Lucia Annunziata nel suo editoriale sull’Huffington Post scrive “Non infierirò sul destino di Berlusconi”. Il motivo è profondo e trova le sue radici in quell’atteggiamento che la giornalista definisce da “fascistello”. Con tale termine l’Annunziata punta il dito contro chi “ci induce a sfoggiare i muscoli, a esercitarci contro quelli più deboli di noi – i vecchi, gli stupidi, i brutti, i poveri, i neri, le donne, i gay… la lista è infinita”.
E possiamo condividere il senso profondamente civico della frase, in fondo infierire su un uomo e sul suo declino è sempre un segno di arcaico e inutile machismo. Oggi però sorge il problema, che su posizioni come quelle dell’Annunziata o a esse simili, si sta costruendo la figura del personaggio-vittima che sta sostituendo il pregiudicato Berlusconi. Dobbiamo, dunque, bilanciare il giudizio, anche per rispetto a quanti non sono “fascistelli” ma invece sono state “vittime di una politica scellerata”: cioè le generazioni bruciate. I quarantacinquenni e i trentenni senza lavoro, l’immagine della donna mercificata fra la pubblicità e gli spettacoli di intrattenimento, la mancanza di etica civica, le lacune nelle politiche per gay e coppie di fatto, l’eutanasia, etc…
Ancora l’Annunziata scrive:
“Il fascista più fascista di tutti è a mio parere quella pulsione interiore che ci fa infierire sui nemici vinti. Credo di non avere bisogno di patenti per dimostrare da che parte sono stata in questi venti anni, ma davanti alla conclusione giudiziaria e politica di questo periodo non mi metterò fra chi affonda la lama dell’insulto, della soddisfazione, e ancor meno della volgarità,contro Silvio Berlusconi. Non trarrò piacere dalla condanna di nessuno”.
Non vogliamo infierire quindi, ma non dobbiamo permettere la strumentalizzazione che si può fare del nostro senso etico nel momento in cui non sferriamo l’ultimo colpo fatale… Non dobbiamo permettere che il Cavaliere diventi vittima, ma che sia, lui come altri, solo il soggetto di una condanna per un reato che la magistratura ha ritenuto di dover punire. Per questo, in nome di quanti invece vittime sono, la decadenza dalla carica di Senatore è un atto dovuto. E’ giusto ricordare che avendo completamente ignorato quelle che erano politiche del lavoro o diritti sociali abbiamo costretto una generazione a rimandare forse per sempre la possibilità di costruirsi un avvenire o una famiglia e abbiamo invece favorito un’emigrazione disperata portando via dall’Italia risorse e intelligenza.
La cultura in Italia sta morendo e questo è sotto gli occhi di tutti i cittadini. L’ultimo colpo che ancora oggi lascia interdetti e stupiti è stata l’approvazione di una legge sul lavoro che favorisce i ragazzi non diplomati… Che ruolo ha oggi la cultura in Italia? Tra musei che si chiudono, Pompei che agonizza e spettacoli che vengono annullati sembra proprio che non ci sia speranza per l’arte, la musica, la letteratura, teatro e il cinema. Oggi l’allarme viene anche da uno degli artisti più conosciuti in Italia, che da sempre si batte per il cinema e che oggi, senza mezze parole, parla di una crisi profonda di settore e di ripercussioni pesanti, nei prossimi mesi, sull’industria cinematografica. Lui è Giancarlo Giannini che in un’intervista-appello all’Huffington Post cerca di attirare l’attenzione delle istituzioni sulla catastrofe che sta colpendo la settima arte.
“Non so perché, ma nel nostro paese non si capisce che la cultura può essere un motore importante nello sviluppo economico e un elemento fondamentale per le nuove generazioni. Se non rinnovano il tax credit il cinema italiano, che è già morto, viene definitivamente sepolto”, con queste parole Giancarlo Giannini ha cercato di sollevare l’opinione pubblica su un problema che non trova il giusto spazio sulla stampa sempre più impegnata a raccontare le problematiche di un governo di larghe intese che sembra ormai essere alle strette e i “mal di pancia” del partito democratico che ha perso la sua identità e il rapporto con gli elettori a causa delle continue lotte intestine.
Cosa è la tax credit?
E’ un credito d’imposta che prevede la possibilità di compensare debiti fiscali (Ires, Irap, Irpef, Iva, contributi previdenziali e assicurativi) con il credito maturato a seguito di un investimento nel settore cinematografico. I destinatari di questa agevolazione sono le imprese di produzione e distribuzione cinematografica, gli esercenti cinematografici, le imprese di produzione esecutiva e post-produzione (industrie tecniche), nonché le imprese non appartenenti al settore cineaudiovisivo associate in partecipazione agli utili di un film dal produttore di quest’ultimo. Per usufruirne però i produttori devono chiedere alla direzione generale per il Cinema il riconoscimento dell’eleggibilità culturale dei film prodotti. Inoltre il credito d’imposta è pari al 15% del costo complessivo di produzione, ma solo fino a un ammontare massimo pari a 3.500.000 euro per periodo d’imposta.
