Si parla molto di meritocrazia, di studiare, di approfondire, di sapere almeno una lingua straniera… per poi restare disoccupati. C’è chi ancora ci racconta che migliori si è negli anni della formazione e più probabilità si avranno per un lavoro futuro. Poi dalle pagine del quotidiano La Repubblica apprendiamo che, in alcuni casi, basta una telefonata… quella segnalazione che può cambiarti la vita a scapito di chi Santi in Paradiso non ne ha e vede esaurirsi anche le speranze.
Questo è quello che è accaduto il 3 settembre 2012 quando Maria Rita Lorenzetti, ex presidente Pd della Regione Umbria e allora presidente di Italferr, agli arresti per associazione a delinquere e corruzione nell’inchiesta sui lavori del passante Tav di Firenze, chiama la professoressa Gaia Grossi, ordinaria di Chimica generale all’università di Perugia e suo ex assessore alle Politiche sociali alla Regione Umbria.
“Senti pisché, ti devo chiedere una cortesia. Tu una tale Romani di patologia generale la conosci?”. “Luigina Romani? L’assistente del rettore? Come no, certo, perché, che c’è?”.
Ecco la macchina della “segnalazione” che si mette in moto con una serie di contatti telefonici per raccomandare uno studente di Odontoiatria che ha “urgenza” di aprire uno studio a Terni ma teme che uno studente più danaroso di lui arrivi prima sul mercato. Quasi un “peccato nobile”? Sempre di peccato si tratta. È il padre del giovane a rivolgersi alla ex governatrice dell’Umbria: il ragazzo deve superare entro il mese l’esame di patologia generale. E lei si prodiga. I carabinieri del Ros di Firenze registrano.
La professoressa Grossi afferra al volo la richiesta: “Ho capito, ha bisogno di non essere fermato ingiustamente, diciamo così, per qualche finezza accademica”.
“Ecco ecco, brava, hai capito perfettamente, Gaia mia”, le fa eco la presidente Lorenzetti: “Noi siamo concrete e pratiche senza tante seghe. Insomma, questa è l’ansia di chi dice: “Io non è che sono figlio di papà, sono uno normale che però sto più avanti di quest’altro, allora vorrei arrivare prima””.
Sempre più nobili i ragionamenti della Lorenzetti… concretezza, praticità, nessun figlio di papà… solo qualcuno con un contatto di quelli che possono cambiare la vita. Sono forse le raffinatezze accademiche, che a volte in medicina, consentono di non uccidere un malato, a diventare “seghe” nel colloquio fra la Lorenzetti e la Grasso?
Il 6 settembre la professoressa Grossi annuncia alla amica Maria Rita di aver parlato con il rettore, il professor Francesco Bistoni, ordinario di microbiologia. “Lo vedo domani pomeriggio perché queste cose è meglio farle di persona, comunque si è prosternato perché gli ho detto da chi viene. “A disposizione” (ride). Ti faccio sapere domani… Però insomma la persona è molto molto, molto vicina a lui, è la sua allieva”. L’indomani annuncia: “Fatto!”. “Sei grande”, le risponde Lorenzetti. E la professoressa commenta: “Come si diceva, a noi chi c’ammazza?”.
Sicuramente conoscendo in anticipo chi ha avuto una “segnalazione”, il pericolo di cadere nelle mani di medici poco esperti diminuisce sicuramente…
Ecco che ancora da le pagine di La Repubblica si apprende:
Lorenzetti però ha bisogno di ulteriori chiarimenti: “Il ragazzo deve avere qualche informazione o va tranquillo?”. Risponde la professoressa: “Lui (il rettore, ndr) ha detto: “Cosa fatta””.
Ma il papà dello studente non è tranquillo. Meglio sarebbe se il figlio conoscesse in anticipo le domande. E qualche giorno più tardi provvede a riferire alla amica Lorenzetti gli argomenti preferiti dal figlio. Ma ancora non basta, perché la professoressa Romani non sembra aver capito che deve avere un occhio di riguardo per il ragazzo. Maria Rita Lorenzetti torna alla carica con Gaia Grossi: “Allora bisogna proprio che Frà (Francesco, il rettore, ndr)… Gli devi dire, guarda, proprio per le ragioni che ti ho detto io ci tengo proprio in modo particolare appunto che la chiami”. Perché – dice il padre del ragazzo – “a lui non gli può dire di no perché trema”. Cioè la docente non potrebbe dire di no al rettore. Maria Rita Lorenzetti non molla la presa. Insiste con l’amica perché si faccia di nuovo sentire col rettore: “Grazie pischella mia. Noi della vecchia guardia siamo sempre dalla parte del più debole”.
E anche la morale ha il suo giusto ruolo, tanto che:
Il 27 settembre Gaia Grossi la rassicura definitivamente: “Istruzioni per l’uso. Il capo è andato in laboratorio ieri. Ha parlato con i suoi, ha visto le analisi, sono tutte positive. Quindi la prognosi è positiva”. Previsione esatta. Poche ore più tardi il padre del ragazzo chiama Maria Rita Lorenzetti. È entusiasta: “Allora, il mio è andato a fare la visita, è rimasto contentissimo, però gli ha ordinato 30 analisi da fare”. La presidente resta un momento disorientata, poi capisce: “Eh, quindi? Alla grande. Ah, ecco 30 analisi, scusami, c’ho avuto un momento… Quindi alla grande”. In serata Maria Rita Lorenzetti invia un sms all’amica Grossi: “Tutto a posto. 30. Grazie e ringrazia il capo”.
Forse, a questo punto, indignarsi è un atteggiamento “qualunquista”, in fondo si è solo “segnalato” il più debole, non un figlio di papà! Poi i politici ci parlano di meritocrazia? Di diritto allo studio? Di costruirsi il futuro seduti davanti a un libro? Forse a volte serve solo alzare la cornetta del telefono!!!
Noi continuiamo a sperare, che in un mondo utopico, non dobbiamo più sentire “Grazie pischella mia. Noi della vecchia guardia siamo sempre dalla parte del più debole”.