Sono state chieste le tende per cercare di dare un riparo ai 400 migranti che dormono a cielo aperto non avendo più posto nei centri di prima accoglienza. Il disagio si sente da Lampedusa a Porto Empedocle, da Salina Grande al centro di Milo a Trapani. L’immagine è sempre la stessa: i panni sulla rete e i materassi sulle aree all’aperto. Eppure le tende ci sarebbero, sono ammassate nei magazzini della protezione civile. In giro si dice che mancano le autorizzazioni: problemi di sicurezza? Certificazioni anti-incendio? Burocrazia lenta?
Intanto c’è chi come Jacopo Fo, figlio del premio Nobel, si dice disponibile a mandare in Sicilia 100 tende ma il sindaco Giusy Nicolini non ha accolto il dono di Fo.
“Ho pensato di mandare giù cento tende da campeggio – racconta Jacopo – dopo aver visto le immagini di disperati che dormono su cartoni e stracci, i vestiti appesi a una rete e la pioggia che bagna tutto. Ho telefonato alla sindaca di Lampedusa. La risposta è stata: “Non dipende da noi”. Ho chiamato in prefettura, mi hanno invitato a inviare un fax”. Inutile ogni tentativo di contattare il prefetto di Agrigento: non risponde mai”.
Come mai non dipende dal sindaco? Eppure dovrebbe rientrare nelle sue competenze…
Ma i segnali positivi sono mancati anche dallo Stato centrale come racconta La Repubblica:
Durante la conferenza stampa del presidente del Consiglio, Enrico Letta, e del presidente della Commissione europea, José Barroso, a Lampedusa, un cronista ha chiesto perché non si montassero quelle quattro tende subito disponibili. C’è stato molto imbarazzo: Letta ha passato il microfono al ministro Angelino Alfano. Lui l’ha presa alla lontana, spiegando che era stato bandito l’appalto per la ricostruzione della parte del centro di accoglienza distrutta da un incendio un paio d’anni fa. Cosa c’entri con le tende non è dato sapere. Il ministro ha preferito rassicurare che parte dei 30 milioni stanziati dall’Europa andranno ai comuni agrigentini che hanno offerto i loro cimiteri per seppellire le vittime.
“Chi ha rubato i fiori del presidente Napolitano?”: avvolto dall’abbraccio delle nipoti, Dario Fo cerca di alleggerire con una battuta il dolore dei suoi cari prima della tumulazione della sua Franca, la cui salma è stata posta nel famedio del cimitero monumentale, al fianco della tomba di Enzo Jannacci, con il quale era amica fin dal 1963, quando si erano conosciuti al Derby, il locale milanese di cabaret dove allora passava il meglio della creatività irriverente meneghina. Tra Enzo Jannacci, Dario Fo e Franca Rame è nato allora un legame artistico, umano, cameratesco, amicale leale, solido e divertente come raramente succede nel mondo dello spettacolo e che non è mai terminato. La notizia della morte dell’amico, Franca l’ha appresa quando si trovava, con il marito, a Gubbio, all’università di Alcatraz, dove stavano tenendo un corso di teatro. “Sono disperata, disperata”, aveva detto tra le lacrime. Era stato proprio Dario Fo a tenere a battesimo, nel dicembre 1964, il disco di esordio di Jannacci, La Milano di Enzo Jannacci. Una collaborazione che continua e, nel 1968 arrivò anche Vengo anch’io. Da allora Enzo, Dario e Franca hanno continuato a mescolare allegre serate in famiglia e lavoro. Raccontava Franca: “E c’era anche la Pupa, la moglie di Enzo. Eravamo e siamo davvero amici fraterni, mi pare di conoscerlo da sempre. Quante cene e quante feste noi quattro insieme. E quanti lavori. Un giorno me li vedo arrivare a casa, Dario e Enzo, e mi dicono ‘senti che bella canzone che abbiamo creato’. E si mettono a cantare ‘o mio buon padre non bere quel vino / o mio buon padre / non bere quel vino che l’è avvelenà…..’. Era Donna lombarda, un celebre canto popolare lombardo. ‘Ladri’ ho detto. Erano due burloni mascalzoni”. E ancora un ultimo, struggente, ricordo. “Un anno fa era venuto a trovarci a Cesenatico. La mattina non mi riconosceva, per i sedativi che prendeva. Poi ci è tornato quest’estate e faceva l’impossibile per far vedere che stava bene. Continuava a ridere, faceva i bagni e sapevamo tutti che aveva le metastasi e che non stava bene. Ma aveva questa forza, la forza di continuare a ridere, anche se soffriva, perché soffriva. Era medico e sapeva tutto”.