Ecco parte dell’intervista rilasciata da Giannini all’Huffington.
Nei giorni scorsi i giornali hanno riportato una riunione di fuoco al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove lei insegna recitazione, a causa degli ulteriori tagli previsti all’interno del Fus. A cosa va incontro il cinema italiano?
Questi nuovi tagli annunciati vanno sommati ai tanti già realizzati e ovviamente chiunque lavori in questo settore sa che ci troviamo in una situazione drammatica. Come ho già detto, l’unica buona notizia in questi anni è stata l’introduzione del tax credit, che prevede il riconoscimento di un credito d’imposta pari al 40% dell’investimento a favore di chi investe in opere cinematografiche…peccato che sia stata poco pubblicizzata. I costi per realizzare un film crescono e contemporaneamente i soldi si dimezzano, non si può pensare di avere prodotti di qualità senza risorse. Se decidono di tagliare ancora è un macello.
Anche il teatro in Italia non gode di buona salute, c’è il rischio che l’intero sistema culturale del paese crolli? Cosa dovrebbe fare la classe dirigente?
Le persone ai vertici cambiano continuamente, ma tutti operano tagli alla cultura, come se fosse spazzatura. Il risultato è che chiudono i teatri e i cinema diventano supermercati, ma è una storia che va avanti da anni…non è una novità. Non bisogna chiedersi se “qualcuno può fare qualcosa”, perché la verità è che “nessuno ha mai fatto qualcosa”. Il fatto è che i tagli vengono fatti ad occhi chiusi: in passato avevano pensato anche di chiudere il Centro Sperimentale, io mi chiedo come si possa pensare una cosa del genere…bisogna proprio essere dei trogloditi. E’ la scuola più antica del mondo di cinema, è un luogo prestigioso e pieno di storia, davanti alle nostre proteste hanno detto “ci siamo sbagliati”…ma come ci si può sbagliare su una cosa del genere?
Quindi il primo passo è trovare un valido interlocutore?
Certo, a volte mi domando con chi si possa parlare, chi veramente abbia voglia di fare qualcosa per la cultura, quello che vedo sono solo indifferenza e ignoranza. Se ne fregano delle nostre opinioni, delle grida disperate di chi fa questo mestiere, anche se hai fatto cinema in tutto il mondo ti chiamano solo quando gli servi per una bella fotografia…poi quando fai le cose e sei in difficoltà nessuno ti aiuta, anzi spesso vieni trattato male. Spesso mi domando: ma chi crede nella sperimentazione in Italia? La risposta è nessuno. Credere nella sperimentazione significa credere nel futuro, nell’intuizione, nella capacità creativa delle persone. Se non inventi delle cose e non le brevetti, come fai a competere con gli stranieri? Ci troviamo in una situazione caotica e confusa che nessuno riesce a gestire, non c’è una visione del futuro, ma si vive secondo il vecchio detto “pochi, maledetti e subito”.
Senza soldi i film non si possono fare, ma forse al cinema italiano di oggi manca anche qualcos’altro…
Manca tutto: le idee, il coraggio, c’è meno fantasia e ci sono pochi veri talenti in giro, ma questo riguarda tutto il mondo…gli americani non fanno altro che remake. Non sono i soldi che fanno i buoni film, ma le idee, però non si può nemmeno pensare di accontentarsi di quei pochi prodotti a basso budget che rappresentano l’eccezione che conferma la regola. In passato fare cinema era una cosa molto rigorosa, ma se oggi la gente non va a vedere i film forse è anche perché i film sono brutti, senza considerare che se sei nelle sale con 800 copie è una cosa, con 40 è un’altra. Come si può pretendere che un film faccia i soldi con sole 40 copie in giro?
Il cinema italiano dei tempi d’oro aveva maestranze eccellenti, cosa ne sarà di Cinecittà?
Quel mondo si è perso, non credo che nessuno giri più a Cinecittà, so che fanno delle cose televisive.
Oggi in proporzione si investe di più nelle fiction che nel cinema, ma non sempre i prodotti sono all’altezza delle aspettative. Lei crede che ci sia una specie di abbassamento culturale dell’audiovisivo in Italia?
Si, direi proprio di si, in America fanno dei prodotti televisivi molto belli, sono dei geni in questo campo, noi abbiamo ancora molto da imparare. Però dei segnali positivi ci sono, ad esempio la serie con Castellitto (In Treatment, n.d.r.) andata in onda su Sky era interessante. Comunque tutto finirà lì, in Tv, perché il cinema non esisterà più, quindi speriamo che almeno sul piccolo schermo si preservi la qualità.
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