La rivista Sports Illustrated ha scelto la Barbie come ragazza copertina in costume da bagno per il numero “swimsuit”. Al posto di una modella emergente in bikini, quindi, è apparsa la bambola di 55 anni creata dalla Mattel. Si tratta, sia nel caso di Sport Illustrated che in quello della creatura di plastica, di due icone e, nel rispettivo settore, bersaglio da decenni di accuse per il loro contributo a trasformare la donna in oggetto. Stavolta, per il magazine, l’annuale numero “in costume da bagno” intendeva essere la celebrazione del 50° anniversario dell’iniziativa. Ecco dunque la scelta della 55enne, ma sempre inossidabile, bambola della Mattel, con indosso lo stesso costume a strisce bianche e nere che la copriva quando venne presentata al mondo nel 1959. Ora che i due brand si sono alleati, non è passato molto prima che si accendesse il dibattito in rete. Il blog Mommyish ha sparato a zero: “Sport Illustrated mette in copertina Barbie in costume, così anche tua figlia può sentirsi brutta”. Non è piaciuto neanche lo slogan della campagna: “Unapologetic” (“impenitente”). Quello a cui mirano alla Mattel è di aggiornare continuamente l’immagine della bambola, in modo di renderla attrattiva per un pubblico contemporaneo. La vicepresidente del marketing, Lisa McKnight, ha spiegato che nel caso del gemellaggio con Sports Illustrated, l’obiettivo era quella di equipararla a icone storiche del numero “swimsuit” come Tyra Banks, Christie Brinkley, Kathy Ireland e Heidi Klum: top model esaltate non solo per la loro bellezza, ma anche per i loro successi di donne imprenditrici e in carriera.
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Italiani che trovano il successo all’estero: il caso del marchio Kinabuti
Caterina Bortolussi e Francesca Rosset, entrambe poco più che trentenni, sono arrivate in Nigeria alcuni anni fa e proprio nella capitale del Paese, Lagos, hanno creato il loro marchio di abbigliamento: Kinabuti. Come loro spiegano: “pensiamo di essere al posto giusto nel momento giusto”. La società risponde alla domanda di prodotti di “lusso” che sta sorgendo in alcune fasce di una popolazione che sta vivendo una progressiva crescita del benessere: la Nigeria è infatti uno dei paesi africani più ricchi di petrolio e il suo Pil aumenta al ritmo del 7-8% annuo. Qui ci si rivolge non solo ai prodotti importati dall’estero, ma anche a quelli realizzati in loro, che consentono di rispondere in modo più rapido ed efficace alle richieste della clientela valorizzando contemporaneamente le capacità artigianali del territorio. Si creano inoltre nuovi posti di lavoro e infatti l’azienda delle due italiane ha finanziato un programma di formazione che si rivolge a giovani donne che vivono nelle aree più degradate del paese.
Da qui sono uscite 21 ragazze che ora, a un anno e mezzo dall’avvio del progetto, lavorano stabilmente come modelle professioniste: le loro storie sono state raccontate dal regista svedese Marcus Wemer Hed nel docu-film “In our ghetto”.
15 donne della comunità di Rumolumeni, nel delta del Niger, stanno inoltre seguendo un corso di cucito e confezione per imparare a tagliare e cucire gli abiti secondo i canoni internazionali. Caterina racconta: “Ci sono i talenti, la voglia di fare ma non le competenze. Mancano le scuole di formazione, un sistema distributivo definito e una supply chain sicura”. E poi ci sono i problemi logistici, tipici di un paese in via di sviluppo (“le strade non funzionano, manca l’elettricità”).
Anche per questo i quantitativi prodotti attualmente da Kinabuti sono ancora limitati, ma – promettono le due socie – “non appena riusciamo ad aumentare la produzione, puntiamo ad esportare i nostri abiti anche in altri paesi”.
Pubblicato da tdy22 in settembre 2, 2013
https://tuttacronaca.wordpress.com/2013/09/02/italianikinabuti/
La moda è razzista? Forse solo marketing, ma i dati sono agghiaccianti
C’è veramente del razzismo nella moda? La domanda non è certo nuova se già Vogue Usa nel luglio del 2008 usciva con una copertina dal titolo “It’s fashion racist?”
