Denuncia shock: l’ospedale che finge di curare con macchinari rotti

iene-malasanità-tuttacronaca“Lì la maggior parte dei macchinari non funziona”. Cosa significa? “Che sono rotti oppure li teniamo spenti”. Sono queste le prime affermazioni di una dipendente di un ospedale dove si finge di curare i pazienti con macchinari di fisioterapia guasti. A raccontare il caso di malasanità è Nadia Toffa del programma Le Iene (qui il servizio). La denuncia della dipendente che ha documentato ogni cosa grazie a una telecamera nascosta parla di macchinari malfunzionanti o addirittura guasti, scarsa igiene e poca serietà. Il filmato testimonia come nel reparto di fisioterapia i macchinari impiegati per le cure dei pazienti, che pagano da un minimo di 60 a un massimo di 200 euro, restino spenti coinvolgendo anche gli infermieri in una falsa che assume sempre più i connotati di una truffa.

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Medici vs avvocati: la guerra si fa con gli spot

avvocati-avvoltoi-tuttacronacaGli avvocati, con uno spot arrivato nei mesi scorsi, hanno invitato i pazienti a denunciare gli errori della malasanità. Ma i medici non sono rimasti in silenzio e la replica ora è pronta: “Per qualcuno siamo prede da spolpare”. La loro risposta arriva con un altro spot, nel quale gli avvocati sono rappresentati come avvoltoi, con una voce fuoricampo che recita: “Questa gente sta lì, in attesa, pronta a gettarsi sul medico che non ha saputo fare miracoli. Si approfitta della buona fede dei pazienti promettendo un facile arricchimento con cause milionarie”.
Dell’accaduto ne parla Cristiana Salvagni su Repubblica, dove spiega:

L’avvoltoio si guarda attorno con sguardo obliquo, le ali pronte a alzarsi in volo per scagliarsi sul prossimo boccone. «Per alcuni i medici sono prede gustose», spiega una voce fuori campo, mentre l’uccello gira e rigira in cielo, «questa gente sta lì, in attesa, pronta a gettarsi sul medico che non ha saputo fare miracoli. Si approfitta della buona fede dei pazienti promettendo un facile arricchimento con cause milionarie». Dura sessanta secondi il video che assesta l’ultimo colpo nella guerra degli spot tra medici e avvocati. Una sequenza che l’Amami, “Associazione medici accusati di malpractice ingiustamente”, ha presentato lunedì scorso contro gli “avvoltoi della malasanità”, appena qualche settimana dopo le polemiche per la pubblicità televisiva che invita a denunciare gli errori dei camici bianchi.
Fatto sta che i legali si sono riconosciuti nella metafora del rapace: il Consiglio nazionale forense ieri ha avviato una formale diffida per ottenere il ritiro dello spot e ha chiesto al ministero della Salute di prendere le distanze dal video, presentato durante un convegno sotto il suo patrocinio. «È di assoluta evidenza la volgarità dell’operazione diffamatoria, altamente lesiva della dignità di una professione deputata costituzionalmente alla difesa deidiritti dei cittadini», rileva il Cnf, riservandosi di procedere in tutte le sedi penali e civili.
A lanciare il pomo della discordia era stato qualche mese fa “Obiettivo risarcimento”, un gruppo di avvocati, medici legali e esperti che assiste a pagamento i malati, con uno spot che invitava i pazienti a far valere i propri diritti in tribunale. «Se sei vittima di un caso di malasanità hai dieci anni di tempo per reclamare quello che ti spetta. Chiamaci, uno staff sarà a tua disposizione a zero anticipi e zero rischi» dice il video. Apriti cielo: i chirurghi, a loro volta, avevano chiesto al ministro Lorenzin lo stop alla programmazione.
Da qui un’escalation di botta erisposta, fino a qualche reciproca caduta di stile. «Amami risponde a uno spot poco intelligente con un altro ancora più stupido e anche volgare — attacca l’Unione camere penali — in una gara al ribasso tra medici-macellai e avvocati- avvoltoi che sembra la fiera della stupidità». L’ultima parola, per ora, è toccata ai camici bianchi, che in serata hanno fatto ammenda. Ma con gli avvoltoi. «L’Amami chiede scusa a chi si è sentito offeso dal nostro spot, che con una metafora descrive il clima di pressione in cui lavorano i medici — spiega una nota — gli unici che hanno diritto a offendersi e ai quali siamo pronti a chiedere scusa sono i volatili».

