La rivoluzione scolastica taglierà le pensioni? Scontro generazionale

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Lo si sapeva, ma ci si aspettava che la guerra generazionale fosse condotta dopo una attenta riflessione, invece il governo Renzi asfalta immediatamente i pensionati e mira dritto a scardinare i diritti acquisiti come gli scatti di anzianità dei professori. “Basta scatti” questa sarà la nuova bayyaglia che già dalle prime ore della sua investitura a ministro dell’Istruzione Stefania Giannini vuole portare avanti. Si punterà sul merito… ma come sarà rilevato questo merito? Si passerà a calcolare le attività extrascolastiche? Quindi una lezione preparata con attenzione che segue il programma ministeriale passerà in subordine a una visita al museo dove i ragazzi possono correre felici nel parco? Oppure si darà rilievo ai professori che usano la tecnologia nelle scuole all’avanguardia, mentre in periferia i professori non hanno i gessi per scrivere alla lavagna? Interrogativi che non sono nuovi, ma tornano di attualità anche alla luce delle parole della neoministro che in attesa della fiducia nei due rami del Parlamento già sentenzia”Un Paese che spende 265 miliardi in pensioni e solo 54 miliardi per scuola e ricerca – dice il neo ministro, segretaria di Scelta Civica – deve porsi qualche interrogativo”.  “Gli automatismi sono il frutto di un mancato coraggio politico del passato – dice Stefania Giannini -. Ma ovviamente sto parlando in modo generale, prescindendo da eventuali misure che ancora non ho neanche lontanamento concepito”.

Quindi non possiamo dire come secondo lei dovrebbe essere applicato il principio della valutazione meritocratica?

“C’è una terza parola fondamentale: autonomia – risponde il neo ministro dell’Istruzione -. La valutazione si collega all’autonimia e alla responsabilità di chi è autore del processo. Posso fare l’esempio delle università, che sono diventate responsabili di sé stesse da quando sono istituzioni con bilancio autonomo. Credo che anche nella scuola si debba introdurre questo concetto”.

Lei in passato ha detto che, a suo giudizio, nelle università andrebbero aboliti i concorsi.

«Ora però sono ministro e posso solo dire che questo capitolo va certamente rivisitato».

Ma qual è l’alternativa al concorso pubblico? L’assunzione per chiamata diretta

«No, non funzionerebbe in un sistema come quello italiano ed europeo».

E allora?

«E allora autonomia e responsabilità. Le università dovrebbero poter adottare il loro sistema valutativo, e rispondere del prodotto finale, dei risultati conseguiti».

E come si misurano i risultati raggiunti da un’università?

«Si possono seguire gli esempi di altri paesi che hanno fatto scelte politicamente diverse dalle nostre, più proiettate verso il futuro».

Quali paesi?

«Per esempio la Gran Bretagna. Dove sono passati da una valutazione dei risultati puramente quantitativa a una valutazione anche qualitativa».  

Il sistema inglese di valutazione è complesso e articolato. Le valutazioni dei professori avvengono durante l’arco della loro carriera e comportano una serie di controlli e verifiche date da corsi di aggiornamento e tecniche di insegnamento che vengono modificate in base alla scuola in cui insegnano. Chi può poi con assoluta sicurezza affermare che un professore con un ottimo curriculum sia il migliore per trasferire le sue nozioni ai ragazzi? Si può sapere molto, essere enciclopedie viventi ed essere totalmente incapaci di insegnare… pura demagogia e populismo o solo voglia di rivalsa contro i pensionati destinati a pagare gli sbagli di una classe politica incapace? Rottamare gli anziani per dare possibilità ai giovani? Questa è l’Italia dream?

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“Rischiamo troppi disoccupati”: medicina taglia i posti

test-medicina-tuttacronacaForse mancano artigianai e restano vacanti i posti da gelataio, ma l’altro dato è che i giovani italiani voglio una laurea. Anche a costo di scegliere facoltà che non assicurano un lavoro, in particolar modo in periodi di crisi economica. E proprio perchè “rischiamo troppi disoccupati”, nell’anno accademico 2014/2015 sarà cancellato a Medicina un posto su 4, per un taglio totale del 23% dei posti destinati agli aspiranti medici. Un taglio che implica 2mila futuri dottori in meno e che con il test anticipato ad aprile segna un sempre più difficile percorso per l’accesso alle facoltà a numero chiuso come Medicina, Veterinaria e Odontoiatria. Come spiega Repubblica:

“Per l’anno accademico 2014/2015 i posti sono stati tagliati del 23 per cento: ben 2.239 in meno rispetto a 12 mesi fa. Stesso discorso per Veterinaria — 632 accessi contro gli 825 del 2013 — e Odontoiatria il cui taglio si riduce al 20 per cento: 787 posti in luogo dei 984 del 2013. Per iscriversi ci sarà un mese di tempo: dal 12 febbraio fino alle ore 15 dell’11 marzo prossimo, con domande esclusivamente online sul sito http://www.universitaly. it. Ma i 7.918 posti — più 351 per gli studenti non comunitari non soggiornanti in Italia — renderanno ancora più impervia la strada agli 80-90mila aspiranti studenti della facoltàdi Medicina (l’anno scorso furono 85mila)”.

Ma potrebbe non essere una soluzione temporanea:

“Tanto più che sono in molti a temere che la riduzione dei posti di quest’anno possa essere definitiva a causa dei 3.500 studenti in più entrati l’anno scorso rispetto alle previsioni grazie ai ricorsi contro il bonus-maturità. Nel 2013, i posti messi a concorso per Medicina furono 10.157, più 591 per gli studenti stranieri. E se dal ministero della Sanità dovesse arrivare l’ok per il contingente appena comunicato le chance per le migliaia di aspiranti camici bianchi si ridurrebbero drasticamente”.

La graduatoria sarà nazionale anche nel 2014 e il test prevede 60 quesiti a risposta multipla a cui rispondere in 100 minuti:

“Meno domande, dunque, di Cultura generale e Logica e più quesiti di Biologia, Chimica, Matematicae Fisica. Dopo il pasticcio dello scorso anno, il bonus-maturità è stato invece definitivamente cancellato”.

Il test di Medicina e Odontoiatria si svolgerà l’8 aprile, mentre il 9 aprile sarà il momento di Veterinaria e il 10 aprile Architettura. Il 29 aprile sarà il momento del test di Medicina e Odontoiatria in lingua inglese, mentre il 3 settembre arriverà il test per le Professioni sanitarie.

