Arrestato il leader di Cospalat: in vendita latte tossico

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Finisce in manette Renato Zampa, leader di Cospalat, azienda che si occupa della produzione e della commercializzazione del latte in Friuli Venezia Giulia e il cui spot recita: “dal produttore al consumatore”. L’uomo è accusato di aver messo in vendita latte tossico, contaminato da aflatossine, un agente cancerogeno con effetti sulla crescita dei bambini. Assieme a Zampa, altre cinque persone sono state arrestate, quattro ai domiciliari e una con obbligo di dimora mentre un’altra persona risulta tuttora ricercata. Associazione per delinquere finalizzata alla frode in commercio è l’accusa formulata per tutti, a cui si aggiunge l’adulterazione di alimentari e commercio di sostanze alimentari pericolose per la salute. Oltre alle aflatossine, nel latte messo in vendita è stata scoperta anche la presenza di antibiotici. I controlli venivano poi elusi con l’ausilio di un laboratorio compiacente: il latte veniva allungato con dell’altro non contaminato e, così facendo, il controllo sul campione risultava regolare. L’azienda produceva anche il formaggio Montasio Dop che, nonostante il marchio di Denominazione di origine protetta, veniva prodotto abusivamente sfruttando il latte proveniente da allevamenti non autorizzati. In tutto, gli indagati risultano essere 24, 17 dei quali allevatori accusati di essere al corrente di utilizzare latte contaminato.

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Accoltella la sua ex dopo averne ucciso il compagno

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L’11 marzo scorso, a Livorno, la 30enne Veronica Franceschi, madre di una bambina di due anni, era stata ridotta in fin di vita dall’ex compagno, ora in carcere, il 36enne Imed Hamdi. La donna era stata colpita con un coltello. Ora le indagini hanno subito una svolta clamorosa dopo che è stato trovato, in un deposito abbandonato vicino alla stazione, il cadavere di un uomo che, secondo i primi riscontri del medico legale, sarebbe stato accoltellato. Secondo il pm i dubbi sono pochi: si tratterebbe del tunisino Ismael Hosni, nuovo compagno di Veronica Franceschi e scomparso nel marzo scorso. L’ipotesi è quindi che l’ex compagno avrebbe prima giustiziato il suo rivale per poi pugnalare la sua compagna. Il pm Luca Masini, titolare delle indagini, al riguardo è stato lapidario: “Quello è il corpo del compagno di Veronica Franceschi, aggredita in via Bengasi l’11 marzo”. Saranno ora i consulenti a lavorare sulle tracce ematiche e i dna, al fine di accertare l’identità del cadavere e verificare se ad ucciderlo sia stato o meno lo stesso coltello usato per l’aggressione della donna.

Bocciato a scuola per la seconda volta: 18enne si suicida

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Si è tolto la vita inalando del gas con una cannuccia collegata a una bombola, dopo essersi stretto un sacchetto di plastica intorno al collo per non far passare l’aria, un 18enne di origini romene residente in provincia di Varese, a Samarate. Il suo corpo, sul quale non è stata disposta l’autopsia, è stato ritrovato ieri nel sottotetto dell’abitazione dove viveva con i genitori, residenti in Italia da diversi anni. I carabinieri sono intervenuti sul luogo e, dopo gli accertamenti, hanno riconsegnato alla famiglia il cadavere del ragazzo che non avrebbe mai manifestato segni di disagio psichico o di problemi in famiglia, ad eccezione di alcuni brutti voti a scuola, un istituto tecnico, costatigli la seconda bocciatura e che potrebbero essere stati all’origine del gesto.

Google non censura: metterebbe a rischio la libertà di pensiero

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Tre manager di Google erano stati condannati perchè sul web era apparso il video di un giovane disabile vessato dai compagni, secondo il giudice la rete non può essere “una sconfinata pirateria” dove “tutto è permesso e niente può essere vietato”. Oggi a Milano i tre sono stati assolti in appello: secondo la Corte non si può infatti chiedere ad un gestore di servizi Internet di effettuare una “verifica preventiva di tutto il materiale immesso dagli utenti” in quanto si rischierebbe di comprimere la “libera manifestazione del pensiero”. I tre manager erano finiti alla sbarra per il video, girato in un istituto tecnico di Torino, caricato in una nota sezione di ricerca nel 2006. Nel 2010 la notizia della condanna a 6 mesi, poi sospesa, ha fatto il giro del mondo, in quanto si trattava del primo processo che portava in aula dei dirigenti di un provider Internet per la pubblicazione di contenuti sul web. Nel dicembre 2012 la prima sezione della corte d’appello di Milano ha però ribaltato il giudizio assolvendo i tre manager in quanto “il fatto non sussiste”. In quell’occasione è stato anche confermato il proscioglimento di un quarto che doveva rispondere unicamente di diffamazione, accusa caduta in primo grado.

I giudici Malacarne, Arienti e Milanesi hanno ora depositato le motivazioni di una sentenza che ha accolto la linea della difesa, secondo la quale Google non aveva alcun obbligo nè di controllo preventivo sui contenuti caricati né l’informativo in relazione al trattamento dei dati personali. Era piuttosto dovere della ragazza che aveva pubblicato il video “l’obbligo di acquisire il consenso al trattamento dei dati personali”, sulla base anche di una sentenza della Corte di giustizia europea. Il collegio ha inoltre segnalato un vuoto legislativo: non ci sono norme che impongono all’Internet provider “di rendere edotto l’utente circa l’esistenza e i contenuti della legge della privacy”. I giudici hanno inoltre fatto notare che “non può essere ravvisata la possibilità effettiva e concreta di esercitare un pieno ed efficace controllo sulla massa dei video caricati da terzi, visto l’enorme afflusso di dati”. Da queste premesse ne deriva che Google non poteva mettere alcun “filtro preventivo”, sia a causa della “complessità tecnica di un controllo automatico”, sia perché si tratterebbe di una “scelta da valutare con particolare attenzione in quanto non scevra di rischi” per i suoi riflessi sulla “libera manifestazione del pensiero”. Inoltre, essendo Google Video un “servizio gratuito” e non essendo associati al filmato “link pubblicitari”, non è possibile parlare di un possibile profitto dato dalle visualizzazioni. Per concludere, niente filtri per Google ma un faro acceso sulla complessità della “questione” del “governo di Internet”.

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