Renzi e le condizioni per la “stabilità”: mirino sulle pensioni oltre i 2000 euro

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Renzi e le sue proposte per la legge di stabilità. Le detta a Epifani ed è pronto a far guerra in parlamento. Le condizioni che ha posto sembrerebbero essere due:

  • la manovra non strozzi le amministrazioni locali, già affrante dal patto di stabilità europeo, che vengano assicurati investimenti per favorire la ripresa.
  • il reddito di cittadinanza: da finanziare con prelievi alle cosiddette ‘pensioni d’oro’.

Sulla questione il ragionamento dei renziani è noto da tempo. E il sindaco lo ha spiegato al segretario del Pd. Le cose stanno così: “2 milioni di pensionati con una pensione di oltre 2mila euro al mese costano allo Stato esattamente quanto costano gli 11 milioni che prendono nemmeno mille euro al mese. Questo non è accettabile. Il 57 per cento della spesa sociale in Italia se ne va per pagare le pensioni: noi siamo anche per toccare i diritti acquisiti di chi ha maturato la pensione con il sistema retributivo e non con il contributivo”. Che significa: “Chiedere di mollare sul passato per investire sul futuro: quei soldi andrebbero alle politiche per l’occupazione”.

Quindi torna prepotentemente la voglia di andare a intaccare i diritti acquisiti, quei diritti su cui la Corte Costituzionale già si espressa ampiamente e ha riconosciuto intoccabili.

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L’Italia secondo Renzi, ecco le sue linee guida

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Partito liquido? No forse ora Renzi si sposta sull’idea di un partito agile, ma radicato sul territorio in cui molto spazio devono occuparlo i sindaci e gli amministratori locali e dove gli organismi centrali devono solo pensare al coordinamento. Un partito che abbia idee e lanci grandi campagne dal basso. Un partito che sia partecipativo. Nel documento i protagonisti sarebbero la scuola, l’economia, il fisco, la riforma della burocrazia e l’Europa. Un ruolo fondamentale poi sarebbe stato dedicato alla riattivazione del credito alle imprese per la ripresa della pmi. A redigere il testo hanno collaborato Dario Parrini, Enrico Morando e Giorgio Tonini.

 

L’Italia è il paese più infettato da web in Europa

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Una vera e propria epidemia è in corso in Italia. Una mail ogni 177 contiene un virus e questi numeri ci hanno fatto balzare in testa alla classifica di Paese più infettato dal web in Europa. Un primato che sicuramente non ci fa onore, ma il rapporto  Symantec 2013 non lascia dubbi. Oltre ai virus che viaggiano nelle nostre mail è presente anche il phishing, cioè furto di identità digitale, con una media di un tentativo ogni 406 mail. Da cosa deriva questa nostra esposizione ai rischi del web? Sicuramente in una scarsa informazione e cultura informatica, oltre agli elevati costi che non consentono alle imprese piccole e medie di investire nella sicurezza del web.

Dietro a questo primato ci sarebbe la “pigrizia” degli italiani nell’aggiornare il proprio antivirus, la poca sicurezza della navigazione da smartphone e tablet e le Pmi, sempre secondo il rapporto Symantec:

“A livello mondiale un attacco ogni tre è rivolto contro aziende con meno di 250 dipendenti: le grandi società hanno maggiori budget per la sicurezza. Concludiamo sempre con le classifiche. I Paesi più infettati al mondo considerando tutti i problemi di natura informatica sono Usa e India. In Europa siamo terzi, dopo Germania e Olanda. Almeno che si facciano tutti i nomi degli untori.”.