A 70 anni se non si va in pensione si offende l’università: ministro vs prof

università-carrozza-tuttacronacaIl ministro all’Istruzione Maria Chiara Carrozza è stata intervistata da Sergio Nava durante la trasmissione Giovani Talenti, su Radio 24. Ai microfoni il ministro ha puntato il dito contro i docenti che, passati i settant’anni, rimangono in ruolo, offendendo tanto i giovani che la stessa università. “A 70 anni i professori universitari, se fossero generosi e onesti, dovrebbero andare in pensione e offrirsi di fare gratuitamente seminari, seguire laureandi od offrire le proprie biblioteche all’università.” E ancora: “Sono sempre stata per un pensionamento rapido, magari non uguale per tutti, non si può tenere il posto e pretendere di rimanere, solo perchè è un diritto. Prima di tutto bisogna pensare ai propri doveri. In un momento di sacrifici per tutti, a maggior ragione li devono fare le persone che hanno settant’anni e che hanno avuto tanto in questo mondo.” Il ministro ha inoltre criticato il blocco del turnover negli atenei: “Abbiamo pensato di risparmiare bloccando il turnover anni, il che significa la morte nell’università e nella ricerca. Risparmiare sul turnover significa chiudere le porte a ciò che è fondamentale per l’università: il ricambio generazionale.” La Carrozza ha anche sottolineato tre punti d’azione per contrastare la fuga dei cervelli, tra quelli avviati nei primi mesi di governo. Il primo è l’aver portato il turnover al 50% nel 2014, il secondo l’aver reperito dei fondi da mettere su un programma per giovani ricercatori e terzo c’è la volontà di premiare gli atenei dove siano giovani ricercatori ad esssere i responsabili dei progetti di ricerca.”

Il ministro Carrozza dà l’ok al liceo di 4 anni: la scuola insorge

scuola-4anni-tuttacronacaIl ministro dell’Istruzione ha dato l’ok al liceo internazionale per l’Impresa, Guido Carli, di Brescia, “sponsorizzato” dall’associazione industriale della città lombarda, per la sperimentazione della riduzione del percorso scolastico da 5 a 4. L’autorizzazione, però, ha messo sull’attenti l’Anief, che teme nuovi tagli al personale della scuola per fare cassa. Era marzo quando Profumo, predecessore della Carrozza, annunciava ai sindacati l’intenzione di avviare una sperimentazione per accorciare il curriculum scolastico, da 13 a 12 anni, che porta al diploma. L’idea era stata accolta tra mille polemiche dai rappresentati dei lavoratori e quindi riposta. Salvo tornare in auge ora. Parlando con gli studenti dell’istituto, infatti, il ministro Carrozza ha detto: “Se ci fosse stata quando ero studentessa anch’io mi sarei iscritta a una scuola come la vostra”. E ha poi aggiunto: “Si tratta di un’esperienza che dovrebbe diventare un modello da replicare in tutta Italia anche per la scuola pubblica”. Il pensiero fa tremare i sindacati: il taglio porterebbe a una perdita netta di quasi 40mila cattedre con un risparmio per le casse del ministero di oltre un miliardo e 300 milioni di euro all’anno. Senza contare che stroncherebbe le speranze dei precari di avere una cattedra fissa. Per Marcello Pacifico questa “sperimentazione non riguarda una semplice decurtazione del percorso di un anno, ma anche l’avvio di una metodologia che punti ad una didattica per competenze, laboratoriale e integrata. Il tutto con lo scopo di accorciare i tempi di apprendimento e consentire di ammortizzare la mancanza del quinto anno”. Secondo il rappresentante dei lavoratori, “l’obiettivo cui punta il ministero è quindi più che evidente: creare un precedente, per il quale nella prossima estate non potranno che essere tessute le lodi, per puntare dritto alla soppressione di 40mila cattedre. Già il Governo Monti aveva quantificato un risparmio nazionale, attraverso la sparizione di altrettanti docenti oggi impegnati nelle classi quinte di tutte le superiori d’Italia, pari a 1.380 milioni di euro”. Un tentativo che “fu fatto proprio da quel governo, prima tentando un improbabile sondaggio sulla riduzione di un anno della scuola secondaria superiore e successivamente provando a portare a 24 ore l’orario di insegnamento settimanale di tutti i docenti”.

La laurea in Italia non conviene, parola di Visco

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Un’affermazione quella di Visco che farà alzare un polverone anche perché un titolo di studio superiore in Europa corrisponde a un lavoro più remunerativo e più soddisfacente. Come riporta l’Huffington Post:

“I dati Eurostat mostrano che ‘studiare conviene’ perché rende più probabile trovare un lavoro”: nel 2011 in media nell’Ue lavorava l’86% dei laureati contro il 77% dei diplomati. “In Italia, tuttavia, studiare conviene meno: per i laureati tra i 25-39 anni, la probabilità di essere occupati era pari a quella dei diplomati (73%) e superiore di soli 13 punti percentuali a quella di chi aveva conseguito la licenza media”. Lo ha sottolineato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, al X Forum del Libro Passaparola.

Il livello di istruzione dei giovani è “ancora distante da quello degli altri paesi avanzati. Questo è particolarmente grave”. Visco segnala poi in Italia un “analfabetismo funzionale” caratterizzato da competenze inadeguate, sottolineando la necessità di investire in “capitale umano”.

“Negli ultimi anni sono stati registrati passi in avanti. Mi riferisco ad esempio al ritorno alle procedure concorsuali per la selezione del personale docente delle scuole elementari, medie e superiori. Si tratta in linea di principio di un importante segnale di novità rispetto alla tradizione di privilegio dell’anzianità di iscrizione nelle liste degli aspiranti al ruolo, con qualche presumibile effetto di ringiovanimento del corpo docente. Proseguire con decisione lungo una direttrice di valorizzazione del merito richiederebbe a regime l’affermazione del concorso come strumento naturale di selezione della professione docente”.

Di fronte ai ritardi italiani in materia di istruzione e di competenze dice ancora Visco “è fondamentale il rilancio della scuola e dell’università. Risorse adeguate andrebbero previste per sistematiche azioni di recupero e sostegno delle scuole in maggiore difficoltà, concentrate nelle regioni del Mezzogiorno, e per il contrasto alla dispersione scolastica”.

Nonostante il livello di istruzione sia nel nostro Paese mediamente basso, ad un grado più alto non corrisponde, come negli altri Paesi avanzati, una remunerazione maggiore. E’ il “paradosso” tutto italiano indicato dal governatore di Bankitalia. “Ad un alto livello di istruzione dovrebbe corrispondere, ceteris paribus, un rendimento della stessa elevato, trattandosi di un fattore relativamente scarso. In Italia, invece, a un alto livello di istruzione si associa una bassa remunerazione”, spiega il governatore.

L’Italia non è un Paese per giovani, non è un Paese per pensionati, non è un Paese per lavoratori, non è un Paese per le donne (basta vedere l’indice dei femminicidi) e non è neppure un Paese per laureati… che Paese è?