Il messaggio shock di Crespi e la condanna alla malasanità?

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Paura per Lorenzo Crespi, nome d’arte di Vincenzo Leopizzi, che ha lanciato l’allarme su Twitter “Ennesima infezione polmonare, non dormo e non mangio da tre giorni, nessuno mi aiuta”. L’attore, ha scritto a più riprese sul social, dove ha anche spiegato i motivi per i quali non vuole ricoverarsi , ma che i medici, secondo quanto affermato dallo stesso Crespi su Twitter, non lo andrebbero a visitarlo a casa. I cinguettii sono continui: “”Non oso neanche immaginare come stanno i miei polmoni oggi..visto che qui non sanno leggere una tac..fatelo voi..o chi di dovere (…) Mai avrei voluto farlo. Ma voglio ancora vivere, Tornare sul set anche per l’ultima volta”. Poi le accuse: “Nessun medico si fa ancora vivo a casa mia, sono tre giorni che urlo di venire, niente, non so neanche quanti farmaci devo prendere (..) Al pronto soccorso a Messina? Non hai idea di quello che dici.. Preferirei morire lentamente nel mio letto..sono bestie”.

https://twitter.com/lorenzocrespi2/status/436810821004709888

Malasanità: attende un’ora e mezza per il parto, il piccolo nasce morto

ospedale_grassi_pronto_soccorso-tuttacronacaUna donna di 30 anni ha presentato una denuncia di malasanità nella quale afferma di aver partorito nello scorso mese di ottobre, nell’ospedale Grassi di Ostia un bambino nato morto. Nella denuncia si legge che la donna, prima di essere trasferita in questa struttura, era stata ricoverata al Sant’Eugenio. Qui, in preda alle doglie, l’avrebbero fatta attendere un’ora e mezza prima di visitarla e accompagnarla in sala parto. La stessa donna chiede si essere trasferita all’ospedale di Ostia. Ora la Procura della Repubblica di Roma ipotizza l’accusa di omicidio colposo. L’indagine, affidata al gruppo di magistrati che fa capo al procuratore aggiunto Leonardo Frisani, si svolgerà ora con l’affidamento di una consulenza per stabilire se i tempi di attesa indicati nella denuncia corrispondano al vero e stabilire così se nella vicenda sussistano fatti penalmente perseguibili.

Il web s’indigna per la foto di una donna costretta a partorire in giardino

parto-giardino-tuttacronacaSabino, il terzo figlio di Irma Lopez Aurelio e del marito Margarito Andrés Velásquez, è nato nel patio del Centro de Salud de Jalapa de Díaz, a Oaxaca, in Messico, lo scorso mercoledì. E il momento della sua nascita, quando lui si trovava steso sull’erba del giardino con il cordone ombelicale ancora intatto, è stato immortalato in una foto da Eloy Pacheco. L’immagine è poi apparsa sui giornali, scatenando l’ira della struttura ospedaliera, che ha sostenuto che, in questo modo, sono stati violati i diritti umani perchè la foto è apparsa in rete senza il consenso della donna che, al contrario, ha sostenuto che “A me conviene, perchè si sappia come sono le infermiere. Perchè la gente veda come si comportano le infermiere e i dottori.” A cosa si riferisce Irma? Messicana di origine india, la 28enne si era recata all’ospedale attorno alle due di notte dello scorso due ottobre, in preda a contrazioni sempre più forti. Lei e il marito, provenienti dalla Sierra Mezateca, non sono però stati accolti nella struttura per ragioni ancora da chiarire, forse per via dello scarso numero dei sanitari, forse a causa delle incomprensioni linguistiche: nella zona d’origine della coppia, infatti, lo spagnolo è poco parlato. Fatto sta che, come racconta Irma, nonostante fosse completamente dilatata e le acque si fossero rotte, l’infermiera le spiegò che il medico sarebbe arrivato alle 8. Solo che la donna ha partorito alle 7.30, nel giardino antistante l’ospedale. Solo a seguito delle sue urla al momento del parto i sanitari sono subito accorsi sulla scena e si sono presi cura della neomamma e del nuovo nato. Secondo quanto spiegato da German Tenorio, segretario dell’Ospedale di Oaxaca, il personale paramedico avrebbe semplicemente detto alla coppia di aspettare fuori dalla struttura in attesa che fosse preparato tutto l’occorrente per il parto, sottolineando come la donna avesse difficoltà a comprendere lo spagnolo. Del resto, anche se non ha ricevuto tempestive cure mediche, Irma e il marito hanno dovuto sostenere tutte le spese perchè la donna è stata ricoverata nel post-parto.