Stroncati i sogni di ripresa? Pil italiano a -1,8

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L’Italia è l’unico Paese del G7, cioè tra le sette nazioni più industrializzate, a far registrare un Pil negativo per l’anno in corso. Sono quindi stroncati i sogni di ripresa tanto annunciati da Enrico Letta? E’ vero che mancano pochi mesi alla fine del 2013, ma è pur vero che l’Ocse, ha confermato la  stima di una contrazione del Pil italiano dell’1,8%. L’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in un aggiornamento di interim delle sue previsioni economiche, ha affermato che l’area euro come insieme non è più in recessione.  A livello mondiale, sempre secondo l’Ocse, soprattutto nelle “grandi economie emergenti, la crescita ha rallentato”, mentre “l’attività si sta espandendo a ritmi incoraggianti in Nord America, Giappone e Regno Unito, mentre l’area euro come insieme non è più in recessione”, afferma l’Ocse. Per gli Usa quest’anno è previsto un più 1,7 per cento del Pil, in Germania un più 0,7 per cento, in Francia un più 0,3 per cento e in Gb un più 1,5 per cento.

L’Ocse comunque avverte che il miglioramento della crescita nei paesi avanzati, per quanto gradito “non è ancora consolidato” mentre “permangono rischi rilevanti”. Bisogna continuare a sostenere la domanda, anche con politiche monetaria straordinarie, mentre le riforme strutturali volte a rimuovere gli impedimenti alla crescita e alla creazione di lavoro restano “vitali”, conclude l’ente parigino con un comunicato.

L’Italia fallisce:+6% di aziende presentano la procedura fallimentare

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La ripresa sarà anche alle porte, ma c’è chi ha già chiuso i battenti. Nel primo semestre del 2013 si sono registrate circa 6.500 nuove procedure fallimentari, in aumento rispetto allo scorso anno di quasi il 6%. Sono questi i dati allarmanti diffusi dall’Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza sui fallimenti delle aziende. Con la crisi economica sono a rischio anche le imprese “storiche”. Tra il 2008 e il 2012 sono circa 9mila quelle che, nonostante oltre 50 anni di attività, hanno chiuso i battenti.

Subito dietro dopo la Lombardia, Lazio e Toscana fanno rilevare il dato più alto per nuovi fallimenti in rapporto al numero di imprese attive (in entrambe le regioni 1,5 imprese su 1000 hanno iniziato la procedura di fallimento nei primi sei mesi del 2013). Tra le regioni italiane, la percentuale delle imprese storiche che hanno cessato l’attività tra il 2008 e il 2012 sale in Calabria e supera la metà delle imprese storiche (53%, circa 250 imprese), così come in Puglia (47,6%, circa 300 imprese).“

Non va meglio in Francia dove sono oltre 60 mila aziende francesi ad aver dichiarato fallimento nell’arco di un anno. Nel giugno 2013, il maggior numero di aziende che hanno fallito sono piccole imprese, e il loro numero è aumentato del 4%. Le principali aziende fallite, registrate dalla Banca Centrale Francese si occupano del settore immobiliare, di quello della ristorazione, e dell’edilizia.

Dati Ocse: da crisi a catastrofe? Tra disoccupazione e precariato l’Italia affonda?

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Arrivano i dati Ocse e certamente è una nuova doccia fredda per gli italiani. Che le coe andassero male non era certo difficile da capire, ma forse vedere nero su bianco il suo ultimo rapporto sull’occupazione è davvero allarmante. Oltre la metà dei lavoratori italiani under 25, il 52,9%, ha un lavoro precario e rispetto al 2000 la percetuale di chi è precario è raddoppiata. Ma se per 2014 l’Ocse stima una diminuzione dei disoccupati negli stati membri, per l’Italia la previsione è nera. Il paese intrappolato tra recessione e disoccupazione viaggia in controtendenza. Cosa prevede l’Ocse?  Un peggioramento del tasso dei senza lavoro al 12,6% nel quarto trimestre del 2014 dal 12,2% dello scorso maggio e contro il 6,2% ante-crisi. E’ il sesto peggior dato tra i 34 paesi aderenti all’organizzazione e contrasta con la media dell’area, attesa in miglioramento dall’attuale 8% al 7,8% di fine 2014, oltre ad essere uno dei peggioramenti più marcati tra i paesi industrializzati rispetto al 2007.

