlato anche di Berlusconi. In una conversazione avvenuta il 20 settembre 2013 nel cortile del carcere milanese di Opera e captata dalle cimici della Direzione investigativa antimafia di Palermo, finita adesso agli atti del processo per la trattativa tra Stato e mafia, i due parlano dei “guai” dell’ex premier. Non si sa se guai giudiziari o di carattere politico. Lorusso aggiorna il boss sulle ultime notizie del leader di Forza Italia e il capomafia di Corleone risponde: “se lo merita, se lo merita. Gli direi io ‘ma perche’ ti sei andato a prendere lo stalliere? Perchè te lo sei messo dentro?'”. Secondo gli investigatori, Riina fa riferimento a Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, condannato per mafia, morto qualche anno fa. Sempre parlando di Mangano, Riina in quella stessa conversazione, parte della quale omissata dai magistrati della Dda, aggiunge poi: “Era un bravo picciotto (uomo ndr. Mischino (poverino ndr), poi si è ammalato ed è morto”.

Depositate le intercettazioni su Riina. Su Napolitano “bene se non testimonia”

toto_riina-tuttacronacaSono state depositate dagli uomini della Dia parte delle intercettazioni effettuate il 16 novembre 2013 alle 9.30, mentre il boss mafioso Totò Riina parlava con il boss della Sacra Corona Unita Alberto Lo Russo, nel carcere milanese di Opera. E si sente: “E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa e non ne parliamo più”. I due parlano del pm antimafia Antonino Di Matteo, che rappresenta l’accusa nel processo per la trattativa tra Stato e mafia che vede tra gli imputati proprio il boss corleonese. Stando agli appunti degli uomini della Dia, mentre Riina dice “organizziamola questa cosa”, tira fuori la mano dal cappotto e gesticolando mima il gesto di fare in fretta. Il boss mostra di non temere Di Matteo:  “Vedi, vedi si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce…”. Poi sul progetto di attentato: “Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo… Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari”. “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”, continua Riina con Lorusso. “Questo pubblico ministero di questo processo che mi sta facendo uscire pazzo”. Ancora, Riina si mosta incontenibile: “Se io restavo fuori, io continuavo a fare un macello, continuavo, al massimo livello. Ormai c’era l’ingranaggio, questo sistema e basta. Minchia, eravamo tutti, tutti mafiosi”. Non solo, aggiornato in tempo (quasi reale) da Lorusso, apprende della richiesta di testimonianza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al processo sulla trattativa. Lorusso lo informa che le tv rilanciano le dichiarazioni del vice presidente del Csm (Vietti) e di altri politici che ritengono che il capo dello Stato non debba testimoniare. Riina approva: “fanno bene, fanno bene… ci danno una mazzata… ci vuole una mazzata nelle corna… a questo pubblico ministero di Palermo”. Al che Lorusso dice: “sono tutti con Napolitano dice che non ci deve andare. Lui è il presidente della Repubblica e non ci deve andare”. Riina afferma: “Io penso che qualcosa si è rotto…” Cronologicamente, i primi riferimenti conducibili al pm Di Meatteo: “Di più per questo, per questo signore che era a Caltanissetta, questo che non sa che cosa deve fare prima. E’ un disgraziato… minc**a è intrigante, minc**a, questo vorrebbe mettere a tutti, a tutti, vorrebbe mettere mani… ci mette la parola in bocca a tutti, ma non prende niente, non prende…”. Nel frattempo, in Procura, spiega Repubblica, cresce la preoccupazione perché i boss sarebbero a conoscenza di notizie mai pubblicate: il 14 novembre scorso gli inquirenti trascrivono l’ennesima intercettazione captata nel cortile di Opera. Quando la notizia delle minacce di Riina al pm Di Matteo era finita sui giornali, i magistrati decisero di presentarsi in massa in Tribunale per manifestare ai pm del processo per la trattativa tra Stato e mafia la loro solidarietà. Ma la decisione non era stata ancora ufficializzata nè era finita sui giornali o in tv e se n’era parlato soltanto via mail tra pm e poche persone. Così è Lorusso ad avvisare il 14 novembre scorso Riina: “…hanno detto che alla prossima udienza ci saranno tutti i pubblici ministeri all’udienza… saranno presenti tutti”. E Riina annuisce: “Ah tutti”. Una notizia circolata solo sulla mailing list interna al Palazzo di giustizia.
“Mi viene una rabbia – continua Riina – ma perchè questa popolazione non vuole ammazzare a nessun magistrato? A tutti… ammazzarli, proprio andarci armati e vedere…”. Si ingalluzziscono , proprio si ingalluzziscono… perchè c’è la popolazione che li difende, che li aiuta. Quelli però che devono andare a fare la propaganda là, sono quelli che devono andare a fare la propaganda. Hanno lo scopo in testa per uno strumentìo (strumentalizzazione ndr) completamente e le persone sono con loro…”.
“Quelli si meritavano questo e altro – continua Riina – questo è niente quello che gli feci io! Gli ho fatto, però meritavano. Se ci fosse stato qualche altro avrebbe continuato e non hanno continuato e non hanno intenzione di continuare, nessuno”. E il boss corleonese, sempre il 30 ottobre, rivendica le sue gesta e sembra che nessuno in Cosa nostra riesca a seguire le sue orme. Tanto che Lorusso dice: “E così subiscono sempre, così subiscono, subiscono, subiscono e continueranno a subire”
Nei dialoghi con Lo Russo c’è anche un accenno alla strage Chinnici: “Quello là salutava e se ne saliva nei palazzi. Ma che disgraziato sei, saluti e te ne sali nei palazzi. Minchia e poi è sceso, disgraziato, il procuratore generale di Palermo”. Chinnici fu ucciso da un’autobomba il 29 luglio del 1983.
Il capomafia si dice deluso da quello che è ritenuto l’attuale capo di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro: “A me dispiace dirlo, questo signor Messina Denaro, questo che fa il latitante, questo si sente di comandare, ma non si interessa di noi. Questo fa i pali della luce – aggiunge riferendosi al business dell’energia eolica in cui Messina Denaro è coinvolto – ci farebbe più figura se se la mettesse in c… la luce”.

