Lo racconta Robert Fisk sull’“Independent” di Londra e lo riporta il Fatto. Entrabi i giornali raccontano di quella telefonata tra la la giornalista Habiba Ahmed Abdelaziz, di 26 anni, e sua mamma. Nell’arco di sei si è scambiata con la madre numerosi sms, subito prima di morire vicino la moschea Rabaa al-Adawiyeh a Nasr City. I giornali ne hanno riportato i testi come testimonianza del massacro che sta avvenendo in Egitto:
Ore 6,19 del mattino.
Madre: Habiba che succede?
Habiba: l’esercito e la polizia si stanno muovendo. L’ufficio stampa è stato trasformato in ospedale da campo e l’atmosfera è tesa.
Madre: Dove ti trovi? Habiba: Solo i giornalisti hanno il permesso di restare nell’edificio. Sto facendo il mio lavoro. In caso di scontri debbo scrivere quello che vedo. Mi trovo nell’ufficio stampa. La porta è grande e non è facile buttarla giù.
Madre: Ci sono molti poliziotti e soldati?
Habiba: Sì, ma forse è solo una “guerra di nervi”.
Madre: Dove devi andare?
Habiba: Fino al monumento.
Madre: E come fai?
Habiba: Come tutti. Camminando o correndo a seconda delle circostanze.
Madre: Che Dio ci aiuti.
Ore 7,33
Madre: Che novità ci sono?
Habiba: Sono arrivati anche i giornalisti stranieri.
Madre: Ma in piazza che novità ci sono?
Habiba: Ho preso tre tipi di medicine. Fa molto freddo qui e sto tremando. Mamma, prega per noi.
Madre: Dio ci assicuri fermezza e ci dia la forza. Dio, dacci forza sopra di loro. Confido in te, Dio onnipotente.
Habiba: Tra poco vado. Ci sono anche dei blindati.
Ore 12,46
Madre: Habiba, ti prego rassicurami. Ho chiamato migliaia di volte. Tesoro mio, sono spaventata a morte. Dimmi come stai.
Habiba era già morta.