Ma se chi è disoccupato è anche scoraggiato, c’è chi lavora e non riesce ad arrivare a fine mese.  Con un salario reale medio annuo di 33.849 dollari a parità di potere d’acquisto, in calo dell’1,9% sul 2011, la penisola è 20esima sui 30 paesi di cui sono disponibili i dati. La media Ocse è superiore di quasi 10mila dollari a 43.523 dollari (-0,1% sul 2011). La Germania si posiziona a 42mila euro (+1%) e la Francia a 39.600 (+0,4%). Il calo segnato dai salari medi in Italia lo scorso anno è ancora più ampio di quello del 2011 (-1,5%). Tra il 2007 e il 2004 la flessione è dello 0,4%, una delle maggiori dell’area Ocse, dove i salari hanno in media segnato un aumento dello 0,3% nel periodo. Il costo unitario del lavoro, inoltre, dopo il calo dell’1,6% del 2011 è diminuito dello 0,5% nel 2012 contro -0,8% e -0,9% della media Ocse.

Eppure in Italia si lavora di più: 25% in più dei tedeschi. Nonostante questo le ore lavorate in media durante l’anno sono calate.

E si parla ancora di ripresa? L’Expo è il tocca sana? Chi darà fiducia agli italiani per un futuro migliore… l’acquisto degli F35?

La ghigliottina delle tasse locali: dal ’92 aumentate del 500%

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In poco più di 20 anni le imposte delle amministrazioni locali hanno avuto un incremento di oltre il 500% aumentando da 18 a 108 miliardi di euro. I dati sono stati forniti da uno studio di Confcommercio in collaborazione con il Cer. Nello studio si legge anche che negli ultimi 20 anni , la spesa corrente delle amministrazioni centrali (Stato e altri enti) è cresciuta del 53%. La spesa di regioni, province e comuni è aumentata del 126% e quella degli enti previdenziali del 127%. Nel complesso la spesa pubblica è raddoppiata.

“Per fronteggiare questa dinamica – sottolinea il dossier – si è assistito a una esplosione del gettito derivante dalle imposte (dirette e indirette) a livello locale con un aumento del 500% a cui si è associato il sostanziale raddoppio a livello centrale. Inoltre, nell’ultimo decennio, risulta quasi triplicata l’incidenza delle addizionali regionali e comunali sull’Irpef; rilevante, infine, la differenziazione delle singole regioni in base all’incidenza dalla tassazione locale: l’aliquota Irap per un’impresa della Campania è quasi il doppio di quella che deve pagare un’impresa di Bolzano”.

Dopo questa analisi la conclusione di Confcommercio è dunque delle più drammatiche:  “uno degli obiettivi principali del federalismo fiscale, quello, cioè, di mantenere inalterata la pressione fiscale a carico dei contribuenti, è stato del tutto disatteso rendendo, pertanto, sempre più necessario un maggiore coordinamento fra le politiche tributarie attuate ai diversi livelli di governo”.
Come può un’impresa sopravvivere durante la crisi se viene ghigliottinata anche dalle tasse locali? A fronte di questi aumenti quali servizi e benefici si sono avuti a livello locale?

Il tessile è morto? Calo del 70%. L’Italia perde il Made in Italy?

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Penalizzato dalla crisi, ma forse succube anche di una politica che non ha messo freno ai prodotti cinesi, così il tessile italiano è stato condannato a una morte lenta ma progressiva, come una malattia degenerativa che non lascia scampo. Dal 2008 le calzature e il tessile hanno fatto registrare un calo del 30,7 e del 39,3%, ma se si guarda indietro nel tempo si trovano dati ancora più allarmanti: il calo da metà degli anni ’90 sarebbe intorno al 50% – 70%. Lo studio è stato fatto da Banca d’Italia e anche se Palazzo Koch si affretta a dire il declino c’è ma “non è irreversibile, purché le imprese sappiano trasformarsi”, sembra solo l’ennesima beffa per gli imprenditori travolti.

Ancora una volta non si vuole vedere in faccia il problema del tessile, di quei tessuti e di quei costi che confrontati con i prodotti cinesi non possono essere competitivi ma che rappresentano invece per l’Italia un’eccellenza. Il taglio, il modello e la qualità non sono stati tutelati da governi miopi che invece hanno lasciato gli imprenditori in balia di loro stessi senza tutelare un mercato che in pochi anni è stato invaso da prodotti di bassa qualità a basso prezzo. Non sono stati tutelati neppure quando il commercio cinese ha iniziato a puntare su negozi al centro città, che probabilmente sono solo rifornimenti per l’ingrosso e non per il dettagliante. Ora il settore è in ginocchio e c’è chi parla di trasformazione… ma quale trasformazione ci può essere se non la chiusura?

