Pecchia, ex parlamentare Pc, travolta da scooter. Rischia la vita

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Erano circa le 7.30 di questa mattina, quando l’ex parlamentare, Maria Pecchia, è stata investita da uno scooter su via Flaminia. Le condizioni della ex deputata sono apparse subito critiche e la 76enne è stata ricoverata all’Ospedale San Salvatore, in prognosi riservata. Maria Pecchia aveva fatto carriera all’interno dell’allora Partito Comunista Italiano, prima come assessore provinciale e dal 1975 al 1980 come Consigliere comunale, per poi essere eletta deputata alla Camera dal 1976 al 1983. Una carriera «a braccetto» col marito Giorgio Tornati che nello stesso periodo ha avuto un percorso molto simile: prima consigliere comunale e assessore, poi sindaco di Pesaro nella legislatura 1980-85, elezione in Senato nel periodo 1987-1983, prima del ritorno in consiglio comunale nelle fila dell’Asinello.

Da esempio a mito e nel 2014… un francobollo! La parabola di Berlinguer

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E’ stato un esempio e dopo la morte divenne un mito… ora nel 2014 Enrico Berlinguer, diventerà un francobollo! Ad annunciarlo è stato con un twitter Flavio Zanonato, ministro dello Sviluppo Economico, che posta anche una foto del leader comunista, segretario generale del Pci dal 1972 fino alla morte nel 1984. Il francobollo sarà emesso per ricordare proprio per ricordare il trentennale della morte.

Morto uno dei miti della Resistenza, addio a Raimondo Ricci

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E’ morto questa mattina a Genova Raimondo Ricci,  ex senatore del Pci ed ex presidente nazionale dell’Associazione partigiani d’Italia. Per ben 93 anni Ricci si è dedicato alla difesa dei valori della Resistenza. Era il 1943 quando divenne partigiano e dopo pochi mesi fu arrestato e recluso in diverse carceri liguri prima di venir  deportato a Mauthausen, da dove venne poi liberato il 5 maggio del 1945:, quando aveva 24 anni. Divenne avvocato e difese  i sindacalisti e i militanti comunisti. Presidente provinciale dell’Anpi nel 1969, è stato parlamentare per tre legislature dal 1976 ed ha fatto parte della Commissione d’inchiesta sulla P2. E’ stato anche membro del Consiglio di presidenza della Corte dei Conti e presidente dell’Istituto ligure per la storia della Resistenza.

Veltroni torna alla sua “primordiale” passione e accusa il Pd

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Walter Veltroni sta girando un documentario dal titolo “Quando c’era Berlinguer”. Torna così alla sua “primordiale” passione che aveva abbandonato per la politica. Ora però riesce a coniugare insieme cinema e politica e a parlare della realtà di oggi facendo un salto nel passato. D’altra parte l’oggi ha molte incognite come spiega lo stesso ex segretario del Pd:

“temo si stia dando l’impressione che abbiamo già vinto le elezioni, e l’unico problema sia ripartire i posti del governo che verrà. Sinceramente, lo eviterei», dice Veltroni che aggiunge: «Perché vedo una certa leggerezza nell’affrontare la durezza di questo momento storico in Occidente, come se fosse una fase ordinaria. La politica dovrebbe analizzare tutti gli elementi di un passaggio d’epoca sconvolgente. Invece prevale dovunque la politica dell’istante, senza passato e senza futuro, proiettata nella polemica del giorno. Tutto è gridato, tutto è personalizzato, con la violenza di polemiche che per il solo fatto di esistere finiscono sui giornali».

