Ecco la stangata sull’immondizia, aumenti anche al 680%!!!

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“La Tari comporta aumenti in media del 290% rispetto alla vecchia Tarsu, ma per alcune imprese la tassa dei rifiuti salirà anche del 600%”. Questa è l’analisi impietosa Confcommercio in un’analisi della legge di Stabilità che tira le somme di quanto le imprese pagheranno in più nel 2014. Tali somme naturalmente dalla Confcommercio sono ritenute “ingiuste e molto rilevanti” perché non calcolate secondo il principio del “chi inquina paga”. La tassa infatti è calcolata sui vecchi criteri di “produzione presuntiva” di rifiuti, penalizzando così chi ne produce meno con aumenti assai salati.

Con la Tari, la nuova tariffa sui rifiuti, l’aumento medio dei costi nel 2014 sarà pari al 290% ma per alcune tipologie di impresa sarà ancora più salato: per un bar, infatti, sarà di oltre il 300%, per un ristorante del 480%, fino ad arrivare ad oltre il 600% per l’ortofrutta (+650%) e le discoteche (+680%).

Confcommercio spiega che si tratta di “una pesante penalizzazione per il sistema delle imprese della distribuzione e dei servizi di mercato che impone la necessità di rivedere al più  presto la struttura dell’attuale sistema di prelievo sulla base del principio ‘chi inquina paga’ e ridefinire con maggiore puntualità  coefficienti e voci di costo distinguendo, in particolare, tra utenze domestiche e non domestiche e tenendo conto anche degli aspetti riguardanti la stagionalità delle attività economiche”.

L’associazione ricorda inoltre che “la legge di stabilità istituisce un nuovo tributo sui servizi comunali, denominato Trise. Esso si articola in due componenti: la prima, denominata Tari, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani; la seconda, denominata Tasi, a fronte della copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni”.

La struttura della Tari, sottolinea la nota dell’associazione, “riflette quasi pedissequamente la precedente formulazione della Tares e, quindi, della vecchia Tia, in quanto ripropone tariffe determinate sulla base di coefficienti di produzione potenziali e non sui reali quantitativi di rifiuti prodotti”.

Per Confcommercio manca dunque “la volontà di instaurare un legame diretto tra produzione di rifiuto e spesa”: “In pratica, il mantenimento dei vecchi criteri di produzione “presuntiva” non solo rischiano di tradursi in condizioni di costo estremamente diversificate sul territorio a parità di attività economica, ma ripresentano tutte le criticità e i limiti che i precedenti regimi di prelievo hanno mostrato e che più volte Confcommercio ha denunciato. Infatti, nei Comuni dove è stato operato il passaggio dalla Tarsu alla Tia, si è assistito ad aumenti tariffari medi del 200%, generati non tanto da un incremento della quantità dei rifiuti prodotti ma, più semplicemente, da una non adeguata determinazione dei coefficienti potenziali di produzione”.

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L’Italia è dipendente dalla Cina e dall’Est Europa?

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Si diceva “braccia rubate all’agricoltura” oggi potremmo dire “l’agricoltura rubata agli italiani”. L’Italia è sempre più dipendente dalla Cina e dall’Est Europa per quanto riguarda il settore del primario. E pensare che se c’era una nazione a vocazione agricola era la nostra, dove l’eccellenza del cibo ben si sposava con i prodotti localmente prodotti che diventavano materie prime di alta qualità. Il bel tempo che fu? Ora rimangono alcuni grandi prodotti, restano le tipicità del luogo che si sono salvaguardate o che sono state protette, ma la grande diffusione di ortofrutta si svolge altrove, ben lontano dai nostri terreni.  L’abbandono dei campi, la cementificazione dei suoli fertili rimasti, la mancanza di cambio generazionale, le difficoltà di accesso da parte dei giovani e di avvio di nuove imprese sono solo alcuni problemi legati alla moria delle aziende agricole. Eppure ci sarebbe veramente tanto su cui investire… pensiamo solo alla domanda di prodotti biologici o di colture particolari le cui sementa sono ormai di difficile reperimento. Eppure le strade sembrano interrompersi e il mercato italiano viene invaso da prodotti agricoli cinesi (come il pomodoro) e provenienti dall’Est Europa (il grano). Ma se in Italia di industria e di manifatturiero si parla, l’agricoltura spesso è relegata in secondo piano. Troppo poco spazio viene dato dai media e dai giornali al fenomeno che sta portando sull’orlo del baratro migliaia di aziende agricole che ogni giorno combattono contro un terreno sempre più inquinato e con i costi per la produzione che lievitano vertiginosamente. Quando finalmente il problema arriva all’opinione pubblica si parla di nicchie di mercato… come se mangiar bene potesse essere qualcosa da maniaci del cibo o da palati sopraffini. In realtà ogni cittadino avrebbe il diritto di mangiar sano! Spesso le etichettature sono assenti o incomplete, scritte con caratteri minuscoli e scoloriti, inaccessibili a molti consumatori. Per le scadenze bisogna ormai essere molto fantasiosi le date vengono apposte ovunque e solo sempre meno comprensibili. Non parliamo poi della qualità. Nelle grandi città si vedono esposti sui banchi dei supermercati peperoni esangui e lattughe ormai prossime al collasso. Le arance siciliane arrivano prima a Milano e poi tornano a Palermo, nel migliore dei casi… quando non siamo costretti a distruggerle. Sulle quote latte ormai abbiamo gettato la spugna… non se ne parla neppure più! Chi ha ucciso l’agricoltura italiana? L’Europa o la nostra incapacità spesso di essere competitivi senza rinunciare alla qualità? Probabilmente ancora una volta si sono sbagliate le politiche agricole e si è lasciato spazio per l’invasione di prodotti esteri senza tutelare i nostri agricoltori e le nostre eccellenze. Un’altra scommessa persa!