Lo strangolamento delle aziende effettuato dalle banche

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Nel 2012 le aziende italiane hanno subito tagli per 44mld di euro da parte delle banche, così le imprese sono state costrette a ricorrere sempre di più alle emissioni obbligazionarie.  Secondo un report di Standard & Poor’s, le imprese italiane attingono il 92% del loro fabbisogno finanziario di breve e lungo termine dagli istituti di credito, ma “questa provvista sta diventando meno disponibile in quanto le banche italiane hanno avviato un percorso di riduzione della leva finanziaria”. Il che significa obbligatoriamente costringere le imprese a emettere obbligazioni. Cosa comporta? Che le aziende potrebbero anche decide di pagare con quote obbligazionali parte degli stipendi dei loro lavoratori, dall’altra potrebbe essere un opportunità per i risparmiatori privati di investire nelle aziende nazionali. In Italia, come dimostrano i dati, l’80% delle obbligazioni emesse fino a oggi sono state sottoscritte da stranieri… è chiaro quindi che manca un mercato nazionale anche per la scarsa conoscenza dell’obbligazione come titolo di investimento. Ma proprio per queste difficoltà di far arrivare il messaggio anche su territorio nazionale, garantendo anche gli investitori si prevedono tempi lunghi per il passaggio da un’economia volta al credito bancario a un’economia che si basa sull’obbligazione. Nel frattempo le aziende come sopravviveranno?

Illusioni della P.A.: i 40 miliardi alle imprese non arriveranno in tempi brevi

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Per chi credeva che il calvario fosse finito, la doccia fredda è arrivata come una mannaia.

Ieri, 30 aprile, giorno entro il  quale circa 22 mila enti pubblici, di cui 10 mila importanti, dovevano registrarsi nella piattaforma telematica allestita presso la Ragioneria dello Stato dalla Consip, si è verificato invece uno stallo. La registrazione non è avvenuta ed è scattata la denuncia di Rete Imprese Italia – la superconfederazione imprenditoriale che riunisce commercianti e artigiani – “Il decreto legge sui pagamenti dei debiti scaduti della Pubblica Amministrazione, mostra fin da subito la debolezza di un impianto normativo basato su farraginosi adempimenti burocratici, fallendo nel suo primo obiettivo. Sul portale online del ministero dell’Economia, ad oggi, la maggior parte delle amministrazioni non ha ancora avviato la registrazione”.

 Ma se Rete Imprese Italia tuona, c’è anche la Ragioneria che minimizza e fa sapere che solo una piccola percentuale degli enti tenuti a iscriversi avrebbe mancato all’appuntamento informatico, che avverrà comunque nei prossimi giorni.

 Ma se anche questo adempimento verrà rispettato da tutte le amministrazioni nei prossimi giorni sarà solo il primo passo di una lunga e farraginosa procedura burocratica: tra il primo giugno e il 15 settembre, sempre attraverso la piattaforma elettronica, le amministrazioni che si sono registrate presentino l’elenco completo dei loro debiti “certi, liquidi ed esigibili” maturati fino al 31 dicembre 2012, con la specifica dei dati dei vari creditori. Solo all’indomani di questa “confessione”, si procederà alla liquidazione dei crediti fino a impiegare i 40 miliardi di euro che verranno raccolti dal governo emettendo nuovi titoli di Stato. Quaranta miliardi sugli oltre 90 stimati, forse 120 secondo molti, e addirittura 150 secondo altri.

Sembra quindi che le imprese abbiano tutto il tempo di collassare definitivamente in attesa di quei soldi… e poi parliamo di ripresa e di occupazione che non si riesce a trovare una procedura snella nell’adempimento dei debiti della P.A. con le imprese?