In Italia, poco tempo prima, però, Franca Sozzani, nell’edizione tricolore di Vogue aveva pubblicato un numero con solo modelle nere.
Ma veniamo ora alle passerelle degli ultimi tempi. New York (come di Parigi, di Milano, di Londra) sono dominate da modelle bianche, ed è così dalla fine degli anni 90, ovvero dalla fine dell’era delle “supermodel” (Helena Christensen, Cindy Crawford, Naomi Campbell, Elle MacPherson, Claudia Schiffer).
Jezebel, un blog che si occupa di fashion, ha monitorato in questi anni la presenza delle minoranze nei defilè. Dopo un lieve incremento nel 2009, la percentuale delle modelle nere sulla passerella è rimasta stabile fino a quest’anno, quando è stata rilevata una percentuale del 6% di indossatrici nere nella Fashion Week di New York, in febbraio. L’anno scorso era stata del 8,1%. D’altro canto la presenza di modelle bianche nella settimana della moda newyorchese 2013 è stata dell’82,7%.
Non va meglio in Europa, dove stilisti come Phoebe Philo per Céline o Raf Simons per Dior hanno presentato intere collezioni senza una modella nera.
“C’è qualcosa che non va”, protesta Iman, modella somala protagonista delle sfilate di Calvin Klein, Versace e Yves Saint Laurent negli anni 70 e 80, anni nei quali per una modella nera era più facile sfilare. Iman, insieme a Bethann Hardison (che sfilava negli anni 60) è a capo di un movimento che vuole fare pressioni sugli stilisti newyorchesi perché usino più indossatrici nere a partire dalla prossima Fashion Week. La battagliera Iman non esita a citare Malcom X quando afferma che porterà avanti la sua crociata “Con ogni mezzo necessario”:
“Abbiamo un presidente nero, una first lady nera. Verrebbe da pensare che le cose siano cambiate, ma non sono cambiate. Anzi, invece di andare avanti siamo andati indietro… Mi sembra che i tempi richiedano di tracciare una linea con decisione, come negli anni 60, dicendo che se gli stilisti non usano modelle nere, allora noi li boicottiamo”.
È vero, alle sfilate dominano le bianche. Ma a ben guardare a essere sotto-rappresentata non è solo l’etnia africana. Fra le bianche sono sempre più rare le modelle mediterranee, mentre le indossatrici dell’Est sono la schiacciante maggioranza. Fra le minoranze, le sudamericane sono in netto declino così come le africane, mentre sono in deciso aumento le asiatiche.
Il criterio è razzista, ma è il razzismo del fatturato: in Asia l’alta moda incassa sempre di più, in Europa (così come nella black America) sempre di meno.
Pubblicato da tdy22 in agosto 19, 2013
https://tuttacronaca.wordpress.com/2013/08/19/la-moda-e-razzista-forse-solo-marketing-ma-i-dati-sono-agghiaccianti/
Non sei uno schizzo! La nuova campagna anti-anoressia
Suscita critiche e perplessità la nuova campagna anti-anoressia dell’agenzia brasiliana Star Models, “You are not a sketch”, creata con l’aiuto di Photoshop. Gli annunci mostrano un’illustrazione di moda, con le sue proporzioni tipicamente esagerate, accanto a una modella che indossa lo stesso vestito ed ha uguali misure del bozzetto: insomma, “una visualizzazione letterale di ciò che la moda definisce standard a”, secondo Liz Osborne-Leavell. Accanto alla doppia immagine un annuncio: “Tu non sei uno schizzo”. L’aspetto grafico della campagna è stato lodato come “potente” e ci si augura possa inviare un efficace messaggio anti-anoressia che vada a contrastare la moda del web della “thinspiration” ed i siti pro-anoressia. Anche Adam Green mette pollice alto alla campagna: “Mi piacciono questi annunci, perché affrontano la questione che l’anoressia sembra derivare dall’incapacità delle persone di distinguere la realtà dalla finzione.” C’è anche, però, chi pensa che, al contrario, questi annunci possano rappresentare l’ennesima arma in mano a chi diffonde il mito della magrezza a tutti i costi. “E’ una buona campagna per le ragazze giovani che non hanno ancora ceduto alla Cultura del sottile del nostro Paese, forse per stroncare la tendenza sul nascere. Ma per coloro che soffrono già di anoressia, questi modelli non sono altro che il loro obiettivo”.
