“Tra Cosa nostra e i politici c’è sempre stata connivenza”: il pentito al processo

stato-mafia-tuttacronacaDurante la sua deposizione al processo sulla trattativa Stato-mafia, il pentito Francesco Onorato ha raccontato che “Dopo il maxi-processo una serie di politici vennero contattati da Cosa nostra: tra loro anche Salvo Lima che non si presentò all’appuntamento”. A Riina, non piacque l’atteggiamento dell’eurodeputato Dc che era nella lista dei politici da eliminare. Ha poi spiegato: “I politici a Riina prima gli hanno fatto fare le cose, poi l’hanno mollato. Prima ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa i signori Craxi e Andreotti che si sentivano il fiato addosso. Poi nel momento in cui l’opinione pubblica è scesa in piazza i politici si sono andati a nascondere. Per questo Riina ha ragione ad accusare lo Stato”. E ha aggiunto: “Riina per questo comportamento era arrabbiato e avrebbe ucciso tutti i politici”. Il pentito ha parlato di una vera e propria lista con personaggi delle istituzioni che, dopo il maxiprocesso, Riina avrebbe voluto eliminare. “C’erano Vizzini e Mannino, di cui prima in Cosa nostra si parlava bene, i cugini Salvo, Salvo Lima – ha proseguito – Per Vizzini avevamo cominciato i pedinamenti”. E ha concluso: “Riina ha ragione a dire che lo Stato manovrava Cosa nostra. Lui sta pagando il conto, lo Stato no. Tra Cosa nostra e i politici c’è stata sempre connivenza”.  Il pentito ha anche raccontato in maniera dettagliata l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima, avvenuto il 12 marzo 1992, per il quale è condannato con sentenza definitiva. Ha anche spiegato che, dopo che l’attentato al giudice Falcone all’Addura era fallito, loro stessi hanno “messo in giro la voce che la bomba se l’era messa lui per indebolirlo, per farlo passare per bugiardo”. E ha quindi aggiunto: “Salvatore Biondino mi disse che si trattava di una pressione fatta dai politici per fare passare Falcone per uno di poco conto”. Il collaboratore ha anche descritto la sua militanza in Cosa nostra: “Fare parte del gruppo di fuoco della commissione di Cosa nostra era come fare parte della Nazionale di calcio. Ci entravano persone con capacità particolari. Da componente del gruppo di fuoco ho fatto tra l’altro l’omicidio dell’eurodeputato Salvo Lima, quello del collaboratore del Sisde Emanuele Piazza, ho partecipato al fallito attentato dell’Addaura”. Onorato, che all’inizio della deposizione ha detto di sentirsi “abbandonato e lasciato solo dallo Stato”, dovrà testimoniare proprio sull’omicidio Lima ritenuto dai pm l’atto iniziale della minaccia mafiosa che avrebbe indotto lo Stato a trattare.

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“Sono stati loro a venire da me, non io da loro”, Riina su Stato-mafia

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Per la prima volta Totò Riina avrebbe fatto chiaro riferimento alla  trattativa Stato-mafia. La rivelazione è arrivata Qualche settimana fa, mentre stava per essere trasferito dalla sua cella alla saletta delle videoconferenze. durante il trasferimento avrebbe detto agli agenti  “Sono stati loro a venire da me, non io da loro”, questa frase sarebbe un riferimento al dialogo segreto che nel giugno del 1992 venne avviato da alcuni ufficiali del Ros con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, in merito alla trattativa Stato-mafia. L’altra frase che è stata inserita  in una relazione di servizio stilata da alcuni agenti del Gom, il gruppo speciale della polizia penitenziaria che si occupa della gestione dei detenuti eccellenti sarebbe stata “Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino”, in questo modo Riina sembrerebbe confermare le parole di Massimo Ciancimino, che ha descritto gli incontri riservati del padre Vito con l’ex comandante del Ros Mario Mori. Questa mattina, la relazione è stata depositata al processo per la trattativa, che si svolge nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo. Al momento i magistrati hanno deciso di non interrogare Riina, ma hanno preferito avere la conferma ascoltando gli agenti che hanno stilato la relazione, i quali hanno confermato il contenuto.

Ingroia svela la trattativa Stato-mafia.