Monti: la crisi è colpa delle imprese e dei sindacati

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Se Bersani ha problemi di premiership all’interno del partito, Monti ha il problema del suo ruolo in politica. Scelta Civica è stata un fallimento, i suoi sostenitori sono stati i primi ad abbandonarlo dopo il deludente risultato delle urne e il premier  si è trovato a gestire il più grande vuoto istituzionale della storia della nostra Repubblica. Un Presidente a fine mandato, un governo impossibile da formare a causa dei protagonismi individuali di alcuni politici che hanno prevalso sul bene comune italiano e una crisi che ha divorato le imprese. Ma che risposta dà Monti al Paese?

«Se l’Italia non cresce cio è dovuto a lacune della politica, ma moltissimo anche a sindacati e imprese». Lo ha detto il premier Mario Monti durante la registrazione di ‘Che tempo che fà. Secondo Monti sindacati e imprese «devono cambiare, non possono chiamarsi fuori.  Il mondo del capitalismo non ha saputo ammodernarsi e il mondo dei sindacati ha responsabilità storiche nell’arretratezza. Mi fa piacere che ora sindacati e Confindustria prendano posizioni comuni – ha proseguito – ho dedicato buona parte del 2012 a ottenere questo». Nelle parole di Monti si nota uno scarico totale di responsabilità, un essersi adoperato perché i sindacati e Confindustria prendessero posizioni comuni, cioè aver facilitato la morte stessa dell’idea di sindacato che deve difendere i lavoratori e non allearsi con gli imprenditori. L’arretratezza attribuita ai sindacati invece che alla voragine del debito pubblico nei confronti dell’impresa è veramente negare l’evidenza di una politica che ha pensato solo ai propri privilegi incurante della sofferenza di un paese intero. L’incapacita di Monti di contrattare con l’Europa, la volontà di piegare la testa a una politica che se ci ha salvato dal baratro ci ha portato dritti sull’orlo del precipizio, nell’immobilità istituzionale e nel ricatto costante dell’Alta finanza. Dove sono finite le agenzie di rating che ci dovevano declassare se non facevamo un governo? Scomparse nel nulla quando il governo non si è fatto! Quindi era solo una “minaccia” per facilitare tattiche politiche e sacrificare ancor di più gli italiani con un ulteriore manovra? Stritolarci con la paura della Greciao di Cipro? Ma il “gioco al massacro” non è riuscito perchè l’Italia, quella degli imprenditori o dei ceti più piccoli, ha protestato in silenzio, con dignità, levandosi la vita. Ancora dobbiamo ascoltare l’illuminazione degli economisti che devono far quadrare il bilancio sulla pelle degli italiani?

I debiti si devono pagare… parola di grandi saggi. Come?

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«Alla luce dell’entrata a regime della modifica costituzionale sul vincolo di bilancio strutturale, vanno riviste le modalità attraverso cui opera il cosiddetto “Patto di stabilità interno”». «In questi anni la difficile comprimibilità della spesa pubblica corrente ha finito col sacrificare gli investimenti pubblici: la spesa in conto capitale ha raggiunto un minimo storico. Ne va subito almeno rafforzata la qualità e l’efficacia». «Dopo il decreto legge varato nei giorni scorsi dal Governo, va completato il pagamento, per la parte ancora da versare, del debito pregresso accumulato fino al 31 dicembre 2012». Con quali fondi? Operare in tempi rapidi, tagliando ancora di più sanità e scuola, visto che i privilegi vergognosi come il finanziamento pubblico ai partiti è ineliminabile? A chi prendiamo i soldi? Iniziano a darci il buon esempio i saggi svuotando i loro conti così che magari salviamo qualche piccola azienda o sono saggi poveri anche economicamente oltre che di spirito?

Maroni fa espatriare la piccola e media impresa?

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Quello che doveva essere una visione a 360° di nuovi mercati in cui poter esportare prodotti italiani rischia di trasformarsi in un vero e proprio esproprio della pmi italiana.