Napolitano deve testimoniare, lo chiede il pm

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“La lettera del capo dello Stato non può essere intesa come sostitutiva della testimonianza del teste. La lettera infatti non esaurisce l’argomento da chiarire così come da capitolato di prova”: lo ha detto il procuratore aggiunto Vittorio Teresi opponendosi all’acquisizione della lettera del capo dello Stato al fascicolo del dibattimento del processo per la trattativa Stato-mafia e confermando dunque la richiesta di ascoltare il presidente della Repubblica come teste. Secondo Teresi, quella di acquisire la missiva “e’ una richiesta alquanto curiosa quella delle difese poiche’ questa lettera non e’ un documento formale, in quanto tale. E’ un atto che il presidente ha inteso inviare quale persona chiamata a testimoniare. Non credo che questo atto ‘diverso’ possa trovare ingresso nel dibattimento. Mentre la deposizione del capo dello Stato potrà chiarire alcuni aspetti fondamentali”.

Sulla stesse posizioni della Procura anche la difesa di Massimo Ciancimino, imputato ma anche testimone chiave dell’accusa. La lettera di Napolitano, dunque, non entra nel fasciolo del dibattimento.

Le dichiarazioni scomode del pentito Nino Giuffrè…

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Frasi pesanti quelle dette dal pentito Nino Giuffré che ha deposto al processo sulla trattativa Stato-mafia:

“Non è che la mafia sale su un carro qualunque. Scegliemmo di appoggiare Forza Italia perché avevamo avuto delle garanzie”, secondo il pentito la mafia avrebbe scelto di saltare  sul “carretto del vincitore”, Forza Italia, nel ’94, un po’ perché “c’era un atteggiamento generale di favore dell’opinione pubblica verso la nuova formazione politica, ma anche perché ci fu un accordo interno alla nostra organizzazione di votare per FI. Però -ha precisato l’ex boss- è vero che siamo saliti su questo carretto, ma non è che Cosa nostra sale sul primo carretto che passa. Siamo sì abili a capire chi è il vincitore, ma prima di salire ci sono state garanzie di persone vicine alla mafia. Dell’Utri aveva dato garanzie e per questo si è deciso di saltare sul carretto di Forza Italia”.

Sempre parlando di politici Giuffrè ha aggiunto: “Vizzini era il punto di riferimento per collocare la gente alle Poste”. Il pentito ha poi parlato di due fasi nella strategia di Cosa nostra: quella del progetto di eliminare politici ritenuti inaffidabili (Martelli e Craxi) e magistrati nemici e quello, successivo alle stragi del ’93, in cui la mafia pose in atto un vero e proprio ricatto allo Stato. Il teste ha negato di avere mai sentito parlare del “papello”, il presunto elenco con le richieste che il boss Riina avrebbe fatto allo Stato.

“Tra Cosa nostra e i politici c’è sempre stata connivenza”: il pentito al processo

stato-mafia-tuttacronacaDurante la sua deposizione al processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Francesco Onorato ha raccontato che “Dopo il maxi-processo una serie di politici vennero contattati da Cosa nostra: tra loro anche Salvo Lima che non si presentò all’appuntamento”. A Riina, non piacque l’atteggiamento dell’eurodeputato Dc che era nella lista dei politici da eliminare. Ha poi spiegato: “I politici a Riina prima gli hanno fatto fare le cose, poi l’hanno mollato. Prima ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa i signori Craxi e Andreotti che si sentivano il fiato addosso. Poi nel momento in cui l’opinione pubblica è scesa in piazza i politici si sono andati a nascondere. Per questo Riina ha ragione ad accusare lo Stato”. E ha aggiunto: “Riina per questo comportamento era arrabbiato e avrebbe ucciso tutti i politici”. Il pentito ha parlato di una vera e propria lista con personaggi delle istituzioni che, dopo il maxiprocesso, Riina avrebbe voluto eliminare. “C’erano Vizzini e Mannino, di cui prima in Cosa nostra si parlava bene, i cugini Salvo, Salvo Lima – ha proseguito – Per Vizzini avevamo cominciato i pedinamenti”. E ha concluso: “Riina ha ragione a dire che lo Stato manovrava Cosa nostra. Lui sta pagando il conto, lo Stato no. Tra Cosa nostra e i politici c’è stata sempre connivenza”.  Il pentito ha anche raccontato in maniera dettagliata l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima, avvenuto il 12 marzo 1992, per il quale è condannato con sentenza definitiva. Ha anche spiegato che, dopo che l’attentato al giudice Falcone all’Addura era fallito, loro stessi hanno “messo in giro la voce che la bomba se l’era messa lui per indebolirlo, per farlo passare per bugiardo”. E ha quindi aggiunto: “Salvatore Biondino mi disse che si trattava di una pressione fatta dai politici per fare passare Falcone per uno di poco conto”. Il collaboratore ha anche descritto la sua militanza in Cosa nostra: “Fare parte del gruppo di fuoco della commissione di Cosa nostra era come fare parte della Nazionale di calcio. Ci entravano persone con capacità particolari. Da componente del gruppo di fuoco ho fatto tra l’altro l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima, quello del collaboratore del Sisde Emanuele Piazza, ho partecipato al fallito attentato dell’Addaura”. Onorato, che all’inizio della deposizione ha detto di sentirsi “abbandonato e lasciato solo dallo Stato”, dovrà testimoniare proprio sull’omicidio Lima ritenuto dai pm l’atto iniziale della minaccia mafiosa che avrebbe indotto lo Stato a trattare.