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Una lunga confessione quella dell’ex pubblico ministero Antonio Ingroia a Der Spiegel sulla trattativa Stato-mafia. Secondo Ingroia gli accordi, intercorsi negli anni ’90, hanno cambiato il volto delle organizzazioni criminali che da organismi violenti sono poi stati trasformati in vere e proprie lobby affaristiche. E’ dispiaciuto Ingroia di non poter più essere il pm nel procedimento che vedrà sfilare sul banco degli imputati personaggi del calibro di Riina, Provenzano e Bagarella, ma anche politici come l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino?

”Quando indagavano ho capito che la procura non potrà mai arrivare alla completa verità sui colloqui tra governo e mafia. Ci sono forze politiche che lo vogliono impedire. Anche per questo ho scelto di candidarmi per il Parlamento”, così afferma l’ex magistrato senza troppi giri di parole.

Poi continua accettuando l’attenzione sull’importanza storica di questo processo:

“Questo non si è mai verificato prima d’ora nella storia del nostro paese. Inoltre viene dibattuto in un’aula di un tribunale ciò che è sempre stato smentito o taciuto, la trattativa tra criminalità organizzata e stato”.

Ma si riuscirà a far emergere qualche nuova verità?

“Ovviamente ho grande fiducia nella pubblica accusa, un team di colleghi molto competenti. Ma senza l’appoggio dell’intero paese, senza un’opinione pubblica che desidera conoscere la verità, appoggiandoli, loro potranno fare poco”.

E poi continua:

“Ci sono movimenti, per insabbiare le cose. Io spero che il processo vengano condotto in modo ragionevole e con la necessaria attenzione. L’atmosfera è molto tesa, ma ciò non deve impedire che il procedimento si svolga in modo prudente”.

E sulle intercettazioni tra il Capo dello Stato Napolitano e Mancino, Ingroia rimarca di non esser stato contento della loro distruzione, ma di rispettare la decisione:

“Quei colloqui non avevano una rilevanza penale. Politicamente forse sì, ma come pubblico ministero questo non mi interessava”.

Ma cosa contenevano quelle intercettazioni? L’ex Pm di Palermo risponde con una risata e afferma di aver mentalmente cancellato il loro contenuto.

La rivelazione di Ingroia invece avviene sul suo mentore e maestro Paolo Borsellino:  

”Dai testimoni oculari si è scoperto che Borsellino ne fosse a conoscenza (della trattativa Stato-mafia, ndr). Il magistrato ucciso il 19 luglio del 1992 aveva saputo di contatti tra i carabinieri e il sindaco di Palermo Ciancimino, uomo di collegamento dei corleonesi. Questa circostanza è stata sempre negata, ma alcuni pentiti hanno affermato che la mafia ha deciso di uccidere Paolo Borsellino proprio perché rappresentava un ostacolo a questo accordo. Spero che questo diventi chiaro ad alcuni”.

Ma chi ebbe l’idea della trattativa? Secondo l’ex magistrato non ci sono dubbi: Bernardo Provenzano.

“L’ho interrogato alcuni mesi fa. Non sta bene, ma ha sempre capito ciò che gli veniva comunicato, ascoltando in modo attento e concentrato”.

Secondo Ingroia però ormai è troppo tardi perché si possa davvero svelare la verità sulla trattativa tra mafia e stato:

“Temo che ormai quel treno sia definitivamente partito”.

Trattativa Stato-Mafia: processo al via… e già rinviato

trattativa-stato-mafia-processo

Ha preso il via oggi il processo sulla trattativa Stato-Mafia e già arrivano le prime contestazioni. Prima dell’inizio dell’udienza a Palermo, infatti, l’ex politico Mancino, imputato per falsa testimonianza, ha affermato: “Non posso stare nello stesso processo in cui c’è la mafia”, aggiungendo: “Ho fiducia e speranza che venga fatta giustizia e che io possa uscire al più presto dal processo”. Oltre all’ex ministro, gli imputati presenti sono l’ex comandante del Ros Antonio Subranni e Massimo Ciancimino. Con loro, il gup Piergiorgio Morosini lo scorso 7 marzo ha rinviato a giudizio per “attentato mediante violenza o minaccia a un corpo politico, giudiziario o amministrativo dello Stato, aggravato dall’agevolazione di Cosa nostra”,  boss Totò Riina, Leoluca Bagarella e Nino Cinà, l’ex pentito Giovanni Brusca, l’ex generale del Ros Mario Mori, l’ex colonnello Giuseppe De Donno e l’ex senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. Riina e gli altri tre mafiosi sono collegati in videoconferenza con l’aula bunker.