L’Europa strizza l’occhio ai giovani: aumenta lo stanziamento per l’Erasmus

erasmus-tuttacronacaEntro la fine dell’anno le istituzioni Ue dovranno confermare lo stanziamento di 15 milioni di euro per il programma Erasmus+, con un aumento di circa il 40% rispetto il periodo 2007-2013 che permetterà a quattro milioni di studenti di fare un’esperienza fortmativa all’estero dal 2014 al 2020. E’ stato il commissario per l’Istruzione e la cultura, Androulla Vassiliou, a presentare il nuovo programma a Bruxelle, nel corso di un Forum al quale sono intervenuti oltre 350 esperti del settore dell’educazione provenienti da 34 paesi europei. La revisione permetterà di elargire borse di studio in numero quasi doppio rispetto al passato, offrendo così a molti più giovani, la maggior parte delle quali sotto i 25 anni, opportunità di formazione e di lavoroi. L’aumento non era scontato, considerato che lo scorso autunno proprio il programma Erasmus era finito ostaggio dello scontro sul bilancio tra l’Europarlamento e il Consiglio a causa dell’austerità dei paesi rigoristi del fronte nordico che si erano opposti a onorare i debiti con l’Ue mettendo a rischio i pagamenti delle borse 2012-2013. Solo a febbraio si era poi raggiunto un accordo, mettendo così in salvo il programma che è un simbolo dell’Europa unita. Dice il commissario Vassiliou: “Erasmus è più importante che mai in tempi di crisi economica e di elevata disoccupazione giovanile”. L’incremento delle borse di studio ha uno scopo chiaro: permettere ai giovani di migliorare le conoscenze di una lingua straniera, certo, ma anche di acquisire competenze essenziali per le attuali esigenze del mondo del lavoro.

Storia dell’Arte eliminata dai programmi scolastici: arriva la petizione

storia-arte-scuola-tuttacronacaPer (de)merito della Riforma Gelmini del 2010, in un Paese come l’Italia, patria dei Beni Culturali, l’insegnamento della Storia dell’Arte è stata cancellata, da tutti i programmi, anche da quelli di istituti a vocazione artistica quali il liceo classico e l’istituto tecnico per il turismo, che dovrebbe formare coloro che un domani dovrebbero far conoscere l’Italia all’estero. L’indignazione dilaga e sono gli stessi storici dell’arte a chiedere il ripristino della materia. Una petizione sul sito firmiamo.it, “Ripristiniamo storia dell’arte nelle scuole“, ha già raccolto 2321 firme. Scopo, reindirizzare poi la richiesta al ministro Carrozza. Il testo spiega: “Nel Paese dei Beni Culturali per eccellenza, impedire ai ragazzi di maturare una adeguata conoscenza del proprio patrimonio storico-artistico significa ostacolare una formazione culturale degna di questo nome, ma anche impedire la formazione di quel senso civico che tutti noi auspichiamo e che si sviluppa a partire dalla conoscenza e dal conseguente rispetto per quell’insieme di valori territoriali, ambientali, storici e artistici che chiamiamo Cultura”. A seguito delle numerose proteste, levatesi anche dall’associazione Anisa degli insegnanti della storia dell’arte e da Italia Nostra, hanno aderito all’appello anche l’attuale ministro Massimo Bray, Salvatore Settis, Adriano La Regina, Cesare De Seta e Rosi Fontana.

Cultura, voce dimenticata dal Governo Letta

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La riforma Gelmini ha gettato la cultura nel vespaio delle polemiche e in provvedimenti davvero difficili da poter giustificare come la decurtazione della Storia dell’Arte dai programmi del ministero operata proprio dall’ultimo governo Berlusconi. Gli italiani sono ultimi nei paesi  industrializzati secondo i dati dell’Ocse e sono inoccupabili secondo Giovannini, ma se i precedenti amministratori hanno operato riforme “originali”, il nuovo Governo sembra non porre alcun rimedio per correggere il tiro.

Ora sta circolando in rete un appello con il quale si sta cercando di sensibilizzare il ministro Carrozza al problema dell’insegnamento della Storia dell’Arte. L’appello è firmato anche da Adriano La Regina, Salvatore Settis, Cesare de Seta e Rosi Fontana:

APPELLO AL MIN. CARROZZA  PER IL RIPRISTINO DELLA STORIA DELL’ARTE

Che l’Italia sia il Paese al mondo con la maggiore quantità di beni artistici e culturali è cosa nota.

Possiamo vantare circa 6.000 siti archeologici, 4.700 musei , 46.000 beni architettonici vincolati, 44 i siti italiani patrimonio mondiale UNESCO, per non parlare della bellezza delle nostre città e dei nostri borghi, della miriade di opere d’arte sparse in chiese, palazzi, piazze.

Ma forse ci siamo talmente abituati e assuefatti a tale abbondanza d’arte che pervade ogni angolo del nostro Bel Paese, che neanche percepiamo la gravità insita nelle carenze delle nostre politiche dei beni culturali, troppo poco incentrate su una seria promozione alla valorizzazione e tutela del patrimonio e dunque sulla sua conoscenza  attraverso una “Politica della Formazione ai Beni Culturali”.

A proposito di quest’ultimo aspetto, è ormai tempo di cambiare rotta. Con una tale preziosissima eredità, è pensabile che i nostri ragazzi non studino adeguatamente il mondo in cui vivono e, soprattutto, in cui dovranno muoversi da adulti?

In un Paese come  il nostro ci si aspetterebbe che uno dei pilastri della formazione scolastica sia lo studio della Storia dell’arte, cioè della storia della principale risorsa che abbiamo la fortuna di aver ereditato. Invece forse non è stato sufficientemente evidenziato come proprio tale disciplina sia stata pesantemente decurtata dall’offerta formativa in diversi indirizzi delle scuole superiori dalla Riforma dell’ex Ministro Gelmini.

E’ fondamentale, soprattutto in una fase così complessa ed economicamente fragile come quella che l’Italia sta attraversando, attuare tempestivamente scelte che si muovano nella direzione opposta a quanto fatto negli ultimi anni. Intervenire con una Riforma dell’Istruzione che potenzi questo ambito di studio produrrebbe degli enormi benefici, a più livelli: civico-formativo ed economico-occupazionale (che corrispondono poi ai punti critici della nostra società).

Nel Paese dei Beni Culturali per eccellenza, continuare ad impedire ai ragazzi di maturare una adeguata conoscenza del proprio patrimonio artistico, significa infatti ostacolare non solo una formazione culturale degna di questo nome, ma anche lo sviluppo di quel senso civico che tutti noi auspichiamo e che si sviluppa a partire dalla conoscenza e dal conseguente rispetto per quell’insieme di valori territoriali, ambientali, storici e artistici che chiamiamo Cultura. Se non si apprende la storia dei luoghi e dei monumenti che ci circondano, come si potrà  maturare il valore del rispetto per gli spazi comuni?

Si pensi poi all’innegabile potere che ha, a livello formativo, la sensibilizzazione alla bellezza e al valore dei nostri beni artistici: un adolescente che cresca educato in questa direzione, sarà un individuo meno soggetto al degrado che sempre più dilaga nelle nostre città.

