Scoperta una molecola per abbronzarsi in sicurezza

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La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatore della Duke University che hanno scoperto la molecola Trpv4 che oltre a creare nuove creme solari che riparerebbero dal sole permettendo un abbronzatura perfetta potrebbe anche trovare nuove applicazioni nella cura contro i tumori della pelle. I risultati sono stati poi pubblicati sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (Pnas). Partendo dal presupposto che la “scottatura” è un campanello d’allarme per indurci a toglierci dal sole per non alterare il nostro Dna e quindi non causare malattie della pelle, i ricercatori hanno identificato la causa che governano il “segnale del dolore”: Trpv 4. Attraverso delle cavie a cui era stato tolto geneticamente il gene responsabile della formazione della Trpv4 e altre a cui invece era rimasto attivato è stato possibile ricostruire cosa accade quando ci si sottopone ai raggi ultravioletti di tipo B (Uvb).

Secondo quanto scoperto, questi raggi porterebbero all’attivazione della Trpv4, che quindi permette l’entrata di un gran numero di ioni calcio all’interno della cellula. A loro volta le molecole di calcio portano all’attivazione di un’altra molecola chiamata endotelina che a sua volta, come in un circolo vizioso, stimola la Trpv4 a far entrare altri ioni calcio. “Questi risultati – ha spiegato Martin Steinhoff, uno dei responsabili dello studio – indicano che la Trpv4 debba essere il nuovo obiettivo per prevenire e trattare le scottature solari, e probabilmente le malattie croniche provocate dal Sole, come il cancro della pelle oppure l’invecchiamento della pelle provocato dai raggi. Bisogna fare però ancora molta strada prima che gli inibitori della Trpv4 possano diventare un’arma di difesa solare. Immagino che verranno aggiunti ai tradizionali filtri solari per garantire una migliore protezione”.

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Jurassic Park delle piante! Dopo 400 anni tornano a vivere

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400 anni sono rimaste sotto un ghiacciaio artico prima di essere riportate in vita e fatte crescere in laboratorio. Le piante di cui stiamo parlando fanno parte delle briofite  (che non hanno radici, ma cellule allungate o filamenti di cellule, con cui si attaccano al suolo) e appartengono ai primi gruppi che si sono adattati alla terra. Il progetto è stato portato avanti da un gruppo di ricerca  dell’università canadese di Alberta e presentato su Pnas.  Fra di loro ci sono anche piante che appartengono alla grande famiglia delle epatiche, minuscole, arrivano a raggiungere solo pochi millimetri e al momento sono 9mila le specie conosciute. La scoperta è stata fatta nell’arcipelago canadese sull’isola Ellesmere, in seguito al ritiro del ghiacciaio Teardrop. Dopo attenti esami al radiocarbonio, le piante si sono mostrate “ibernate”: con steli e radice delle foglie ben conservate.

A questo punto i ricercatori hanno preparato undici colture e dalle piante sono spuntati rami laterali e nuovi steli verdi. Un vero Jurassic Park vegetale che al solo pensiero lascia senza fiato… oltre ad aver aperto la strada a una nuova realtà in cui le briofite, considerate piante deboli, si sono dimostrate resistenti tanto di arrivare ai giorni nostri direttamente dalla Piccola Era Glaciale (nel periodo compreso fra il 1550 e il 1850).

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La privacy violata da Facebook, basta un click!

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Un solo “like”, e la privacy va a farsi benedire. Lo dimostra una ricerca pubblicata sulla rivista Pnas, che ha fatto il giro del mondo: secondo lo studio, infatti, un “calcolatore” di personalità sarebbe in grado di svelare chi siamo dai “mi piace” che postiamo su Facebook. Orientamento sessuale, politico, età, quoziente intellettivo e altre informazioni non sarebbero dunque chiusi nel recinto della privacy: “Ciò che era difficile da ottenere su base individuale, può essere dedotto in modo automatico da milioni di persone senza che nemmeno se ne accorgano”, spiega Michael Kosinski, dell’università di Cambridge, autore della ricerca, che ha preso come “cavie” oltre 58mila utenti di Facebook americani.

Ci autodroghiamo per sentirci migliori!

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Quando ci sentiamo superiori agli altri in qualcosa in realtà abbiamo solo un “baco nel cervello”!  La scoperta, condotta da Makiko Yamada del Molecular Imaging Center presso l’Istituto Nazionale Giapponese di Scienze Radiologiche, è stata pubblicata sulla rivista Pnas. Quando ci sentiamo “più bravi” per mera illusione, in realtà sono due regioni del cervello che stanno interagendo tra loro, in particolare si tratta dello striato e della corteccia frontale che sono regolati dal neurotrasmettitore del “piacere”: la dopamina. I ricercatori hanno scoperto, inoltre, che individui anche moderatamente depressi non cadono nell’illusione di superiorità, aspetto che conferma il cosiddetto realismo depressivo, ovvero il fatto che i depressi sono più realisti delle persone sane.

 

 

 

 

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