I segni della crisi: in Italia sempre più under 35 vivono con i genitori

bamboccioni-tuttacronacaAll’ultimo Rapporto sulla coesione sociale sono state allegate delle tabelle elaborate in base a dati Istati che hanno rilevato come 6 milioni 964 mila i giovani tra i 18 e i 34 anni vivano con almeno un genitore. Si tratta del 61,2% degli under 35 non sposati. Una percentuale che nel 2012 risulta in crescita di due punti sul 2011. L’indagine ha emergere che è in crescita il numero di under 35 non ancora indipendenti ma che si devono appoggiare ai genitori e che non sono ancora in grado di progettare un futuro. Si tratta di 31mila giovani in più rispetto all’anno precedente, che ancora mangiano e dormono con la mamma e il papà. E soprattutto non sono solo ventenni: se tra i 18 e i 24 anni vivono a casa con i genitori in 3 milioni 864 mila, la cifra non si abbassa più di tanto andando a guardare tra i 25-34enni (3 milioni 100 mila). In altre parole a cavallo tra i 20 e 30 anni chi ancora non si è sposato in quasi la metà dei casi se ne sta con i suoi piuttosto che andare a vivere per conto proprio. Tornando alle percentuali, riferite alle persone celibi e nubili under 35, si scopre come il fenomeno sia più accentuato al Sud (68,3%, pari a 2 milioni 36 mila ragazzi).

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Ecco i choosy e i bamboccioni italiani… una generazione bruciata!

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Vivono con i genitori perché non possono permettersi un alloggio, devono a 40 anni ancora ricevere la “paghetta” perché non hanno un lavoro, sognano di fare lo spazzino per avere un posto fisso. Questo è il ritratto di una gioventù bruciata dall’incapacità e dalla corruzione politica. Una generazione che oggi si sente anche dimenticata dalla classe politica che parla solo di lavoro ai giovani e li emargina ulteriormente con scelte di sgravio fiscale solo per i lavoratori assunti sotto i 29 anni. Che futuro hanno?

Le prospettive negative sul futuro fanno sì che la situazione non cambi di molto tra gli studenti che nel 39% sono disponibili ad accettare uno stipendio ridotto a 500 euro al mese e nel 35% a lavorare più a lungo a parità di compenso. La situazione è profondamente diversa per i giovani occupati che solo nel 7% dei casi sono disponibili ad accettare lo stipendio ribassato mentre nel 23% dei casi sono pronti a lavorare più a lungo.

Questo è purtroppo il quadro che emerge dalla prima analisi Coldiretti/Swg su ‘I giovani e la crisì, presentata all’Assemblea di Giovani Impresa Coldiretti alla vigilia della presentazione del piano giovani del Governo, dalla quale si evidenzia che il 28% dei giovani tra i 35 ed i 40 anni sopravvive con i soldi di mamma e papà cosi come anche il 43% di quelli tra 25 e 34 anni e l’89% dei giovani con età tra 18 e 24 anni. “Da segnalare che – sottolinea la Coldiretti – l’aiuto economico dei genitori continua anche per più di un giovane occupato su quattro (27%) che non è comunque in grado di rinunciare al supporto finanziario dai familiari. La famiglia è diventata una rete di protezione sociale determinante che opera come fornitore di servizi e tutele per i membri che ne hanno bisogno”, ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che «la struttura della famiglia italiana in generale, e di quella agricola in particolare, considerata in passato superata, si è invece dimostrata, nei fatti, fondamentale per non far sprofondare nelle difficoltà della crisi moltissimi cittadini».
Lo conferma il fatto che il 51% dei giovani vive con i propri genitori e, di questo, solo il 13% per scelta, mentre il 38 perché non può permettersi un alloggio proprio. In particolare abita con mamma e papà addirittura il 26% dei giovani tra 35 e 40 anni, il 48% di quelli di quelli tra 25 e 34 anni e l’89% dei giovani con età tra i 18 e i 24 anni. La situazione è profondamente diversa per i giovani agricoltori che nel 32% dei casi vivono con i genitori perché non possono permettersi un alloggio alternativo, ma nel 31% dei casi lo fanno per scelta. Un atteggiamento che conferma i forti legami famigliari che caratterizzano l’impresa agricola dove è particolarmente solido il rapporto intergenerazionale.