Incredibilmente importanti, poi, sono le potenzialità che una approfondita formazione al nostro patrimonio artistico e archeologico avrebbe a livello occupazionale.

In Italia dovremmo poter vivere e lavorare principalmente di questo, mentre siamo al paradosso che i milioni di turisti che ogni anno vengono a visitare le nostre città e i nostri musei tornano a casa con un bagaglio di conoscenze relative alle nostre bellezze artistiche in proporzione molto maggiore rispetto alla cognizione che ne ha mediamente un italiano, il quale vive una intera esistenza in quel contesto senza aver avuto la possibilità di studiarne adeguatamente la storia e comprendere appieno valore. Se si continua a trascurare questo ambito per noi così vitale, come si finirà? Bisogna forse aspettare di veder deteriorati altri antichi beni, la cui precaria tutela in tempi recenti ha fatto tremare molti italiani al crollo di strutture millenarie come quelle di Pompei, per arrivare a comprendere finalmente che la più grande potenzialità economica e la più “pulita” industria italiana è proprio quella legata ai beni culturali?

Sono le domande che si pongono gli insegnanti di Storia dell’arte delle scuole superiori, firmatari di un appello rivolto al Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, e sottoscritto da grandi nomi del mondo della cultura e dell’arte, in cui si chiede di potenziare lo studio di questa meravigliosa e per noi vitale materia scolastica. Sarebbe un primo, fondamentale, mattone nella costruzione dell’Italia di domani.

Il governo Letta risponderà alla voglia di cultura che si innalza nel Paese o saremo per sempre condannati a essere inoccupabili e ignoranti?

Italia bocciata dall’Ocse: l’istruzione nostrana si guadagna la maglia nera

studenti-ignoranti-tuttacronacaL’Ocse ha promosso un’indagine in 24 Paesi, realizzata in Italia dall’Isfol, sul livello dell’istruzione. Maglia nera? Agli italiani, ultimi per competenze alfabetiche, cioè le capacità linguistiche ed espressive fondamentali per vivere e lavorare ai giorni nostri, e penultimi in matematica. Il lato “positivo” è che si è ridotto il gap con gli altri Paesi tra quelli più industrializzati, ma sempre preoccupante resta la situazione. La scala di valutazione va da zero a 500. Per quello che riguarda le competenze alfabetiche, il punteggio medio degli adulti italiani è pari a 250, contro una media Ocse di 273. Controllando invece le competenze matematiche la media italiana è pari a 247 rispetto a 269 di quella Ocse. I punteggi sono riconducibili a sei diversi livelli di competenze con il terzo che viene considerato il minimo indispensabile per “vivere e lavorare nel XXI secolo”. E guardando alle competenze alfabetiche, ben il 27,9% non supera il primo livello, mentre solo il 29,8% degli adulti italiani si colloca dal terzo in poi (il 42,3% è al secondo). Spostandoci sul piano delle competenze matematiche la situazione migliora un po’, ma non molto: il 31,9% è al primo livello o al di sotto e appena il 28,9% è almeno pari al terzo (il 39% è al secondo). Sempre stando alle cifre diffuse dall’Isfol, “una delle situazioni più preoccupanti rimane quella dei Neet, cioè i giovani di età compresa tra i 16 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. In termini di competenze alfabetiche il punteggio medio è pari a 242, cioè 8 punti sotto la media nazionale”. Il segnale di speranza però sembra esserci: “Si contrae lo scarto con la media Ocse relativamente alle competenze alfabetiche e si riscontra un miglioramento complessivo rispetto alle altre indagini svolte negli ultimi anni, mentre gran parte degli altri paesi rimane stabile”. Inoltre, aggiunge, “i dati mostrano anche una significativa riduzione del divario tra maschi e femmine”.

Verso la riapertura delle scuole: gli ispettori “mancanti”

scuola-italiana-crisi-tuttacronacaL’autonomia che, dal 2000, dovrebbe spingere le scuole ad assumersi maggiori responsabilità, costringendole a migliorare la loro offerta per poter essere “competitive” non sembra aver sortito effetti. Anzi. Come denuncia Tuttoscuola, con il riconoscimento della parità alle “non statali” sarebbe dovuto arrivare anche un aumento dei controlli, invece è successo l’opposto: “prima” c’erano in organico 695 “ispettori”, oggi 301, ma solo sulla carta, perchè in realtà, a causa di circa 200 vuoti, sono solo un centinaio: “in intere regioni, con centinaia di istituzioni scolastiche e migliaia di insegnanti, opera a volte un solo ispettore”. Per chiarire le idee: in Gran Bretagna si trova un ispettore ogni 13 scuole, in Francia uno ogni 22, in Lazio un ispettore lo troviamo ogni 2076 istituti. Guardando le altre regioni: ci sono due ispettori a disposizione dell’ufficio scolastico regionale in Piemonte, uno in Liguria, uno nelle Marche, neppure uno in Toscana. La “scusante” potrebbe essere che si possono sempre inviare per un’ispezione dei dirigenti scolastici investiti volta per volta del ruolo, ma ciò non toglie che restano dei buchi. Per cercare una soluzione a questo, inoltre, il tempo si è allungato a dismisura: “Il concorso per reclutare nuovi dirigenti tecnici (con funzioni ispettive) è stato bandito quasi sei anni fa per coprire 144 posti vacanti, ma si è concluso solo nella primavera di quest’anno con circa 70 vincitori, che però non sono stati ancora nominati. Si parla della prossima primavera… E nel frattempo sono diventati vacanti per pensionamento altre decine di posti”. Senza contare che sul concorso sono piovuti i ricorsi per il sospetto che ad aver vinto siano stati “amici degli amici”. Ma il dossier sottolinea anche deficit di qualità ed equità: “come spiegare che a Milano solo un maturando su 381 è valutato meritevole di lode, e a Crotone uno ogni 35?”, senza contare la necessità di una dura lotta all’abbandono scolastico. Il 65% degli italiani tra i 16 e i 65 anni ha livelli di “competenze funzionali effettive” valutate “fragili” o addirittura “debolissime”. Questo in un Paese che fa parte dell’Europa e vorrebbe inserirsi in un contesto mondiale: come competere con i Grandi se questi sono i presupposti?

A scuola di… PUBBLICA ISTRUZIONE!