La malasanità… costa una gamba! Amputano l’arto sbagliato a un paziente

malasanità-amputazione-tuttacronacaAveva una gamba diabetica che doveva essere amputata ma, dopo l’intervento, la terribile scoperto: i medici hanno operato sulla gamba sana. Il grave errore che è costato a un meccanico di 54 anni è stato fatto in Brasile, all’ospedale universitario Pedro Ernesto di Rio de Janeiro. Ora i femiliari del paziente hanno deciso di rivolgersi alla magistratura mentre dall’ospedale si difendono: sostengono infatti di aver chiesto l’autorizzazione per amputare entrambi gli arti.

E’ morta un anno e mezzo fa e si trova ancora in obitorio

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Una storia assurda e agghiacciante quella legata al decesso di Luigina Cocco, nata nel 1921, morta in ospedale, a Padova, il 4 marzo 2012, dopo 40 giorni di sofferenze, ricoveri e dimissioni. Secondo i figli Giorgio e Sergio Ghiron, la madre non avrebbe ricevuto cure adeguate per la sua insufficienza renale, in pratica sarebbe stata sbagliata la terapia di idratazione. La donna infatti si era gonfiata come un pallone al punto da ingrassare di ben 20 chili e di trasudare acqua. Ora sembra che l’autopsia possa essere effettuata e alcuni nomi finiscono nel registro degli indagati: il primario di Nefrologia 2 Agostino Naso, 64 anni; il dottor Lorenzo Previato, 55 anni, della Clinica Medica 1; l’internista Sabina Zambon, 54; i due medici specializzandi (all’epoca dei fatti) Marco Arboit, 30 anni, e Francesco Simioni, 26; oltre al medico di famiglia il dottor Alberto Varotto, 55 anni.

L’odissea della signora Luigina non è ancora finita: il nullaosta per la sepoltura potrebbe non essere dato prima del completamento degli accertamenti medico-legali. Tempo richiesto: 60 giorni.

La malasanità uccise un’infermiera?

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Un’ex infermiera di 69 anni è morta, mesi fa, nel reparto di cardiologia dell’ospedale San Martino, a Genova, dove aveva lavorato. Sul decesso è stata aperta un’inchiesta ed è stato indagato un medico del reparto che aveva somministrato alla donna per due volte in 20 giorni un farmaco, per contrastare il suo affanno respiratorio, a cui era allergica. Dopo un primo trattamento la paziente aveva avuto una reazione allergica al medicinale, ma nonostante questo le è stato nuovamente somministrato. Secondo l’accusa il medico non avrebbe controllato la cartella clinica dove era riportata la reazione allergica alla prima somministrazione della medicina. Al funerale il marito ebbe un malore e morì dopo una lunga agonia.

Il ricovero di Raoul Bova: spunta la malasanità spagnola?