Chi parlerà ancora di choosy e bamboccioni?

La riforma del lavoro: tra Youth Guarantee e staffetta generazionale

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Si punta a restituire flessibilità ai contratti a termine…  il primo dato è che per mettere mano alla legge Fornero occorre mettere mano alla revisione dei costi, quasi nulla si può fare a costo zero e tutto diventa subordinato alle decisioni europee in materia di ripresa economica. Ma su cosa punta Giovannini nel suo dossier per combattere la disoccupazione?

La staffetta generazionale è uno degli strumenti su cui si punta… agevolare l’uscita dal lavoro degli anziani in cambio dell’ingresso dei giovani, anche per quel che riguarda i dipendenti pubblici.  Come si può fare? Con due modelli. Il primo è quello di utilizzare un part-time per il lavoratore anziano che accetta di lavorare meno ore con uno stipendio più basso, fino alla fine della carriera (ma nelle condizioni in cui si trova oggi l’Italia è pensabile che un lavoratore con una famiglia da mantenere, con i figli all’università o disoccupati scelga, senza certezze, di ridurre il proprio stipendio per consentire a un giovane di entrare nel mondo del lavoro?) Un intervento del genere costa a spanne un miliardo di euro per 100 mila assunzioni. E’ sostenibile e dove si trova la copertura?

L’altro prevede invece che il lavoratore anziano vada in pensione prima della scadenza naturale, ma allora c’è da rivedere la legge Fornero che ha invece innalzato l’età pensionabile. In questo caso come si pensa di favorire l’uscita dal mondo del lavoro senza pensare a un congruo compenso economico?

Contratti a termine… si torna a essere precari! La legge Fornero aveva limitato l’uso dei contratti a termine, ora invece si vuole di nuovo puntare su questi contratti per trovare posti di lavoro… a scadenza. Saranno ridotti gli intervalli obbligatori tra un contratto a termine e l’altro che la Fornero aveva portato a 60 giorni per quelli fino a sei mesi, e 90 giorni per quelli più lunghi. Difficile che si torni pari pari alla situazione di prima: rispettivamente 10 e 20 giorni. Il punto di caduta finale potrebbe essere leggermente più alto (20 e 30) ma molto dipenderà proprio dal confronto con le parti sociali. Potrebbe essere allungata la durata del contratto a termine per il quale l’azienda non è tenuta a indicare una causale e che oggi non può superare l’anno. Mentre si studia la sospensione, forse per un anno, del contributo aggiuntivo che l’azienda deve pagare su tutti i contratti flessibili, lasciando però intatti gli sgravi previsti in caso di assunzione a tempo indeterminato. Dovrebbe essere poi semplificato l’apprendistato professionalizzante, ancora poco utilizzato per i tanti vincoli fissati dalla legge. Quindi diventerebbe una giungla per l’apprendistato che invece doveva sottostare a compiti precisi e svolgere una funzione professionale e fare da ponte tra scuola e lavoro.

La staffetta pubblica. Come per i privati anche per il pubblico impiego ci dovrebbe essere un avvicendamento generazionale. Questa riforma potrebbe essere a costo zero. Se si ritira un dipendente pubblico lo Stato risparmia perché deve pagare una pensione che è più bassa, in media di 8 mila euro l’anno, rispetto allo stipendio. Quindi con tre dipendenti che vanno in penisone si può assumere un giovane. 1:3 ? Quindi andare lentamente a svuotare gli uffici pubblici che se localmente sono sicuramente sopraorganico, centralmente sono invece deficitari proprio di personale. Inoltre tale meccanismo non è certo che possa immettere i giovani nel pubblico impiego perché alcuni posti lasciati dagli “anziani” non hanno più ragione di esistere. Quindi non c’è certezza che su 3 lavoratori che vanno in pensione si possa assumere un giovane. Inoltre sui posti eventualmente liberati dai pensionati ci sono gli occhi dei 110 mila precari della pubblica amministrazione, che il governo ha appena prorogato fino a dicembre, e anche di quelle 70 mila persone che hanno vinto un concorso pubblico, ma non sono state ancora assunte tra blocco del turnover e spending review. Quindi l’impiego pubblico per un giovane è un sogno quasi irrealizzabile?