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Il pantano italiano dell’istruzione, soprattutto quella pubblica, sembra davvero non avere confini.  Se si tocca un aspetto ce ne sono almeno altri mille che sono connessi e pronti a crollare dietro quella tegola traballante. E’ un problema complesso e per questo abbiamo preferito chiedere a chi questo problema lo vive quotidianamente nei suoi molteplici aspetti. Una  nostra utente si è quindi immediatamente resa disponibile a darci la sua testimonianza per raccontare la sua esperienza in questo settore che dovrebbe essere il diamante di punta della nostra società e che invece sta lentamente diventando il fanalino di coda, con ripercussioni che, inevitabilmente si ripercuoteranno anche sul futuro. Ringraziando quindi “Monique” siamo felici di poter pubblicare la sua esperienza:

Dal mio punto di vista, a raccontare la situazione della scuola in Italia si rischia di cadere nella retorica del “già detto”, ma il problema è proprio questo: la scuola, intesa come architettura degli edifici e organizzazione della didattica è rimasta ferma, non si è evoluta. Gli edifici sono vecchi e fatiscenti, con le mura che si scrostano e infiltrazioni di acqua ovunque, pavimenti che si sollevano, scarsa illuminazione e spesso neppure le barriere architettoniche sono state abolite! E questa è la struttura sulla quale si dovrebbe innestare la digitalizzazione, ovvero aule computer, lavagne interattive, iPad. A questo proposito, se esiste un’aula computer, i pc sono spesso residuati bellici usati rimediati con mezzi di fortuna e possibilmente gratis, le lavagne interattive non sono presenti in ogni classe e, personalmente, non ho ancora visto una scuola in cui gli alunni siano dotati di iPad (ma questo in fondo potrebbe non essere un problema). A questo va aggiunto che la maggior parte del corpo docenti si dimostra spesso ostile all’utilizzo della tecnologia, non si sforza di provare e all’interno della scuola spesso non vengono dedicate ore di formazione per questi scopi. Gli alunni stessi, comunque, non dimostrano conoscenze informatiche che vadano al di là dell’utilizzo di Facebook e capita che alcuni non siano neppure dotati di un pc a casa. Un altra problematica seria è la presenza di alunni stranieri che non conoscono la lingua e non vengono supportati in modo adeguato, costruendo un’offerta formativa che preveda la possibilità di dedicare la maggior parte delle ore all’apprendimento dell’italiano e magari con un mediatore culturale che abbia la possibilità di intendersi con loro, perché quando parlano russo, cinese o urdu è davvero difficile interagire con questi alunni, anzi, è impossibile! Ci sono poi moltissimi alunni con disturbi specifici dell’apprendimento, ma non ci sono consolidate strategie comuni di gestione di questi deficit, tutto è affidato alla pazienza, alla passione e alla documentazione personale del singolo docente. L’organizzazione della didattica è ancora basata unicamente sulle lezioni frontali e troppo nozionistica, non ci sono interscambi tra diverse classi e la possibilità che le lezioni favoriscano un apprendimento intuitivo da parte degli alunni dipende dall’impostazione del singolo docente. L’ingerenza dei genitori è totale e la conseguenza è che la scuola diventa unicamente assistenziale, non sollecita la responsabilità dei ragazzi e non prepara studenti che siano competitivi e portatori di reali abilità e di un effettivo sapere, non stimola il loro interesse. Il precariato degli insegnanti è un ulteriore problema, ma non solo dal punto di vista del professore che ogni anno deve cambiare destinazione, anche da parte della scuola e degli alunni che, con questo sistema, devono rinunciare magari ad un insegnante valido solo perché le nomine dei docenti seguono una graduatoria che è unicamente burocratica. Inoltre, capita spesso che gli insegnanti precari, contrariamente a quanto si pensa riguardo il fatto che non siano garanzia di eccellenza, si dimostrino più preparati, più flessibili e più motivati di molti insegnanti di ruolo e da questo punto di vista io considererei l’opportunità di far fare un po’ di precariato a tutti, o almeno di favorire un cambio di mansioni! Se poi vogliamo aggiungere che lo stipendio dei docenti è di molto inferiore alla media europea…Non so gli effettivi numeri degli esuberi nelle varie classi di concorso, ma certo mi sembra che ci sia molta improvvisazione nel gestire le graduatorie. In ultima analisi, non ritengo funzionale all’identità della scuola, proporre nella sua offerta formativa attrazioni di vario genere, che hanno l’unico scopo di procurarsi iscrizioni, ma nulla hanno a che vedere con la cultura e l’istruzione e neppure con un funzionale collegamento con il mondo del lavoro.

In arrivo la stangata sui libri scolastici. L’istruzione è un lusso?

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Sembra proprio che l’istruzione in Italia sia diventata un lusso. Dai decreti per il lavoro che facilitano i ragazzi privi di un titolo di studio di scuola superiore alla legge che non sarà più in vigore dal 1 settembre di quest’anno, in particolare quell’articolo 5 del decreto-legge n. 137/2008 (poi convertito dalla Legge n. 169/2008). Questa norma obbligava le scuole ad adottare solo libri per i quali gli editori si erano impegnati a mantenere invariato il contenuto per un quinquennio. A fare il resto ci penserà il ritardo sul digitale. Lo scorso anno era entrato in vigore il divieto di utilizzare testi esclusivamente a stampa, con un aumento ulteriore dei costi di circa 80 euro secondo il Codacons. Il motivo? L’adozione dei libri multimediali, che avevano sostituito quelli cartacei, aveva impedito, per esempio, il passaggio dei testi dal figlio maggiore al minore. Senza considerare come non tutte le case editrici si fossero adattate alle nuove regole, costringendo di fatto gli insegnanti a cambiare libri. Insomma c’era fin troppa confusione e adesso se ne creerà sicuramente di più dopo che il ministero, nel tentativo di risolvere i problemi, ha preferito tornare al passato, togliendo per quest’anno l’obbligo del digitale (o del formato misto). Mentre gli altri paesi fanno studiare sul digitale, noi arretriamo alla stampa e facciamo, secondo il  Codacons  “un regalo alla lobby degli editori che rischia di causare per l’anno scolastico 2014/2015 una vera e propria scoppola per le famiglie”.

La sicurezza dell’insicurezza scolastica. Stanziati 450 mln a fronte di 5 mld

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Un nuovo annuncio entusiastico da parte di un ministro del governo Letta. Questa volta è il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, intervistata dall’Unità, a dichiarare

”Centocinquanta milioni di euro in più rispetto ai trecento milioni nel triennio 2014-2016 già annunciati. Questo è lo sforzo che stiamo compiendo nel decreto legge del Fare per sistemare e potenziare il patrimonio italiano di edifici scolastici”.

Spiega Carrozza, che da sempre parla della necessità di mettere in sicurezza le scuole, soprattutto dal rischio terremoti:

”I 300 milioni di euro spalmati in tre anni arrivano da risorse Inail. Per gli altri 150 milioni una tantum nel 2014 è già prevista la suddivisione tra le Regioni. In pratica il ministero fa da ‘facilitatore’, sono gli Enti locali che conoscono il territorio decidere quali istituti necessitano di interventi urgenti e a utilizzare le risorse. Ovviamente dobbiamo vigilare affinché vengano spese bene”.

