Il caso Moro continua a tingersi di giallo: aperto un nuovo fascicolo

ritrovamento-moro-orarioA seguito delle dichiarazioni dei due artificieri Vitantonio Raso e Giovanni Circhetta, che hanno raccontato come il ritrovamento della R4 dentro cui si trovava il cadavere di Aldo Moro sia avvenuto alle 11, quindi in un orario precedente rispetto quello sempre dichiarato, e hanno parlato anche della presenza dell’allora ministro degli Interni Cossiga in via Caetani, la procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine al riguardo che è stato affidato al pm Luca Palamara ed è connesso a quello aperto recentemente sulla base di un esposto di Ferdinando Imposimato in base al quale la morte dell’allora presidente della Dc poteva essere evitata. I due ex antisabotatori potrebbero venire convocati in tempi brevi a piazzale Clodio in veste di testimoni, considerato che il nuovo procedimento è stato avviato d’ufficio ed ha preso spunto proprio dalle notizie diffuse a proposito della loro versione che viene tuttavia smentita da Franco Alfano. All’epoca, il giornalista aveva 35 anni e lavorava per GBR. Fu lui il primo ad arrivare, assieme al suo operatore, in via Caetani, dov’era stata abbandonata la vettura. Stando alla sua versione, la Renault venne aperta dagli artificieri alle 14.

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Omicidio Moro: gli artificieri sul luogo prima della telefonata delle Br

aldo-moro-tuttacronaca

Era il 9 maggio del 1978 quando il corpo di Aldo Moro fu ritrovato all’interno di una R4 rossa in via Caetani, Roma. I primi ad arrivare sul luogo, all’epoca, furoni gli antisabotatori, che non furono mai interrogati. A raccogliere la loro testimonianza è stato proprio uno di loro, Vitantonio Raso, autore del libro “La bomba Umana” in cui vengono forniti dettagli che cambiano la storia che noi tutti conosciamo. Assieme al suo collega, il Maresciallo Giovanni Circhetta, Raso anticipa infatti l’ora del ritrovamento dell’auto, e del cadavere al suo interno, a prima delle 11. Ma la telefonata fatta dalle Br per annunciare l’uccisione di Moro e dare indicazioni su dove trovare il corpo, risale alle 12.30.

Ma non è tutto: gli artificieri arrivarono per controllare che l’auto non si trattasse in realtà di una trappola esplosiva e fu lo stesso Raso ad entrare per primo nella R4 rinvenendo così il corpo di Moro, celato sotto la coperta. Cossiga, che nelle versioni conosciute sarebbe arrivato in via Caetani poco prima delle 14, giunse in realtà poco dopo il ritrovamento e non avrebbe reagito in alcun modo alla scoperta del ritrovamento. “Quando dissi a Cossiga, tremando, che in quella macchina c’era il cadavere di Aldo Moro, Cossiga e i suoi non mi apparvero nè depressi, nè sorpresi come se sapessero o fossero già a conoscenza di tutto”, dice Raso. “Ricordo bene che il sangue sulle ferite di Moro era fresco. Più fresco di quello che vidi sui corpi in Via Fani, dove giunsi mezz’ora dopo la sparatoria”. E’ invece Circhetta che rivela un altro dettaglio: sul sedile anteriore della vettura sarebbe stata rinvenuta una lettera, che lo stesso Maresciallo si chiede dove sia finita. Dopo 35 anni, quindi, Raso chiarisce la questione degli orari, che prima, nella stesura del libro, aveva lasciata indeterminata. Il ritrovamento avvenne dunque circa un’ora e mezza prima della telefonata delle Brigate Rosse e sia Francesco Cossiga che un certo numero di alti funzionari assistettero alla prima identificazione del corpo tempo prima rispetto alle riprese di Gbr, girate a cavallo delle 14. Questo significa che Cossiga giunse due volte sul luogo del ritrovamento e dove gli sportelli lateriali della R4 furono ripetutamente aperti. Raso presenta dunque una versione diversa rispetto quanto raccontato fin’ora: “Sono ben consapevole. La telefonata delle Br delle 12.13 fu assolutamente inutile. Moro era in via Caetani da almeno due ore quando questa arrivò. Chi doveva sapere, sapeva. Ne parlo oggi per la prima volta, dopo averne accennato nel libro, perchè spero sempre che le mie parole possano servire a fare un pò di luce su una vicenda che per me rappresenta ancora un forte shock. Con la quale ancora non so convivere”. Raso non è mai stato interrogato.

