MEA MAXIMA CULPA: il documentario shock sui preti pedofili!

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La Chiesa cattolica trema con questo docu-shock sui casi di pedofilia perpetrati in tutto il mondo da alcuni sacerdoti: è Mea Maxima Culpa: silenzio nella casa di Dio‘ di Alex Gibney. In questo film, la Chiesa non fa altro che negare, minimizzare e censurare, a partire dal Milwaukee dove quattro non udenti denunciano gli abusi subiti. Ma nel film, in sala il 20 distribuito da Feltrinelli Real Cinema (stasera in prima a Firenze e domani a Milano), anche le responsabilità del Papa emerito Ratzinger e dello stesso Papa Wojtyla e la speranza nel nuovo, ovvero in Papa Francesco. Intanto nel filmato le testimonianze di Terry Kohut, Gary Smith, Pat Kuehn e Arthur Budzinski, ormai adulti, vittime da ragazzi degli abusi sessuali di Padre Lawrence Murphy, direttore della St. John’s School di Milwaukee nel Wisconsin. Un sacerdote che, tra il 1950 e il 1974, ha abusato sessualmente di circa duecento bambini audiolesi senza subire alcun processo canonico e morendo da prete. Muovendo dalle accorate testimonianze di questi quattro personaggi, vittime sacrificali anche grazie al loro disagio, altri casi di pedofilia in America e in Europa sempre nel silenzio della Chiesa. Si parla dell’irlandese padre Walsh, del messicano di Marcial Maciel, amico di Wojtyla e inviso a Ratzinger, dando voce alle pagine presentate alla Corte penale internazionale dell’Aja dalla SNAP (Survivors Network of those Abused by Priests) e dalla Ong americana Center for Costitutional rights. Joseph Ratzinger sarebbe responsabile per essere stato per 25 anni a capo dalla Confederazione della fede e, dunque, a conoscenza dei fatti. Lo stesso Papa avrebbe poi ribadito il vincolo del segreto da mantenere durante la procedura investigativa e processuale. Papa Wojtyla, invece sarebbe colpevole, oltre che della conoscenza di questi crimini, dell’amicizia appunto con Maciel. Ovvero il sacerdote messicano colpito dalla pena della rinuncia a ogni ministero pubblico per atti di pedofilia compiuti su seminaristi della sua congregazione solo nel 2006, decisione approvata dall’allora papa Benedetto XVI.
«Papa Ratzinger ha fatto molto per queste vicende di pedofilia, ma non ha creato vera trasparenza e non ha aperto gli archivi diocesani, cosa invece accaduta in Germania, Belgio e Stati Uniti. Una cosa, quest’ultima, che potrebbe fare Papa Francesco» dice il vaticanista Marco Politi. E aggiunge:«il nuovo Papa si troverà sul tavolo anche questo problema. In Italia si possono calcolare circa 3000 casi nascosti valutando che ci sono 200 diocesi e nessuna ha mai fatto un’inchiesta, a parte quella di Bressanone che ha denunciato quindici casi». Spiega invece il regista premio Oscar per ‘Taxi to the Dark Side’: «i numeri sono impressionanti, ma va detto che al centro del film ci sono i miei quattro eroi che, con coraggio, hanno parlato mentre la Chiesa non li ha voluti ascoltare. Ratzinger – ribadisce il regista – era il responsabile della Dottrina della Fede e la sua responsabilità è quella di non aver fatto nulla. Non solo, dal 2001 aveva chiesto che ogni caso di questo tipo dovesse comunque passare prima dalla sua scrivania». Le sue dimissioni? «Sono l’atto più potente del suo pontificato – ha sottolineato oggi Gibney -. In questa maniera ha dimostrato di non essere in grado di affrontare queste cose, di essere davvero un uomo. Speriamo che Papa Francesco sia quello adatto». Il vaticanista Robert Mickens evidenzia invece:«I vescovi sono stati responsabili in Italia di non affrontare la cosa e di aver lasciato sole queste vittime innocenti che sono davvero i più poveri di tutti, doppiamente abusati, sessualmente e per essere non udenti».

