La politica tedesca vista da Travaglio e l’attacco ai giornalisti

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“Riotten und Battisten”, questo il titolo dell’editoriale di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano. Un attacco diretto ai giornalisti, alla legge elettorale, ma soprattutto a quella correttezza e trasparenza che l’Italia sembra aver sotterrato decenni fa:

“C’è una sola categoria che, sulle elezioni tedesche, riesce a essere più ridicola dei politici: i giornalisti. Siccome la legge elettorale tedesca è davvero democratica, dunque non prevede mostruosi premi di maggioranza come il Porcellum, alla Merkel non basta aver ottenuto il maggior trionfo dai tempi di Adenauer: mancandole un pugno di seggi, deve coalizzarsi coi Verdi o coi Socialdemocratici. Dunque, secondo i trombettieri italioti dell’inciucio – gli stessi che per vent’anni l’hanno menata con la “religione del maggioritario” (…) – questa sarebbe la prova che le larghe intese sono cosa buona e giusta in tutta Europa, e dunque in Italia.

Ma i fautori di questa presunta “lezione tedesca” fingono di ignorare chi sono i protagonisti delle grandi coalizioni in Germania e altrove: partiti normali, guidati da politici normali, che prendono un sacco di voti e poi mettono insieme i punti comuni dei loro programmi in ampie discussioni, alla luce del sole, sotto gli occhi degli elettori. (…)

In Italia le larghe intese le han fatte due partiti che hanno sgovernato l’Italia per 20 anni e infatti hanno perso le elezioni (-10 milioni di voti) per emarginare il M5S che le aveva vinte (8,5 milioni da zero). Due partiti che in campagna elettorale si erano giurati eterna ostilità. Poi, dopo due mesi di melina, hanno rieletto un capo dello Stato di 88 anni che ha accolto in un nanosecondo la proposta di restare per altri 7, dopo aver giurato fino al giorno prima che non l’avrebbe mai fatto. Costui ha riunito in mezza giornata le delegazioni dei partiti, comunicando loro chi doveva entrare nel governo e chi no, dopo aver già fatto scrivere un programma fumoso da dieci presunti “saggi” amici suoi. L’indomani ha comunicato il nome del premier: il vicesegretario Pd, casualmente nipote del braccio destro del boss Pdl. (…)

Anche perché il Pd è un partito nato morto che passa il tempo a discutere di cose incomprensibili anche a un bravo psichiatra. E il Pdl è proprietà di un pregiudicato che ha altro a cui pensare: i disastri delle sue aziende e come non finire in galera e conservare l’impunità (detta “agibilità” o “pacificazione”). Ma di tutto questo i giornaloni non parlano. Pigi Battista si illumina dinanzi alla Germania, che fa le grandi coalizioni senza chiamarle “inciuci”: forse perché inciuci non sono, mentre da noi sì. In Germania, se un politico finisce sotto inchiesta o in uno scandalo, anche per una fesseria, si dimette (…)

In Italia ancora ieri il direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano sosteneva che la “malattia italiana” sono “vent’anni di conflitti fra poteri” (cioè fra un imputato e i suoi giudici). E Gianni Riotta, su La Stampa, sosteneva che i mali dell’Italia non sono i partiti che l’han rapinata per vent’anni, ma una fantomatica “sinistra populista” e un’immaginaria tentazione di “maggioranze rosse” e additava i nemici dell’euro sul “blog 5Stelle di Grillo”, come se la guerra all’Europa non l’avessero fatta per anni B. e la Lega. Il vero spread fra Germania e Italia è tutto qui: noi abbiamo i Napoletano, i Battista, i Riotta e i tedeschi no.”

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Battibecco in Aula tra Laura Boldrini e Renato Brunetta

boldrini-brunetta-tuttacronacaBattibecco nell’Aula della Camera tra Laura Boldrini e Renato Brunetta dopo che il capogruppo del Pdl ha chiesto alla presidente una censura per la deputata del M5S Carla Ruocco. La pentastellata ieri lo aveva definito “capo indiscusso del gruppo unico del malaffare, delle larghe intese e dell’inciucio”. Brunetta ha anche annunciato che si sarebbe avvalso di tutte le prerogative a difesa della sua onorabilità. Nel suo tentativo di mediazione, la Boldrini ha risposto: “bisognerebbe evitare queste cose inopportune. Mi dispiace se c’è stata un’offesa. Tutti evitino un linguaggio offensivo; non aiuta né qui dentro né fuori di qui”. Ma all’ex ministro queste parole non sono bastate: “Io chiedo la censura!”, ha urlato. Il presidente l’ha subito fermato: “Non è questo il tono. Vedrò il verbale e mi regolerò di conseguenza…”

No a Saviano e a pranzo con l’inciucio per la Finocchiaro!