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Nel cuore delle alghe e dei coralli: Giuseppe Impastato.

peppino impastato-tuttacronaca

Appartiene al suo sorriso
l’ansia dell’uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un po’ d’attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore.

(Peppino Impastato) 

Parlare di Peppino Impastato non è facile. Chiunque ci ha provato ha raccontato una “propria” verità che non è mai la Verità. Quella verità che è rimasta custodita nella vita strappata a Impastato.

I miei occhi giacciono
in fondo al mare
nel cuore delle alghe
e dei coralli.

(Peppino Impastato) 

Un uomo che nasce dentro la mafia, la respira in casa dove il padre Luigi è inviato al confino durante il periodo fascista per attività mafiose. Dove lo zio  e altri parenti erano mafiosi ed il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella,morto nel 1963 in un agguato. Mafia per Impastato è la vita quotidiana. Mafia è l’incubo a cui si sottrae quando, ancora ragazzo, decide di rompere con la sua famiglia… lui con quella gente non ha nulla da condividere, non sono sue quelle radici.

Oggi parlare di Impastato è cadere nell’ovvio. Ogni parola che si può dire è già stata spesa ampiamente intorno a questa figura. Un personaggio spesso assunto a simbolo, messo su un piedistallo e osannato, ma a cui ancora oggi, nessuno ha voluto dare veramente giustizia. Sono troppe le ombre sul delitto di mafia e a distanza di 35 anni i conti non tornano. Sono troppe le omissioni, sono troppe le incongruenze… le carte sparite,  i testimoni scomparsi. Si continua a idolatrare una persona forse per continuare a sviare ancora una volta la verità? Impastato forse non ha bisogno di essere osannato, ma ha la necessità di poter vedere dissipare ogni dubbio intorno alla sua morte. La memoria non basta se la obnubiliamo di troppe parole e troppe sono state spese senza dare chiarimenti sul caso Impastato. Ogni volta che qualcuno ha tentato di spezzare la catena e andare a fondo è stato fermato o dalle minacce o dalle querele. Simbolo della lotta contro la mafia, ma forse nonostante sia fuggito sin da ragazzo c’è chi poco a poco si è rimpossessato di lui… un martire a cui viene negata la verità.  E forse questa è ancora una volta l’ennesima vittoria mafiosa.

Quando mai la mafia ha avuto bisogno di “allestire una scena del crimine”?  Il discredito non è il perno intorno a cui si muove la mafia… quando l’uomo d’onore disonora non c’è giudizio da dare, si leva di mezzo e basta… non si deve dimostrare che era un “terrorista”, la mafia non ha interesse a dire “lo abbiamo dovuto fare perché era pericoloso”, non ha bisogno di altre legittimazioni al di fuori  del terrore, dell’ignoranza e della povertà. Il discredito di una persona si usa in politica, in amministrazione… nei poteri forti dello Stato, dove al colpo di pistola si sostituisce la macchina del fango. Nell’omicidio impastato si hanno entrambi gli elementi prima ti uccido e poi ti faccio apparire come un “nemico del popolo”.

Perchè quindi non iniziare a pensare che Impastato dava sicuramente molto fastidio alla mafia ma anche ad altri poteri? Un processo condotto con approssimazione, senza leggere la documentazione… Magistrati e carabinieri che lavorano alacremente per coprire un boss importante come Tano Badalamenti, il re della droga? Solo e unicamente per lui vengono inquinate le prove, sviate le investigazioni ed emesso un giudizio che non ha nessuna “pezza d’appoggio” per avere una validità? Solo per Tano Badalamenti viene fatto passare Impastato per un ragazzo “morto sul lavoro” mentre metteva bombe?

Poi i tempi cambiano per  Tano Badalamenti ma non per i poteri forti! Così Badalamenti va in carcere e il caso Impastatorimane avvolto nella nebbia. Vogliamo seguitare a farne un santino o gli riusciremo a dare dignità facendo emergere quella verità che ancora è sepolta?

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