Alla domanda del giornalista del Corriere della Sera che gli chiede se è da tempo che vige questa triste realtà, l’ex sindaco di Roma risponde così: «Sì, ma ora rischiamo di caricarci di una responsabilità storica molto pesante: sottovalutare l’effetto del combinato disposto tra recessione e crisi istituzionale. E questo non vale solo per l’Italia. Mi piacerebbe che si guardasse la situazione come dall’alto, per cogliere tutti i cambiamenti rispetto al ‘900. La recessione, che dura da un tempo tanto lungo dall’averci fatto dimenticare quando non c’era. L’invecchiamento di tutta la popolazione europea: oggi in Italia ci sono la metà dei bambini rispetto agli anni 70. Il mutamento della composizione delle società occidentali: la politica è ferma all’idea dei blocchi sociali consolidati, statici, mentre ora durante un’esperienza di vita si cambia orizzontalmente e verticalmente, si cambiano lavori e condizioni sociali, più a precipitare che a crescere. L’assedio di una società a copertura totale e permanente della comunicazione, con l’elevatissimo grado di condizionamento che la gigantesca rete comunicativa comporta su ogni discorso pubblico».

Non vorrà dire pure lei che si stava meglio negli anni 70.
«No. La società di oggi potenzialmente ha dentro di sé tutte le risorse per essere la migliore delle società possibili: non ci sono mai stati un così lungo periodo di pace in Occidente, tanto sapere diffuso, tanta tecnologia, tanta lunghezza della vita. Ma le rivoluzioni tecnologiche postulano la capacità della politica di saper trovare i nuovi equilibri. È stato così dalla rivoluzione industriale in poi. Oggi sento la difficoltà delle democrazie a governare una società strutturata come quella moderna. E se la democrazia non decide, muore. Lo si vede nel più consolidato dei modelli, quello americano: per la prima volta, quella democrazia si dibatte con la sensazione che non esista più, per dirla con Schlesinger, la “presidenza imperiale”. In Francia, nel totale disinteresse il primo partito è il Fronte xenofobo e antieuropeo di Marine Le Pen mentre appare in crisi l’esperienza di gauche traditionelle di Hollande. L’estrema destra cresce in Grecia e in Austria. La socialdemocrazia arretra in Germania e nei Paesi scandinavi. Alle prossime elezioni europee rischiamo di avere un Parlamento antieuropeo. E in Italia la destra, con tutto quello che ha combinato, è in testa ai sondaggi».

Perché, secondo lei?
«La sinistra è sempre andata meglio nelle fasi di espansione economica. Le fasi di recessione sono sempre state un’occasione per la destra. Si reagisce alla recessione su una linea di isolazionismo sociale e di disinteresse per gli altri. Prevalgono posizioni che tendono a difendere la propria condizione individuale, spingono all’odio verso gli immigrati, animano pulsioni di egoismo sociale, di superiorità identitaria. La mia paura è che si stia facendo strada nel nuovo millennio un modello diverso dalla democrazia, una forma semplificata di decisione politica, di cui Russia e Cina sono la testimonianza più evidente».

Come le sembra la campagna di Renzi?
«Penso che Renzi abbia l’ispirazione giusta, capisca che questa non è una fase ordinaria, sappia che l’Italia non può essere governata con palliativi paternalistici, ma ha bisogno di riforme radicali che scuotano i conservatorismi di ogni specie».

Cosa gli manca, invece?
«A Renzi ho detto, pubblicamente e privatamente, che deve trasferire al Paese l’idea di coltivare quella che per me è la parola-chiave della nostra stagione storica: profondità. Tutto in Italia è molto leggero, volatile, privo di radici e nello stesso tempo di prospettiva. Non basta mettere insieme pezzetti di programma; ci vuole una visione generale, un’idea dell’Italia. Quello che Renzi deve fare è ribaltare il modello di politica che la destra ha imposto nei toni, nei linguaggi, persino nella rapsodicità di un discorso pubblico di continuo spezzettato e contraddetto».

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Le pare che questo Pd sia in grado di parlare a tutti gli italiani?
«Il Pd per me deve tornare a lavorare su quello che cercai di fare nel 2008: riscrivere il rapporto tra finalità e ideologia. La storia della sinistra italiana è stata grande perché legata a una storia di liberazione, di diritti, di riscatto. Il suo limite oggettivo è stato il legame storicamente determinato con l’ideologia. Dopo l’89 queste due cose potevano virtuosamente separarsi. L’impressione, specie negli ultimi anni, è che si siano perdute ambedue. Dobbiamo recuperare la sostanza dell’identità di una sinistra riformista: la battaglia per l’uguaglianza, nel senso che le attribuiva Bobbio; l’uguaglianza delle opportunità».