Raul-Bova-operato-tuttacronacaPrima i rumors e la smentita da parte del portavoce Marcello Rascelli che a Corriere.it aveva detto: “Raoul sta benissimo ed è a casa che se la ride, è vergognoso che girino notizie false come questa”. Dopo di che, la notiza che trapela è che Raoul Bova è stato sottoposto a un intervento di appendicectomia. A quel punto Rascelli parla all’ANSA spiegando che non è nulla di grave e l’attore sta bene. Sembrava potesse chiudersi la parentesi, concedendo la giusta privacy a un momento privato. Invece oggi sono stati diffusi nuovi, inquietanti, particolari. Il Corriere.it riporta infatti che Bova sarebbe stato colpito da peritonite mentre si trovava in Spagna, dov’è stato operato d’urgenza. A quel punto, raccontano le fonti, si sarebbe verificato un caso di malasanità: i medici spagnoli avrebbe lasciato residui di garza durante l’intervento. Una successiva complicazione avrebbe quindi richiesto un secondo ricovero in Italia rendendo necessario un secondo intervento. Resta comunque il fatto che l’attore sta bene tanto che è previsto il suo ritorno sul set del nuovo film di Fausto Brizzi, Indovina chi viene a Natale?, già per martedì: ce la farà? Nel frattempo in rete appaiono gli auguri per una pronta guarigione, arrivati anche da Rosario Fiorello.
fiorello-tweet-bova-tuttacronacaAggiornamento, ore 16:12

Potrebbe essere stato finalmente risolto il mistero sulle condizioni di salute di Raoul Bova. Stando al portavoce dell’attore, che ha rassicurato i fan sulle condizioni di salute del 42enne, “La scorsa settimana, Raoul Bova ha avuto febbre alta per alcuni giorni, nel corso delle riprese del film «Indovina chi viene a Natale». Per prudenza, essendo stato sottoposto circa due mesi fa a un intervento di appendicectomia, si è ritenuto opportuno ricorrere ad accertamenti, con un breve ricovero, che hanno dato esito negativo. La sintomatologia è regredita completamente, dopo terapia antibiotica e senza ulteriori interventi chirurgici. Non esiste alcuna relazione con il precedente intervento che è stato eseguito correttamente”.

Morire di parto nel 2013, elicottero rotto e nessun letto in rianimazione

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La sanità italiana è al collasso per i tagli effettuati dalla spending review e c’è chi lo paga con la vita. E’ successo a una donna di 40 anni, Antonia Seminara originaria di Gangi (Pa) ricoverata in nottata nell’ospedale di Sciacca, in condizioni precarie al termine di una gravidanza. Quando è arrivata al nosocomio di Nicosia (En)  i medici hanno  praticato il cesareo ma il bimbo non ce l’ha fatta. A quel punto è stato disposto il ricovero della donna in rianimazione, ma né ad Enna né a Caltanissetta erano disponibili posti nei reparti. L’unico libero era a Sciacca. Dopo aver aspettato inutilmente per ore l’elisoccorso che non si è potuto alzare in volo da Caltanissetta perché fuori uso a causa di un guasto, finalmente ne è arrivato uno da Palermo su richiesta dei carabinieri, ma per la donna era ormai troppo tardi. I familiari di Seminara hanno presentato una denuncia ai carabinieri e la procura di Nicosia ha aperto un inchiesta.

Il deputato regionale del Pd, Fabrizio Ferrandelli ha presentato un’interrogazione all’assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino. «Occorre – dice – accertare tutte le responsabilità e verificare se ci sono stati ritardi o errori imputabili ai servizi o alle strutture sanitarie siciliane. Sta di fatto che questa tragica vicenda ci invita tutti a riflettere, ancora una volta, sull’importanza dei punti nascita soprattutto nelle aree marginali della Sicilia distanti dalle grandi strutture ospedaliere».

Trasfusione assassina. Il sangue era contaminato!

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Dopo una trasfusione all’ospedale di Cosenza un uomo di 75 anni affetto da leucemia è morto. Ora i famigliari hanno presentato denuncia per avviare un’inchiesta che dovrà chiarire se la sacca di sangue trasfuso conteneva germi patogeni. Dalla cartella clinica dell’uomo si evince che la morte è sopraggiunta per “shock settico da serratia marcescens”. I famigliari hanno affermato nella loro denuncia che:

“Non appena iniziata la trasfusione,  nel preciso momento in cui il sangue dalla sacca iniziava a fluire nella vena, nostro padre iniziava improvvisamente a tremare e non riusciva a parlare. E’ stata subito staccata la sacca di sangue e attaccata una flebo di glucosio”. Alcune ore dopo la trasfusione le condizioni dell’uomo sono peggiorate ed il paziente è successivamente deceduto. Nella denuncia viene evidenziato inoltre che “è chiaro come la condotta negligente di chi ha fornito delle sacche di sangue infetto per le emotrasfusioni abbia non solo cagionato la morte improvvisa di nostro padre, ma ha messo in pericolo un’intera collettività sottoponendola a rischio di epidemie”.
 

