Il prete di strada, avrà… una piazza! La memoria di Don Gallo onorata a Genova

don_andrea_gallo_tuttacronacaIl 22 maggio moriva “il prete di strada” che tanti cuori ha toccato. Il giorno successivo il Gruppo EveryOne ha chiesto al sindaco di Genova e alle autorità della città, tramite Marco Doria da Roberto Malini, Dario Picciau, Daniela Malini e Steed Gamero, che fosse ricordato dal capoluogo ligure. Nella lettera si legge: “Abbiamo già inviato al Comune di Genova – e in particolare al Sindaco Andrea Doria, al vicesindaco Bernini, agli assessori alla cultura e ai servizi civici – la proposta di intitolare una via o una piazza cittadina di Genova a don Andrea Gallo. La città ha amato profondamente il ‘prete degli ultimi2 e serberà memoria imperitura per lui e la missione che ha svolto per tanti anni, rappresentando come nessun altro le virtù della solidarietà e della carità. Ci auguriamo che le autorità genovesi ascoltino la nostra richiesta e dedichino a don Gallo un pezzetto della città che egli amò con tutto il cuore e rese un posto migliore per tutti”. L’appello ha ricevuto risposta positiva. Durante la serata di ieri al Palacep per ricordare il fondatore della Comunità di San Benedetto il sindaco ha annunciato: “E’ giusto che Genova dedichi a don Andrea Gallo una piazza per onorane la memoria. Farò questa proposta che dovrà seguire le procedure ma confido in una decisione rapida”. Per quel che riguarda la piazza prescelta, dovrebbe trattarsi dello slargo senza nome nel mezzo del Ghetto.

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Addio al prete degli ultimi: è morto Don Gallo

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Si arrabbiava Don Gallo quando veniva definito “prete contro”, ribatteva sempre di essere un “prete per…”. E quell’andare incontro era ricambiato da chi andava verso di lui, in rete centomila fans che lunedì sera hanno letto l’ultimo suo messaggio in Twitter: “Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna”. Era un prete “con un piede sulla strada e uno in chiesa”, come si definiva, lui che tra gli amici vantava De Andrè, Celentano, Paoli, Grillo, Vasco Rossi, Subsonica, Ligabue, Gino Strada e Dario Fo, che di lui scrisse, nell’introduzione alla biografia Don Gallo un prete da marciapiede di Bruno Viani, “Con San Francesco don Gallo ha molte affinità, prima fra tutte la scelta incondizionata e coraggiosa di stare con i disperati”. Ma è stato anche un’ icona della sinistra, uno degli artefici dell’elezione del sindaco di Genova Marco Doria. Si è spento oggi, all’età di 84 anni e ha lasciato come testamento spirituale quell’ultimo cinguettio, capace di raggiungere molti, come lui ha sempre fatto.

Andrea Gallo era nato a Sampierdarena, il 18 luglio del 1928 ed è cresce negli oratori. Poi, durante la guerra, diventa partigiano al comando del fratello nella stessa brigata con Gianni Baget-Bozzo, con cui non ha mai interrotto i rapporti nonostante le opposte ideologie politiche. La chiamata arriva nel 1948, quando inizia il noviziato a Varazze per poi proseguire a Roma il Liceo e gli studi filosofici. Dal 1953 al 1954 compie gli studi teologici a San Paulo, in Brasile, dov’era stato inviato su sua richiesta di partire per le missioni. Il rientro in Italia è affrettato: la dittatura vigente lo costringe infetti a tornare. Il 1 luglio 1959 viene ordinato sacerdote, dopo aver proseguito gli studi ad Ivrea. L’anno successivo lo vede diventare cappellano alla nave scuola della Garaventa, un riformatorio per minori. Qui tenta d’introdurre una nuova impostazione educativa, che si discosta dai metodi repressivi e dall’unico concetto ritenuto valido: l’espiazione della pena. Per lui fiducia e libertà devono essere i cardini su cui costruire e la risposta è l’entusiasmo dei ragazzi, ai quali permetteva di uscire, andare al cinema e vivere momenti comuni di piccola autogestione. Tre anni dopo viene rimosso dall’incarico e Don Gallo sceglie di lasciare la congregazione salesiana e chiede di entrare nella diocesi genovese: “La congregazione salesiana, raccontava Andrea, si era istituzionalizzata e mi impediva di vivere pienamente la vocazione sacerdotale”. Viene quindi inviato a Capraia, dov’è nominato cappellano del carcere. Due mesi dopo è destinato in qualità di vice parroco alla chiesa del Carmine dove rimarrà fino al 1970. In quell’anno però, lui che radunava intorno a sé i ragazzi con l’eskimo e no e predicava “con il vangelo in una mano e il giornale nell’altra”, prende una posizione troppo scomoda, come lo era stata quella a favore del divorzio l’anno precedente, per essere ancora ben accetto. Prendendo spunto dalla scoperta di una fumeria di hashish nel quartiere borghese. infatti, ricorda nella predica che sono più diffuse altre droghe, come quelle del linguaggio, grazie alle quali un ragazzo può diventare “inadatto agli studi” se figlio di povera gente, così come un bombardamento di popolazioni inermi può diventare “azione a difesa della libertà”. La Curia lo vuole allontanare, i parrochiani tenere con sè e lui rifiuta di tornare da parroco alla Capraia. E’ in questo momento che una nuova strada gli si apre davanti dopo essere stato  accolto da don Rebora, parroco della chiesa di San Benedetto al Porto: la Comunità del “prete dei tossici”. “La cosa più importante – la sua filosofia – è che tutti noi dobbiamo sempre fare nostra è che si continui ad agire perché i poveri contino, abbiano la parola: i poveri, cioè la gente che non conta mai, quella che si può bistrattare e non ascoltare mai. Ecco, per questo dobbiamo continuare a lavorare!”. Ma non ci sono solo i “tossici”, la comunità cresce e tra gli ultimi si trovano le prostitute sfruttate, i trans, le persone “preziose” tanto care all’amico De Andrè. E se la droga è al centro del dibattito, come nel caso della repressione penale per il consumo di hashish e marijuana, lui provoca fumando uno spinello nel salone di rappresentanza di Palazzo Tursi. Ma il prete degli ultimi pensa a tutti, a chi ancora “ultimo” non è, come dimostra la sua ultima sfida, il corteo contro l’inaugurazione di una sala giochi a Pegli, un mese fa.

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