Che la forza sia… con i Lego! Star Wars invade Times Square

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L’X-Wing Starfighter, astronave simbolo dell’alleanza ribelle nell’universo di Guerre Stellari, è atterrata a Times Sqaure. Dallo spazio mirano a invadere New York? No, solo ad accelerare i battiti del cuore degli amanti dei Lego. L’enorme navicella, infatti, è costruita interamente con i mattoncini più famosi del mondo ed è apparsa sulla piazza della Grande Mela acccompagnata dalla colonna sonora della saga Star Wars. L’astronave, infatti, è la replica perfetta del famoso velivolo spaziale ed è 42 volte più grande rispetto al modellino in vendita. E’ stato necessario un anno, e il lavoro di 32 modellisti, per progettarla e costruirla, per un totale di oltre 17 mila ore, ed è composta da più di 5 milioni di pezzi, per un peso di circa 21 tonnellate e 13,1 metri di lunghezza.

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“Proprio come i bambini amano sperimentare e affinare le loro abilità nelle costruzioni Lego, i nostri esperti amano mettere alla prova le proprie capacità creative”, ha spiegato Michael McNally, Brand Relations Director dell’azienda, che ha aggiunto: “Costruire una navicella 42 volte più grande del nostro modellino era una sfida a cui non potevano resistere”. L’evento, di per sè… “stellare”, è stato inoltre arricchito da uno spezzone, proiettato sui maxi-schermi della piazza, della prossima serie di Cartoon Network ‘Lego Star Wars: The Yoda Chronicles’, la cui premiere si terrà mercoledì prossimo. L’astronave da record resterà ora a Times Square fino a sabato 25 maggio per un’esposizione interattiva. Dopo di che, decollerà alla volta delLegoland California Resort, vicino a San Diego, per stazionarci fino alla fine del 2013.