Se Mancino ha intenzione, tramite il suo legale, di chiedere lo stralcio della sua posizione, la Procura ha preannunciato che gli contesterà una nuova aggravante, ancora non resa nota. Diversa la posizione per Massimo Ciancimino, accusasto anche di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia mentre è stata stralciata la posizione di Provenzano per la sua incapacità di partecipare al processo: le sue condizioni psichiche sono infatti compromesse in parte da una forma di Alzheimer e in parte dall’intervento per la rimozione di un ematoma cerebrale che il boss si era procurato cadendo in cella.

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La “storia” della trattativa, come il gup Morosini spiegò il 7 marzo, quando dispose il rinvio a giudizio, parte dalle aspettative deluse sul maxiprocesso, con la conferma degli ergastoli ai vertici dei clan. Da qui il tentativo di Cosa nostra di chiudere i conti con chi riteneva responsabile di quella debacle giudiziaria e la ricerca di nuovi referenti politici. La mafia avrebbe cercato di condizionare le istituzioni con le stragi e stringere alleanze con massoneria deviata, frange della destra eversiva, gruppi indipendentisti, per dare vita a un piano eversivo condotto a colpi di attentati rivendicati dalla Falange Armata. Il primo passo sarebbe stato l’imicidio dell’eurodeputato Dc Salvo Lima, seguito dall’allarme attentati a una serie serie di ministri. A questo punto s’innesca la figura di Mannino, che ha chiesto il rito abbreviato, che per aver salva la vita stimolò l’inizio di una trattativa servendosi del capo del Ros Antonio Subranni. Ci sarebbero quindi stati contatti tra gli ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni e l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, il papello con le richieste del boss Totò Riina per fare cessare le stragi, l’ingresso nella trattativa del capomafia Bernardo Provenzano. Il rapposto si sarebbe potuto interrompere nel 1993, con la decisione dello Stato di revocare la 334 41-bis. Non essendo sufficente, per i boss, l’ammorbidimento della linea carceraria, un nuovo filone di trattativa si sarebbe innescato portando alla ribalta altri protagonisti, come Dell’Utri “portatore” della minaccia mafiosa a Silvio Berlusconi, futuro premier. Nella storia entra anche l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino: avrebbe detto il falso negando di avere saputo dall’allora Guardasigilli Claudio Martelli dei contatti tra il Ros e Ciancimino.

Il processo per la trattativa Stato-Mafia è uno dei temi che tocca da vicino gli italiani, ancora scossi dalla strage di Capaci e dall’attento al giudice Paolo Borsellino, tra gli altri. A testimonianza di ciò uno striscione a sostegno di Agnese Borsellino è stato affisso questa mattina sulle grate dell’aula bunker. La vedova del magistrato, morta tre settimane fa, chiedeva “verità e giustizia” per l’assassinio del marito Paolo, ucciso nella strage di via D’Amelio. Secondo i magistrati Borsellino sarebbe stato ucciso proprio perché seppe della trattativa. Un “successo” anche per il figlio, che ha affermato: “Per la prima volta la Stato processa altri pezzi dello Stato. Sembrava una cosa impossibile, invece sta avvenendo. Ho fiducia nei magistrati e nel processo e il dato di partenza è che la trattativa non è più ritenuta fumosa o fantomatica. C’è stata”.

“Qualora si dovessero accertare elementi di colpevolezza dello Stato, lo Stato non potrebbe nascondere eventuali responsabilità sotto al tappeto”, ha dichiarato il pm Antonio Di Matteo, e in molti ci auguriamo che sia così.

trattativa-stato-mafia

Oggi, dopo le richieste di pm e difesa, la Corte d’Assise ha deciso di rinviare il processo che si tiene nell’aula bunker del carcere “Galiarelli” di Palermo. La nuova data è quella del 31 maggio, decisa per andare incontro alla domanda, sia dei magistrati che dei difensori degli imputati, di avere un termine per interloquire sulle nuove richieste di costituzione di parte civile.

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