Allo Stadium si festeggia ma non si dimentica: l’omaggio per Alessio e Riccardo

omaggio-stadium-tuttacronacaStriscione che non passa inosservato oggi allo Juventus Stadium, per ricordare la morte di due diciassettenni, Alessio Ferramosca e Riccardo Neri. I due ragazzi giocavano con la Beretti bianconera e il 15 dicembre 2006 decisero di recarsi in un laghetto del centro sportivo di Vinovo. Qui, trovarono la morte. In quel giorno, la Juve, all’epoca in Serie B, aveva in programma un anticipo con il Cesena. Il match venne rimandato a causa della tragedia. Il ricordo dei due giovani, nonostante siano trascorsi sette anni, resta vivo, grazie anche all’Associazione Onlus “Riccardo Neri e Alessio Ferramosca”, che è riuscita a centrare una serie di importanti obiettivi, racimolando cifre prontamente donate ai bisognosi. Proprio confermato sul portale ufficiale http://www.riccardoealessio.it.

L’associazione Riccardo Neri & Alessio Ferramosca è nata per non dimenticare due ragazzi, Riccardo e Alessio, che in un pomeriggio come tanti altri, a Vinovo (To) nel centro sportivo della Juventus FC, hanno perso la possibilità di continuare a sognare a causa di un destino perverso e crudele.

Alessio e Riccardo ci hanno lasciati per rincorrere un’ultima volta il loro grande amore: quel pallone che alimenta i sogni e le speranze di tanti giovani, che viene calciato e rincorso sui campetti polverosi di periferia come purtroppo nelle acque gelide di un dannato vascone.

Un tiro impreciso, un pallone che rotola nel punto sbagliato, il buio, la terra scivolosa e l’acqua. Gelida. Quel pallone, che appariva loro come un futuro brillante e felice, li ha uniti in un tragico epilogo.
Ora sta a noi fare almeno in modo che della loro morte non rimanga solo una data da ricordare, ma un’emozione da portare sempre dentro al cuore e che, ogni giorno, ci possa trasmettere la passione per la vita e l’importanza di crederci e di provarci fino in fondo.

Lo sport non è solo sudore, muscoli e competitività. No. E’ anche – anzi: soprattutto – imparare valori come l’onestà, la correttezza, il rispetto e la voglia di migliorare e di migliorarsi. E sono proprio questi valori che deve lasciarci questa tragedia, non uno sterile “amaro in bocca”. La voglia di vivere, la solidarietà e la voglia di correre dietro ai propri sogni, qualsiasi forma abbiano, crederci, fino in fondo. E basta.

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A Roma polemiche anche per le luci natalizie

natale-a-roma-tuttacronacaNelson Mandela è mancato giovedì e nella Capitale si è deciso di dedicare a lui l’edizione 2013 di “Roma si mette in Luce”. Per l’evento, sono stati accesi 672  led che illumineranno per l’intera durata delle feste natalizie via del Corso e Piazza Venezia. I colori scelti sono quelli dell’arcobaleno, simbolo della pace tra tutti gli uomini. Ma i sette colori sono anche quelli rappresentativi del movimento omosessuale, fatto che ha fatto scattare le polemiche. E’ Affariitaliani che spiega che a ideare e realizzare il progetto è stata la società Laura Rossi International: “Via del Corso come nuova via della Pace. Una sorta di invito, un messaggio universale, forte, in grado di arrivare ovunque. La luce non è solo decoro ma che vuole essere forza, speranza, in un momento storico di forte disagio per il nostro Paese e per il mondo intero. La bandiera della pace che illumina la capitale non può non essere oggi un omaggio al Premio Nobel per la Pace Nelson Mandela che ci ha lasciati a 95 anni. A lui è dedicata l’onda di pace che attraversa il cuore di Roma e in questo modo il messaggio di amore, di tolleranza, di unione e condivisione tra i popoli diventa ancora più forte”, commenta l’azienda. La Città Eterna sarà rallegrata anche dall’abete naturale di 20 metri, proveniente dai boschi del Molise e donato dalla Valtellina, che sarà allestito a Piazza Venezia con 30mila lampadine a led e con centinaia di scritte con la parola PACE tradotta in venti lingue del mondo.E se in Via Veneto non mancheranno altre luminarie, a Piazza San Silvestro sarà allestita la casa di Babbo Natale. In Piazza San Pietro invece verrà eretto l’albero di Natale donato dalla Baviera che sarà alto 25 metri e peserà 7,2 tonnellate: “Siamo orgogliosi di poter portare un albero di Natale dal centro dell’Europa al centro della Cristianità a Roma”, ha detto il vescovo di Ratisbona, Rudolf Voderholzer.