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Una notte fuori

r1b Si era svegliata di notte e non era più riuscita a prendere sonno. Aveva provato a leggere qualche pagina del libro che aveva sul comodino, ma si era imbattuta in una  descrizione lunghissima di una fattoria nel New Hampshire, che l’aveva annoiata a morte. Ma perché nei thriller c’era spesso una fattoria del New Hampshire?
Chiuse il libro, guardò Blues addormentato nella cuccia… Muoveva ritmicamente la testa a destra e sinistra… “Buffo yorkshire” pensò Betha, poi si complimentò con se stessa “Aveva scelto il nome giusto per il nuovo arrivato!”
Tre giorni prima era stata indecisa, lei aveva già la sua gatta Kobi, prendersi un cane la preoccupava. Lo vedeva impegnativo. Poi aveva ceduto e come sempre aveva dato retta alla sua amica Selma e aveva lasciato che  Blues le invadesse casa.
Guarda la sua e-mail… Solo spam… D’altronde sono le due di notte…
Accende la tv e inizia a fare zapping… non trova nulla d’interessante.
Torna a letto… cambia più volte posizione… E poi decide… Passeggiata!
Si veste in fretta ed è… St. Mark Pl.
Cammina sul marciapiede, con un andatura stranamente lenta per lei. In quel venerdì sera, le strade sono silenziose, le persone hanno iniziato a uscire anche dagli ultimi locali, quelli che tirano avanti fino a tarda notte. E’ uscita solo con le chiavi di casa e $20 in tasca… Vuole prendere aria in quel fine luglio afoso, arrivare fino alla bakery aperta tutta la notte, prendersi un azuki croissant o una fetta di green tea tiramisu e poi tornarsene a casa.
E’ davanti alla libreria quando una signora la ferma.
“Le è caduto questo!” E le mostra una collana con un pendente indiano con piume e ossi.
Betha istintivamente lo sfiora con la mano, poi si allontana e continua a fissarlo “non è mio”.
La signora dai pantaloni larghi di lino marrone, la maglia nera morbida che cade sulle braccia e un foulard in tinta con i pantaloni, le fissa il collo scoperto dalla maglia a V  “E’ più adatto a una ragazza che a una signora… Lo prenda!”
Betha è a disagio. Lo afferra solo per non far restare male la signora, glielo ha offerto in un modo che non lo poteva rifiutare. Ancora qualche passo e arriva alla bakery. Prima di entrare lascia la collana appesa alla ringhiera di una scala che porta a un’abitazione.
In quel negozio sono sempre gentili, le regalano anche due macarons. Uscita dal negozio, girato l’angolo, davanti ai suoi occhi ondeggia il pendente indiano. Per un attimo crede che sia la sua immaginazione, invece poi mette a fuoco anche la signora che lo tiene in mano.
“Questa volta lo hai perso sul serio!”
Passa dall’imbarazzo all’irritazione in un secondo.
“Se lo metti al collo, forse non lo perdi” e il caschetto biondo sfrangiato ancora da ragazzina sbarazzina si muove sul viso della signora fino a scoprirle alcune rughe che prima erano nascoste.
“Non è mio!” risponde Betha e se ne va. Tra sé pensa che era meglio che non fosse uscita, quella signora le incute paura. Si sente seguita, perseguitata. La sta destabilizzando.
All’improvviso torna indietro… è come se quel pendente le mancasse… si sente in colpa per averlo trattato male… come se avesse assunto un significato, un’anima… ha paura di una maledizione… non che lei creda a queste cose… ma è un periodo che qualsiasi cosa che potrebbe andare storta, lo diventa, anzi va peggio. r2
Vuole avere quell’amuleto, forse non porterà fortuna, ma non si sentirà succube psicologicamente di quella sfortuna  che le potrebbe ricadere addosso.
Le basta fare pochi passi per ritrovare la signora. E’ lì con l’amuleto in mano davanti alla libreria.
Non deve neppure chiedere, glielo porge direttamente la signora, lì davanti al bookshop.
“Sai che lo volevano far chiudere…”
“Ma di che sta parlando” pensa Betha. Non ha idea a cosa si riferisce la signora.
“La libreria… la volevano fa chiudere… poi hanno trovato un accordo… hanno chiesto anche contributi su internet… sarebbe un peccato se chiudesse è qui dal 1977”
“1977” Quel numero diventa una cifra che risuona nel cervello di Betha. Lei all’epoca non era neppure nata.
“Non era così all’epoca… io ci venivo spesso… era un po’ come la biblioteca di un amico, ci trovavi i titoli più comuni e  qualche curiosità”
Betha non ha idea perché continui ad ascoltare quella vecchia pazza. C’è qualcosa però nella voce di quella donna che le è famigliare… Non si ricorda dove l’ha sentita, ma sicuramente da qualche parte. Non sa che dire, quel silenzio inizia a disturbarla. Deve trovare un modo per andar via senza essere scortese. “Sarebbe stato un peccato se avesse chiuso e…” non riesce a finire la frase che la signora prende l’occasione al volo per riprendere la parola.  “La domenica sera qui si incontravano Susan e Annie…”
La faccia di Betha è perplessa, non sa veramente di chi stia parlando.
“Susan Sontag e Annie Leibovitz”
Ora Betha ricorda… La scrittrice e la fotografa… si parlò molto di quella coppia alla fine degli anni’90, lei era ancora una bambina, ma sua sorella maggiore, fissata con il gossip, doveva averle accennato qualcosa… o almeno le sembrava… in ogni caso anni dopo lesse l’”Amante del Vulcano” appassionandosi al triangolo amoroso tra Emma e William Hamilton con Horatio Nelson.
“Ginsberg e Glass… sempre qui, fra queste mura iniziarono a collaborare”.
Betha prova di nuovo ad andare via “ Sì, il Greenwich è un posto storico, conserva le memorie dei suoi personaggi”
La signora sorride “Per voi americani qualsiasi cosa con più di vent’anni è storica… è una bella visione… per noi europei i vostri monumenti storici sono semplicemente vecchie cose moderne”