Sgravi Fiscali… sì, ma limitati. Impossibile accogliere per i costi che comporta la proposta del Pdl: zero tasse e contributi sui giovani nuovi assunti. Si pensa perciò a un credito d’imposta per chi ha un reddito inferiore ai 17 mila euro… costo dell’operazione sarebbe di un miliardo e sicuramente i posti che si verrebbero a creare sarebbero molto inferiori a quelli preventivati con la riforma che voleva sostenere il centro-destra ma che non è sostenibile dal punto di vista economico.

La rivoluzione dei centri d’impiego. Un progetto europeo – lo Youth Guarantee – che mette 6 miliardi per 27 Paesi per garantire i giovani al di sotto dei 25 anni. La Youth Guarantee dovrebbe consentire che entro 4 mesi dal termine degli studi ci sia per il giovane un lavoro o almeno un programma di formazione. Ma il lavoro sarà a tempo determinato? E se il progetto di formazione una volta concluso non porti a un’assunzione? E che tipo di assunzione è prevista dopo il programma di formazione? Il modello viene dal Nord Europa, soprattutto dalla Svezia, dove ha dato buoni risultati, ma anche perché la struttura sociale svedese è ben diversa da quella italiana con un Pil in crescita e un’economia che non ha risentito pesantemente della crisi come in Italia.

Ma su tutti questi provvedimenti il primo a essere scettico è proprio Giovannini che si auspica che ricominci (magicamente a questo punto) a girare l’economia e si ripara dietro lo scudo che «È irrealistico pensare che interventi di natura normativa, fiscale e contributiva possano da soli riassorbire la disoccupazione».

Intanto viene alzata l’Iva che sicuramente frenerà le assunzioni e farà chiudere le aziende. Ci sarà anche la Tares che graverà sul reddito non solo delle famiglie ma anche delle imprese e il clima economico europeo non è certo dei migliori. La Germania è già in piena campagna elettorale e rimanderà ogni decisione sul cambiamento economico-politico e sociale fino a quando la Merkel non avrà la certezza di essere stata rieletta. Verranno quindi fatte promesse e siglati accordi futuri, ma nell’immediato sembra irreale che si riesca a sconfiggere in tempi brevi la disoccupazione giovanile e non.

Saviano contro il governo… dove è la lotta alla mafia?

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Salone del Libro di Torino 2013… è qui che si è svolta la “requisitoria” di Saviano contro il governo Letta che tra i suoi impegni programmatici non ha inserito la lotta alla mafia.    ”Se è  vero che l’economia criminale è la prima del paese, allora com’è possibile che quando questo governo è entrato in carica non abbia pronunciato la parola mafia?Eppure non si trattava di un problema secondario ma di un tema economico fondamentale”. Lo scrittore ha poi definito incredibile la scelta di affidare a Micciche’ un sottosegretariato.

Apre quindi una ferita che lacera l’Italia Roberto Saviano… la mafia controlla l’economia, il mondo del lavoro e la società. Le controlla con l’evasione, il crimine e il traffico di stupefacenti. Si fa largo nei quartieri e nel controllo dei territori con la politica del terrore e detta regole che “impoveriscono” i più e convogliano il denaro nelle mani di pochi… un governo di servizio non dovrebbe occuparsi di “questi luoghi comuni” che sono il male quotidiano di migliaia di cittadini che sono costretti ad aderire al crimine organizzato per non essere succubi di questo? In  un’Italia in crisi ci possiamo ancora permettere il “lusso” della mafia? Perché di lusso si tratta… quel sommerso che diventa evasione, quei lavori sporchi che diventano “il business”, quelle regole che si sostituiscono alla legge… tutto questo ha un costo economico enorme. L’Italia si impoverisce e la mafia si arricchisce… Dove è il governo italiano a impedire che ciò accada? Sta pensando come ridistribuire la tassa sull’Imu invece di portare avanti la lotta alla mafia e recuperare i “soldi sporchi”? Si parla si rilancio dell’economia e si lasciano i territori in mano ai clan mafiosi che gestiscono gli appalti e controllano gli imprenditori?

Nuove misure di tutela per i lavoratori. Arriva l’Aspi nel 2013!

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