Nell’attesa, il Pd è considerato il partito delle tasse.
«Il Pd non deve essere il partito delle tasse. L’Italia non può reggere l’attuale pressione fiscale. Resto convinto che la strada sia pagare meno, pagare tutti. Il contrasto all’evasione e il calo della pressione fiscale devono andare di pari passo, insieme a una radicale riduzione della spesa pubblica. In Italia ci sono due tassazioni, una economica e una burocratica; e la seconda non è meno onerosa della prima. Tante imprese chiudono o non nascono perché sono oppresse dalle tasse e dalla burocrazia, fatta per consentire la corruzione. La lotta contro il conservatorismo passa da qui».

L’omaggio di Veltroni alle sue origini “Quando c’era Berlinguer”

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“Per me è un modo di ricomporre due grandi amori della mia vita: il cinema e Berlinguer. L’idea mi è venuta vedendo un documentario su Olof Palme, bellissimo, guardando i film sulla vita dei grandi leader, da Kennedy a Mandela. Così parlando con Andrea Scrosati di Sky abbiamo pensato di raccontare la storia dell’ex segretario del Pci”.

Ora Walter Veltroni sta rovistando negli archivi, studiando documenti e scegliendo immagini da inserire nel documentario dal titolo: Quando c’era Berlinguer. Il racconto avrà sue linee guida:  il tempo storico e un senso di rimpianto.

“Sono immerso nel mondo di Enrico, un modo di coltivare la bella politica. Non mancheranno gli aspetti critici, ma per quanto mi riguarda – dice Veltroni – i suoi dieci anni alla guida del Pci hanno trasformato la vita italiana”.

Il film di Sky Cinema (realizzato con la Palomar, seguiranno ritratti di Craxi e Moro) sarà pronto a maggio, ma potrebbe uscire prima nelle sale.

“È un lavoro che mi piace e mi spaventa”, racconta l’ex segretario del Pd, ex studente del Centro sperimentale e critico. “La memoria è un’ossessione, cerco costantemente di riannodare i fili perché sono convinto che questo tempo rischia di trasformarsi in quel ‘deserto di macchine arrugginite’ di cui parlava Italo Calvino. Berlinguer era un uomo profondo, amato dai suoi e rispettato dagli avversari. Ha avuto il coraggio di fare innovazioni durissime. Avevo pubblicato un libro con i suoi testi per capire cosa restava della sua esperienza; oggi, a trent’anni dalla morte, sarà un film a ricordarlo”.