Erano migliaia, oggi, le persone in piazza, uomini e soprattutto donne, e tanti giovani, soprattutto quelli di movimento, arrivati con un camioncino. Il corteo, partito dal Piccolo di via Rovello, dove era stata allestita la camera ardente, è giunto allo Strehler accompagnato da lunghi applausi ed è stato accolto dai gonfaloni delle istituzioni e da tanti fiori sotto una gigantografia di Franca Rame, posta sul palco. Tra gli altri, hanno dato il loro ultimo saluto all’attrice il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, la moglie Cinzia Sasso, l’ex attivista della sinistra extraparlamentare Oreste Scalzone, lo scrittore Stefano Benni e il leader del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo (che ha salutato il premio Nobel e ha portato con sé una rosa rossa). A salutarla anche Inge Feltrinelli, vestita di rosa, uno dei colori preferiti da Franca Rame. “Era la più elegante la più vistosa. Era coraggiosa, solare, una delle poche donne speciali di questo periodo”. Anche l’addio al Piccolo Teatro era un desiderio di Franca Rame. “E’ normale, doveroso ed era un suo desiderio. Me l’ha detto Dario quando sono andato a trovarlo”, ha spiegato il direttore Sergio Escobar. E le donne intervenute oggi hanno accolto il suo apello: le voleva vestite di rosso e non le sarebbe dispiaciuto che le cantassero “O bella ciao”. E così è stato, in un momento di commozione che ha abbracciato tutta la folla presente.
Anche il sindaco Pisapia, aprendo la cerimonia, le ha inviato un messaggio: “Franca sei stata e sei proprio brava: anche oggi hai riempito la piazza. E tutto attorno a te c’e’ la volonta’ perchè le tue e nostre speranze diventino realtà, un mondo per cui continueremo a batterci e sappiamo che tu ci accompagnerai.” “Quanti cortei, quanta indignazione, quanta voglia di combattere contro le ingiustizie: questa è la Franca che piangiamo e che rimpiangeremo”, ha aggiunto. Poi ha conlcuso: “Sei stata una donna coraggiosa, forte e libera: guardereno la tua forza per essere anche noi piu’ forti, al tuo coraggio per non avere piu’ paura, all tua liberta’ per difendere quella di tutti noi”.Anche il figlio ha preso la parola, commosso: “Se si sono estinti i dinosauri, si estingueranno anche questi qua, queste persone che non hanno amore né rispetto per l’umanità. Vorrei che andaste a casa con un po’ di fiducia, perché, come diceva mia madre, Dio c’è ed è comunista. E io aggiungo che è anche femmina”. Jacopo Fo ha ringraziato tutti: “Quella di ieri è stata un’esperienza pazzesca, quanti compagni, quante compagne abbiamo visto. Tutti mi hanno detto che mia madre ha fatto qualcosa per gli altri”. Ha aggiunto anche un suo ricordo personale: “A 16 anni mi disse che dovevo fare un fumetto sul manicomio criminale di Aversa, un luogo dove venivano fatte cose orribili. Lei, da parlamentare, riuscì a far chiudere quell’orrore. Ora quando sento i compagni delusi che dicono che non abbiamo combinato nulla in questi 40 anni io dico: ‘Non è vero’. Oggi abbiamo dei problemi enormi, ma 40 anni fa era peggio e noi abbiamo lottato per questo”. E’ tornato anche sulle polemiche legate al servizio del Tg2: “Qualche imbecille ha parlato della bellezza di mia madre”, ha detto, ricordando la vicenda dello stupro di cui la madre fu vittima negli anni ’60. “Che cazzata”, ha proseguito, “mia madre rompeva i coglioni e per loro era intollerabile che ci fosse una donna, una bella donna, che si opponeva a questo orrore”.
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Il suo Dario, invece, fedele a quanto dichiarato ieri, “Non sarà una commemorazione, ma un commiato”, non ripercorre la vita insieme, ma recita un testo che la moglie, per una volta da sola, e non a quattro mani come erano soliti fare, aveva scritto sulla creazione di Adamo ed Eva e la rinuncia al paradiso terrestre. Poi chiude con queste parole: “C’e’ una regola antica nel teatro: quando hai concluso non c’e’ bisogno che tu dica un’altra parola: saluta e pensa che quella gente che hai accontentato nel pensiero e nella parola ti sarà riconoscente. Ciaooo!”. Un “ciao” lunghissimo alla sua Franca, urlato con la gola chiusa dal pianto.
a quanto dichiarato il giorno prima, “Non sarà una commemorazione, ma un commiato”, Fo non ripercorre la vita insieme, ma recita un testo che la moglie aveva scritto sulla creazione di Adamo ed Eva e la rinuncia al paradiso terrestre. Poi chiude con queste parole: “C’e’ una regola antica nel teatro: quando hai concluso non c’e’ bisogno che tu dica un’altra parola: saluta e pensa che quella gente che hai accontentato nel pensiero e nella parola ti sarà riconoscente. Ciaooo!”. Un “ciao” lunghissimo alla sua Franca, urlato con la gola chiusa dal pianto.
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