“Vecchie cose moderne?”
“Il moderno già visto… nelle foto, nei film, nelle descrizioni dei libri… diventano vecchie conoscenze… le mitizziamo, ma difficilmente riusciamo a immergerci nelle vostre atmosfere, in quelle più vere… come Jim Power”
Quella frase colpisce Betha… lei amava l’arte di Jim… aveva una cartella sul computer dedicata ai suoi mosaici… Lei la domenica la passava spesso a girare New York per fotografare l’arte di strada, quell’arte in divenire, quell’arte del momento che ha vita breve, ma comunica una forte emozione. Non a caso aveva studiato sociologia alla Columbia University e dopo si era affittata una casa lì… nel quartiere più eterogeneo di New York.”
Betha fino a quel momento non ci aveva fatto caso all’enorme borsa marrone che la signora tiene a tracollo. Da quella borsa esce una vecchia copertina spiegazzata di un disco… The Freewheelin’, Bob Dylan, Suze Rotolo e il Greenwich… “Prima c’erano i miti… adesso c’è la gentrification… Bisogna conservare la memoria non solo dei monumenti, dei palazzi… ma delle atmosfere… l’umido del Gaslight…quando il Cafe Wha? in una sola notte diventava il mondo a 360 gradi… L’Hotel Griffou, ora è un luogo dove mangiare polpette tenere… I luoghi cambiano insieme alle persone, oggi invece il problema è che gran parte della gente è tutta uguale e i luoghi si assomigliano tutti… sarebbe bello poter assaporare ancora le sfumature e invece finiamo per appiattirci dentro dei situazioni confortevoli, soft, anestetizzate…”
r3Betha ha appena il tempo di sistemarsi una ciocca che le è caduta davanti agli occhi.
“Ti porto a vedere una cosa”  le dice la signora e inizia a camminare.
Betha è incuriosita e allucinata, vittima di quelle parole che si trasformano in un vortice che l’avvolge e la trascina a seguirla.
Sono tra la Waverly e Charles, quando si ferma davanti alla vetrina di una boutique di lusso dove una borsa gialla può costare oltre i $2000. “Prima ci suonava Fats Waller, era un locale clandestino negli anni ’30… Poi sono arrivati i Chong ed è iniziata l’era della lavanderia… per 60 anni, era un punto di ritrovo… ha lavato i vestiti di molti beatnik, il proprietario era un tipo simpatico…”
Betha si ricordava la scritta Harry Chong alla vetrina, ma quando lei era arrivata al Village lì c’era un parrucchiere… “hanno rimosso la scritta rossa”
“Sì… Quella scritta apparteneva a Chong, un uomo sempre sorridente, un cinese che ci era cresciuto in questo negozio… aveva i capelli bianchi, la faccia bonaria e amava il suo lavoro…   Una sera si mise a cucire. E fu l’ultima volta…”
Betha guarda all’interno del negozio e lo vede. E’ li seduto proprio davanti a quella macchina da cucire cinese, ha un rocchetto di filo in mano, alle pareti ci sono gli scaffali con le camicie piegate e i capi lavati a secco che pendono dal soffitto. Chong apre la porta, le saluta, chiude il negozio e va via.
“Mi hai sentito? Andiamo!” è un rimprovero scherzoso quello della signora. Chissà da quanto tempo la sta chiamando… Eppure fino a un attimo prima Harry era lì…
“Come ti chiami?” le chiede la signora mentre ci avviciniamo al lato Nord di Washington Square.
“Betha, in celtico significa Vita”
“Un’irlandese?”
“Un’americana!”
La signora sorride. Betha capisce che dietro a quel sorriso c’è un mondo che si apre e capisce che era solo una provocazione…
“La casa di Hopper…”
E’ lì che esce di casa, con la sua giacca sopra il gilet e il cappello a nascondergli la calvizie, è lì che scruta con quell’occhio fotografico i particolari di New York e li trasforma in pittura, in locandine, “nei verdi, nei gialli, nei blu, in quella luce calligrafica e in quelle ombre che diventano buchi neri. Nelle finestre a vetri c’è la vita interna degli edifici che ritrae, come se costringesse lo spettatore a diventare un “complice” in quel guardare attraverso…Morning in the city… Apartment House… Nighthawks”… E poi lo vede allontanarsi… man mano che il racconto della signora si dissolve…
E l’ultima tappa… Thomas Paine… Non è più una placca attaccata a un edificio… “Il rivoluzionario, diffamato da ogni parte, denunciato per i suoi vizi e dimenticato per le sue virtù, si ritrovò vittima del suo popolo… Non si fece scalfire dall’odio… Non aveva paura di prendere posizioni…” Betha vede il fuoco che divampa mentre distrugge i libri di Paine… Lui rimane saldo, lucido nelle su posizioni…
“Bethaaaaaaa!”, Betha si gira di scatto. “Io sono Viv” le grida la signora prima di girarsi e andar via. Betha rimane immobile qualche minuto. Viv Looper… Faceva radio negli anni ’60… Era una delle “voci” più ribelli… Ma dove sta Paine? Andato via insieme a Viv… E poi un altro ricordo… “Il divano di Viv” il programma radiofonico dove erano passati tutti…  Ogni settimana trasmetteva da un posto diverso… come aveva fatto a non riconoscerla? Betha inizia a ripercorre nella sua testa il viaggio di quella notte. Da quando si è svegliata al posto  dove si trova ora. “Strano incontro” pensa.
Hanno appena aperto il Christopher Park… si siede su una panchina, quella di fronte alle statue… Vede il quartiere popolarsi mentre mangia un macaron… Persone su persone che passano distratte per quelle strade… Hipster con le cuffie alle orecchie, ex sessantottini, ex rivoluzionari, ex bohemien… e stringe il pendente indiano e  si guarda nel profondo… e sa che lei, sì, anche lei appartiene a quel posto… non potrebbe vivere altrove… ha l’istinto di sopravvivenza, non quello dell’altruismo ad oltranza… Non potrebbe mai dire come Paine « My country is the world… and my religion is to do good. »
E Viv? Viv è una Paine. Sì, lei lo è.