Gaffe made M5S: la senatrice e il dittatore cileno “Pino Chet”

sara-paglini-tuttacronacaIeri Emanuela Corda, alla Camera, aveva parlato della strage di Nassiriya sottolineando il fatto che anche il kamikaze era stato “vittima dell’attentato”. Oggi ha presentato le sue scuse, sotto lo sguardo vigile di Alessandro Di Battista, sempre nell’emiciclo di Montecitorio. Problema risolto quindi. Almeno così sembrava. Solo che, ancora prima delle parole della Corda è arrivato il post della sua collega Sara Paglini che le consigliava di scusarsi. In Facebook si leggeva, tra le altre cose, “Per favore, non giustifichiamo tutto, altrimenti mi verrebbe da pensare che qualcuno un giorno si potrebbe anche dire che le stragi naziste, i morti in Siberia, i regimi violenti come quello di Pino Chet , o i colonnelli in Argentina o Pol Pot in Cambogia”. A leggere con attenzione, quel “Pino Chet” non poteva certo passare inosservato, e tanto meno come un errore di battitura. E il popolo di internet non ha mancato di far notare la colossale gaffe di voler sostituire ad Augusto il nome Pino abbreviando in Chet il cognome Pinochet. In seguito, la grillina ha provveduto a modificare il post cancellando l’errore, ma il passaparola era già partito.
pino-chet-tuttacronacaIn seguito, cercando a sua volta di rimediare allo strappo e attaccando i media, ha voluto raccontare una sua esperienza personale: “Chissà se metteranno così in luce anche questo i giornalai, (Corriere in testa) … e chi in rete cerca di deridere (badate bene, non me… ma ) il Movimento. Avevo circa 12 anni , erano i primi anni 70, quando nella mia città arrivò un giovane uomo di nome Francisco, veniva dal Cile, da Santiago del Cile per la precisione, con se portava la moglie e tre bambini piccolissimi. Era fuggito dalla sua terra, dove si era opposto al regime di Pinochet. Aveva nelle braccia, nelle gambe e in tutto il corpo, i segni delle torture. Noi, come famiglia, li accogliemmo per un periodo, pur non conoscendoli, cercando di dar loro un minimo di supporto , soprattutto affettivo, visto che anche i genitori di Francisco, stavano subendo la stessa sorte laggiù. Ci raccontavano di quello che subivano le persone che si ribellavano al sistema dittatoriale , degli amici dispersi e uccisi, delle donne disperate e violentate. Loro erano riusciti a fuggire, e a trovare conforto, ma nello stesso tempo soffrivano per chi non si era salvato. Francisco era magrissimo e sofferente, si riprese dopo mesi . Un caso come tanti purtroppo in Cile, ma chi ha avuto modo di ascoltare con le proprie orecchie storie terribili come quelle, meglio capisce di cosa è capace l’animo umano. E scusate ancora se ho scritto nel post di prima Pino Chet, anzichè Pinochet.”

Corda: “Non ho elogiato il kamikaze di Nassiriya, ma mi scuso”

corda-nassiriya-tuttacronacaIeri, alla Camera, la deputata del Movimento 5 Stelle Emanuela Corda aveva parlato della strage di Nassiriya mettendo in risalto il fatto che anche uno dei Kamikaze fu “una vittima”. La Corda ne aveva parlato anche come di un marocchino, confondendolo con il suo reclutatore arrestato in Spagna nel 2006. Ora la grillina è tornata sul suo intervento e ha spiegato: “Non ho fatto l’elogio del kamikaze ma, al contrario, ho denunciato l’orribile ideologia che, sfruttando la disperazione e l’ignoranza, lo ha portato a trasformarsi in una bomba umana”. Ha quindi aggiunto: “Se le mie parole hanno soltanto minimamente offeso i familiari delle vittime di Nassiriya chiedo scusa a loro perché questo non era in modo alcuno mia intenzione”. La deputata dell’M5S ha infatti precisato che “insieme agli altri miei colleghi in commissione Difesa, sappiamo distinguere molto bene chi, come i nostri militari, ha assolto fino al supremo sacrificio al proprio dovere e chi, invece, dal governo e dal Parlamento ha la responsabilità di aver portato l’Italia in Iraq in una guerra illegittima e crudele che ha amplificato le sofferenze di quel popolo”.