Processo Stato-Mafia: Napolitano pronto a deporre ma “limiti di conoscenza”

napolitano-giorgio-tuttacronacaLa Corte d’Assise di Palermo ha ammesso, lo scorso 17 ottobre, lla richiesta della Procura di citare a deporre come testimone il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, pur con alcuni limiti, che dovrà essere sentito sui colloqui tra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e l’ex consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio. La Corte ha stabilito che la testimonianza del presidente dovrà avvenire “nei soli limiti della conoscenza del teste che potrebbero esulare dalla funzioni presidenziali e dalla riservatezza del ruolo”, come disposto dalla Corte costituzionale nella sentenza in cui aveva accolto la richiesta di Napolitano di distruggere le intercettazioni delle sue conversazioni telefoniche con Mancino. Lo stesso Napolitano ha inviato una lettera al presidente della Corte nel quale si dice pronto a deporre sottolineando che “sarebbe ben lieto di dare un utile contributo all’accertamento della verità processuale, indipendentemente dalle riserve sulla costituzionalità dell’art. 205, comma 1, del codice di procedura penale espresse dai suoi predecessori”. “Il presidente – precisa il Colle – ha nello stesso tempo esposto i limiti delle sue reali conoscenze in relazione” alla vicenda. Per quel che riguarda le intercettazione, non se ne parlerà durante il processo.

Napolitano in aula nel processo Stato- mafia, ammesso anche Grasso

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Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato chiamato a deporre come testimone al processo per la trattativa Stato mafia, è stata accolta, seppur in parte e limitatamente, la richiesta avanzata nelle scorse udienze dal pm Nino Di Matteo. Il Capo dello Stato Giorgio Napolitano era stato citato dai pm per riferire in aula sulle “preoccupazioni espresse dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nella lettera del 18 giugno 2012 – si legge nella richiesta della Procura di Palermo – concernenti il timore di D’Ambrosio ‘di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi’, e cioè nel periodo tra il 1989 e il 1993”.

Ammesso come testimone anche il presidente del Senato Pietro Grasso.

Continua il calvario di Ingroia? Ora è indagato

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Antonio Ingroia dopo la sconfitta politica, dopo le dimissioni dalla magistratura, dopo l’impossibilità di fare l’avvocato nel processo Stato-mafia, ora si trova indagato dalla Procura di Caltanissetta  per il reato di violazione del segreto istruttorio. L’indagine è nata, nei mesi scorsi, dal legale Rosalba Di Gregorio, l’avvocato di Bernardo Provenzano dopo l’interrogatorio del boss da parte dell’ex pm.

Il Messaggero riporta:

Nell’esposto Di Gregorio faceva presente che l’articolo pubblicato sul «Fatto quotidiano» sull’interrogatorio di Provenzano, condotto da Ingroia, era stato pubblicato il 5 giugno e che solo dopo due giorni il contenuto del colloquio investigativo era stato trascritto. Una circostanza che faceva dedurre al legale che solo chi aveva fatto l’interrogatorio era in grado di dare la notizia. La tesi, secondo il difensore, sarebbe stata avvalorata dal fatto che nel pezzo erano riportate impressioni sullo stato di salute di Provenzano dei magistrati. L’esposto, presentato dall’avvocato, venne firmato dai figli del boss Angelo e Francesco Paolo. Nei giorni scorsi i magistrati di Caltanissetta hanno sentito sulla vicenda la giornalista Sandra Rizza, autrice dell’articolo.

 

Revoca alla delega di Antonio Ingroia, cause di forza maggiore

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E’ stata revocata la delega ad Antonio Ingroia  quale avvocato di parte civile al processo palermitano sulla trattativa Stato-mafia. al processo palermitano sulla trattativa Stato-mafia. Lo spiega Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili che sottolinea come la decisione sia stata presa per “cause di forza maggiore. L’ex procuratore Ingroia potrà esercitare la funzione di legale purtroppo solo fra un anno”.

“La posizione di isolamento dell’Associazione – continua la nota – ci ha obbligati a cercare un avvocato palermitano, ma l’ex procuratore Ingroia potrà esercitare la funzione di legale purtroppo solo fra un anno. Nel frattempo, quando l’avvocato Ammannato non potrà recarsi a Palermo, ci serviremo di un sostituto fiorentino”.

“Questa nota – conclude Maggiani Chelli – intende smorzare sterili polemiche”: la scelta di Ingroia “altra funzione non ha avuto se non quella di nominare un tecnico preparato nel processo. E comunque l’avvocato Danilo Ammannato aveva nominato l’avvocato Antonio Ingroia per le udienze successive al 10 ottobre”: quel giorno, infatti, “non potremo andare a Palermo perché a Firenze ci sarà presumibilmente la sentenza nei confronti di Francesco Tagliavia, mafioso palermitano che si è occupato della strage di Firenze.