Dimesso dall’ospedale con un antidolorifico, muore d’infarto

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Aveva 45 anni l’imprenditore edile di Oglianico in provincia di Torino, che si era recato al pronto soccorso dell’ospedale di Cuorgnè, per un problema ortopedico. Il medico ha somministrato al paziente un  normale antidolorifico, ma poche ore dopo che l’imprenditore era stato dimesso dall’ospedale è morto per un infarto. Ora si è aperta un’inchiesta per accertare se l’uomo è stato vittima di un presunto caso di malasanità. Questa mattina, sul corpo, sarà effettuato l’esame necroscopico disposto dallo stesso ospedale.

Pietro D’Amico scelse il suicidio assistito per un errore medico

d'amico-suicidio-assisstito-tuttacronacaAveva richiesto il suicidio assistito, l’ex magistrato calabrese di 62 anni Pietro D’Amico, di Vibo Valentia, morto in una clinica di Basilea, in Svizzera. L’uomo aveva scelto la dolce morte perchè convinto di essere affetto da una malattia incurabile. Stando a quanto emerso dall’autopsia voluta dalla figlia e dalla vedova e disposta dalla magistratura elvetica, però, questa patologia non esisteva, così come dimostrato anche dai “sofisticati e approfonditi esami di laboratorio dei reperti prelevati dal corpo”, che “hanno escluso perentoriamente l’esistenza di quella grave e incurabile patologia dichiarata da alcuni medici italiani e asseverata da alcuni medici svizzeri”, come rende noto l’avvocato Michele Roccisano, amico del magistrato morto e legale della vedova. In una nota si legge quindi del fatale errore medico: “D’Amico non era affetto da quella grave patologia che lo aveva convinto a chiedere il suicidio assistito. Un errore scientifico che ha portato a conseguenze fatali, poiché D’Amico, già depresso e convinto di essere gravemente malato, ebbe purtroppo quella terribile conferma che lo spinse a richiedere il suicidio assistito a Basilea. Furono proprio quelle errate diagnosi a convincere alcuni medici svizzeri, soprattutto Erika Preisig, dell’Associazione Eternal Spirit lifecircle, ad assisterlo in quel suicidio”. La nota prosegue quindi spiegando che sarà ora la magistratura italiana a stabilire se i medici italiani siano responsabili dell’errata diagnosi e se lo sbaglio sia dipeso da negligenza, imperizia, imprudenza, “tenuto anche conto del fatto che per poter accertare l’esistenza di quella patologia, avrebbero dovuto sottoporre il paziente ad esami strumentali specifici” che a D’Amico non furono mai prescritti. “La stessa magistratura – si legge poi – dovrà accertare il nesso di causalità fra l’errata diagnosi e il triste evento. Tanto più che in precedenti tentativi, non ancora provvisto di quelle errate certificazioni, D’Amico non aveva ottenuto dai medici svizzeri il suicidio assistito.” Ma un’indagine è stata aperta anche in Svizzera, dove ai medici è imposto “di accertarsi che sia affetto da una patologia terminale, non potendo gli stessi accogliere acriticamente i referti presentati dal paziente e/o i sintomi descritti dal paziente che spesso, specie se depresso, tende a somatizzare disturbi a volte dovuti a malanni molto più benigni. La legge svizzera prescrive anche che la diagnosi sia fatta da almeno due medici svizzeri diversi da quello che poi assiste il paziente al suicidio, mentre, nel caso, ciò sembra non essere avvenuto poiché uno dei medici che ha confermato la malattia era la stessa Erika Presig, ovvero la ‘dottoressa Morte'”.