La strage di Nassiriya: la grillina che “commemora” il kamikaze

caduti_nassiriya-tuttacronacaRicorre il 10° anniversario della strage di Nassiriya oggi e in Aula ha preso la parola la grillina Emanuela Corda che ha voluto ricordare che “a nostro parere, non fu uno scontro tra buoni e cattivi, non fu un attacco di militari che fecero strage di civili inermi. Da una parte e dall’altra, infatti, vi erano delle vittime, e i responsabili politici e morali, i mandanti di quella strage non sono mai stati puniti.” Secondo la deputata, anche il kamikaze che causò la morte di 27 persone dovrebbe venir ricordato: “Tutti noi ricordiamo commossi i 19 italiani deceduti in quell’attacco kamikaze, e oggi siamo vicini ai loro familiari; a volte ricordiamo anche i 9 iracheni che lavoravano nella base italiana, ma non troppo spesso. Nessuno ricorda però il giovane marocchino che si suicidò per portare a compimento quella strage: quando si parla di lui, se ne parla solo come di un assassino, e non anche come di una vittima, perché anch’egli fu vittima oltre che carnefice! Un’ideologia criminale lo aveva convinto che quella strage fosse un gesto eroico, e lo aveva mandato a morire, e non è escluso che quel giovane, come tanti kamikaze islamici, fosse spinto dalla fame e dalla speranza che quel suo sacrificio sarebbe servito per far vivere meglio i suoi familiari, che spesso vengono risarciti per il sacrificio del loro caro.” Nonostante le proteste in aula, la deputata prosegue: “E se i nostri militari furono vittime, non furono solo vittime dell’ideologia terroristica, ma anche della politica occidentale: la politica dei nostri Governi, che spedirono e continuano a spedire i nostri ragazzi sui fronti di guerra, raccontando loro che è eroico occupare i territori di altri popoli col pretesto che si sta portando la pace, quando invece si fomentano talvolta le ideologie terroristiche, e tutti i drammi che ne conseguono.” Corda decide quindi di fare un esempio, portando alla memoria quando accaduto con Colin Powell: “Vorremmo ricordare la provetta agitata da Colin Powell al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che avrebbe dimostrato al mondo la presenza di armi di sterminio di massa, che in verità non vennero mai trovate. Lo stesso Colin Powell solo Pag. 122recentemente, purtroppo, ha detto di essere stato lui stesso raggirato da quella colossale truffa, che portò all’occupazione dell’Iraq.L’esistenza di quella truffa, di quella menzogna che ha portato al massacro di decine di migliaia di persone, sembra non sia servita di lezione ai Governi europei, che hanno continuato a credere alle balle organizzate a tavolino per scatenare nuovi ed atroci conflitti. La Libia – lo ha dichiarato ieri il Ministro Bonino è completamente fuori controllo, per esempio; l’Afghanistan ogni giorno è un calvario per gli afgani e per le truppe di occupazione.” Il kamikaze che la deputata 5 Stelle ha voluto ricordare era Abul Qasem Abu al-Leil, che guidò l’autocisterna forzando, ad alta velocità, l’entrata della base Maestrale, presidiata dai carabinieri italiani del MSU (Unità specializzata multinazionale), nella città di Nassiriya (Iraq). Con lui, a bordo, c’era un altro terrorista. I due fecero esplodere una bomba il cui peso fu stimato tra i 150 e i 300 chilogrammi.

La strage di Nassiriya, 10 anni dopo

nassiriya-tuttacronaca12 novembre 2013: nell’Iraq meridionale, a Nassiriya, un camion bomba esplode alle 10.45 locali, le 8.45 in Italia, dentro il recinto di una delle basi del contingente italiano, provocando la morte di 27 persone: 17 militari e 2 civili italiani, 9 civili iracheni. Oggi, a distanza di 10 anni, il premier Enrico Letta ha scritto su Twitter: “Oggi la memoria tragica di Nassiriya. Il pensiero per le famiglie dei 19 italiani e 9 iracheni che perirono. La vicinanza alle forze armate”. Quel tragico giorno, un camion aveva forzato il posto di blocco all’entrata, proseguendo la sua corsa sino alla palazzina di tre piani che ospitava il dipartimento logistico italiano e provocando una sparatoria. Dietro il mezzo, un’auto imbottita di esplosivo e guidata da un kamikaze. Nell’esplosione, rimasero feriti altri venti italiani, tra militari e civili.