Come mai deve attendere almeno un anno? Lo spiega Il Giornale citando la legge 247 del 2012, alias la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense.

Come dice il quotidiano di Sallusti:

All’articolo 2 comma 3, recita: «Possono essere altresì iscritti: «a) coloro che hanno svolto le funzioni di magistrato ordinario, di magistrato militare, di magistrato amministrativo o contabile, o di avvocato dello Stato, e che abbiano cessato le dette funzioni senza essere incorsi nel provvedimento disciplinare della censura o in provvedimenti disciplinari più gravi». E fin qui nulla quaestio. Ma leggete come continua la legge: «L’iscritto, nei successivi due anni, non può esercitare la professione nei circondari nei quali ha svolto le proprie funzioni negli ultimi quattro anni precedenti alla cessazione». Che fuor di burocratese significa che l’avvocato Ingroia, anche dopo aver giurato, non può esercitare per due anni a Palermo, procura in cui ha lavorato per 20 anni e che ha lasciato meno di un anno fa.

L’Ordine degli avvocati fa guerra a Ingroia

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L’Ordine degli avvocati di Roma e di Palermo sono risoluti a fare guerra a Ingroia e così hanno aperto un procedimento disciplinare per esercizio abusivo della professione, a carico dell’ex pm Antonio Ingroia passato ora tra le fila degli avvocati. Cosa viene contestato all’ex pm? Il Giornale di Sicilia spiegherebbe che giovedì scorso Ingroia, senza prima prestare giuramento, avrebbe assunto la difesa dell’associazione dei familiari delle vittime della strage dei Georgofili, nel processo sulla trattativa Stato-mafia.

Ingroia si era iscritto all’Ordine della Capitale mercoledì e giovedì la sua istanza era stata accolta, ma l’atto non darebbe diritto all’esercizio immediato. «Nell’udienza di giovedì – ha replicato l’ex pm che ha annunciato che giurerà la prossima settimana- non ho preso la parola. È stato solo preannunciato che il 10 ottobre sarei stato sostituto processuale per l’associazione».

E continua il calvario dell’ex pm… Dalla politica, alla magistratura, all’Ordine degli avvocati!

Assolto Mario Mori. Ci saranno ripercussioni nel processo Stato-mafia?

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E’ stato assolto il generale dei carabinieri Mario Mori. Secondo la corte non impedì e non ostacolò la cattura dell’ex boss mafioso Provenzano durante la lunga latitanza. Insieme a Mori è stato assolto anche il colonnello Mauro Obinu anche lui era accusato per favoreggiamento aggravato alla mafia. Entrambi sono stati assolti con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Ci saranno ripercussioni nel processo Stato-mafia? Il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi si è detto amareggiato della sentenza, ma ha anche ridimensionato la portata in relazione appunto all’altro processo:

La sentenza potrà avere una referenza sul processo per la trattativa tra Stato e mafia ma non di grandissima importanza. E’ una tappa molto importante, una tappa per cercare di ricostruire una stagione misteriosa. E’ chiaro che questo processo avrà un impatto mediatico molto forte ma sarà un impatto più di immagine che di sostanza.

“Sono stati loro a venire da me, non io da loro”, Riina su Stato-mafia

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Per la prima volta Totò Riina avrebbe fatto chiaro riferimento alla  trattativa Stato-mafia. La rivelazione è arrivata Qualche settimana fa, mentre stava per essere trasferito dalla sua cella alla saletta delle videoconferenze. durante il trasferimento avrebbe detto agli agenti  “Sono stati loro a venire da me, non io da loro”, questa frase sarebbe un riferimento al dialogo segreto che nel giugno del 1992 venne avviato da alcuni ufficiali del Ros con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, in merito alla trattativa Stato-mafia. L’altra frase che è stata inserita  in una relazione di servizio stilata da alcuni agenti del Gom, il gruppo speciale della polizia penitenziaria che si occupa della gestione dei detenuti eccellenti sarebbe stata “Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino”, in questo modo Riina sembrerebbe confermare le parole di Massimo Ciancimino, che ha descritto gli incontri riservati del padre Vito con l’ex comandante del Ros Mario Mori. Questa mattina, la relazione è stata depositata al processo per la trattativa, che si svolge nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo. Al momento i magistrati hanno deciso di non interrogare Riina, ma hanno preferito avere la conferma ascoltando gli agenti che hanno stilato la relazione, i quali hanno confermato il contenuto.

Ingroia svela la trattativa Stato-mafia.

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Una lunga confessione quella dell’ex pubblico ministero Antonio Ingroia a Der Spiegel sulla trattativa Stato-mafia. Secondo Ingroia gli accordi, intercorsi negli anni ’90, hanno cambiato il volto delle organizzazioni criminali che da organismi violenti sono poi stati trasformati in vere e proprie lobby affaristiche. E’ dispiaciuto Ingroia di non poter più essere il pm nel procedimento che vedrà sfilare sul banco degli imputati personaggi del calibro di Riina, Provenzano e Bagarella, ma anche politici come l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino?

”Quando indagavano ho capito che la procura non potrà mai arrivare alla completa verità sui colloqui tra governo e mafia. Ci sono forze politiche che lo vogliono impedire. Anche per questo ho scelto di candidarmi per il Parlamento”, così afferma l’ex magistrato senza troppi giri di parole.

Poi continua accettuando l’attenzione sull’importanza storica di questo processo:

“Questo non si è mai verificato prima d’ora nella storia del nostro paese. Inoltre viene dibattuto in un’aula di un tribunale ciò che è sempre stato smentito o taciuto, la trattativa tra criminalità organizzata e stato”.