Niente condizioni per Napolitano: il PD trema

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Napolitano è determinato ad avere carta bianca su un governo che sia forte, vero, di “salvezza nazionale” a cui vincola la durata del suo mandato e l’accettazione dello stesso. Il PD inizia quindi a sentire l’acqua alla gola: il (di nuovo) neo eletto Presidente si aspetta “disponibilità incondizionata” ed una “assunzione corale di responsabilità”. Il nuovo esecutivo non dovrebbe impiegare molto tempo a nascere, visto che le consultazioni sono state fatte da poco e il Presidente conosce la situazione dei partiti. Si prepara quindi ad affermare, nel suo discorso d’insediamento, che la Costituzione non prevede mandati a termine e lui lascerà solo quando considererà di aver portato a termine la sua missione. Tempi brevi quindi, ora che è tornato a stringere in mano pieni poteri, che si vede appoggiato dalla comunità internazionale e che ha la fiducia dei mercati. Tempi brevi, soprattutto, visto il largo lasso di tempo intercorso dalle ultime votazioni. Il PD quindi si trova “incastrato” tra la richiesta di Napolitano e il tentativo di cercare una soluzione alternativa all’alleanza con il PdL, almeno non così scoperta, visti soprattutto i dissidi interni. Ovviamente però i giochi di potere, al loro interno, continuano a riproporli: Rosi Bindi cerca di allontanare l’ipotesi Letta giocando la carta del governo a bassa, praticamente nulla intensità politica: “Penso che un governo di scopo e del Presidente per affrontare le emergenze economiche e sociali del Paese e fare le necessarie riforme istituzionali, non possa essere guidato né avere tra i suoi ministri figure politiche di primissimo piano”: potrebbe essere il suo modo di proporre Dario Franceschini? Ma la sua è solo una delle voci: Franco Marini apre ad un governo con il PdL “Bisogna fare un governo politico, che può avere anche l’esperto e intellettuale dentro, purché con chi si vuole assumere questa responsabilità”: ed ecco quindi la “candidatura” Letta-Alfano. Ma c’è anche chi appoggia l’idea di Andrea Orlando di proseguire un “governo di cambiamento” che venga appoggiato dai grillini e Vendola che pensa ad un governo Barca con dentro la società civile. Un poliedro insomma, con tanti lati spezzati che sembrano destinati a esplodere in nuovi dissensi mentre una domanda aleggia sopra le loro teste: con il gruppo dirigente dimissionario, chi comporrà la delegazione che salirà al Colle? Oltre questo però è chiaro l’aut-aut: o governo o voto. Con un Berlusconi pronto ad un governo politico, la responsabilità di un ritorno alle urne crollerebbe interamente addosso ad PD che già soffre in vista del congresso. Certo però che l’idea di Napolitano, con un governo legato al programma dei saggi e quindi con un mandato chiaro in partenza, potrebbe, al contrario, lasciare la possibilità al gruppo democratico di affrontare più serenamente il congresso. Certo… ammesso riescano a riappacificarsi tra loro. Del resto non è auspicabile per lo stesso partito tornare immediatamente alle urne: dopo le ultime giornate, culminate con le tessere bruciate e le manifestazioni in piazza, sarebbe qualcun altro ad arraffare voti a piene mani…

Napolitano bis: il momento migliore per l’affondo del Cav

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Franco Marini, “bruciato” dal Pd che l’aveva proposto come Presidente con l’appoggio del PdL,  durante la trasmisssione In mezz’ora ha affermato che ”Il Pd deve recuperare credibilità, l’ha persa tutta e non so come ci si possa sedere accanto a interlocutori e leggergli negli occhi” e poi ha aggiunto che c’è un ”dilagare di opportunismo che ha toccato il nostro partito, il gruppo dirigente”. E’ un ”partito dove si sono rafforzati più i potentati che una idea larga di partito”. PD partito allo sbando quindi, in cerca di una identità, o forse più di una, un momento ideale per Berlusconi per sferrare l’ennesimo colpo proseguendo sulla sua linea, più determinato che mai: governo di coalizione, politico, con ministri pidillini di peso. Il Cavaliere va ripetendo che la sua strategia di partito responsabile ha premiato il Pdl, perchè ha preparato il terreno al bis di Napolitano ed ora l’intezione è di tenere un profilo basso e placare chi vuole andare subito al voto e nel frattempo rimarcare: ogni trattativa dovrà imprescindibilmente partire dai suoi 8 punti e nel frattempo, se Amato resta il nome più gettonato nel toto-premier e in molti lo affiancano a quello di Letta, una cosa è certa: il vice dovrà essere targato PdL.