“Voucher per l’accompagnamento delle PMI lombarde nei paesi esteri”, voluto da Regione Lombardia, incoraggia economicamente, soggetti che possano indicare mercati  all’estero in cui allargare il giro d’affari delle imprese italiane. Si capisce in fretta che individuata una zona in cui è possibile la penetrazione del prodotto italiano, è possibile, anzi altamente probabile, che ci siano le condizioni per trasferire l’impresa stessa in territorio straniero. Una volta ottenuto il voucher, che viene erogato a fondo perduto, è possibile passare a una delocalizzazione aziendale dove i costi di produzione sono più bassi, il lavoro costa meno e il mercato è in forte sviluppo. Quello che nella testa della Lega doveva essere un piano di aiuto alle aziende lombarde rischia di diventare un boomerang con relativo spopolamento industriale in Italia a vantaggio dei mercati emergenti. Quindi un ulteriore eutanasia della pmi?

 

La risposta del governo all’impresa: CDM rinviato!

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Se pochi giorni fa Giorgio Squinzi aveva parlato della necessità da parte delle imprese di ricevere un segnale forte dal governo, sicuramente è stato ascoltato! Il Cdm che doveva dare il via libera ai pagamenti della P.A. alle imprese è stato rinviato. “Serve un approfondimento”  così si legge nella nota del governo.

Questa mattina Matteo Renzi aveva parlato di “perdita di tempo” e il governo non lo smentisce, anzi rafforza la sua tesi. Il Presidente della Repubblica è impegnato a trovare soluzioni con i saggi, il governo rinvia i pagamenti.

L’industria è al collasso ( e anche oltre), gli imprenditori si suicidano, il governo è inesistente. Tutti filosofeggiano, parlano sui luoghi comuni e nessuno riesce ad avere un’idea per uscire fuori dall’empasse che si è creato.

Si sbloccano i pagamenti alle imprese… firma anche M5S!

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Risoluzione unica alla Camera in occasione dell’esame dell’aggiornamento dei conti pubblici e quindi del Def (documento di economia e finanza). Superati i dubbi degli ultimi giorni, infatti, anche il M5S ha firmato, insieme agli altri gruppi, la risoluzione che consente di sbloccare i pagamenti dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione.

Ritirato il “palazzo di Jabba” di Star Wars

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La Lego, storica azienda danese di giocattoli, ha deciso di ritirare dalla produzione il “Palazzo di Jabba”, dopo le proteste sollevate dalla comunità islamica austriaca che riteneva offensivo il prodotto. La polemica era nata a gennaio, dopo che un padre austriaco di fede islamica aveva scoperto come sua sorella avesse regalato il prodotto al figlio. Il gioco, rivolto a bambini di età compresa tra i 9 e i 14 anni, era stato così accusato di essere anti-islamico. Il personaggio protagonita del giocattolo, “Jabba the Hutt” viveva nella sua tana intergalattica, una cupola orientale dotata di razzi e mitragliatrici molto simile a una moschea. E si mostrava anche la Principessa Leia in catene, come sua schiava personale.

La Lego non aveva acconsentito al ritiro del gioco perché riteneva di aver immesso sul mercato solo la riproduzione del palazzo del film, quindi nessuna allusione all’Islam.

Poi, la società costruttrice del gioco ha cambiato idea: a partire dal 2014, il prodotto verrà ritirato. La decisione è arrivata dopo un incontro a Monaco di Baviera tra i leader della comunità turca e alcuni dirigenti della Lego.

“Via l’Irap”, il tuono di Grillo sul blog!

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Abolire l’Irap per aiutare le piccole e medie imprese italiane, compensando la perdita per le entrate dello stato con il taglio alle spese della politica. Lo propone Beppe Grillo sul suo blog. «Il baratro dove stanno sprofondando (le Pmi) lo hanno creato i partiti, quelli che ora si stracciano le vesti – scrive Grillo -. La ricostruzione delle PMI deve iniziare subito per evitare il fallimento del Paese. Un primo passo è l’abolizione dell’IRAP che ammonta a circa 20 miliardi l’anno di tasse sulle imprese, anche se in perdita. Perdono e pagano le tasse sulla perdita, lo Stato si comporta come chi davanti a uno che affoga gli lega un masso al collo». «L’IRAP coincide grosso modo ai maggiori costi della politica in Italia comparati con i maggiori Paesi europei – prosegue Grillo -. Sarebbe sufficiente tagliare questi costi per eliminare l’IRAP e dare ossigeno alle imprese».

