Gaffe made M5S: la senatrice e il dittatore cileno “Pino Chet”

sara-paglini-tuttacronacaIeri Emanuela Corda, alla Camera, aveva parlato della strage di Nassiriya sottolineando il fatto che anche il kamikaze era stato “vittima dell’attentato”. Oggi ha presentato le sue scuse, sotto lo sguardo vigile di Alessandro Di Battista, sempre nell’emiciclo di Montecitorio. Problema risolto quindi. Almeno così sembrava. Solo che, ancora prima delle parole della Corda è arrivato il post della sua collega Sara Paglini che le consigliava di scusarsi. In Facebook si leggeva, tra le altre cose, “Per favore, non giustifichiamo tutto, altrimenti mi verrebbe da pensare che qualcuno un giorno si potrebbe anche dire che le stragi naziste, i morti in Siberia, i regimi violenti come quello di Pino Chet , o i colonnelli in Argentina o Pol Pot in Cambogia”. A leggere con attenzione, quel “Pino Chet” non poteva certo passare inosservato, e tanto meno come un errore di battitura. E il popolo di internet non ha mancato di far notare la colossale gaffe di voler sostituire ad Augusto il nome Pino abbreviando in Chet il cognome Pinochet. In seguito, la grillina ha provveduto a modificare il post cancellando l’errore, ma il passaparola era già partito.
pino-chet-tuttacronacaIn seguito, cercando a sua volta di rimediare allo strappo e attaccando i media, ha voluto raccontare una sua esperienza personale: “Chissà se metteranno così in luce anche questo i giornalai, (Corriere in testa) … e chi in rete cerca di deridere (badate bene, non me… ma ) il Movimento. Avevo circa 12 anni , erano i primi anni 70, quando nella mia città arrivò un giovane uomo di nome Francisco, veniva dal Cile, da Santiago del Cile per la precisione, con se portava la moglie e tre bambini piccolissimi. Era fuggito dalla sua terra, dove si era opposto al regime di Pinochet. Aveva nelle braccia, nelle gambe e in tutto il corpo, i segni delle torture. Noi, come famiglia, li accogliemmo per un periodo, pur non conoscendoli, cercando di dar loro un minimo di supporto , soprattutto affettivo, visto che anche i genitori di Francisco, stavano subendo la stessa sorte laggiù. Ci raccontavano di quello che subivano le persone che si ribellavano al sistema dittatoriale , degli amici dispersi e uccisi, delle donne disperate e violentate. Loro erano riusciti a fuggire, e a trovare conforto, ma nello stesso tempo soffrivano per chi non si era salvato. Francisco era magrissimo e sofferente, si riprese dopo mesi . Un caso come tanti purtroppo in Cile, ma chi ha avuto modo di ascoltare con le proprie orecchie storie terribili come quelle, meglio capisce di cosa è capace l’animo umano. E scusate ancora se ho scritto nel post di prima Pino Chet, anzichè Pinochet.”

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Sul ripristino dell’articolo 18 il Pd vota NO!

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Se non si fosse svolta nell’aula di un parlamento e se non ci fossero conferme da autorevoli organi di stampa la notizia sembrerebbe essere schizzata fuori dalla mente di un alacre commediografo che per far satira sarebbe pronto a immolare anche sua mamma, pardon, il suo partito! Ma invece è incredibilmente tutto vero: il Pd ha votato no al ripristino dell’articolo 18 insieme a Pdl, Lega e Scelta Civica bocciando quindi l’emendamento  presentato da Sara Paglini, segretario della Commissione Lavoro ed esponente M5S. Solo il Sel ha votato il sì, ma naturalmente non è bastato.

”La demagogia del Partito Democratico tradisce di nuovo i lavoratori italiani, ha commentato Paglini. Questa è la coerenza del Pd. Per mesi hanno parlato di articolo 18, raccolto firme ed oggi in aula non hanno avuto il coraggio di sostenere l’emendamento. In democrazia contano i fatti, non le parole e le promesse. I fatti parlano oggi chiaro il Partito Democratico ha votato ‘no’ al ripristino delle garanzie previste dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori prima della legge Fornero”.

Il Pd che prima vota una legge in cui vengono favoriti i ragazzi svantaggiati e senza diploma e poi non garantisce loro la fruizione dell’art 18, cioè le salvaguardie del lavoro stesso, non potrebbe essere considerata una contraddizione in termini? Oppure potrebbe essere, forse inconsapevolmente, un precipitare verso un lavoro despecializzato e non tutelato?

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