Era il 12 dicembre 2012 quando il Sole24, in un articolo a firma di Eugenio Bruno e Giorgio Santilli analizzava il problema in questi termini:

Per la messa in sicurezza degli istituti scolastici italiani servono almeno 5 miliardi. A lanciare l’appello-allarme è stata l’Upi nel convegno “Ricostruire la scuola” organizzato ieri a Torino. Degli 8,5 miliardi di fabbisogno totale per gli oltre 5mila edifici di proprietà delle Province, il 60% serve per adeguarli alle norme di legge; un altro 25% è necessario per nuove costruzioni, ristrutturazioni, ampliamenti (2,1 miliardi); il restante 15% è destinato ad assicurare l’efficientemente energetico (1,2 miliardi).

E aggiungeva:

Ma è l’esposizione al rischio a rendere la situazione seria: il 37% degli edifici scolastici si trova in aree ad alto rischio sismico e il 9,6% a elevato rischio idrogeologico. Delle 24.073 scuole localizzate in aree ad alto rischio sismico 4.894 si trovano in Sicilia, 4.872 si trovano in Campania, 3.199 in Calabria.

A fronte di questi dati è possibile risolvere il problema con 450 milioni stanziati in 3 anni a pioggia? Il “decreto del fare” sta diventando un “decreto del dire”?

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Ministro Carrozza: “15mila docenti a settembre”

carrozza-università-tuttacronacaCorrado Zunino, durante il videoforum di Repubblica Tv, ha intervistato il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza, che ha parlato anche del concorsone per gli insegnanti:  “Verrano tutti assorbiti i vincitori ?  Mi auguro di si. Le selezioni sono in corso, alcuni più avanti. Ci sono stati problemi perché i compensi per chi è in commissione sono molto bassi, nonostante avessimo chiesto di assorbirli”. Per quel che riguarda il numero dei nuovi docenti alla partenza del prossimo anno scolastico. “Non appena sarà possibile immetteremo 15mila dipendenti -, 50% dalle graduatorie, 50% dal concorso”. Ma la previsione iniziale era di 28mila: “Anche se il concorso ha validità 3 anni – precisa il ministro – e potranno essere assunti successivamente”. La diminuzione è causa della riforma Fornero: in molti, nonostante abbiano raggiunto l’età pensionabile, non possono infatti lasciare: “Abbiamo presentato una proposta di legge a riguardo con la collega Ghizzoni, stiamo cercando le coperture per sanare il problema. Molte persone classe 52′ sono costrette a rimanere in servizio al di là della loro volontà”.  Altre risposte che il ministro intende cercare, inoltre, è per il destino dei corsi Tfa: hanno costi elevati ma il futuro di chi li ha frequentati resta incerto. Riguardo i test d’ingresso alle facoltà, ha spiegato il ministro: “Alcuni servono per l’autovalutazione, come quelli per ingegneria che sono molto importanti per verificare se si sarà in grado di affrontare quel percorso”. Discorso diverso per quelli a numero chiuso. “Non tutti si possono aprire. E’ il caso di quello di Medicina, perché rientra in una logica Paese di possibile immissione alla professione, e di equilibri da salvaguardare”. Carrozza non è poi preoccupato dal turismo scolastico di chi sceglie di provare i test all’estero per avere più possibilità d’ingresso. “Se le scuole rumene di medicina sapranno attrarre i nostri studenti non vedo problemi. Non bisogna bloccare le persone, ma aiutare i nostri studenti nella preparazione”. Riguardo ai fuoricorso il ministro spiega: “Sono contraria a barriere e sanzioni. Vedo l’università efficiente quella che riesce a massimizzare le risorse e a far laureare lo studente in tempo. I fuoricorso sono un male soprattutto per se stessi e per le proprie famiglie”. Anche agli studenti però è richiesto un cambio di mentalità. “Non si può arrivare a 25 anni senza aver lavorato neanche un giorno. Tutti devono aver fatto stage ed avere esperienze di tirocini”. Il ministro ha approfittato dell’incontro per spiegare anche che si continua a lavorare sulle “Misure per l’edilizia e la sicurezza scolastica” e si cercano anche nuovi fondi. Ma ancora ci sono nodi non risolti. Come i precari, “un organico di fatto che dovrebbe essere messo in condizione di entrare stabilmente”. Anche le univertità lamentano situazioni di sofferenza: “Faremo una riunione con gli atenei in difficoltà. Ma non sono per intenti sanzionatori. Per quanto riguarda le università telematiche eviterei slogan e valutazioni ex ante, per questo ho deciso di istituire una comissione indipendente”. Tra le cose da fare anche una riforma del concorso per l’ingresso nelle scuole di specializzazione dell’area medica. “Vogliamo spezzare l’attuale atteggiamento clientelare, già dal 2014 se possibile”.

La nostra istruzione è corrotta? Ombre all’Università di Messina

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Dopo il caso del diplomificio ora arriva un’altra storia di corruzione all’interno del nostro sistema educativo.

La direzione investigativa antimafia di Catania ha eseguito ordinanze cautelare nei confronti di sei persone indagate nell’ambito di un’inchiesta su esami “facili” all’università di Messina. Sembrerebbe che ci fosse una vera e propria organizzazione che influenzava le prove di ammissione alle facoltà a numero chiuso e agli esami universitari. Il vertice del gruppo probabilmente era in mano a un calabrese che potrebbe aver avuto legami con gli esponenti della ‘ndrangheta locale.

Gli arrestati nell’operazione ”Campus” della Dia a Messina sono: Antonio Domenico Montagnese, 50 anni, che era stato indagato nell’ambito dell’operazione denominata ”Panta Rei” condotta nel contesto delle indagini svolte sull’omicidio del prof. Matteo Bottari, Marcello Caratozzolo, di 47, docente di Statistica e matematica nell’ateneo messinese, Santo Rando Galati, detto Dino, 57 anni, ex consigliere provinciale a Messina, accusati di di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso finalizzata alla corruzione, al traffico illecito di influenze, al millantato credito, al voto di scambio e ad altri delitti con la pubblica amministrazione; Salvatore D’Arrigo, 59 anni, accusato di tentata estorsione continuata ed aggravata dal metodo mafioso.

Altre due persone indagate sono state sottoposte all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Montagnese è anche accusato di usura, e tentativo di estorsione continuata ed aggravata dal metodo mafioso insieme agli altri tre arrestati. Montagnese e D’Arrigo sono stati portati in carcere gli altri due sono stati posti ai domiciliari.

”Se tu ti vuoi prendere gli esami senza fare un cazzo.. e..senza problemi, allora bisogna andare praticamente a minacciare…non c’e’ niente da fare è così…è questo il sistema… quello si caca di sotto è tutto la il discorso…bisogna andare a minacciare…bisogna andare a minacciare e saperlo fare…perche’ se no, sei fottuto”. E’ uno dei dialoghi intercettati della Dia di Antonio Montagnese. ”E poi c’è il metodo Caratozzolo…. – continua Montagnese – Caratozzolo và.. dice: ‘questo e’ un amico..un..cosa..vediamo che possiamo fare.. parapì..parapù”.