Si sottopongono a interventi per migliorare la vista: la perdono

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Arriva il nuovo, presunto caso di malasanità e a puntare il dito è il capogruppo regionale del Pdl, Luca Gramazio. Nell’occhio del ciclone il reparto di oculistica dell’ospedale San Giovanni di Roma, dove due pazienti, sottopostisi a interventi per migliorare la vista l’avrebbero persa a causa dei “ferri per l’operazione non ben sterilizzati”. Ispezione della Regione Lazio. Sarà una commissione esterna, ora, a condurre l’indagine. Al momento i pazienti sarebbero sottoposti a terapia antibiotica nel tentativo di far loro recuperare la vista persa a seguito di due interventi di vitrectomia e per la rimozione di una cataratta, effettuati il 24 giugno. E mentre la direzione dell’ospedale si riserva l’eventuale “adozione dei più opportuni provvedimenti”, Gramazio annuncia un’interrogazione urgente al governatore zingaretti ponendosi anche l’obiettivo di “conoscere anche quali sono i rapporti tra il reparto oculistica dell’azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata e la fondazione Bietti, che fa ricerca proprio sull’oculistica”. Gianluigi Bracciale, direttore generale della struttura, dovrà fornire una relazione dettagliata su quanto accaduto mentre è stato disposto l’invio di un Nucleo di valutazione per verificare i fatti e appurare le ragioni che hanno portato alla perdita della vista dei due pazienti.  Sarà invece compito della Asl Rm C, competente per territorio, effettuare un sopralluogo nelle sale operatorie per verificare il rispetto rigoroso delle norme igieniche. Da parte sua Storace, vicepresidente del consiglio regionale del Lazio, teme che alcuni dirigenti potrebbero aver “sottovalutato la richiesta dell’ospedale riguardo alla mancata autorizzazione a indire la gara per la sterilizzazione della struttura”.

Villa Mafalda ancora nel mirino: “false diagnosi di tumore”

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Quattro medici e tre infermieri della clinica romana Villa Mafalda sono finiti nel registro della Procura che sospetta che le cartelle cliniche della casa di cura siano state gonfiate per ottenere ingenti rimborsi dalle assicurazioni sanitarie. Le indagini riguardano la diagnosi di tumori a persone sane, allo scopo di spingerle a radioterapie o addirittura trattamenti di chemio. Ma non è la prima volta che la clinica finisce nel mirino della giustizia: già in passato è stata al centro di altri casi, come le operazioni di chirurgia estetica fatte passare come operazioni urgenti e, lo scorso inverno, del caso dell’assistenza allo scrittore Alberto Bevilacqua, che, secondo la famiglia, era “ostaggio” della clinica. Stando ai pm, la pratica durerebbe da circa quattro anni durante i quali venivano diagnosticati, al paziente, falsi tumori dopo dei banali interventi chirurgici oppure dopo esami in cui le neoplasie benigne venivano fatte passare come maligne. A Villa Mafalda le accuse vegono respinte e si chiede un incidente probatorio, con consulenti esterni chiamati alle perizie sui casi. “Gonfiare le diagnosi è insensato – è la difesa – il materiale biologico su cui fondiamo le diagnosi viene inviato anche negli Stati Uniti. Le nostre verifiche sono maniacali, l’errore emergerebbe subito. L’accusa si scioglierà come neve al sole”.

La questione di siringhe che ha sconvolto il Parlamento

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A Montecitorio si sente di tutto e questo non è una novità, ma ancora una questione sulle siringhe non l’avevamo sentita e nonostante si sia detto nei giorni scorsi di abbassare i toni nella politica, per evitare altri attentati, sembra proprio che ci sia chi, invece, le polemiche le voglia alimentare.

E’ parso strano a tutti il curriculum della neo-ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, una diplomata del liceo classico che viene messa senza nessun esperienza pregressa a capo di uno dei ministeri più bollenti e più delicati. Un ministero che deve fare i conti con i tagli operati da Monti, con tantissimi Istituti in profondo rosso e con problemi di malasanità che continuano a verificarsi. Risorse che non ci sono, ricerca quasi assente e nepotismo dilagante. Sicuramente Beatrice Lorenzin farà un ottimo lavoro, e la laurea non è un requisito richiesto per fare il ministro, ma quello che lascia perplessi è che nelle parole di Letta si era più volte riscontrata la ferma volontà di avere persone con esperienza, cosa che non è accaduta per uno dei ministeri chiave come la Sanità.