C’è bio e bio! Occhio a cosa acquistiamo… la truffa è sul bancone!

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Neanche la ‘spending review’ frena in Italia la crescita delle esportazioni e del consumo dei prodotti biologici, più cari ma non sempre o non totalmente naturali come si potrebbe pensare. Secondo le stime fornite dalla CIA (Confederazione Italiana Agricoltori), sulla base di dati ISMEA (Istituto dei Servizi per il Mercato Alimentare), nel 2011 l’incremento dei prodotti bio sulle tavole è stato di quasi il 9%, favorendo la scalata del nostro Paese sul più alto gradino del podio in tema di commercializzazione in Europa. Per migliorare la qualità dei prodotti bio, stimolare la domanda e certificare la qualità degli alimenti la Commissione UE ha aperto una consultazione pubblica on-line, attiva fino al 10 aprile prossimo, in cui dire la propria sulla normativa, misure, richieste, decisioni da adottare per il futuro.

Sulla necessità di aumentare il rigore sulle norme UE per i prodotti e le bevande biologiche e di rafforzare la fiducia dei consumatori sulle proprie scelte alimentari, trova tutti d’accordo. Non sempre acquistare la qualità è così facile o scontata, complice da un lato il flusso crescente di informazioni a disposizione sui prodotti, i processi di produzione e le filiere di provenienza e dall’altro gli scandali del settore agro-alimentare che vanno dalle mozzarelle blu di qualche tempo fa fino alla recentissima carne di cavallo nelle lasagne surgelate. «Questi sono solo alcuni degli aspetti – spiega il Professor Giacinto Miggiano, Direttore del Centro Nutrizione Umana, Università Cattolica, Roma – che hanno innalzato l’attenzione verso la qualità dei prodotti, compreso quelli biologici. Da qui la decisione di rilevare con una indagine la sensibilità dei consumatori verso questi prodotti, conoscere le loro opinioni, i comportamenti alimentari e le preferenze». Oggi oltre il 53% delle famiglie italiane consuma sia prodotti naturali sia tradizionali e poco più del 2% esclusivamente cibi da agricoltura bio. «Perché un prodotto sia definito tale – continua il nutrizionista – occorre che almeno il 95% degli ingredienti provenga da culture naturali, nelle quali si faccia basso uso di prodotti chimici di sintesi, quali fertilizzanti, pesticidi, additivi e medicinali e che gli organismi geneticamente modificati (OGM) non siano entrati neppure accidentalmente nella catena alimentare biologica».

Metti a tavola l’insalata… al veleno!

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Insalata romana al veleno venduta al mercato della cittadina di Offenbach e da venditori ambulanti in Germania. Era un lotto composto da 110 cassette di cui 105 sono state distrutte. Al momento non si hanno notizie di avvelenamenti, ma la notizia è stata fatta circolare in tutta la Germania con la speranza che chi abbia acquistato le insalate del produttore “Ortofrutticola la Trasparenza”, provenienti dall’Italia, possa disfarsene al più presto.

L’insalata al veleno non è un piatto consigliabile anche se tempo fa un rampante cuoco inglese, Antony Worrall Thompson, in un intervista alla rivista Healthy & Organic Living, fornì la ricetta di un’insalata con foglie di “Hyoscyamus Niger”,  una pianta officinale appartenente alla famiglia delle Solanacee, chiamata in italiano giusquiamo nero. In pratica il giusquiamo nero è una specie di veleno assai pericoloso e ha conseguenze soporifere e anche allucinogene; nel caso in cui, poi, sia assunto in dose rilevante, può risultare addirittura letale.

E buona insalata a tutti!

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