Ma si riuscirà a far emergere qualche nuova verità?

“Ovviamente ho grande fiducia nella pubblica accusa, un team di colleghi molto competenti. Ma senza l’appoggio dell’intero paese, senza un’opinione pubblica che desidera conoscere la verità, appoggiandoli, loro potranno fare poco”.

E poi continua:

“Ci sono movimenti, per insabbiare le cose. Io spero che il processo vengano condotto in modo ragionevole e con la necessaria attenzione. L’atmosfera è molto tesa, ma ciò non deve impedire che il procedimento si svolga in modo prudente”.

E sulle intercettazioni tra il Capo dello Stato Napolitano e Mancino, Ingroia rimarca di non esser stato contento della loro distruzione, ma di rispettare la decisione:

“Quei colloqui non avevano una rilevanza penale. Politicamente forse sì, ma come pubblico ministero questo non mi interessava”.

Ma cosa contenevano quelle intercettazioni? L’ex Pm di Palermo risponde con una risata e afferma di aver mentalmente cancellato il loro contenuto.

La rivelazione di Ingroia invece avviene sul suo mentore e maestro Paolo Borsellino:  

”Dai testimoni oculari si è scoperto che Borsellino ne fosse a conoscenza (della trattativa Stato-mafia, ndr). Il magistrato ucciso il 19 luglio del 1992 aveva saputo di contatti tra i carabinieri e il sindaco di Palermo Ciancimino, uomo di collegamento dei corleonesi. Questa circostanza è stata sempre negata, ma alcuni pentiti hanno affermato che la mafia ha deciso di uccidere Paolo Borsellino proprio perché rappresentava un ostacolo a questo accordo. Spero che questo diventi chiaro ad alcuni”.

Ma chi ebbe l’idea della trattativa? Secondo l’ex magistrato non ci sono dubbi: Bernardo Provenzano.

“L’ho interrogato alcuni mesi fa. Non sta bene, ma ha sempre capito ciò che gli veniva comunicato, ascoltando in modo attento e concentrato”.

Secondo Ingroia però ormai è troppo tardi perché si possa davvero svelare la verità sulla trattativa tra mafia e stato:

“Temo che ormai quel treno sia definitivamente partito”.

Associazione a delinquere ed evasione fiscale: arrestato Ciancimino

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Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito, è stato arrestato su ordine del gip di Bologna con l’accusa di associazione a delinquere ed evasione fiscale e portato al carcere Pagliarelli del capoluogo siciliano. All’uomo viene anche contestata, dai pm, l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra. E’ stata la GdF di Ferrara a svolgere le indagini che hanno portato all’emissione di 13 ordinanze di custodia cautelare, di cui nove in carcere e quattro ai domiciliari nei confronti dei componenti di un sodalizio criminoso accusato di frode fiscale nel settore della commercializzazione di metalli ferrosi. A Ciancimino sono contestati reati fiscali riferiti al periodo in cui viveva in Emilia-Romagna, con un’evasione calcolata in circa 30 milioni di euro.

Ciancimino è tra i testimoni chiave del processo sulla trattativa Stato-mafia, nel quale è anche imputato di concorso in associazione mafiosa e calunnia all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Oltre a questo, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo è anche indagato per detenzione di esplosivo. L’aggravante che gli è stata inizialmente contestata dai pm nell’inchiesta sulla maxi-evasione ipotizza suoi rapporti con la mafia calabrese e in particolare con la cosca Piromalli della Piana di Gioia Tauro.