Conte apre le porte all’Inter?

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Alla vigilia della partita con l’Inter, Antonio Conte non si preclude alcun futuro e lascia aperte le strade anche per altre squadre italiane.

«Sono l’allenatore della Juve e il suo primo tifoso – ha detto il tecnico bianconero nella conferenza stampa di stamane a Vinovo – ma sono soprattutto un professionista, ma il giorno in cui dovessi lavorare per l’Inter, come per il Milan o la Roma o la Lazio ne diventerei allo stesso modo il primo tifoso e farei di tutto per vincere. Forse qualcuno questo non l’ha capito, oppure fa gioco insistere sul mio tifo per la Juve per rendermi ancora più odioso agli altri. Ma deve essere chiaro che io sono un professionista»

A rate… ma finalmente la P.A. comincia a pagare i debiti!

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Il provvedimento per pagare i debiti della P.A. serve a “immettere liquidità nel sistema economico e a far ripartire più rapidamente la domanda interna già da metà dell’anno in corso”. Così il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, in audizione in Parlamento. “L’obiettivo di saldo strutturale dovrebbe essere comunque raggiunto” nonostante il pagamento degli arretrati, ha aggiunto. “Il limite del 3% di Pil è comunque invalicabile”.

Il pagamento dei debiti della P.a., ha spiegato Grilli, non è “un’operazione senza costi: nel 2013 ci sarà un aumento di 400 milioni” a valere sul debito e quindi un aumento degli interessi da pagare. Anche se di recente grazie ad un attenuarsi dei tassi si sono risparmiati 5,4 mld. Sarebbe “pericoloso – ha poi aggiunto – introdurre il principio che le banche non vengono pagate. Se si introduce questo principio, la possibilità per le imprese di ricevere credito sparisce”.  Ma il Ministro evita di dire che nell’ultimo anno, quando le banche sono state pagate alle aziende non sono comunque stati erogati i prestiti, di fatto è molto dubbio che si possa sperare per il futuro prossimo  nel credito per le piccole e medie imprese da parte degli Istituti bancari.

La bibita killer!

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Le bibite  zuccherate a base di soda, le bevande sportive o energy drink e i succhi di frutta dolci sono responsabili ogni anno nel mondo della morte di 180.000 persone, 500 al giorno. A stimarlo è una ricerca presenta dall’Harvard School of Public Health di Boston alla conferenza annuale dell’American Heart Association dedicata alla nutrizione e alle malattie metaboliche. “Questa tipologia di prodotti consumati in tutto il mondo contribuiscono all’eccesso di peso, una delle cause dell’aumento del rischio di sviluppare patologie croniche come il diabete, le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro”, spiegano i ricercatori della Harvard School of Public Health di Boston.

Lo studio, esaminando precedenti ricerche, ha collegato l’assunzione di bevande zuccherate a 133.000 decessi per diabete, 44.000 per malattie cardiovascolari e 6.000 per le neoplasie. Il 78% di queste morti sono avvenute in Paesi dove la popolazione ha redditi medio-bassi, piuttosto che in quelli più ricchi. “La nostra ricerca – avvertono gli scienziati – mostra che negli Stati Uniti, circa 25.000 decessi nel 2010 sono collegati a questo tipo di bevande zuccherate”. L’American Heart Association raccomanda di consumare non più di 450 calorie a settimana provenienti dalle bevande zuccherate, sulla base però di una dieta di 2.000 calorie.