Non è un Paese per i cittadini: la manifestazione a Montecitorio

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Napolitano raggiunge il quorum e dalla piazza di Montecitorio iniziano tutti ad urlare: “Buffoni! Buffoni! Vergogna! Vergogna”. I “tutti” sono persone che sono arrivate prima ancora che Beppe Grillo lanciasse l’appello alla manifestazione, ci sono elettori Pd, Popolo Viola, elettori di Ingroia, Movimento 5 Stelle e anche alcuni rappresentanti di Rifondazione Comunista che, nonostante un primo screzio perchè “non si volevano bandiere”, si sono uniti all’appello “Rodotà Presidente!” Perchè tante sono le facce dell’Italia, c’è la studentessa che afferma di essere fortunata perchè “ho dietro i miei che mi sostentano gli studi. Io non voglio che se ne fuggano dalla porta secondaria del palazzo. Voglio che mi spieghino perché”. Ancora aspettano una risposta,  alle otto e mezzo di sera, nonostante Beppe Grillo abbia detto che non si sarebbe presentato, la gente è leggermente diminuita ma riesce comunque a bloccare via del Corso e gli ingressi laterali. Il passaggio i grandi elettori non riescono a crearselo, scelgono di uscire per via della Missione, ancora una volta il rifiuto netto di confrontarsi con gli elettori. La senatrice PD Rosa Maria Di Giorgi ci prova e viene accolta dalla constatazione che “Adesso l’elettorato non lo prendete più”. Però la domanda resta ancora nell’aria: perchè no Rodotà? La risposta rasenta l’assurdità, farebbe ridere se non fosse tragica la lotta di potere che determina, una posizione per partito preso: “Io con Rodotà – spiega la senatrice – ci ho lavorato insieme, purtroppo… l’ha bruciato Grillo”. Confermata allora la tesi dei deputati grillini: Rodotà no solo perchè il nome è stato fatto dalle loro fila? Forse i cittadini di Taranto potrebbero dire: “Napolitano no, perchè ha firmato il Salva Ilva”… e avrebbero più ragione! Anche Carlo Giovanrdi ha scelto l’entrata principale per fare la sua apparizione: per il parlamentare Pdl lancio di monetine e l’urlo: “mafioso!”. Ma lui non esita a rispondere che sia manifestanti che Grillo sono dei fasicsti a parlare di golpe di Stato. I politici non possono mostrarsi: “Hanno tradito il Paese”, ben accetti solo i pentastellati e i rappresentanti del Sel. Gli stessi che avranno il ruolo dell’opposizione nel governo che s’inizierà presto ad intravedere e che, al momento, è una confusa massa informe, con il Pd che si sgretola, perde pezzi per strada e, di certo, ha perso non solo elettori ma anche la faccia, e forse dovrebbe perdere anche il nome, che di democrazia non se n’è vista molta… Vendola ha allora in mente una nuova idea di “centrosinistra”: la lancerà l’8 maggio e, probabilemtne, vedrà nel gruppo il ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca e il suo sostegno via tweet, Maurizio Landini (segretario della Fiom) e Sergio Cofferati (ex segretario della Cgil). Il Movimento viene visto “come un possibile alleato”, su cui “convergere per alcuni punti del loro programma”. Nel frattempo il Pd non esiste in più e in molti si spostano attorno all’area Renzi. Nessuna piega per Berlusconi, si è ancora una volta aggiudicato un Presidente generoso per quel che riguarda i problemi con la giustizia e il suo partito esce ancora un volta compatto e sereno. Intanto sopraggiunge la sera, alle nove qualcuno ancora spera che Grillo riesca ad arrivare, che la sua presenza non si faccia ttendere fino all’indomani, ma la speranza è fugata: “No, no non possiamo. L’abbiamo scongiurato. E’ una questione di ordine pubblico. Basta davvero poco e può scatenarsi il disastro” spiega un parlamentare 5 stelle. Chi dorme tranquillo, poche ore dopo, è quella parte di elettorato che ancora una volta ha votato Berlusconi e l’ha visto trionfare, a tutti gli altri non resta che manifestare, ancora e ancora!

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E’ morto Ugo Vetere… politico di altri tempi!

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”Sono il sindaco di chi mi ha votato, di chi non mi ha votato e di chi mi ha votato contro”.

L’ex sindaco di Roma Ugo Vetere è morto la notte scorsa nella sua casa in provincia di Viterbo. Nato nel 1924 a Reggio Calabria, Vetere, esponente del Pci, fu eletto sindaco della Capitale nel 1981 alla guida di una giunta rossa.

Da primo cittadino, Vetere si dedica a completare l’opera di risanamento delle borgate iniziata con legiunte di sinistra, all’ampliamento della metropolitana, all’edilizia scolastica e agli asili nido, alla creazione della seconda università di Roma, alla costruzione dei primi centri per gli anziani. Con Don Luigi Di Liegro, al quale lo legava un profondo rapporto personale, si impegna a favore dei senza fissa dimora della Capitale.

 

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