Anche l’Italia non è nuova a queste immagini scioccanti: nel 2007 la campagna di Nolita aveva come interprete la modella Isabelle Caro. La ragazza all’epoca soffriva di anoressia ed è morta tre anni dopo, ancora 28enne.
Una cosa è certa: le agenzie di moda possono proporre milioni di immagini evocative e cercare di combattere questa piaga, sicuramente la stessa società potrebbe, a sua volta, cercare di capire e riconoscere i disagi che spingono sempre più adolescenti a percorrere la strada della magrezza a tutti i costi, anche se il prezzo ultimo dovesse essere la morte. Però finché i messaggi restano appesi ad un cartellone difficilmente riusciranno ad avere una vasta audience: ecco allora che serve anche “la pratica”: finché sulle riviste e le passerelle ci saranno ragazze che sì, assomigliano ad uno schizzo, difficilmente ci potrà essere un cambio di tendenza. Perché al giorno d’oggi sembra che la bellezza abbia due caratteristiche chiave: estrema magrezza ed eterna giovinezza. Il corpo di una donna, quello vero, è un’altra cosa. Il corpo di una donna, in ogni sua forma, è di per sé incredibile bellezza ed armonia: basta saperlo guardare con sguardo non condizionato! E, forse, c’è un’unica “cura” all’anoressia: amore e rispetto per se stessi.
Pubblicato da tdy22 in aprile 20, 2013
https://tuttacronaca.wordpress.com/2013/04/20/non-sei-uno-schizzo-la-nuova-campagna-anti-anoressia/
Il centro per l’anoressia diventa un punto di riferimento per le agenzie di moda
E’ aberrante con un centro per curare i disturbi alimentari a Stoccolma fosse diventato un punto d’interesse per le agenzie di modelling che qui potevano reperire le ragazze anoressiche da avviare al lavoro di modelle. Pazienti a cui venivano fatte offerte di lavoro proprio in virtù della loro malattia. Un messaggio naturalmente devastante come ha affermato la dottoressa Anna-Maria af Sandeberg, che ha spiegato come lo staff medico abbia anche ristretto l’accesso alla struttura solo per le famiglie e i pazienti cercando così di limitare i contatti tra i “talent scout” e le ragazze anoressiche.
Pubblicato da tdy22 in aprile 18, 2013
https://tuttacronaca.wordpress.com/2013/04/18/il-centro-per-lanoressia-diventa-un-punto-di-riferimento-per-le-agenzie-di-moda/
Sfilano i nudi!
Modelle svestite… può sembrare un ossimoro. Ma alla London Fashion Week succede anche questo. La stilista Pam Hogg manda in passerella un nudo integrale nella collezione di prêt-à-porter autunno/inverno 2013… Una sfida alla provocazione o al freddo? Nudo d’inverno… un attentato alla salute!
Pubblicato da tdy22 in febbraio 26, 2013
https://tuttacronaca.wordpress.com/2013/02/26/sfilano-modelle-nude/
Riprese in apnea per le copertine più glamour!
Che siano abiti o lingerie, il risultato non cambia. Quello che invece sembra una nuova frontiera della moda è il tentativo di inventare passerelle inusuali. Ma costa fatica. Questa volta ci ha provato il fotografo Dave Kotinsky che per il suo set ha scelto il fondo di una piscina. Modelle in posa e in apnea per un risultato che sembra piacere alle griffe. Sembra che il “subacqueo” sia all’ultima moda!
Pubblicato da tdy22 in febbraio 17, 2013
https://tuttacronaca.wordpress.com/2013/02/17/riprese-in-apnea-per-le-copertine-piu-glamour/
Poesie e racconti: i colori della fantasia
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