In un messaggio inviato al ministro della Difesa Mario Mauro, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrive: “Rivolgo il mio deferente omaggio a tutti coloro che hanno perso la vita adempiendo con onore al proprio dovere, al servizio dell’Italia e della comunità internazionale. Nel 10° anniversario della strage di Nassiriya, che oggi ricorre, un commosso pensiero va, in particolare, ai 19 italiani tragicamente caduti in quell’efferato, gravissimo attentato ed agli iracheni che con essi perirono, vittime di una stessa inaccettabile e vile barbarie”. E prosegue: “I militari ed i civili che, anche a rischio della vita, operano nelle aree di crisi, in tante travagliate regioni del mondo sono l’espressione di un paese che crede nella necessità di uno sforzo comune per la sicurezza e la stabilità”.

Il ministro della Difesa, intervenendo a una trasmissione radio ha poi affermato: “Quel 12 novembre 2003, capimmo nel modo tragico che sappiamo che le nostre coscienze dovevano fare i conti con una nuova stagione della storia, quella legata al terrorismo internazionale, al terrorismo fondamentalista. Ora, a dieci anni di distanza, abbiamo forse addirittura piu’ ragioni per riflettere e interrogarci; sul senso del sacrificio dei nostri militari e dei tanti civili coinvolti”. E aggiunto: “La giornata di oggi è dedicata a tutte le vittime cadute in operazioni di pace, e abbiamo istituito la medaglia della riconoscenza per non dimenticare i caduti ma anche per comprendere fino in fondo le ragioni e gli scopi di chi si è sacrificato”.

Quella scritta su un tovagliolo che commuove anche i cuori di pietra

napkin-tuttacronacaUn uomo solo, un avventore con una Coca davanti a sè. Un cliente come se ne vedono molti, ma che quando si allontana, resta indelebile. E’ la storia di Mike a restare impressa e a commuovere. Una volta che lui è uscito da un ristorante britannico, infatti, i camerieri che vi lavorano hanno trovato sul tavolo un tovagliolino sul quale l’uomo aveva ringraziato tutto lo staff del locale per i sorrisi che erano stati in grado di regalare alla moglie. Sul biglietto che lui stesso ha vergato, ha infatti spiegato: “Questo era il ristorante preferito da mia moglie, avremmo voluto venire qui per ogni anniversario. Ho pensato di portare avanti la tradizione anche se lei è morta”.

23 ottobre: Valentino Rossi ricorda Sic. Con due sorrisi

sic-tuttacronaca23 ottobre 2011. Marco Simoncelli, che tutti abbiamo imparato a chiamare Sic, in un terribile incidente durante il GP della Malesia perde la vita. La pista è quella di Sepang, le immagini, di quelle che non si dimenticano.

E non ci si scorda l’energia e quel sorriso che il pilota sfoggiava, lo stesso che Valentino Rossi gli ha voluto dedicare oggi. Nella foto che il Dottore gli ha voluto dedicare in Twitter non ci sono moto, nè piste, ma due amici che sorridono.

vale-sic-tuttacronaca

Valentino Rossi omaggia Simoncelli sulla pista di Sepang: la bandiera numero 58

rossi-sic-tuttacronacaE’ arrivato quarto al traguardo oggi, Valentino Rossi, al GP della Malesia. Al termine della corsa sulla pista di Sepang,  la stessa dove il 23 ottobre 2011 Marco Simoncelli perse la vita, il Dottore ha voluto omaggiare il pilota di Coriano: ha quindi preso una bandiera con il numero 58, quello di Sic, e l’ha portata con sé durante il giro di rientro ai box. Rossi ha poi spiegato: “Ho parlato con i suoi meccanici e i ragazzi del team Gresini, che mi hanno chiesto se potevo fare qualcosa di celebrativo per Marco. Speravo di salire sul podio e quindi avevo pensato ad una bandiera. Questo è il posto dove purtroppo è successo l’incidente ed evoca brutti ricordi… Purtroppo poi non sono salito sul podio, ma ho deciso di potare ugualmente la bandiera per il Sic”.