Voi chi siete? Viv o Betha?

Gov. Christie: “Sandy può aver distrutto le nostre case, ma non il nostro spirito”

La follia dilaga in America… ma si arriva sempre tardi a fermarla!

E’ l’ennesimo caso di violenza pura e di follia assoluta che lascia morti stesi in terra. L’America si interroga sulla legge lassista che permette a chiunque di entrare in possesso di un’arma d’assalto… poi interviene la lobby delle armi e rallenta “il processo di indignazione”.

L’ultimo caso è quello di William Spengler, 62 anni, noto alla giustizia per aver assassinato anni fa sua nonna. Ora è toccato alla sorella che viveva con lui e a due poliziotti che erano corsi a spegnere l’incendio che lui stesso aveva provocato. Una volta sul posto, caduti nella trappola mortale di Spengler, sono stati uccisi dai colpi di William. Anche la sorella è stata trovata morta nella casa data alle fiamme… fin quando dovremo raccontare scene di ordinaria follia?

killer

Sandy – LXIV

SANDY E’ ARRIVATA IN PENNSYLVANIA

Sono le 2 p.m. in Pennsylvania e Sandy la sta attraversando. Ci vorrà qualche ora per capire  cosa lascerà dietro di sè. Più che la pioggia qui si teme il vento che da due giorni  sta imperversando sull’intero Stato e che sta ancora correndo a circa 70 miglia orarie mentre l’ondata di freddo intenso  sta trasformando la pioggia in neve. Il Governatore dello Stato Tom Corbett ha specificato che la Pennsylvania è interessata  da Sandy nella sua completa estensione (300 miglia). Più di un milione sono gli abitanti da ieri privi di elettricità  e tre persone sono morte nei giorni scorsi, rispettivamente nella Contea di Susquehanna, di Berks e di Lancaster, a seguito della caduta di alberi. Nella Contea del Delaware si temevano le esondazioni, ma sia il Chester Creek che il Brandywine Creek sono finora in sicurezza. Nell’incertezza della situazione si è provveduto  all’evacuazione degli abitanti dalle zone a maggior rischio. A Elizabeth Township, Contea di Lancaster, la Fish and Boat Commission ha rivolto ai residenti di  circa 80 case l’invito ad allontanarsi, a nord di Philadelphia, a Bensalem Township l’invito è stato rivolto a 100 residenti, mentre a sud della città, a Derby Borough sono stati evacuati altri 200 residenti circa.

 

 

Nella città di Philadelphia, mentre il Sindaco parla di circa 10.000 persone a rischio, molte delle quali hanno trovato ospitalità presso parenti e amici, circa 600 persone sono ospiti in Presidi di emergenza e altri 14 analoghi Presidi, secondo i dati della Croce Rossa, sono stati attivati in tutto lo Stato della Pennsylvania. Altri 58 centri per l’evacuazione sono  in stand by e pronti ad attivarsi in caso di necessità.

Uffici pubblici chiusi come nel resto degli Stati interessati dall’uragano, nell’aeroporto di Philadelphia i voli sono sospesi e anche  molte autostrade non sono percorribili. Le autorità hanno attivato un numero verde per aggiornare in tempo reale tutti gli automobilisti in transito riguardo la situazione che può essere in continua evoluzione e, nel contempo, hanno previsto multe severe per i trasgressori. A titolo precauzionale e fino al termine dell’emergenza sono state vietate le vendite di alcoolici.

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