Non a caso la cittadina a Cinque Stelle Silvia Giordano aveva fatto notare una strana discrepanza che si era venuta a creare con l’incarico alla Lorenzin:

“Non capisco perché noi, per la nostra età e per la nostra mancata esperienza nei palazzi, da mesi ci sentiamo dire da chiunque che siamo degli incompetenti mentre quando il presidente del Consiglio presenta come ministro della Salute una persona che non ha mai visto neanche una siringa oltre che una laurea, è una persona simbolo del cambiamento generazionale e di aria nuova mah… Spiegatemelo, non ci sono ancora arrivata, ma da ignorante è probabile che sono io a non cogliere il senso logico…”

La risposta del Pdl non si è fatta attendere ed è puntualmente giunta a giro di e-mail con la firma di Luca d’Alessandro.

“E’ grave che, solo per distinguersi e per amor di polemica, certi grillini non facciano altro che offendere e dileggiare. Il ministro Lorenzin, in questi anni, si è distinta per serietà e competenza, valori assai importanti per chi è chiamato a occupare ruoli di responsabilità e di amministrazione della cosa pubblica. Queste sono le doti che le sono richieste e che ha di certo, per guidare il ministero della Salute, non la capacita’ di fare iniezioni. Non so se l’onorevole Lorenzin abbia mai visto una siringa ma, a giudicare dal suo sbagliato intervento, ci auguriamo che la cittadina Silvia Giordano non ne abbia viste forse un po’ troppe”.

Quello che lascia perplessi è il tono di polemica e di attacco. La macchina del fango che immediatamente vuole travolgere Silvia Giordano senza rispondere alla sua provocazione con alcuni fatti certi che avrebbero smontato la sua tesi. C’è solo un atto di arroganza senza dare spiegazioni del percorso che ha portato a scegliere la Lorenzin al Ministero della Salute. Magari se fosse spiegato con parole semplici e senza inutili e sterili polemiche si riuscirebbe a dialogare meglio tra le forze in parlamento, sembra quasi che il Pdl debba attaccare per difendere… ma questo atteggiamento è dei deboli e di chi ha qualcosa da nascondere… dove non c’è chiarezza e trasparenza… visto che invece confidiamo che la scelta della neo ministra possa davvero essere all’insegna del cambiamento e del ricambio generazionale ci aspettiamo qualche risposta ulteriore che possa dissipare ogni ragionevole dubbio.

Morire a 53 anni per i calcoli alla cistifelia… sanità 2.0!

Giuseppina Mazzariello -tuttacronaca

Pronto Soccorso Tor Vergata, Roma. 14 ore di sofferenza con dolori lancinanti all’addome e poi la morte. Giuseppina Mazzariello aveva 53 anni ed è morta per i calcoli alla cistifelia. Ora il marito, Antonino Nastasi, cerca chiarezza sulle responsabilità legate al decesso e  ha sporto denuncia contro medici e infermieri del policlinico perché «non si può morire di calcoli alla cistifellea. Me l’hanno ammazzata. Voglio giustizia. Se qualcuno ha sbagliato deve pagare perché cose del genere non devono più accadere. L’hanno abbandonata su una barella per ore facendole dei blandi antidolorifici e alla fine le è scoppiato il cuore. E’ morta davanti agli occhi di nostra figlia».

Giuseppina è arrivata al pronto soccorso di Tor Vergata mercoledì, accompagnata dal marito. Erano le 13 e il suo era un codice giallo, ma alle 19 gli accertamenti hanno scoperto dei calcoli alla cistifellea uno dei quali, a detta dei medici, gliel’aveva perforata. «Con una diagnosi simile – dice il marito – avrebbero dovuto operarla d’urgenza e invece ci hanno detto che l’avrebbero tenuta in osservazione per tutta la notte. E’ stata 8 ore in barella – prosegue l’uomo – poi l’hanno portata nell’astanteria del Dea dove è rimasta fino a quando non ha esalato l’ultimo respiro. Aveva dei dolori fortissimi e urlava disperata, ma nessuno se ne preoccupava. L’hanno tenuta con le flebo attaccate tutto il giorno facendole degli antidolorifici inutili che non le alleviavano la sofferenza. Mia figlia chiamava le infermiere per avere assistenza, ma le rispondevano ‘Che cosa ci possiamo fare?’». «Alle 3 di notte mia figlia l’ha vista impallidire e subito il collo e il viso le sono diventati scuri – ricorda Nastasi -. Una dottoressa ha cercato di rianimarla, ma non c’è stato nulla da fare. Non si può morire così a 53 anni».