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Lutto per il calcio: è morto Cadè, il mister del ritorno in B dell’Ancona

giancarlo-cadè-tuttacronacaE’ mancato ieri mattina nella sua abitazione di Zanica, nel Bergamasco, Giancarlo Cadè. L’ex calciatore e allenatore dell’Atalanta aveva 83 anni ed era un idolo ad Ancona, la cui squadra riportò in serie B nel 1988, dopo 37 anni. Il debutto di Cadè in serie A risale al 1948, all’età di 19 anni, con la maglia della sua città, dopo di che, nel 1950, cercò fortuna a Catania per poi tornare a Bergamo per quattro stagioni, con una parentesi a Cagliari, nel 1954. Poi Reggina e Mantova. La sua carriera da calciatore termintò nel 1960, con all’attivo anche una presenza in maglia azzurra, in occasione dell’incontro eliminatorio della XV Olimpiade contro gli Usa. Era il 16 luglio 1952 e a Tampere gli azzurri vinsero per 8-0 contro gli Usa. Cadè continuò a restare in panchina, nelle vesti di allenatore di Ancona, Reggio Emilia, Mantova, Verona, Varese, Pescara, Cesena, Palermo, Vicenza, Bologna, Campobasso, Ravenna. Ma allenò anche l’Atalanta nella stagione 1975-’76 e la Virescit Bergamo nel campionato 1989-’90. Nella sua carriera da allenatore Cadè ha allenato anche Zoff, Paolo Rossi, Cabrini e Mancini. Nel 1973 guidava l’Hellas, in quell’anno il cui campionato passò alla storia per la “fatal Verona” che è costata lo scudetto al Milan di Nereo Rocco. Ma Cadè è l’eroe del calcio marchigiano: era il 5 giugno 1988 e l’Ancona vinse contro il Livorno per 3 reti a 0 e fece il suo ingresso in serie B. Lo stesso allenatore, per il Messaggero, lo scorso giugno, in occasione del 25° anniversario dell’impresa, nell’articolo di Michele Natalini ricordava:

«Ancona per me è stata una favola. Ho ricevuto un affetto straordinario dai tifosi e da tutta la città. Mi siete rimasti nel cuore. Appena risolvo qualche problemino di salute torno a trovarvi. Intanto, in bocca al lupo». Cartolina da Zanica, Bergamo. La firma Giancarlo Cadè, 83 anni compiuti a febbraio. Costretta all’anonimato dei dilettanti, e aspettando un futuro migliore, l’Ancona addolcisce il presente coi ricordi. Quello del 1988 è speciale. Promozione in serie B, la luce dopo 37 anni buio. Ieri come oggi: era il 5 giugno. In 15mila al Dorico. E siccome non c’è posto per tutti allo stadio, ecco una folla di tifosi anche a piazza Cavour, davanti al maxischermo allestito per l’occasione. Livorno strapazzato 3-0, Gadda, Talevi, Tacchi, e l’Ancona è di nuovo nel calcio che conta. Anniversario da ricordare, perché lì davvero è cominciata un’altra storia. E fu festa vera, forse la più bella e sentita di sempre. Di sicuro da quel momento verranno scritte le pagine più importanti: i due campionati di serie A, i 13 nella cadetteria, il torneo angloitaliano, la finale di Coppa Italia con la Sampdoria. E come spesso capita, il successo si costruisce dopo avere ingoiato una grande delusione. Nell’87 Ancona salva in C1 per il rotto della cuffia. Ma subito dopo capace di centrare l’impresa. «Partì tutto da quella salvezza», ha ricordato spesso Cadè. Lui e il ds Italo Castellani: il salto in B ha due padri. Loro insieme alla squadra che è rimasta nel cuore della gente. Da Vettore a Deogratias, da Bruniera a Gadda, e poi Pregnolato, Tacchi, Talevi, De Martino, D’Adderio. L’inizio così così, con un punto in cinque giornate. Poi a dicembre la svolta: 2-0 al Vicenza capolista, l’Ancona adesso ci credere. Il primato a gennaio, dopo l’1-0 alla Centese. Da aprile a maggio cinque pareggi filati, ma niente paura. Seguono la vittoria di Cento e il tripudio con il Livorno.