”Il consistente e variegato tessuto relazionale nel quale l’organizzazione criminale ha potuto progettare i propri ambiti di operativita’ – dicono gli investigatori – è connotato da autorevoli nomi di docenti, che il sodalizio ha ritenuto a disposizione per attuare una vera e propria modalità di azione attraverso i seguenti metodi: ‘avvicinamento’ dei docenti; corruzione anche mediante piccole regalie in grado di ‘ammorbidire’ l’atteggiamento di quei docenti più esigenti ma parimenti sensibili alla ‘premura’; minaccia dei docenti, conseguendo l’effetto di una vera e propria intimidazione in grado di garantire il risultato finale del superamento dell’esame, qualora le condizioni (i rapporti con il docente interessato, ovvero la scarsa preparazione del candidato) non consentissero di procedere mediante un piu’ cauto ‘avvicinamento’ e suggerissero un’azione decisa e risolutoria”.

Aggiornamento 21 luglio 2013

Riportiamo il commento dell’avvocato Decimo Lo Presti, che ci ha contattati oggi.

Egregio signor direttore, ho assistito il cav. Santo Galati Rando detto Dino nell’ambito dell’operazione c.d “campus”, in seno alla quale il mio assistito ha dovuto rispondere di una ipotesi di associazione per delinquere finalizzata al compimento di vari reati fine. L’avere tale ipotesi accusatoria non superato il vaglio del Tribunale della libertà’ depone certamente nel senso della natura ‘garibaldina’ di tale contestazione. Sono certo che a fronte del clamore suscitato dall’operarazione de qua, si vorrà riconoscere analogo spazio mediatico alla notizia del l’annullamento del capo di incolpazione, di cui all’art. 416 c.p. Analogamente non ci si può’ esimere dal considerare quanto avventate ed inopportune siano state le manifestazioni di “plauso” che a vario titolo autorevoli esponenti delle istituzioni, financo il signor Ministro della repubblica, hanno ritenuto di manifestare a fronte di un’attività’ gravemente ed infondatamente invasiva della libertà’ di un nostro concittadino.
Tali considerazioni dovrebbero indurre tutti noi a riflettere sulla opportunità’ di meglio regolamentare lo svolgimento dell’attività giudiziaria, che proprio perché espressione di un potere dello stato può essere gravemente invasiva in prospetto a diritti del singolo, quali la libertà personale e la dignità umana, in prospetto ai quali dovrebbero certamente effettuare valutazioni di opportunità’ più’ approfondite alla luce dei valori in gioco.

Avv. Decimo Lo Presti

L’Ocse boccia la scuola italiana

scuola-rapporto-ocse-tuttacronaca

Tempo di maturità, ma è la scuola italiana a non passare l’esame dell’Ocse. L’Italia è stata bocciata e bollata come un paese che non valorizza l’istruzione: numero basso di laureati e un corpo docente tra i più anziani. Questi i dati rilevati da organizzazione che riunisce i 34 Paesi più industrializzati del mondo che ha appena stilato il rapporto “Education at Glance” nel quale rileva che solo il 15% nel 2011 dell’intera popolazione italiana (tra i 25 e 64 anni) ha conseguito un’educazione di livello universitario. La media Ocse invece è del 32%.

 

The sound of change: la musica che dice NO alla violenza sulle donne

the-sound-of-change

Si chiama The Sound of Change il Live Aid al femminile che si è svolto al Twickenham Stadium di Londra, promosso dalla fondazione Chime for Change e benedetto da uno speech del principe Harry, che è il presidente di questo tempio del rugby. L’evento, che ha per scopo raccogliere fondi e creare consapevolezza affinché donne e bambine possano godere in questo mondo di pari opportunità, vanta l’organizzazione di tre donne d’eccezione: Frida Giannini, Beyoncé e Salma Hayek Pinault. Cast di grandi nomi che sono sfilati sul palco, tra gli altri Madonna, Jennifer Lopez, John Legend e Simon Le Bon. Unica italiana Laura Pausini che, prima di salire sul palco ha commentato: “Una delle ragazze ammazzate negli ultimi giorni era iscritta al mio fan club. Non voglio rivelare il suo nome per rispetto alla famiglia”. Racconta anche la sua esperienza con l’evento: “Non riuscivo a credere che avessero pensato a me. Non ho esitato un attimo, immediatamente conquistata da uno degli impegni della fondazione, l’educazione dei piccoli. La maternità mi ha resa più sensibile di fronte a queste problematiche; non è facile fare delle scelte per un figlio e se sono qui è perché mi piace pensare che Paola fra vent’anni possa essere in mezzo a un pubblico come questo a far casino per una giusta causa. Ho una fiducia totale nelle madrine di questo evento; con Salma Hayek ho già partecipato a Los Angeles a una raccolta di fondi per l’iniziativa Colombia Sin Minas”. Poi confessa: “Mia figlia è stata concepita proprio qui a Londra, dopo il concerto alla Royal Albert Hall  –  una bambina molto rock; questa serata è la chiusura di un periodo magico della mia vita e della mia carriera”. La Pausini ha deliziato il pubblico con Io canto, in italiano, incredibilmente ben accolta dalla platea, e It’s not goodbye, la versione inglese di In assenza di te. “Ce n’è voluto di coraggio!”, esclama Laura. “Non è mica facile affrontare la platea cantando nella nostra lingua. Ma l’ho voluto fare per ribadire chi sono, non ho partecipato a questo evento con l’ambizione di aprirmi un nuovo mercato ma con l’entusiasmo di appoggiare un progetto in cui credo fermamente. Ne conosco di donne sfortunate, tante ragazze che mi scrivono e che non denunciano le violenze subite perché non hanno fiducia nella giustizia  –  cosa succede dopo? ci sono pene adeguate per chi commette questi reati? le donne che denunciano sono tutelate da ulteriori ritorsioni? Non credo, come dicono, che la violenza sulle donne sia aumentata negli ultimi anni. Per decenni, secoli, questa è stata una realtà sommersa, non se ne parlava, le famiglie facevano muro affinché nulla trapelasse all’esterno  –  e in molti casi è ancora così; un problema di educazione, dunque”.