Giulio Andreotti, attraverso la lente del figlio Stefano

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“Aveva abitudini molto precise, e orari stressanti. Quindi la sua presenza, in termini di ore, era scarsa. Ma, in termini qualitativi, ci ha riservato un’attenzione assoluta”. Parla così di Giulio Andreotti il figlio Stefano, intervistato dalla rivista Vanity Fair. L’attenzione viene poi spostata sulla madre:è mai stata gelosa? “Non credo. Non ho mai sentito tra loro mezzo litigio. Anche quando uscì quella sua foto a braccetto con Anna Magnani, e ci furono alcune insinuazioni, la considerammo un’invenzione dei giornali. Del resto, papà era sottosegretario di De Gasperi con la delega sul cinema. Parlo di quando il cinema italiano ancora si poteva definire tale. Non come oggi, e mi riferisco a qualcosa che ha riguardato mio padre”. Al Divo di Sorrentino? “Appunto. Quel film parte da un’idea preconcetta. Perfino papà, che non era mai diretto, dopo la proiezione disse che era stata ‘una vera mascalzonata’ “.  Ma al terzogenito del senatore a vita da poco scomparso non viene chiesto solo del rapporto con la famiglia, preferendo ripercorrere le tappe della sua carriera politica, parlando anche del giorno immediatamente successivo alla morte del padre, quando Umberto Ambrosoli è uscito  dall’aula del Consiglio regionale della Lombardia quando si è osservato un minuto di silenzio per la scomparsa del politico. Episodio che Stefano Andreotti giustifica: “Che Umberto Ambrosoli ce l’abbia con lui è più che comprensibile. Se io sono arrabbiato per quello che è successo a papà, figurarsi lui, che suo padre lo ha visto ammazzato”. E’ lui stesso a definire “infelice” la definizione del padre, che ne parlò, in una puntata del programma La storia siamo noi dedicata all’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, come di “una persona che se l’andava cercando”.L’intervista tratta anche i processi per concorso esterno in associazione mafiosa, che Stefano andreotti così spiega: “Stava per scoppiare Tangentopoli, si voleva spazzare via un’intera classe politica. Ma mio padre non aveva mai maneggiato denaro pubblico: dovevano incastrarlo in un altro modo. Qualche mese prima che i pentiti parlassero, Gerardo Chiaromonte, politico comunista, lo chiamò per avvisarlo della trappola che gli stavano tendendo. Che tragedia: mia madre ha sofferto di depressione e ancora oggi ne porta il segno. A 92 anni, soffre di una malattia degenerativa. Non si è neppure resa conto della scomparsa di papà”. Ma racconta anche di quello che provò il padre in quei frangenti, lui che all’esterno sembrava freddo: “In realtà soffrì moltissimo. Lo trovavo il sabato mattina sulla poltrona a dormire – lui che non dormiva mai – imbottito di psicofarmaci per stare tranquillo. La fede l’ha aiutato: diceva che era una prova da superare per quello che aveva avuto, doveva scontare qualche peccato”. Il discorso  cade anche sui giudizi, pesanti, che Aldo Moro scrisse nei diari del sequestro. “Tra mio padre e Moro potevano esserci state divergenze, ma i rapporti erano stati ottimi. Appena si seppe che Moro era stato sequestrato, chiamai papà: era sconvolto. Chi arrivò a ipotizzare che dietro quel rapimento ci potesse essere Andreotti non sa di che cosa parla. A noi figli, papà disse chiaramente che al posto di Moro ci poteva essere lui. Secondo lui, avevano scelto Moro solo perché abitava in Via Fani, una posizione che garantiva una via di fuga più agevole”. Huffington Post ha poi raggiunto Umberto Ambrosoli, che ha preferito non tornare sull’episodio menzionato dal figlio del senatore a vita e da lui ridimensionato come “una frase oltremodo infelice, che mio padre però ha subito rettificato, e che soprattutto ha pronunciato quando non era ormai lucido.” “Preferisco non commentare, stiamo parlando di una persona che fa valutazioni legittime sul piano personale ma non mi sembra il caso di aggiungere altro. Ho visto il video di quell’intervista, l’ho visto integralmente e mi sono fatto un’idea, e tale rimane. In ogni caso – conclude Ambrosoli – apprezzo la comprensione manifestata da Stefano Andreotti”

Trattativa Stato-Mafia: processo al via… e già rinviato

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Ha preso il via oggi il processo sulla trattativa Stato-Mafia e già arrivano le prime contestazioni. Prima dell’inizio dell’udienza a Palermo, infatti, l’ex politico Mancino, imputato per falsa testimonianza, ha affermato: “Non posso stare nello stesso processo in cui c’è la mafia”, aggiungendo: “Ho fiducia e speranza che venga fatta giustizia e che io possa uscire al più presto dal processo”. Oltre all’ex ministro, gli imputati presenti sono l’ex comandante del Ros Antonio Subranni e Massimo Ciancimino. Con loro, il gup Piergiorgio Morosini lo scorso 7 marzo ha rinviato a giudizio per “attentato mediante violenza o minaccia a un corpo politico, giudiziario o amministrativo dello Stato, aggravato dall’agevolazione di Cosa nostra”,  boss Totò Riina, Leoluca Bagarella e Nino Cinà, l’ex pentito Giovanni Brusca, l’ex generale del Ros Mario Mori, l’ex colonnello Giuseppe De Donno e l’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. Riina e gli altri tre mafiosi sono collegati in videoconferenza con l’aula bunker.

Se Mancino ha intenzione, tramite il suo legale, di chiedere lo stralcio della sua posizione, la Procura ha preannunciato che gli contesterà una nuova aggravante, ancora non resa nota. Diversa la posizione per Massimo Ciancimino, accusasto anche di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia mentre è stata stralciata la posizione di Provenzano per la sua incapacità di partecipare al processo: le sue condizioni psichiche sono infatti compromesse in parte da una forma di Alzheimer e in parte dall’intervento per la rimozione di un ematoma cerebrale che il boss si era procurato cadendo in cella.

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La “storia” della trattativa, come il gup Morosini spiegò il 7 marzo, quando dispose il rinvio a giudizio, parte dalle aspettative deluse sul maxiprocesso, con la conferma degli ergastoli ai vertici dei clan. Da qui il tentativo di Cosa nostra di chiudere i conti con chi riteneva responsabile di quella debacle giudiziaria e la ricerca di nuovi referenti politici. La mafia avrebbe cercato di condizionare le istituzioni con le stragi e stringere alleanze con massoneria deviata, frange della destra eversiva, gruppi indipendentisti, per dare vita a un piano eversivo condotto a colpi di attentati rivendicati dalla Falange Armata. Il primo passo sarebbe stato l’imicidio dell’eurodeputato Dc Salvo Lima, seguito dall’allarme attentati a una serie serie di ministri. A questo punto s’innesca la figura di Mannino, che ha chiesto il rito abbreviato, che per aver salva la vita stimolò l’inizio di una trattativa servendosi del capo del Ros Antonio Subranni. Ci sarebbero quindi stati contatti tra gli ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni e l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, il papello con le richieste del boss Totò Riina per fare cessare le stragi, l’ingresso nella trattativa del capomafia Bernardo Provenzano. Il rapposto si sarebbe potuto interrompere nel 1993, con la decisione dello Stato di revocare la 334 41-bis. Non essendo sufficente, per i boss, l’ammorbidimento della linea carceraria, un nuovo filone di trattativa si sarebbe innescato portando alla ribalta altri protagonisti, come Dell’Utri “portatore” della minaccia mafiosa a Silvio Berlusconi, futuro premier. Nella storia entra anche l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino: avrebbe detto il falso negando di avere saputo dall’allora Guardasigilli Claudio Martelli dei contatti tra il Ros e Ciancimino.

