25 punti base ai tagli d’interesse. A tanto ammonta la sforbiciata compiuta oggi, a sorpresa, da Mario Draghi, che ha portato così il costo del denaro allo 0,25%, al minimo storico. Lo stesso presidente Bce ha spiegato che si tratta di una decisione varata con una “maggioranza significativa”, sottolineando che tutti “erano d’accordo” sulla necessità di agire e che l’unica divergenza riguardava il “quando”. Alla base della decisione c’è l’andamento dell’inflazione, lontana dal target del 2% e ora sotto l’1%. Draghi ha spiegato che si sperimenterà “”un lungo periodo di bassa inflazione”. L’incubo in questo senso si chiama deflazione, cioè una flessione generale del livello dei prezzi che però la Bce “non vede affatto all’orizzonte”. La Banca Centrale Europea, per sostenere la ripresa dell’eurozona è pronta a utilizzare “tutti gli strumenti a sua disposizione” mentre Francoforte ha deciso di condurre “le operazioni di rifinanziamento a più lungo termine a tre mesi (Ltro) fino alla fine del secondo trimestre del 2015”.
La crisi economica italiana potrebbe essere aggravata da 8 miliardi di euro di perdite create dai derivati che furono acquistati alla fine degli anni ’90, ovvero al periodo «precedente o subito successivo all’ingresso dell’Italia nell’euro». In quel periodo «Mario Draghi, attuale presidente della Bce, era direttore generale del Tesoro» afferma il Financial Times, sottolineando che il rapporto di 29 pagine non specifica le potenziali perdite dell’Italia sui derivati ristrutturati. Sentiti gli esperti e calcolato il valore al 20 giugno, il loro ammontare sarebbe intorno agli 8 miliardi di euro. Il rapporto – mette in evidenza il Financial Times – si riferisce solo alle «transazioni e all’esposizione sul debito nella prima metà del 2012, inclusa la ristrutturazione di otto contratti derivati con banche straniere dal valore nozionale di 31,7 miliardi di euro. Il rapporto lascia fuori dettagli cruciali e non fornisce una quadro completo delle perdite potenziali dell’Italia. Ma gli esperti che lo hanno esaminato – aggiunge il Financial Times – hanno detto che la ristrutturazione ha consentito al Tesoro di scaglionare i pagamenti dovuti alle banche straniere su un periodo più lungo ma, in alcuni casi, a termini più svantaggiosi per l’Italia». Il documento non nomina le banche né fornisce i dettagli sui contratti originali «ma gli esperti ritengono che risalgano alla fine degli anni 1990. In quel periodo Roma aggiustava i conti con pagamenti in anticipo dalle banche per centrare gli obiettivi di deficit fissati dall’Unione Europea per i primi 11 paesi che volevano aderire all’euro. Nel 1995 l’Italia aveva un un deficit di bilancio del 7,7%. Nel 1998, l’anno cruciale per l’approvazione del suo ingresso nell’euro, il deficit si era ridotto al 2,7%». Sul rapporto del Tesoro è intervenuta anche la Guardia di Finanza – riporta il Financial Times -, con perquisizioni lo scorso aprile negli uffici di Via XX Settembre.
Quando finiranno gli italiani di pagare gli errori del passato di cui non hanno colpa né peccato?