A 28 anni dall’omicidio di Giancarlo Siani, la Mehari torna a correre

giancarlo-siani-Mehari-tuttacronaca23 settembre 1985. Napoli. La camorra uccide, a pochi metri dalla sua abitazione, il giornalista del Mattino Giancarlo Siani. A 28 anni dalla sua morte, la sua Mehari torna oggi a correre e diventerà la protagonista del progetto “In viaggio con la Mehari”, promosso da Regione Campania e Comune di Napoli. L’auto ha ripreso oggi il suo cammino per il capoluogo campano, con meta la sede del quotidiano per il quale lavorava il giornalista, in nome della libertà di stampa e in memoria di tutte le vittime innocenti della criminalità. Alla guida, autorevoli rappresentanti del mondo della cultura, della magistratura e dell’antimafia sociale. Dopo che lungo le Rampe Siani, a poca distanza dal luogo del delitto, sono stati deposti dei fiori, Saviano ha avviato il motore. Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, ha detto: “Vedere la Mehari qui dove fu ucciso Siani dà la contezza della potenza della memoria”. Al volante si sono succeduti volti conosciuti del mondo del giornalismo, della cultura e della giustizia legati alla storia di Giancarlo Siani e a quella delle vittime innocenti di criminalità. Tra gli altri, don Luigi Ciotti, Giovanni Minoli e Alfredo Avella, del coordinamento familiari vittime innocenti criminalità.

Prima di salire a bordo dell’auto, Saviano ha detto: “La ripartenza della Mehari significa che riparte tutto. Riparte anche Napoli”. E’ stato il fratello di Giancarlo, Paolo Siani, a consegnare le chiavi della Mehari allo scrittore che, al termine del giro, ha spiegato: “Sai cosa ho visto? Una Napoli minoritaria agguerrita. Quando siamo partiti c’era tutta la Napoli che volevo vedere ma non ho visto l’intera città”. E ancora: “Più che deluso mi ha fatto vedere che c’è una parte della città molto agguerrita un’altra parte molto delusa”. Don Ciotti, ha a sua volta ricordato il giornalista che proprio su quell’auto è stato ucciso. “Amava la ricerca della verità, era un archeologo della verità, scavava sempre in profondità, non si fermava mai in superficie e cercava di fare emergere le contraddizioni. Quello che per lui era importante non era solo la denuncia ma anche cercare di leggere quali erano le cause, i meccanismi di molte forme di marginalità e di cosa alimentava la criminalità camorrista”.

Londra tra maratona, ricordo di Boston e compleanno di Elisabetta II

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Sono trascorsi appena 6 giorni dall’attentato alla maratona di Boston e oggi a Londra gli atleti tornano a correre in strada in mezzo a forze dell’ordine incrementate del 40% affinché nulla interrompa la festa agonistica. Ma la memoria ai fatti del 15 aprile non può non andare, quindi ecco il lutto al braccio e 30 secondi di silenzio prima della partenza. La solidarietà si legge anche nell’offerta che faranno gli organizzatori: due sterline per partecipante per aiutare le famiglie di Boston. Gli occhi degli spettatori sono puntati sui megaschermi e tutti cercano, in prima fila, l’atleta Mo Farah, campione olimpico di 5 e 10mila metri, una sorta di eroe nazione per il Regno Unito. Alle 10, prima del fischi d’inizio, dagli altoparlanti si sente: “Correre la maratona è uno sport globale unisce corridori e sostenitori in ogni continente in cerca di una comune sfida e in uno spirito di amicizia e solidarietà. Questa settimana la famiglia mondiale della maratona è stata sconvolta e rattristata dai fatti di Boston. Uniamoci nel ricordo di amici e colleghi per cui un giorno di festa si è trasformato in un giorno di tristezza”. Anche il principe Harry ha mantenuto la parola ed ha presenziato l’evento consegnando di persona i premi ai giovani vincitori della mini-maratona a pochi passi da Buckingham Palace. Non era presente la Regina, come già preannunciato: la regnante compie oggi 87 anni e festeggia in famiglia mentre, nel centro della città, risuoneranno i colpi di cannone per festeggiare l’evento: 41 ad Hyde Park, 61 alla Torre di Londra. In realtà Elisabetta II festeggia due volte nell’arco dell’anno: la data di nascita e poi, a livello ufficiale, il “compleanno” dell’incoronazione. La celebrazione si tiene a giugno con una cerimonia chiamata “Trooping the Colour”.

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