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Un Conclave che si tinge di mistero!

Roger M. Mahony

Morale, giustizia terrena e giustizia divina… Può partecipare a un Conclave anche ci si è macchiato di un reato tremendo come la pedofilia? In California la domanda se la pongono in tanti, mentre i Cardinali sono già con la valigia in mano pronti a imbarcarsi sul primo aereo per Roma.

E della partita, fino ad un clamoroso contrordine, dovrebbe essere compreso anche Roger M. Mahony, 76 anni, arcivescovo emerito di Los Angeles che il 31 gennaio scorso era stato “sospeso da ogni incarico” dal suo successore, monsignor José H. Gomez come annunciava il Los Angeles Times a tutta pagina.

I file che l’attuale pastore della diocesi californiana aveva dovuto esaminare e che hanno costituito l’oggetto di un procedimento durato 5 anni presso la Corte di giustizia di Los Angeles (giudice Emilie Elias) non lasciano dubbi. La Chiesa, guidata da Mahony (dal 1985 al 2011) aveva combattuto per anni per mantenere segrete le denunce di abusi, in particolare nei confronti di un prete poi fuggito in Messico, Nicolas Aguilar Riveira (accusato di molestie su 29 minori nel corso di 9 anni di permanenza in diocesi).

Una decisione sofferta quella dell’arcivescovo Gomez che l’ha spiegata con una lettera ai fedeli e al clero: “Non ci sono scuse per spiegare quanto è successo, dobbiamo riconoscere un terribile fallimento” (oltre ad un’indennità di risarcimento alle vittime di oltre 600 mila dollari).

Al destino del cardinale Mahony (che dovrà presentarsi in tribunale il 23 febbraio e che finora non ha mai ammesso le proprie responsabilità,anzi si è lamentato pubblicamente dell’umiliazione subita) si associava quello del vescovo ausiliare Thomas Curry, vicario per il clero, già dimessosi da Santa Barbara (tra i due tutta una serie di strategie per “evitare interferenze della polizia”): per loro veniva mantenuta la facoltà di celebrare, ma non di tenere omelie, né parlare in pubblico. Un provvedimento “con effetto immediato”, che non aveva precedenti oltreoceano, anche per il fatto che si trattava di un vescovo che sanzionava due confratelli nell’episcopato di cui uno pure cardinale.

Solo il Papa avrebbe potuto compiere di più e procedere con la riduzione allo stato laicale o almeno rimuoverli (come accaduto lo scorso anno al vescovo australiano Morris, per “motivi di ortodossia”).

Ma ai rappresentanti delle associazioni delle vittime dei pedofili andava bene anche così, come aveva dichiarato all’indomani David Clohessy della SNAP “un piccolo gesto nella giusta direzione”.

Ora, con un Conclave imminente e inatteso, le cose si complicano e monta la protesta: non è questo che si attende oltreoceano da Santa Romana Chiesa, ma nessuno in terra americana può far nulla, anche se al cardinale Dolan, presidente della Conferenza episcopale, sono giunte richieste di attivarsi presso il Vaticano.

Si chiede in altre parole un ultimo gesto coraggioso da parte del pontefice che tanto ha fatto per far guarire la Chiesa da questa piaga: la revoca della porpora e di fatto l’impossibilità ad entrare in Conclave per eleggere il successore.

 

Un  precedente già c’è, conclusosi però in direzione contraria alle attese: nel 2005 una manifestazione in piazza San Pietro aveva chiesto che fosse impedito l’accesso al cardinale Bernard Law dimessosi da Boston sempre per aver coperto abusi, ma il cardinale partecipò normalmente al Conclave che elesse Benedetto XVI.

 

E in Irlanda c’è già chi si pone l’interrogativo per il cardinale Séan Brady, già dimessosi da presidente della Conferenza episcopale, ma anche lui finora nella rosa degli elettori. Se sono tanti i temi in gioco per un futuro Papa, questione la pedofilia di certo non è ancora archiviata.

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