Il processo per la trattativa Stato-Mafia è uno dei temi che tocca da vicino gli italiani, ancora scossi dalla strage di Capaci e dall’attento al giudice Paolo Borsellino, tra gli altri. A testimonianza di ciò uno striscione a sostegno di Agnese Borsellino è stato affisso questa mattina sulle grate dell’aula bunker. La vedova del magistrato, morta tre settimane fa, chiedeva “verità e giustizia” per l’assassinio del marito Paolo, ucciso nella strage di via D’Amelio. Secondo i magistrati Borsellino sarebbe stato ucciso proprio perché seppe della trattativa. Un “successo” anche per il figlio, che ha affermato: “Per la prima volta la Stato processa altri pezzi dello Stato. Sembrava una cosa impossibile, invece sta avvenendo. Ho fiducia nei magistrati e nel processo e il dato di partenza è che la trattativa non è più ritenuta fumosa o fantomatica. C’è stata”.

“Qualora si dovessero accertare elementi di colpevolezza dello Stato, lo Stato non potrebbe nascondere eventuali responsabilità sotto al tappeto”, ha dichiarato il pm Antonio Di Matteo, e in molti ci auguriamo che sia così.

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Oggi, dopo le richieste di pm e difesa, la Corte d’Assise ha deciso di rinviare il processo che si tiene nell’aula bunker del carcere “Galiarelli” di Palermo. La nuova data è quella del 31 maggio, decisa per andare incontro alla domanda, sia dei magistrati che dei difensori degli imputati, di avere un termine per interloquire sulle nuove richieste di costituzione di parte civile.

Oggi come ieri: a Servizio Pubblico si parla della strage di Capaci

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Inizia con la canzone Io non ho paura Servizio Pubblico, ed un ricordo a Don Andrea Gallo, che probabilmente è in Paradiso perchè “io sto con gli ultimi”. Ma sicuramente tutti lo staranno osservando con curiosità, perchè “di preti in Paradiso se ne vedono pochi”.  Subito dopo, si entra nel vivo con Walter Veltroni parla del suo libro “E se domani” e viene facile il collegamento con gli anni delle stragi: il ’92 ed il ’93. Anche allora il sistema democratico era in crisi e se qualcuno provava a “spostare” il potere verso sinistra qualcuno interveniva per “destabilizzare” in modo da mantenere l’assetto che c’era. Ma si può tornare anche gli anni ’64 e ’69, pensare a Moro e poi fare un salto al recente attentato a Palazzo Chigi il giorno dell’insediamento. 500 kg di tritolo sullla strada di Capaci: Riina fa dietro front prima di far uccidere Falcone a Roma. Perchè un simile scelta? Veltroni spiega che la mafia ha sempre avuto un rapporto con la politica, in particolar modo con la Democrazia Cristiana legata ad Andreotti che fino a quel momento l’aveva tutelata ma, con l’avanzata del giudice sempre più potente, questo “patto” veniva interrotto: serviva messaggio forte quindi, un attentato come non se n’erano mai visti.

In tutto questo, la mente corre rapida anche a Paolo Borsellino: che fine ha fatto l’agenda rossa del giudice? Non solo, la moglie Agnese avrebbe anche confidato che il giorno dopo, quando l’ufficio della vittima era già stato sigillato, alla riapertura i cassetti erano vuoti. Quanto resta ancora immerso nel silenzio? Perchè i pentiti della mafia hanno parlato ma, nonostante l’indagine sulla trattativa Stato-Mafia, i politici non l’hanno fatto. Ma se questa è la posizione di Travaglio, Vespa è dell’idea che lo Stato non tratta con la mafia come non ha fatto con il terrorismo. Anche Veltroni però è dell’idea che una trattativa ci sia stata, prova ne sarebbe la sparizione dei documenti. Serve capire allora chi sia stato a dirigere: chi è stato il regista? “Che qualcuno in questo Paese abbia costantemente depistato o costruito”, quindi, sembra chiaro.

Trattative Stato-Mafia: tra i teste citato anche Giorgio Napolitano

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Tra i 180 teste citati dai pm di Palermo che indagano sulla trattativa Stato-Mafia, ci sono anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il presidente del Senato Pietro Grasso e l’ex capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi.  Al processo, che si aprirà il 27 maggio, deporrà anche l’ex pg della Cassazione Vitaliano Esposito. Tutte le citazioni dovranno essere valutate dalla Corte d’assise che ne deciderà l’ammissione. Nella lista depositata nella cancelleria dai pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi si legge:

In ordine “alle preoccupazioni espresse dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nella lettera del 18-6-2012 (pubblicata su “La Giustizia. Interventi del Capo dello Stato e Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. 2006 -2012”) concernenti il timore del dottor D’Ambrosio “di essere stato considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”, e ciò nel periodo tra il 1989 e il 1993″.

Per il M5S il governo l’Alf-etta è mafiosa!