Muore bimbo di 7 mesi, rimandato a casa dall’ospedale!

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È morto a 7 mesi, dopo che al Pronto Soccorso lo avevano visitato e rimandato a casa con una terapia antibiotica e antipiretica. La tragedia ieri sera a Chivasso. Il bimbo aveva febbre e gola arrossata. Tre ore dopo, però, i genitori si sono ripresentati: il piccolo, in stato di shock, è morto poco dopo il trasferimento a Torino. Di nuovo un caso di malasanità, di superficialità nella diagnosi e di tagli che iniziano a mostrare il lato buio in cui versano gli ospedali italiani. Pochi medici nei turni di notte, poco personale e spesso strutture che avrebbero bisogno di una ristrutturazione profonda… ma era più importante il pareggio di bilancio piuttosto che una vita umana!

Non c’è la terapia intensiva e un 24enne muore!

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Serviva un posto in terapia intensiva, ma per trovarne uno libero ha dovuto percorrere in ambulanza 150 chilometri. Alla fine O.C., 24 anni, bergamasco di Serina, è morto per le conseguenze di un’occlusione intestinale. Il giovane, disabile dalla nascita, era arrivato all’ospedale di San Giovanni Bianco, in Val Brembana, lamentando dolori addominali. Dopo un primo trattamento farmacologico le sue condizioni sono peggiorate. I medici hanno deciso per l’intervento, ma serviva una struttura con terapia intensiva. Negli ospedali bergamaschi nessuno dei 91 posti letto era disponibile e alla fine è stato necessario portare il paziente fino a Cremona

Visto che l’elicottero non poteva effettuare il trasferimento per problemi di nebbia, il trasporto è avvenuto in ambulanza. Dopo due ore di viaggio il giovane è arrivato nell’ospedale di Cremona, dove è stato sottoposto a un intervento che però non è riuscito a salvarlo.

Diagnosticano un cancro, ma era solo gastrite!

BENVENUTI ALL’OSPEDALE DI BRESCIA! malasanità

MALASANITA’: direttore unità di ospedale Cotugno (Na) raggiunto da divieto di dimora

Raffaele Pelella, direttore dell’Unita’ operativa Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Cotugno e’ stato raggiunto da un’ordinanza di divieto di dimora. Al medico sono contestati reati circa falso e truffa ai danni dell’azienda ospedaliera.
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Lasciata una donna morta 4 ore in reparto, anche durante orario di visita

BENVENUTI IN ITALIA!

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Tensione stampa- procura a Bologna per il caso Bragaglia

Gino Bragaglia, 86 anni scompare dal reparto di Medicina Interna e viene ritrovato  morto due giorni e mezzo dopo su una scala di emergenza dal figlio. la procura apre un’inchiesta con i nominativi dello staff medico in servizio. I nomi vengono pubblicati sulla stampa locale. Ora si profila l’accusa di violazione del segreto istruttorio.

BENVENUTI IN ITALIA… FRA MALASANITA’, STAMPA e GIUSTIZIA!

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Periti vs Malasanità: la morte di Cucchi era prevedibile, cure non adeguate

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Ortopedico corrotto! Chiede soldi al paziente per operarlo a carico del SSN

BENVENUTI IN ITALIA!

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Durante il lavoro faceva gol! Sospensione per medico assenteista

Bologna, fannulloni in corsia: 6 giorni di lavoro in 9 anni. Condanna a 2 anni.

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Omonimie e sbagli: 7 volte sbagliano la cartella clinica a Franco Salerno

E’ stato scambiato dal Grassi di Ostia per un bambino di 8 anni, per un anziano di 76 anni e per un paziente deceduto. In realtà Franco Salerno è un imprenditore che lotta dal 2009 con una grave malattia.

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Donna morta all’ospedale San Giovanni di Roma: 67 indagati tra medici e infermieri

Condannati in 10 per il caso dei “tubi scambiati”

Malasanità… Benvenuti in Italia!

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Poesie e racconti: i colori della fantasia

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