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Pare che montiani e leghisti abbiano chiesto però di essere coinvolti anche nelle scelte che riguardano la squadra di governo. Non per essere coinvolti in prima persona, ma almeno per evitare nomi tipo Roberto Saviano, che risulterebbe un pugno nell’occhio per Berlusconi e anche per Roberto Maroni, con cui il giornalista ha avuto diversi scontri di quelli frontali. E’ questa la via che dal Nazareno stanno esplorando. Oggi Anna Finocchiaro è stata avvistata in un ristorante nei dintorni del Senato in compagnia di Massimo Sarmi, amministratore delegato di Poste Italiane nominato dal governo Berlusconi nel 2002 e riconfermato sempre dal Cavaliere altre tre volte (2005, 2008, 2011). Il suo, segnalano fonti di centrodestra, non sarebbe nome sgradito per un incarico di ministro dello Sviluppo Economico, anche se si tratterebbe di una concessione pesante da parte di Bersani, visto che il segretario del Pd quel ministero lo ha diretto dal 2006 al 2008 e lo sente in qualche modo ancora ‘suo’,tanto da volerlo trasformare in un super-ministero dell’economia reale, come aveva previsto in campagna elettorale.

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Inciucio o non inciucio, questo è il problema… di Bersani!

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Bersani veste i panni di Amleto e ci sta abbastanza scomodo anche perché il tempo stringe e le intese fin’ora son poche!

Ha ancora 48 ore di tempo, poi dovrà presentarsi a Napolitano con un po’ di risposte e – soprattutto – numeri certi. Pier Luigi Bersani sa che il sentiero è strettissimo, ma va comunque battuto fino in fondo. Per questo, nonostante le proposte avanzate ieri da Silvio Berlusconi – Alfano vicepremier e intesa sul Colle – siano state prontamente respinte al mittente, il segretario Pd oggi incontrerà comunque i partiti per sondare disponibilità e intenzioni. E capire soprattutto se – e a che prezzo – il Pd può avere i numeri per presentarsi da Napolitano, e in Parlamento.

I primi ad essere ricevuti sono stati i rappresentanti del Gruppo di Minoranza Linguistica della Valle d’Aosta, che hanno confermato il loro appoggio “qualora ci fossero garanzie per le autonomi”. Alle 10.30 è stata la volta del gruppo Misto del Senato e alle 11.00 di una delegazione del Psi. “Abbiamo trovato il presidente incaricato in ottima forma, non da settimana pasquale”, ha detto il segretario socialista Riccardo Nencini. “L’ipotesi a cui sta lavorando va verso due vie maestre: la prima riguarda la costituzione di un governo di cambiamento e aperto ad eccellenze, e la seconda su una sorta di convenzione di natura costituzionale, che lavori sulla seconda parte della Costituzione”..

Alle 13.15 Bersani incontrerà la delegazione della Conferenza dei Presidenti di Regione, guidata dal governatore dell’Emilia Romagna Vasco Errani. Gli incontri proseguiranno nel pomeriggio con alle 15.30
il Gruppo Grandi Autonomie e Libertà, alle 16.15 con Lega Nord e Pdl, saranno presenti Maroni ed Alfano, e infine alle 17.45 con Scelta Civica.

Tra i Big Player – Pdl, Lega e Monti, solo il filo con Scelta Civica sembra – se non scontato – almeno probabile. Ma al Senato la strada è in salita e nemmeno la pattuglia montiana è sufficiente. Per questo un incontro con Pdl e Lega è comunque indispensabile. E quello che un tempo sarebbe sembrata fantascienza politica, possibili punti di accordo tra i dem e il Carroccio, ora diventa quantomeno una strada da provare.

Ma il nodo più complesso è quello del rapporto con il Popolo della Libertà. Trattare o non trattare? È questa, malgrado le smentite, la domanda su cui si arrovella il segretario Pd. Di certo Bersani non accetterà in nessun caso forzature e imposizioni sul Quirinale. La ragione è abbastanza semplice e intuitiva, la partita del Colle riguarda i prossimi sette anni, quella dell’esecutivo – se va bene – un anno o poco meno.  

VENDOLA E LA COMPRAVENDITA DEI GRILLINI!

Francesco Campanella -m5s-vendola-posto-tuttacronaca

«Oggi mi ha chiamato Vendola. Mi ha fatto i complimenti per la mia scelta su Grasso e mi ha manifestato disponibilità ad accogliermi nelle fila della maggioranzaladdove Grillo mi cacciasse». Lo scrive sul proprio profilo di Facebook il senatore a cinque stelle Francesco Campanella definendo questo contatto «un avvenimento strano, oppure no. Nella loro logica – spiega – non riescono ad immaginare che un cittadino possa votare per evitare che la seconda carica dello Stato vada ad una persona inetta. Per i politici tutto è tattica, merce di scambio, gioco a scacchi. Sono offeso. Profondamente offeso».
«Offeso – sottolinea – che una scelta etica sia stata scambiata per disponibilità all’inciucio, che una scelta difficile sia equivocata, come infedeltà ai propri impegni, che un attivista 5 stelle sia scambiato per un aspirante politico di professione. Non sono in vendita. Non ho un cartellino del prezzo da cercare e quindi, signori politici astenetevi dalle brutte figure». «Noi grillini – precisa – siamo qua a Roma in servizio civile ed a tempo determinato, siamo cresciuti politicamente tra cittadini che lavorano, nel poco tempo ritagliato tra professioni e famiglia. Alla fine del mio compito io tornerò a casa ed ho bisogno di girare a testa alta tra i miei amici e i miei elettori. Quindi – conclude – la fiducia fatevela dare dal PDL che vi capisce e potrebbe vendersi, anzi, non aspetta altro».

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