I ricercatori hanno calcolato i quantitativi di zucchero e dolcificanti assunti dalla popolazione mondiale grazie alle bibite. Raggruppando i risultati per età e sesso, ma anche effetti sull’obesità e il diabete, e decessi correlati. Ebbene su nove regioni del pianeta nel 2010 la zona America Latina-Caraibi ha registrato il maggior numero di morti per diabete (38.000) legato proprio al consumo di bevande zuccherate. Mentre l’Asia ha il maggior numero di decessi per patologie cardiovascolari (11.000). Tra i 15 Paesi più popolosi del mondo, il Messico ha il più alto consumo pro-capite di bevande zuccherate e il tasso più alto di decessi: 318 morti per milione di adulti legate all’assunzione di bevande dolci. Mentre il Giappone, uno dei Paesi con il più basso consumo pro-capite di bevande zuccherate del mondo, ha anche fatto registrare il più basso tasso di mortalità associato con il consumo di queste bibite: circa 10 decessi per milione di adulti.

Un problema quello delle bevande zuccherate che risulta dannoso soprattutto per i bambini. Fra i ragazzini che le consumano, le bibite di questo tipo sono la prima causa di un apporto calorico troppo alto. A dirlo uno studio della University of North Carolina di Chapel Hill pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine. Inoltre, il consumo di bibite come la soda dolcificata, i drink alla frutta e gli energy drink, e’ associato anche con un piu’ alto consumo di cibi poco sani. Gli scienziati hanno esaminato i dati provenienti dal 2003-2010 What We Eat in America e daiNational Health and Nutrition Examination Surveys: i ricercatori hanno esaminato campioni provenienti da 10.955 bambini fra i 2 e gli 8 anni. Le bibite zuccherate sono le principali cause del maggior apporto calorico fra i bambini di 1-5 anni e quelli fra 6 e 11 anni.
Negli Stati Uniti il consumo di bevande zuccherate è molto diffusa. E’ recente l’ultima notizia nel braccio di ferro fra autorità e produttori sul consumo di questi prodotti. Pochi giorni fa è stato infatti bloccato a poche ore dalla sua entrata in vigore, lo stop alla vendita di bibite ad alto contenuto zuccherino in contenitori più grandi di 16 once (poco meno di mezzo litro) nella città di New York. A deciderlo è stato il giudice della corte suprema a Manhattan Milton Tingling  Junior, che ha revocato il divieto voluto dal sindaco della città Michael Bloomberg. Il primo cittadino ha annunciato che presenterà ricorso.

L’agonia delle piccole imprese e la sofferenza delle grandi! 47mila i protesti!

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La crisi continua a farsi sentire nelle aziende italiane: l’anno scorso sono state 47mila quelle non individuali che hanno accusato almeno un protesto, un vero e proprio record negativo. Secondo i dati Cerved, rispetto al 2007, ultimo anno pre-recessione, la crescita è del 45% e le costruzioni sono il settore più colpito.

I ritardi gravi, cioè oltre i due mesi, nei pagamenti delle imprese italiane ai loro fornitori tornano ai massimi della crisi: erano praticati dal 5,7% del totale delle aziende nel secondo trimestre del 2012, dal 6,1% nel terzo trimestre, per salire al 7,1% a fine anno. Sono dati del database del Cerved, che monitora la abitudini di pagamento di oltre 2 milioni di imprese italiane. Secondo il gruppo specializzato nell’analisi delle dinamiche aziendali, questi sono casi che “frequentemente sfociano in default”.

 Ufficialmente tra ottobre e dicembre le aziende italiane hanno regolato in media le proprie fatture in oltre 85 giorni, con un incremento dei ritardi gravi che riguarda tutte le fasce dimensionali d’impresa. Ma il dato più inquietante è a carico delle grandi aziende: sono quelle che possono godere di termini in fattura più vantaggiosi, ma la fetta in ampio ritardo di pagamento è cresciuta in un solo trimestre dal 6,9% all’8,2% del totale.

Il nostro pianeta non smette di stupirci: palle di ghiaccio giganti sul Michigan!

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Uno strano fenomeno si è verificato durante la notte sul lago Michigan. Molti abitanti questa mattina si sono alzati e hanno trovato gigantesche palle di ghiaccio, simili a un pallone da Basket… lo stupore a poco a poco si è trasformato in meraviglia. Sono nate le ipotesi più stravaganti e singolari intorno a questo fenomeno. In realtà anche alcuni anno fa, sullo stesso lago si erano formate delle palle di ghiaccio simili.

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