Ha scelto Piazza Duomo come residenza per la sua “nuova” vita da clochard Enzo Prosperi. Lui, imprenditore, continua a indossare ancora giacca e cravatta, ma non ha più nulla e si affida alla generosità dei passanti per vivere. La storia è stata raccontata da “L’intraprendente”, un quotidiano online che ha deciso di denunciare la difficile condizione di Prosperi. Le difficoltà sono iniziate da alcuni “cavilli burocratici” sopraggiunti dopo una condanna per truffa, ma lui si dichiara innocente e afferma ”Nel nostro Paese non si può essere imprenditori onesti. Se si è onesti, si chiude o ci si uccide”. Lui ha provato anche a suicidarsi circa un anno fa il 18 dicembre 2012, a Roma impiccandosi a una finestra di Montecitorio. Venne fermato e denunciato per procurato allarme. Oggi si giustifica: “Era solo un gesto di procurata attenzione”.
Le difficoltà per Prosperi sono iniziate nel 1989. Ex funzionario Fininvest e direttore tecnico del telegiornale di Indro Montanelli, ad un certo momento decise di mettersi in proprio, creando una società di produzione di programmi tv e documentari a carattere medico-scientifico.
All’inizio l’idea ebbe successo. Ma quando l’allora ministro della Salute Francesco De Lorenzo decise di tagliare i fondi per la ricerca, gli ospedali che prima acquistavano i filmati dalla società di Prosperi smisero di farlo. L’imprenditore fu costretto a chiudere e a vendere l’azienda.
Allora Prosperi si reinventò e acquistò un grande supermercato ad Arezzo. E a quel punto iniziarono i problemi con la burocrazia. ”Per otto mesi ho dovuto pagare 6 milioni di lire di affitto del locale, senza riuscire mai ad aprire, per assurdi cavilli burocratici”, ha raccontato Prosperi all’Intraprendente.
Nonostante questo gli affari iniziarono ad andare bene. Fino a quando, scrive L’Intraprendente,
La stessa società che gli garantisce la fornitura e cura la contabilità della sua azienda decide infatti di truffarlo, emettendo fatture false di prodotti mai acquistati. Prosperi si ritrova, inspiegabilmente, con un bilancio in rosso ed è costretto, suo malgrado, ad andare incontro al fallimento, mentre la sua azienda deve ancora saldare un debito con alcuni fornitori. Non spetterebbe più a Prosperi pagarlo, visto che, dopo il fallimento, non è più lui il titolare del supermercato. Eppure, ancora una volta in modo kafkiano, Prosperi scopre di avere a carico un’accusa di truffa. È la beffa: da essere vittima di truffa diventa reo di truffa.
Cominciano qui le sue traversie giudiziarie. Come racconta lui stesso, i primi due avvocati a cui si rivolge si adoperano in tutti i modi per fargli perdere le cause, quella sul fallimento del supermarket e quella per truffa, in quanto (come ricostruisce successivamente) “contattati” dai suoi truffatori. La fedina penale dell’ex imprenditore, scampato al carcere solo grazie alla richiesta in extremis di un altro avvocato che gli permette di scontare la pena ai servizi sociali, ormai è sporca. Prosperi perde il lavoro (nel frattempo si è riciclato come autista di pullman in tutta Europa), perde gli affetti familiari («Io e mia moglie ormai vivevamo da separati in casa») e si ritrova costretto a vivere con un assegno mensile per invalidità civile di 260 euro. È il 2005, e Prosperi non si dà per vinto. Cerca disperatamente di trovare un lavoro, di rifarsi una vita, fino a che, nuovamente assunto, non viene licenziato ancor prima di iniziare in quanto lui, per lo Stato italiano, è ormai a tutti gli effetti uncondannato per truffa. È la svolta. Prosperi smette di compiangersi e inizia a manifestare pubblicamente.
A quel punto inizia i gesti dimostrativi: si incatena prima davanti al tribunale di Arezzo, poi a quello di Milano. Quindi il tentato suicidio a Montecitorio.
Da allora l’ex titolare del supermercato ha voluto che il suo appello diventasse il grido di un’intera categoria stritolata dalle tasse, dalla giustizia e dalla burocrazia: quella degli imprenditori. Così ha preso a stazionare per giorni interi davanti a piazza Duomo, armato della sua storia e della sua indignazione. In piazza Duomo, organizzerà il prossimo 7 dicembre una manifestazione chiamata“Riprendiamoci l’Italia”: «un grido affinché gli imprenditori si riprendano la loro azienda, l’azienda Italia, che può essere fonte di ricchezze impensabili. E un atto di insofferenza contro questa politica inefficiente e dannosa, che contesteremo bruciando le nostre tessere elettorali». Prosperi, per l’iniziativa, ha già ottenuto la solidarietà e la sponsorizzazione di numerosi altri imprenditori e pretende che questo sia l’inizio di un percorso per far tornare il mondo delle aziende protagonista in Italia e non più succube dei suoi mali. Tuttavia Prosperi, che sulla sua incredibile vicenda sta anche scrivendo un libro, nella sua vita ha già accumulato troppa disillusione. «Nel nostro Paese», chiude, «non si può essere imprenditori onesti. Se si è onesti, si chiude o ci si uccide».