Frida Giannini farà invece il suo ingresso sul palco con Salma Hayek prima dell’esibizione di Beyoncé, il gran finale. “Siamo qui per urlare le nostre istanze. Questa è l’emergenza e l’opportunità di oggi”, dice direttore creativo di Gucci e dell’intero progetto, co-fondatrice di Chime for Change. “Ci troviamo in un momento storico importante per quanto riguarda la situazione delle bambine e delle donne, ed è giunta l’ora di un cambiamento. Penso sia essenziale per noi vedere e celebrare le nostre possibilità. La mia speranza è che attraverso Chime si possano aiutare le voci che rivendicano il cambiamento a diventare così forti da non poter più essere ignorate”. Come lei la pensano anche i presentatori della serata, che ricordano i numeri dell’emergenza. Tra loro ci sono Madonna e James Franco, Jessica Chastain e Freida Pinto, Desmond Tutu e Blake Lively: “Vogliamo un mondo dove ogni bambina abbia diritto alla scolarità, poiché i due terzi degli analfabeti del mondo sono donne; il 60 per cento dei bambini che non frequentano le scuole dell’obbligo sono donne; il 70 per cento delle donne ha subito almeno una volta nella vita violenze fisiche o sessuali; solo il 21 per cento delle donne occupa in politica ruoli prominenti; 800 donne al giorno muoiono di parto o di gravidanza; l’80 per cento degli 800mila esseri umani che ogni anno vengono venduti o scambiati come schiavi sono donne; ogni anno 10 milioni di ragazze sotto i 18 anni devono accettare un matrimonio combinato”. Anche la Hayek ha dato il suo contributo: “Nell’era dell’informazione nessuno può essere spettatore disinteressato. La tecnologia ci connette come mai prima d’ora. Ciò significa che abbiamo l’opportunità, la responsabilità di fare qualcosa. Non è solo ciò che sappiamo che ci definisce ma anche quel che facciamo, questa è la filosofia di Chime for Change”. Infine parola alla “single lady”, Beyoncé: “Sono sempre stata una fiera sostenitrice delle pari opportunità. Le ragazze devono imparare da giovani che sono forti e in grado di ottenere ciò che vogliono dalla vita. E’ nostro compito cambiare le statistiche che riguardano le donne di tutto il mondo. Sono onorata di far parte di questa campagna insieme ad altre donne che vivono la vita in modo coraggioso e danno l’esempio alle nuove generazioni”. Sperando che sia solo il primo passo di un lungo cammino.

Cresce il numero dei bambini autistici nelle scuole Usa!

bambini-usa-autistici-scuola

Suona come un campanello d’allarme l’incremento del numero di casi di autismo tra i bambini iscritti alle scuole americane. A rivelarlo è il Center for Disease Control, il braccio operativo del dipartimento per la Salute degli Stati Uniti, secondo cui un ragazzino su cinquanta presenta sintomi riconducibili alla sindrome da autismo. Il dato, che si basa principalmente sulle informazioni fornite dai genitori degli alunni, è ben superiore a quello rilevato lo scorso anno quando la quota era di un bimbo ogni ottantotto.  I funzionari del Cdc, tuttavia, tengono a precisare che l’incremento non si traduce necessariamente nel fatto che l’autismo sia un fenomeno dilagante negli Usa, piuttosto indicherebbe un aumento delle diagnosi, specie tra i bambini che hanno problemi e sintomi ancora moderati o non completamente manifesti.

Come cambia la scuola in Italia!

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Nel 2001 erano meno di 200mila, oggi sono quasi 800mila. Dal numero degli studenti di cittadinanza non italiana si capisce quanto e come sia cambiata negli ultimi dieci anni la società italiana. E soprattutto la scuola italiana. Oggi gli studenti senza passaporto italiano rappresentano l’8,4% della popolazione scolastica complessiva e sono 755.939, concentrati soprattutto nelle regioni del centro Nord e nel Lazio.

Il cambiamento, spiegano le cifre del Rapporto, è ormai un fatto strutturale. Si è passati infatti da 196.414 alunni del 2001/2002 alle 755.939 unità del 2011/12.

I più numerosi sono i ragazzi romeni, seguiti dagli albanesi e dai marocchini.

Ecco quanto ci costano gli errori del ministero! Miur condannato.

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Un riscatto da precari!  L’assunzione a tempo determinato potrebbe presto infatti rivelarsi più sconveniente per il datore di lavoro (in questo caso lo Stato, rappresentato dal ministero) che per il docente. E’ questo lo scenario che si profila, dopo le sentenze emesse – l’ultima lo scorso 22 febbraio – da un giudice del lavoro di Trapani nei confronti del Miur (Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca). Nel giro di due settimane il dicastero guidato da Francesco Profumo è stato condannato a risarcire tre insegnanti precari: uno di educazione fisica con 150mila euro, un altro di elettrotecnica a cui spettano 169.700 euro e un terzo che avrà diritto ad un risarcimento di quasi 173mila euro.

Le motivazioni? Le stesse per tutti e tre i casi: abuso dei contratti a termine, mancati scatti d’anzianità e stipendi estivi (luglio e agosto) non corrisposti per gli anni passati e per quelli futuri, fino all’età pensionabile. Una decisione significativa quella del giudice Mauro Petrusa che, non potendo imporre la stabilizzazione dei tre insegnanti – vista la sentenza della Cassazione che lo scorso giugno aveva rigettato la richiesta di un precario della scuola – ha trovato lo strumento per condannare la discriminazione da parte dello Stato nei confronti di chi ha un contratto a termine. Insomma il trattamento economico di un insegnante precario – puntualmente licenziato il 30 giugno, per poi essere riassunto dal 1 settembre – deve essere uguale a quello di un suo collega di ruolo, progressione economica compresa.

Il Miur a questo punto potrebbe dover sborsare molti più soldi, rispetto al mezzo milione di euro che, come stabilito dal giudice Petrusa, verserà ai tre insegnanti siciliani. In Italia infatti si stimano circa 20mila ricorsi già notificati, promossi dalle varie sigle sindacali di categoria, come la Flc-Cgil, l’Ugl-Scuola e l’Anief (Associazione nazionale insegnanti e formatori). E’ stato proprio quest’ultimo ad assistere i docenti siciliani. “Stiamo assistendo ad una striscia di condanne esemplari sul trattamento economico dei lavoratori precari – commenta il presidente Marcello Pacifico – ma è solo l’inizio: anche se ogni controversia presenta situazioni specifiche abbiamo serie motivazione per pensare che i giudici del lavoro di tutto il Paese non vogliano assecondare l’abuso cronico del datore di lavoro, in questo caso lo Stato, nel negare l’assegnazione di cattedre nella loro interezza, compresi i periodi estivi, e di quegli scatti stipendiali concessi erroneamente sino ad oggi solo al personale di ruolo. Al ragionamento del loro collega di Trapani – auspica Pacifico – potrebbero perciò adeguarsi tutti i giudici del lavoro d’Italia”.

E questo per il Miur vorrebbe dire scucire qualcosa come tre miliardi di euro.

E in tutto questo il Ministro Profumo che fa? NON COMMENTA!

Choosy? No, grazie!

Scatta il flash mob a Bari. Gli studenti, oggi pomeriggio, armati di carote si incontreranno nella piazza di San Ferdinando per urlare contro l’infelice aggettivo lanciato dalla Fornero e contro la privatizzazione della scuola. Quel famoso “choosy” che ha fatto il giro del mondo e che ancora non è stato digerito dai giovani italiani. Choosy? No, grazie!

 

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