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“Presidente Letta, visto il ministro dell’Interno scelto”, o che gli e’ stato imposto, “sembra il governo della trattativa stato-mafia, il governo del bavaglio alla magistratura”. Lo dice Andrea Colletti, deputato M5s, nel dibattito sulla fiducia e continua con una serie di accuse: “Il vostro governo è una mano di vernice sulla parete ammuffita. Questo governo puzza di Dc, di compagnia delle opere. Il Ministro dell’Interno che è stato scelto o costretto a scegliere puzza di trattativa Stato – Mafia”, dice Colletti contestato dai deputati Barbara Saltamartini (PdL) e Ettore Rosato (Pd) che hanno definito il discorso inaccettabile e fuori da ogni rango istituzionale. In particolare, l’onorevole Saltamartini ha richiamato il Presidente di turno, definendo il suo atteggiamento non imparziale. E poi l’ha anche rimproverato perché non aveva pronunciato correttamente il suo nome.

Il dibattito sulla fiducia s’incedia e va a colpire con cecità un discorso che invece, negli intenti, poteva essere condiviso e magari monitorato costantemente se non avesse attuato quanto promesso. Bacchettato a posteriori, ma non certo con un giudizio prevenuto. Alfano non ha bisogno sicuramente di presentazioni, sappiamo benissimo cosa rappresenta e quali siano i limiti a cui il premier Letta ha dovuto abbassare la testa. D’altra parte è un governo di larghe intese con tutti i se e ma che ci possono essere, ma che ha cercato  di avvicinare con un discorso, equilibrato e pragmatico, diverse forze politiche. Letta è un dc di ferro adottato dal Pd, ma di quella democrazia cristiana che cerca di allontanarsi anche da se stessa e prova con spirito liberale a porsi in una posizione di super partes per il risanamento di un Paese allo sbando, sembra perciò inopportuno in sede di discussione sulla fiducia da dare o non dare a un governo incentrare il discorso su un problema che è evidente e scontato. Un problema sotto gli occhi di tutti, che viene rilevato solo per suscitare scandalismo e fare notizia… è quello di cui il Paese non ha bisogno. Cerchiamo un’opposizione seria e condivisa, non una lacerazione scandalistica.

GUERRA TRA ISTITUZIONI! Stop distruzione intercettazioni su Stato-Mafia!

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La corte di Cassazione ha dichiarato ammissibile il ricorso presentato dagli avvocati di Massimo Ciancimino contro la decisione del giudice per le indagini preliminari di distruggere senza il contraddittorio tra le parti, le intercettazioni delle telefonate tra l’ex ministro Nicola Macino e il capo dello Stato. L’impugnazione sarà valutata, ora, nel merito dalla sesta sezione della suprema corte il 18 aprile. Slitta, dunque, la distruzione delle intercettazioni fissata per il 13 marzo.
I difensori di Ciancimino, gli avvocati Francesca Russo e Roberto D’Agostino, nel loro ricorso, avevano sostenuto che il provvedimento del gup Riccardo Ricciardi, che aveva ordinato la distruzione delle intercettazioni senza contraddittorio, ledesse il diritto di difesa. Dall’ascolto delle telefonate, intercettate nell’ambito dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia, a loro avviso potrebbero trarsi elementi utili alla difesa del loro assistito imputato nel procedimento di concorso in associazione mafiosa e calunnia.
Sulle telefonate si è aperto uno scontro istituzionale tra il Colle e la Procura di Palermo culminato in un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta che ha dato ragione al Quirinale sulla distruzione delle intercettazioni.

FORSE POTREMO ALZA IL VOLUME E SAPERE LA VERITA’ PER UNA VOLTA IN ITALIA?

L’intercettazione sopravvive ancora per qualche giorno!

L’intercettazione Napolitano-Mancino sulla trattativa Stato-Mafia sopravviverà ancora qualche giorno. A causa di un problema tecnico non è stato possibile effettuare oggi la cancellazione del file.

napolitano mancino intercettazione

Procura di Palermo si adatterà a direttive di consulta circa le intercettazioni

Per saperne di più leggi qui.

Verranno distrutte le intercettazioni di Napolitano durante l’inchiesta Stato-Mafia

La Procura ribadisce la “riservatezza assoluta” delle conversazioni del Capo dello Stato.

Stato-mafia: Ingroia accusa, i magistrati sono stati spiati

Immediata anche la reazione di Gasparri sulla relazione di Pisanu: “Sarebbe interessante capire quale fondamento abbiano alcune ricostruzioni giornalistiche che fanno riferimento ad una versione antecedente quella finale della relazione di Pisanu, nella quale sarebbero stati espressi giudizi chiari e precisi sull’operato del Presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro”

Mentre sul sito dell’Idv si legge: “La trattativa tra Stato e mafia c’e’ stata, eccome. E, a pagarne le spese, sono stati soprattutto alcuni coraggiosi servitori dello Stato che hanno pagato con la vita il loro rifiuto ad adeguarsi ad essa”.

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Stato-mafia, 11 rinvii a giudizio

Gli 11 indagati sono  Luca Bagarella, Toto’ Riina, Giovanni Brusca e Nino Cina’, Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, Marcello Dell’Utri, Calogero Mannino, Massimo Ciancimino, Nicola Mancino. La posizione del boss Provenzano e’ stata stralciata. Mannino ha chiesto di essere giudicato con l’abbreviato.

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Anonimo fa rivelazioni su rapporti Stato-Mafia. Messineo avvia indagine

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Indagine Stato-Mafia: acquisizione di 5 nuovi faldoni

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Cicchitto nega la trattativa Stato – Mafia

Ha affermato che la procura di Palermo ha elaborato un romanzo storico

Stato – Mafia per la trattativa garantì Berlusconi

 

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